De Chirico, la gioiosa Neometafisica, a Campobasso

di Romano Maria Levante

A Campobasso, dal 20 dicembre 2014 al 6 aprile 2015,  la mostra “Giorgio de Chirico. Gioco e gioia della Neomatafisica” espone  circa 70 opere, di cui 34  dipinti, 10 litografie e 24 disegni, che costituiscono la più completa rassegna presentata in  Italia del periodo Neometafisico, in cui negli ultimi dieci anni di vita, oltre gli 80 anni, l’artista rilanciò la visione metafisica con uno spirito nuovo improntato a una straordinaria vitalità. Realizzata dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico che ha fornito le opere, con la Fondazione Molise Cultura. Curatore Lorenzo Canova che ha curato anche il Catalogo della Regia Edizioni di Campobasso.

La presentazione della mostra nella Casa Museo

La presentazione della mostra di Campobasso si è svolta il 18 dicembre 2014 nella Casa Museo di Giorgio De Chirico a Piazza di Spagna, dove ha  sede  la sua Fondazione  che l’ha organizzata, con la Fondazione  culturale molisana,  fornendo le opere esposte: un evento nell’evento data la sede prestigiosa.

E’ un luogo suggestivo dove si respira l’aria in cui è vissuto il Maestro: da una sala all’altra tutto parla di lui, gli ambienti e i mobili, gli arredi e i soprammobili, come se il tempo si fosse fermato, fino all’atelier al piano superiore nel quale volle schermare le finestre perché la luce piovesse dall’alto creando le migliori condizioni per la sua pittura. E poi le pareti coperte dai quadri delle sue opere, una mostra permanente di grande fascino in cui si ritrovano i motivi della sua produzione artistica, con il fascino dato dal luogo in cui sono state concepite e realizzate.

Il Presidente Paolo Picozza ha ricordato che ricorre il centenario della Metafisica ferrarese, datata 1915, precisando che l’effettivo inizio della metafisica è a Firenze nel  1910.  Una “mostra selezionatissima” per una “città metafisica”, così ha chiamato Campobasso, definizione cui i rappresentanti  della Fondazione Molise Cultura  hanno fornito precisi riferimenti. 

Al riguardo il direttore di tale Fondazione, Sandro Arco,  ha citato “il paesaggio e il contesto storico molisano, tra antichità e modernità, dall’archeologia, ad esempio, dei siti molisani che dialogano con gli archeologi, i gladiatori e le rovine dipinte dal maestro, fino alle volute che compaiono spesso nelle opere della Neometafisica, simili a quelli delle chiese della regione . I legami giungono poi alla modernità della ex Gil, capolavoro di quel razionalismo architettonico italiano che trovò una fondamentale fonte di ispirazione nella pittura metafisica, divenendo in parte quella ‘metafisica costruita’ che si diffuse nell’architettura dell’epoca”. La ex Gil è proprio la sede dell’esposizione.

La mostra della Fondazione de Chirico segue, in effetti, quella del 2013  su “Il Ritratto, figura e forma”, confermando la meritoria scelta di ricercare per le proprie mostre tematiche luoghi raccolti e particolarmente suggestivi della provincia italiana, per il paesaggio e il contesto storico-culturale, come fu Montepulciano per il “Ritratto” ed ora Campobasso per la “Neometafisica”.

L’affermazione della Neometafisica

Una prima notazione viene spontanea nell’introdurre la mostra, il “felix error” della critica  che, come  non comprese tempestivamente la Metafisica alla fine della prima Guerra mondiale,  così non ha capito la Neometafisica degli anni ’70, confondendola con le repliche  della prima Metafisica che suscitarono, per di più, polemiche per le retrodatazioni:  in tal modo  le opere della Neometafisica,  non  richieste dal mercato,  sono rimaste nella sua collezione privata costituendo un importante e cospicuo nucleo  nella raccolta della Fondazione. 

Il resto è venuto da scelte appropriate  che il presidente Picozza ha  riconosciuto alla moglie-musa del Maestro, Isabella Pakswer Far: svincolarlo a fine anni ’60 da committenze  ripetitive dei soggetti classici della sua pittura dalle  Piazze ai Trovatori ai Cavalli, in modo da liberare la sua ricerca approdata nella Neometafisica;  costituire la Fondazione; diffondere tali opere anche con donazioni mirate.

Come per la Metafisica, che ebbe la prima forte affermazione a Parigi, anche per la Neometafisica – rilanciata nella mostra di San Marino del 1995 – il riconoscimento internazionale è venuto dalla mostra del 2009 “La fabbrica dei sogni” nella capitale francese,  in cui furono esposte 168 opere dal 1909 al 1975, un’antologica della totalità della sua produzione con uno spazio importante riservato all’ultimo periodo.

La ricorda così Picozza: “La nutrita sezione di quadri Neometafisici esposti nelle ultime due grandi sale del percorso museale ha avuto un effetto simile ai fuochi d’artificio alla fine di una straordinaria passeggiata tra i mondi visionari dell’artista”.   Perché ha confermato “come, anche in tarda età, un  artista che già aveva contribuito a formare diverse generazioni, si posiziona come contemporaneo agli occhi di una giovane generazione di arte straniera  e italiana”. Dopo Parigi si sono svolte con successo mostre sulla Neometafisica di De Chirico ad Atene e  Francoforte, Tokio  e New York, fino a San Paolo del Brasile

Tutto questo accresce la curiosità, che diviene vivo interesse, per la Neometafisica prodotta dal grande artista ottantenne che riesce  così ad entrare in sintonia con la giovane generazione, in un autentico miracolo  di vitalità e di energia.

Cos’è, dunque, la Neometafisica e come si colloca nell’universo artistico del Maestro?

Cos’è la Neometafisica

Una prima risposta viene da Maurizio Calvesi, il ben noto critico che ha studiato più a fondo l’artista: nella Neometafisica “i suoi personaggi, i suoi manichini, i suoi oggetti, le sue architetture sono in realtà divenuti giocattoli e il senso del gioco – che pure era già segretamente latente in qualche angolo della prima Metafisica – trionfa ora come una chiave creativa del tutto nuova, vitalizzata da un’assoluta coscienza di libertà e di dominio sul proprio mondo poetico, e persino psichico; da cui non è più sopraffatto, ma di cui diviene il disincantato regista; o se si vuole il burattinaio di una recita di sorprese; il prestidigitatore di segreti ben conosciuti”. E, precisa, “nel gioco di prestigio, il mistero è soltanto simulato, né la sua ipotesi inquieta lo spettatore, che anzi è indotto, dalla sorpresa, a una reazione di vitale e gioiosa energia. L’autenticità, prima negata, della vita, nella ‘nuova’ Metafisica si riafferma”.

Ed ora la parola al curatore della mostra, Lorenzo Canova, che con il libro “Nelle ombre lucenti di de Chirico” ha compiuto un viaggio avventuroso quanto appassionato nei percorsi pittorici del Maestro rivivendo nella realtà le emozioni trasmesse dai suoi dipinti: “La Neometafisica di Giorgio de Chirico è segnata da un viaggio a ritroso che vede l’artista ricomporre la sua storia assemblandola in modo nuovo, liberandolo dalle ombre nere della melanconia e dalla premonizione di un futuro angosciante della prima Metafisica”; futuro  realizzato tragicamente con due guerre “in uno stravolgimento che lo stesso assetto inquietante dei suoi capolavori aveva intuito e profetizzato”. Negli ultimi anni “confortato dalla sicurezza e dall’immortalità della propria opera e dell’eternità, Giorgio de Chirico riapre invece le sue prospettive, ribaltandole”, cosicché i soggetti tradizionali dei suoi quadri “si aprono in un gioco infinito che ripercorre tutto il tempo esistenziale di de Chirico, illuminando alcuni misteri e ricomponendone alltri”.

Katherine Robinson, che cura il coordinamento scientifico di “Metafisica”, Quaderni della Fondazione de Chirico, precisa: “Rispetto al clima severo ed inquietante dei quadri della prima Metafisica, la pittura Neometafisica è caratterizzata da colori accesi e atmosfere serene. La prima è enigmatica, profonda, potente e buia; la tarda è invece leggera, giocosa e luminosa. Entrambe arrivano in modo inaspettato sull’orizzonte della tela cariche  di significati inediti. La Metafisica degli anni Dieci (1910-1918) e la Neometafisica dell’ultimo periodo (1968-1976)  risultano avere  curiosamente  la stessa durata temporale di otto anni. Disegno armonico del destino? Ritornello della circolarità del tempo? Oppure congegno straordinariamente enigmatico, la cui lettura potrebbe essere quella di rilevare una strana sincronicità nell’opera dell’artista con la teoria dell’armonia degli opposti di Eraclito?”.

Sono ai limiti opposti della vita i 22 anni di età allorché creò l’“Enigma di un pomeriggio d’autunno” nell’ispirazione avuta nel 1910 da Piazza Santa Croce a Firenze e gli 87 anni di “Visione metafisica a New York”, dipinto nel 1975.  Ma la Robinson non si ferma a questa constatazione, mette a confronto le due fasi, “un’alba imponente piena di promessa e un tramonto ridente dalle mille pienezze colorate”. Dove, aggiungiamo noi, il paradosso è nell’alba  offuscata da  malinconia e inquietudine, mentre il tramonto brilla di gioia e di giocosità, l’opposto di quanto è dato attendersi.

Prima Metafisica e Neometafisica, l’armonia degli opposti

Il  confronto viene operato dalla Robinson raffrontando gli scritti del Maestro sulla prima Metafisica, precisamente i “Testi teorici e lirici” del 1911-15,  con la versione finale del suo romanzo “Il Signor Dudron”, sulla cui identità è rivelatore il documentario  del 1974 “Il mistero dell’infinito”  in cui a Franco Simongini che gli chiedeva “Il signor Dudron è lo stesso Giorgio de Chirico?” rispose sorridendo “E’ probabile”. Si tratta di una sorta di “testamento scritto della sua arte”  basato su racconti precedenti ma aggiornati tra gli anni ‘60 e ’70 alla sua visione del momento con parole su cui si deve riflettere per interpretare  il nuovo corso artistico.

Ebbene, nel  1911-15 scrisse che la “rivelazione” da cui nacque la Metafisica gli permise “di vedere tutto per la prima volta”;  il signor Dudron , cioè de Chirico anni ’70,  parlando a se stesso, dice: “Bisognerebbe rievocare un passato che, secondo ogni apparenza, non avrebbe dovuto più riapparire sulla scena della sua memoria”.  A questo punto la Robinson si chiede: “Quale passato? E se fosse proprio il primo periodo Metafisico suscettibile di essere  ‘rievocato’?”.

Il passato, quindi la Metafisica, non  avrebbe dovuto ripresentarsi, forse perché considerata “come un cerchio vitale integro e compiuto”, anche se repliche e varianti non sono mancate nell’intero percorso artistico;  il passato che riappare deve essere dunque “qualcos’altro, di meno immediato e prevedibile, qualcosa che ha a che fare con il suo personale rapporto con il periodo giovanile”.  Cioè  con l’età del gioco e della gioia che è stata invece nella pittura Metafisica  quella della malinconia e dell’angoscia,  dell’inquietudine e del mistero.

La polemica con il Surrealismo lo porta alla nuova immersione  nella Metafisica “entrandoci questa volta proprio dalla porta oscura lasciata aperta dai Surrealisti per recuperare il lato solare e consolatore di quella visione”. Comunque,  per la Robinson, “le ombre inquietanti della prima Metafisica non oltrepassano il solco degli anni venti, quando una nuova luce  si disegna sulla tavolozza, una nuova profondità ottica e materiale si riverbera sulla tela”; inoltre  “il lirismo della consolazione è parte integrante della prima Metafisica che si esprime in tutta la sua pienezza nelle prime poesie di de Chirico, dove questo motivo di gioia e di conforto viene ‘cantato’ più che spiegato. Nella pittura Neometafisica si esprime direttamente sulla tela”.

La rivoluzione della Neometafisica

A questo approfondimento dei motivi reconditi del suo apparente “ritorno al passato”, aggiungiamo qualcosa di più  sui contenuti.  Elena Pontiggia sottolinea che anche con la prima Metafisica “quando de Chirico, nell’età delle avanguardie, dà vita alle Piazze d’Italia non crea un nuovo stile, ma un nuovo modo di vedere”. Le architetture, le statue e le rare figure sono neoquattrocentesche, dall’evidenza immediata: “Tutto è chiaro, ma incomprensibile. Anche un bambino può descrivere un quadro metafisico, ma nemmeno il più grande filosofo sa spiegare cosa vuol dire”. E’ il mistero, l’enigma che suscita un’indicibile emozione.

“La rivoluzione della Neometafisica è analoga: anche questa volta de Chirico non muta le forme delle sue Piazze d’Italia (e dei manichini, dei monumenti, del sole sul cavalletto, delle torri, dei templi, dei biscotti, delle squadre, dei triangoli, degli archi), ma ne capovolge il significato”. Ed ecco come: “Se la Metafisica degli anni Dieci era drammatica, allarmante, ispirata alla profondità di Nietzsche, la Neometafisica degli anni Settanta – o, per essere più precisi, del decennio che va dal 1968 al 1978, quando l’artista scompare – è giocosa, sorniona, ispirata alla leggerezza che il pictor-philosophus ha ormai raggiunto”. Per concludere: “E se la prima Metafisica, come scriveva de Chirico stesso, è ‘quanto all’aspetto  serena, ma dà l’impressione che qualcosa di nuovo debba accadere’, la Neometafisica è serena e basta”. Ciò vuol dire che “sentimenti di attesa, trasalimenti, presentimenti le sono estranei. Nulla accade nel teatro luminoso e ironico dell’artista”.

La mostra è appunto un teatro, con il ritorno di tutti i protagonisti evocati dalla Pontiggia, in un’atmosfera molto diversa, dove le luci si sostituiscono alle ombre, il gioco e la gioia all’inquietudine. Non resta che  descrivere il grande spettacolo messo in scena,  in tale teatro, dalla Neometafisica  di  de Chirico a Campobasso.

Temi e soggetti metafisici in una diversa luce

Cominciamo dall’opera anticipatrice del nuovo corso anche nel titolo, “Il ritorno di Ulisse”, 1968, seguita da un’altra con lo stesso titolo del 1973: sembra di riconoscere  Ebdòmero in barca nella camera in veste umana e come statua, con aperture all’esterno  su ampi panorami marini e collinari, e la volontà di  riunire  diversi temi, dai mobili ai templi,  in un’atmosfera serena  senza ansie né costrizioni, anche se sono presenti richiami al mistero. 

“La Torre” , dello stesso  1968,  non ha l’imponenza oppressiva  sulle figure minuscole della “Grande Tour”, né dà un senso di soffocamento come “La Torre”, entrambe del 1913;  il dipinto neometafisico  invece ha clori squillanti e, scrive la Pontiggia, “con la sua forma che sembra una gabbia di grilli, fa pensare a un’installazione decorativa, se non a un’attrazione di un Luna Park. Ha tonalità troppo allegre e affabili per suscitare angoscia”. E il celebre tema di “Ettore ed Andromaca”,  reso nel 1917 con manichini angolosi e stretti tra quinte rigide, e ammorbidito nel 1923 con un tendaggio e uno sfondo mentre Andromeda diventa una statua, nel 1974 si apre ad una piazza assolata con la figura femminile nella sua carne rosa e un mantello che le avvolge le forme umane.  Non sono presenti in mostra, ma sono troppo significativi per non citarli.

Vediamo invece altri noti soggetti: “Il figliol prodigo” nel 1975 mostra l’abbraccio solitario con il padre in una piazza metafisica assolata e luminosa mentre nel 1919  l’incontro avveniva in un ambiente cupo con molte figure misteriose;  nel 1973 il  giovane ritornato è ritratto nudo in piedi, come un efebo, con il padre seduto sotto il peso dell’accumulo di templi e colonne, in un interno che ha un’apertura sul mare.  Il confronto tra le interpretazioni del 1973 e de 1975, oltre che con quella del 1919, è molto significativo.

“Il Pittore”, 1958,  ricorda “Il Vaticinatore”, 1914-15, ma anche qui c’è una finestra aperta su un esterno luminoso prima inesistente, e  sulla lavagna dinanzi al manichino al posto dei segni inquietanti delle profezie ci sono due assi cartesiani, forse ad indicare l’incrocio tra passato e futuro in un prospettiva rassicurante di eternità.

Ben più luminoso in un interno con finestra, Il pittore di cavalli”, 1974, dove  il manichino, prendendo a modello  una scultura,  ritrae  la testa dell’animale al centro del dipinto “Interno metafisico con testa di cavallo”, 1968,  in entrambi “il quadro nel quadro”. 

Vediamo anche “Il Meditatore”, 1971, cui le gambe corte e le braccia lunghe, con la straripante  barba polimaterica, danno un aspetto che suscita il sorriso piuttosto che la meditazione;  l’artista lo ritrae con affettuosa ironia in un interno ristretto ma nel qaule da una finestra entra il cielo azzurro, nulla da invidiare al Dadaismo e alla Pop art.

Scrive Canova: “Le figure solitarie dei meditatori, dei poeti, dei vaticinatori si concentrano ancora nella loro riflessiva malinconia, che, tuttavia, non è più la malinconia angosciante e nera della giovinezza di de Chirico, ma quello stato di dolce consolazione che diviene uno dei motivi principali della Neometafisica”. 

Nello stesso modo, sempre per il curatore, “le Muse non inquietano più nello smarrimento della profezia, ma si addolciscono nel canto d’amore di Apollo, nume non più solo della profezia ma di nuovo della musica”: dalle “Muse inquietanti”, 1918, si passa così a “Il segreto delle Muse”, 1972, e alle “Muse della lirica”, 1973, con i manichini e la piazza che non danno soggezione, e i  simboli affastellati, dalla lira alla testa di Apollo, con le teste così schiacciate da venire paragonate a delle spalliere, a noi ricordano le racchette lignee da spiaggia.

L’umanizzazione dei manichini, compare la carne rosa

E siamo alla trasmutazione dalle sagome  inanimate con le teste ad uovo e i corpi come burattini meccanici a figure  umanizzate in cui solo la testa resta del manichino, le braccia e il corpo sono in carne rosa. Calvesi scrive: “Nella seconda metafisica anche i manichini perdono il loro aspetto  totalmente artificiale, tendendo a trasformarsi in figure più umanamente atteggiate e quasi dotate di una  loro vita naturale, di una loro psicologia”.

Lo vediamo negli “Archeologi”, 1968, che ritroviamo nel 1975 in tono chiaroscurale;  nei due dipinti su Oreste, “Pilade trattiene Oreste”, 1973, su  uno sfondo con una tenda e la falce di luna, e  “Oreste ed Elettra”, 1975, dove solo il primo  è “in carne”, lei è ritratta con il corpo a colonna di marmo; fino a “La  musa del silenzio”, 1973, il corpo muscoloso senza testa seduto,  con un vaso, una testa  di statua e delle squadre.

“I gladiatori sono persone in carne ed ossa – è sempre Calvesi –  come lo sono i frequentatori dei ‘bagni misteriosi’, e così sono vive  creature i cavalli in riva al mare, a metà strada tra Metafisica, natura e richiamo all’Ellade”.  

In questo modo  il critico, profondo studioso di de Chirico, ha descritto una serie di opere presenti nell’esposizione: prima tra tutte il “Gladiatore nell’arena”, 1975,  testimonial della mostra, con il manichino dalla testa ad uovo “umanizzato” nella sua carne con le gambe muscolose, avente come sfondo una prospettiva curvilinea di arcate che richiama il palazzo della Civiltà e del Lavoro all’Eur, esemplare dell’architettura razionalista ispirata alla prima Metafisica.

Ancora  più umanizzate le figure di Combattimento di gladiatori”, 1969,  che duellano come in un bassorilievo classico ma sono in carne ed ossa; come lo sono  “I gladiatori dopo il combattimento”, 1968, con le teste ricciolute e gli occhi languidi, e “Il nuotatore nel bagno misterioso”; mentre in “Figure sulla città”, 1970, si stagliano giganteschi due ragazzi riccioluti  su un agglomerato di case in una piazza metafisica con la statua al centro, e le piccole figure dalle lunghe ombre.

Dai cavalli agli interni metafisici  solari e luminosi

Sono esposti anche i cavalli in riva al mare, in due dipinti intitolati “Cavalli con aigrettes e mercurio”, 1965, e “La spiaggia rosa”, 1973, elemento comune oltre al mare i ruderi di colonne e il tempietto classico su un monte. 

“Animale misterioso”, 1970, a differenza di quelli ora citati rappresentati nella loro vitalità, è invece una testa di cavallo  costituita da un assemblaggio polimaterico di templi affastellati,  un “profilo visionario e quasi ‘fantasy'” secondo Canova, che si ritrova simile  nel “Cavallo di Bellerofonte, 1977.  Mentre in “Ritorno al castello”, 1969, cavallo e cavaliere sono tratteggiati in nero in primo piano, con la falce di luna in cielo, in una composizione che ricorda il profilo del celebre “Guidoriccio da Fogliano” di Simone Martini. 

Sono sfrangiature in nero intenso che troviamo anche in “Il rimorso di Oreste”, 1969, e nel “Sole sul cavalletto”, 1972, con l’astro luminoso in primo piano  i cui raggi diventano neri sullo sfondo,  mentre in due dipinti del 1971, “Tempio del sole”, e “Interno metafisico con sole spento”  c’è  il sole nero in primo piano ma l’ambiente resta  luminoso.

Gli interni metafisici sono ampiamente rappresentati nella mostra, vi  sono esposti  “Interno metafisico con nudo anatomico”, 1968, e “Mobili  e rocce in una stanza”, 1973, entrambi con aperture luminose sull’esterno, con un nudo muscoloso ciascuno: nel primo,  Canova  vede  il “cosiddetto ‘spellato’ sulla riva del mare  con un telo rosso, come se la ‘spellatura’ fosse dovuta al troppo sole, magari della spiaggia di Ostia dove amava spesso recarsi”; più umano  di così…  Inoltre abbiamo “Interno metafisico con officina”, 1969,  e  “Interno metafisico con palla e biscotti”, 1971.

Le nuove visioni metafisiche, dai triangoli e ovali a New York; le incisioni

In queste composizioni – è sempre Canova – “le statue anatomiche  e i mobili negli interni creano poi ‘un’emozione nuova’, nel gioco di spostamenti e delocazioni degli oggetti, mescolandosi montagne e a templi nelle stanze, riprendendo iconografie precedenti”: vi ritroviamo le squadre assemblate in gran numero e i biscotti, come i “quadri nel quadro”. 

Altri due dipinti,  del 1968, “Triangolo metafisico (guanto)”, e “Interno con ovale nero”,  richiamano i motivi e le composizioni di “L’enigma della fatalità”, 1914, e “Il saluto all’amico lontano”, 1916;  però nel “triangolo”  la ciminiera si assottiglia  e non è più oppressiva mentre la parte superiore si apre di più al cielo, e nell’ “interno con ovale” la losanga nera non è più dominante, i biscotti, le squadre e la superficie bianca la sovrastano.

Per ultimi abbiamo lasciato Il mistero di Manhattan”, 1973, e “Visione metafisica di New York”, 1975, due interni nei quali  la testa di Mercurio in un tendaggio tra la pioggia d’oro del primo, l’accumulo acrobatico  di righe e squadre del secondo hanno uno sfondo favoloso: la finestra aperta sulla fungaia di grattacieli.

Terminano qui i dipinti, ma non la mostra. C’è una sezione grafica con 10 litografie che realizzò per illustrare “Mythologie” di Jean Cocteau, un sequenza di “bagni misteriosi” in chiave mitologica;  e 24 disegni per le litografie  dell’edizione del suo “Hebdòmeros”,   con molti motivi, dalla barca nella stanza ai gladiatori, dai cavalli a figure mitiche ed allegoriche, tra cui Ebdòmero, in matita e carboncino dai chiaroscuri delicati.

Nella Neometafisica il fascino dell’eterno ritorno

Vogliamo concludere “buttandola in filosofia”, per così dire, e ci sembra di doverlo al “pictor-philosophus”. Per questo ci riferiamo all’ “eterno ritorno” di Nietzsche, da non considerare, però, come  “eterno ritorno dell’identico”.

Lo spiega Flavia Mongeri: “Con la Nuova Metafisica, de Chirico sembra imboccare la strada giusta, quella di un’accettazione gioconda, se non gioiosa, del fatto  dell’eterno ritorno, come il ritorno di qualcosa che si diverte ad andare avanti e indietro nel tempo, ma che proprio perciò  –  perché ha viaggiato, viaggia  e viaggerà – non è mai qualcosa di identico”.

In fondo, nel “gioco e gioia della Neometafisica” c’è tutto  il fascino  dell'”eterno ritorno” espresso in termini pittorici da uno straordinario artista come  de Chirico che  la mostra di Campobasso ha il grande merito di riproporre sotto una  luce  particolarmente intrigante. Anche queste sono “le ombre lucenti di de Chirico” che Lorenzo Canova ha  proiettato con il suo libro e con  il curare magistralmente l’esposizione.

Info

Palazzo Ex Gil, via Gorizia, Campobasso. Da martedì a domenica, ore 10,00-13,00, 17,00-20,00, lunedì chiuso. Ingresso euro 10, ridotto euro 5. dechiricocampobasso@gmail.com. Tel.  0874.314807. www.fondazionedechirico.org. tel. 335.8096558 Catalogo  “Giorgio de Chirico. Gioco e gioia della Neometafisica”, a cura di Lorenzo Canova, Regia Edizioni, Campobasso, dicembre 2014, pp. 202, formato  23 x 28, euro 30. Dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo, meno quelle relative alla presentazione a Roma. Per le mostre precedenti di de Chirico cfr. i nostri articoli: in questo sito, sulla mostra di Montepulciano nel 2013 “L’enigma del ritratto” il 20 giugno, “I Ritratti classici” il 26 giugno, i “Ritratti fantastici” il 1° luglio; in “cultura.inabruzzo.it: nel 2009 sulla mostra “I disegni di de Chirico e la magia della linea” il 27 agosto, sulla mostra a Teramo “De Chirico e altri grandi artisti del ‘900 italiano” il 23 settembre, sulla mostra “De Chirico e il Museo” il 22 dicembre; nel 2010 sulla mostra “De Chirico e la natura”, tre articoli l’8, il 10 e l’11 luglio; infine, in “Metafisica”, “Quaderni della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico”, n. 11/13 del 2013, cfr. il nostro articolo a stampa “De Chirico e la natura. O l’esistenza? Palazzo Esposizioni di Roma 2010”, pp. 403-418,  riprodotto anche nell’edizione inglese dei “Quaderni”, “Metaphysical Art”.

Foto

Le immagini sono state fornite dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico che si ringrazia, con l’organizzazione della mostra e i titolari dei diritti, tranne la foto di chiusura ripresa da Romano Maria Levante alla presentazione del 18 dicembre 2014 nella Casa-Museo; sono riportate non in ordine cronologico ma nell’ordine con cui vengono citate nel testo. In apertura, “Gladiatore nell’arena”, 1975; seguono “Ritorno di Ulisse”, 1968, e “Il figliuol prodigo”, 1975, poi “Il Pittore”, 1958, e “Muse della lirica”, 1973,; quindi “Archeologi”, 1968, e “Oreste e Elettra”, 1975; inoltre “La musa del silenzio “, 1973, e “Il nuotatore nel bagno misterioso”, 1974; ancora, “Interno metafisico con nudo anatomico”, 1968, e ” Mobili e rocce in una stanza”, 1973; infine Giorgio de Chirico nel suo studio,e un primo piano del Maestro; in chiusura, un momento della presentazione della mostra nella Casa Museo, a destra  il curatore Lorenzo Canova durante il suo interventoa sinistra il presidente della Fondazione de Chirico Paolo Picozza, al centroseduti la coordinatrice scientifica  di “Metafisica”, Quaderni della Fondazione,  Katherine Robinson, e il direttore di Molise Cultura Sandro Arco.