Radio Radicale, servizio pubblico per la completezza dell’informazione e la cultura

di Romano Maria Levante

Di fronte agli ultimi eventi – la scomparsa di Massimo Bordin e il rischio della chiusura di Radio Radicale – il nostro primo impulso è stato di  partecipare alle  due manifestazioni: il funerale laico la mattina del venerdì santo alla Facoltà Valdese Teologica e il raduno di solidarietà per la radio la mattina di Pasqua. E’ stato un impulso spontaneo, poi abbiamo scritto anche l’articolo pubblicato il 24 aprile su www.arteculturaoggi.com per debito di riconoscenza di quanto Bordin e la radio ci hanno dato in tanti anni di ascolto delle rassegne stampa  e delle altre trasmissioni.  Un legame divenuto affettivo, come per molti intervenuti con il loro sostegno alla radio.

La folla all’esterno della Facoltà Valdese Teologica per il funerale laico di Bordin

Ma alla riconoscenza  personale nello scrivere l’articolo  è subentrata la valutazione giornalistica, ed è questa che conta, una valutazione asettica, obiettiva. L’articolo era doveroso per il sito dove è stato pubblicato, che come questo sito ha la cultura nel titolo,  a prescindere dal moto dell’animo. Perché Radio Radicale è una fonte continua, persistente, inesauribile di cultura politica interna e cultura  internazionale, cultura economica e cultura sociale, cultura giudiziaria e cultura istituzionale,  cultura civile, in definitiva di cultura senza aggettivi e senza confini.   

Basta ricordare soltanto alcune delle principali trasmissioni in cui  ciò si sostanzia:  i congressi di tutti i partiti e lo “speciale giustizia” con i principali processi, i convegni economici e letterari,   le interviste a personaggi e quelle per strada alla gente comune senza selezioni interessate, le corrispondenze e rassegne stampa dalle varie aree del mondo,  e le tante altre rubriche, non solo le dirette dal Parlamento oggetto della Convenzione che non si vorrebbe rinnovare.

La folla alla manifestazione di Pasqua per Radio Radicale

Il servizio pubblico

Questo servizio pubblico nessuno lo ha negato, lo ha ammesso esplicitamente anche il presidente del Consiglio Conte,  anche se poi si è contraddetto dicendo che deve trovare le risorse sul mercato, cosa improponibile perché il servizio pubblico copre proprio quello che non viene dato dal mercato.

Dopo Conte ha parlato di mercato anche Marco Travaglio che se ne differenzia perché non  considera che Radio Radicale svolge da  sempre un vero servizio pubblico: lo ignora volutamente, dato che non può negarlo, sarebbe come non ammettere l’evidenza. Quindi le sue proposte provocatorie sono palesemente  illogiche basandosi su una sorta di sillogismo con la premessa sbagliata, tanto che paragona la Radio al “Fatto Quotidiano”. Se avesse parlato di servizio pubblico non sarebbe potuto arrivare a quelle conclusioni, dal momento che tiene tanto al rigore delle proprie argomentazioni.

Un servizio pubblico articolato e completo, svolto in gran parte senza corrispettivo  essendo remunerate solo le dirette parlamentari attraverso la Convenzione. Ricordiamo in termini molto sommari le argomentazioni esposte diffusamente nel precedente articolo – dopo il ricordo di Massimo Bordin – sulla necessità di rinnovare la Convenzione per la vita di Radio Radicale.

Il punto chiave è che da qui dobbiamo partire, da questo elemento di verità acquisito, Radio Radicale svolge il servizio pubblico della completezza dell’informazione e della cultura.

Ma allora non si deve restare sulle generali e parlare in astratto, ci si deve riferire a questo  servizio pubblico come definito dalla  Corte Costituzionale con la sentenza n. 155 del 2002 quale unica ragione del finanziamento alla Rai con il canone. Tralasciando le basi normative dalle legge del 1938 alle successive, ricordiamo che la sentenza del 2002 modificò la precedente pronuncia in cui veniva giustificata la devoluzione della tassa per il servizio radiotelevisivo alla Rai perchè lo forniva in esclusiva, di qui il “canone”. Poi, essendosi moltiplicati i soggetti con la fine del monopolio sancita dalla stessa Corte Costituzionale,  cadeva tale motivazione. Divenne imposta di possesso degli apparecchi riceventi e la devoluzione fu motivata dalla fornitura di un servizio pubblico “per il miglior soddisfacimento del diritto dei cittadini all’informazione e per la diffusione della cultura, al fine  di ampliare la partecipazione dei cittadini a concorrere alla crescita civile e culturale del  paese”.  Viene richiesta esplicitamente una “informazione completa”.


L’intervento di Emma Bonino alla manifestazione al Vittoriano

Le risorse per tale servizio pubblico

“Diritto dei  cittadini all’informazione”, così simile al “diritto alla conoscenza” propugnato dai radicali che vi hanno dedicato l’intera programmazione della loro radio; a soddisfare tale diritto, che richiede sia garantita un’ “informazione completa” è destinato il gettito dell’imposta citata, per l’80% devoluto alla Rai per fornire tale servizio pubblico, sono oltre 1,6 miliardi di euro l’anno sui 2 miliardi di gettito. Non potrebbero trovarsi in tale gettito anche le modeste risorse per il servizio pubblico fornito compitamente da Radio Radicale, che riceve solo 10 milioni di euro l’anno per la Convenzione e 4 per l’editoria, mentre la Rai ben 1,6 miliardi di euro l’anno? Se non si vuole attingere sulla parte destinata alla Rai c’è la parte restante, oltre 400 milioni di euro destinati alla “riduzione del debito”, cosa singolare per un’imposta di scopo, anche se non tassa, ma comunque prelevando i 10 milioni di euro sarebbe come togliere solo una goccia.

Sia detto per inciso, sempre alla Rai “Che tempo che fa” costa oltre 18 milioni di euro l’anno, è la trasmissione di Fabio Fazio preso di mira dal ministro Salvini che vorrebbe fossero ridotti compensi come il suo invece di chiudere le voci che fanno informazione; si riferisce ai 2 milioni 240 mila euro l’anno per 4 anni, in più Fazio partecipa al 50% con “Magnolia” alla proprietà della società ‘”Officina S.r.l.” che produce il programma, cui vanno 10.644.400 euro a copertura dei costi, compresi 704 mila euro per diritti del “format”, i restanti 5,4 milioni, sempre annui, sono i costi sostenuti dalla Rai per diritti e filmati, costumi e quant’altro. Stupisce che “Il Fatto Quotidiano”, dopo aver reso noto un anno fa i termini di questo contratto del luglio 2017 – i 10.644.400 euro di costi di produzione esterni si riferiscono al primo anno – sottolineandone gli aspetti sorprendenti, ora si accanisca su Radio Radicale, che costa poco più della metà di questa trasmissione Rai bisettimanale, pur con tutte le sue trasmissioni quotidiane di servizio pubblico.  

Perché proprio al  tipo di servizio pubblico svolto da Radio Radicale per un DNA insopprimibile la Corte ha destinato con la sentenza del 2002 il gettito dell’imposta sul possesso degli  apparecchi riceventi – non ci stanchiamo di ricordarlo – non più tassa per il servizio televisivo, chiamato “canone Rai” dato che alla Rai viene devoluta la parte preponderante a fronte dell’impegno per un servizio che non ha fornito neppure per le sedute parlamentari ignorate contro l’obbligo di legge, lo ha fatto tardivamente, in parte e con insufficienti frequenze.

Quanti congressi dei partiti ha trasmesso la Rai, quanti convegni,  quante visioni delle aree del mondo,  quanti processi importanti in modo integrale? Solo scampoli per lo più filtrati che non rispettano il diritto all’ “informazione completa”, si potrebbe provare ciò confrontando il suo archivio con quello di Radio Radicale relativamente alle trasmissioni riconducibili al servizio pubblico: per quest’ultima oltre 430.000 registrazioni, 200.000 oratori, 19.000 sedute parlamentari e 21.000 udienze giudiziarie, 3.000 convegni e 85.000 interviste,  26.000 dibattiti e 19.000 conferenze stampa, tutto perfettamente schedato, classificato con precisione e quindi  immediatamente raggiungibile. Una miniera preziosa e unica, storica, informativa e culturale!

E allora è a quel  gettito fiscale, e non canone Rai, che si può  attingere per fornire le  risorse necessarie a chi assicura questo servizio completo, magari con apposite gare; ma solo Radio Radicale ne ha la memoria storica nello sterminato archivio ora citato che costituisce l’indispensabile fondamento di una conoscenza radicata nel tempo e non estemporanea.

Venga pure l’analisi costi-benefici tanto evocata in altri casi, sia applicata a questo servizio, si confrontino i  risultati tra il servizio della Rai e quello di Radio Radicale, con il suo archivio storico di oltre 430 mila documenti sonori di servizio pubblico – va sottolineato con forza – perfettamente schedati e reperibili. E se ne traggano le conclusioni su dove reperire le  risorse.

La “segnalazione urgente” dell’Agcom e l’ “ircocervo” della radio di partito

Per questo motivo la “segnalazione urgente” al governo dell’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sull’obbligo di attuare la legge del 1998 riformando il  sistema e intanto prorogare la Convenzione a Radio Radicale, diventa ineludibile anche per il sottosegretario all’informazione Crimi che ha annunciato l’intenzione di non rinnovarla. Ma senza rinnovo né proroga rischia di incorrere in una indebita interruzione i pubblico servizio, avendolo definito così anche l’Agcom, perchè gli utenti se ne vedrebbero privati dopo tanti anni: non è un rischio teorico, si è visto dagli appelli lanciati da ogni comunità politica e sociale, culturale e professionale, dal mondo della scuola fino a quello della giustizia, come tale servizio pubblico sia sentito da tutti, pronti all’occorrenza a difenderlo.

C’è chi obietta che è una radio di partito, in contrasto con la neutralità del servizio pubblico. Ma va considerato che ha avuto, da sempre, lo status di “soggetto autonomo” – come ha ricordato l’intervento di Massimo Bordin riproposto al raduno pasquale davanti al Vittoriano – anche perché il “diritto alla conoscenza”, e senza filtri, è l’istanza suprema dei radicali, di qui deriva il diritto all’ “informazione completa” sancito dalla Corte Costituzionale.  E poi il partito di cui figura “organo ufficiale”,  cioè la “lista Marco Pannella”  non opera più da decenni, né i radicali presentano loro liste alle elezioni, tra l’altro fu la battaglia contro il  finanziamento pubblico ai partiti a richiedere tale riferimento per devolverlo al servizio pubblico, non potendo rifiutarlo né distribuirlo ai cittadini quale “restituzione” come fu tentato all’inizio.  

Inoltre l’apparente “ircocervo” – servizio pubblico a una radio organo ufficiale di un partito – potrebbe essere normalizzato anche formalmente, e in tal caso la convenzione  andrebbe aggiornata per coprire anche ciò che finora è stato coperto dal finanziamento della legge per l’editoria, cioè 4 milioni di euro che si aggiungono ai 10 milioni della Convenzione per le sedute parlamentari. Così  Radio Radicale sarebbe anche nella forma, che spesso è sostanza,  ciò che è nei fatti, ”La radio di tutti fondata da Marco Pannella”, e l’aggettivo “radicale” evocherebbe, più che la matrice ideologica originaria, l’intransigenza e il rigore informativo e culturale. Tra l’altro i radicali sono stati contro il finanziamento ai partiti ben prima dei “5 Stelle”, tanto da farlo abolire con un proprio referendum, poi  svuotato dalla  classe politica, anzi dalla “casta”, quindi….

Si potrebbe arrivare così a un “disarmo bilanciato”  da ambo le parti, e Bordin da lassù potrà ritirare  la definizione di “gerarca minore” se il sottosegretario, cui l’ha affibbiata, non farà valere il potere irragionevole da piccolo gerarca ma la forza della ragione da politico illuminato.

L’esortazione di Giordano Bruno Guerri

Vogliamo aggiungere una citazione di prima mano, inedita, e non crediamo di violare la  privacy condividendo un fatto di carattere personale. Abbiamo ricevuto la seguente e mail di risposta  di Giordano Bruno Guerri al quale avevamo  trasmesso  il nostro precedente articolo dopo aver ascoltato il suo intervento a Radio Radicale: “Caro Levante, sono lieto di dividere con lei, oltre alle letture e alla passione per il Comandante, l’amore per Radio Radicale. Un bene di libertà prezioso, e in quanto tale  non amato da chi del bene – e della libertà, ha visioni elementari. Brutti segni, brutti segni, sì, ma non si cede ai segni. Con molti grati saluti. Gbg”. 

Ci sembra il coronamento di quanto sostenuto, una esortazione per tutti: non cedere ai segni, quindi impegnarsi attivamente per difendere il “bene di libertà prezioso” che è Radio Radicale.

Aggiornamento dopo l’audizione del 15 maggio del sottosegretario Crimi

Il sottosegretario con delega all’editoria Vito Claudio Crimi è stato sentito in audizione la mattina del 15 maggio dalla Commissione parlamentare di vigilanza dei servizi radio-televisivi, e la pubblicazione “on line” ci consente di aggiungere un aggiornamento quanto mai necessario. Abbiamo ascoltato l’audizione in diretta alle 8 di mattina, ovviamente su Radio Radicale; gli interventi dei parlamentari lo hanno incalzato tutti sul rinnovo della Convenzione, criticandolo per non averne fatto parola nella sua relazione mentre è un atto necessario divenuto urgente.

Crimi ha replicato affermando che il tema della Convenzione era stato omesso nella relazione da lui svolta perchè non rientra nelle sue funzioni, bensì in quelle del Ministero per lo sviluppo economico. Ma ha aggiunto di voler esprimere il suo pensiero ribadendo la posizione assunta in precedenza, e ha rotto così il “silenzio assordante” rispetto alla miriade di appelli da ogni parte, politica e istituzionale, culturale e civile al rinnovo della Convenzione, vitale per la radio.

Ha detto, in sostanza, che la Convenzione riguarda soltanto le sedute parlamentari, quindi tutte le altre attività svolte da Radio Radicale, considerate di servizio pubblico, non c’entrano; anzi provano che le trasmissioni parlamentari sono state pagate in eccesso non rivedendo mai la Convenzione sebbene i costi fossero diminuiti. E ha aggiunto che la trasmissione di tali sedute ora viene svolta dalla Rai, quindi è una duplicazione di spesa ingiustificata. L’archivio, secondo Crimi, rientra in tutt’altro campo e se ne può discutere: è di proprietà di una società privata ed è stato costituito con i finanziamenti pubblici, quindi se ne dovrà tener conto nella eventuale valorizzazione; è un argomento, peraltro, che va trattato a parte senza particolare urgenza.

Mentre sul resto, oltre a lamentare che a dicembre 2018 Radio Radicale non ha accettato il rinnovo per un anno a 5 milioni di euro, ha parlato di presunte anomalie di una Convenzione datata venti anni con un decreto reiterato 17 volte e mai convertito in legge; ma sull’archivio doveva precisare che solo la registrazione delle sedute parlamentari va riferita al finanziamento della Convenzione. mentre la gran parte delle 430.000 registrazioni soddisfa il diritto all'””informazione completa” che non vi rientra, come lui stesso ha voluto sottolineare.

Ha fatto un’affermazione molto significativa dicendo che a seguito della riduzione dei costi per le innovazioni tecnologiche il finanziamento della Convenzione è stato utilizzato dalla radio per altri fini; ma poiché Radio Radicale non ha trasmissioni di intrattenimento né di evasione, bensì soltanto di informazione approfondita senza filtri e di cultura istituzionale e politica, interna ed estera, economica e sociale, giorno e notte, ed è priva di pubblicità, gli “altri fini” sono proprio il servizio pubblico nel senso più ampio definito dalla Corte Costituzionale, e non proseguendo il finanziamento verrebbe interrotto, a parte le sessioni parlamentari che possono essere trasmesse dalla Rai; perchè Radio Radicale è l’unica emittente che dedica l’intera programmazione al servizio pubblico per “il soddisfacimento dei cittadini all’informazione e alla diffusione della cultura”, informazione che si intende “informazione completa” e non scampoli parziali.

Quindi anche Crimi, come il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’Agcom e le tante voci del mondo istituzionale e civile, ha “certificato” il servizio pubblico svolto da Radio Radicale con parte dei finanziamenti pubblici, e quindi la sua interruzione sarebbe frutto di un atto consapevole.

Il vice presidente del Consiglio e ministro degli interni Matteo Salvini, ha dichiarato che “Radio Radicale ha accumulato un patrimonio culturale, di archivio e di esperienza che è un peccato cancellare con un tratto di penna”, indicando significativamente: “Ci sono spazi di recupero economico sulla TV pubblica, con cui si pagherebbero metà delle radio italiane”. Aggiungiamo che questo è doveroso essenzialmente per Radio Radicale che dedica l’intera programmazione, diurna e notturna – 24 ore quotidiane senza interruzione e senza trasmissioni di evasione – al servizio pubblico cui sono destinati quei fondi, senza avvalersi minimamente della pubblicità.

E qui torniamo al contenuto di questo nostro articolo e di quello precedente citato all’inizio, secondo cui il punto di attacco per sostenere validamente le ragioni di Radio Radicale è proprio il fatto che soddisfa il diritto dei cittadini all’informazione completa e alla diffusione della cultura, servizio pubblico cui sono destinati, in base alla sentenza della Corte Costituzionale del 2002,  gli oltre 2 miliardi di euro del gettito dell’imposta sul possesso di apparecchi riceventi. Ripetiamo fino alla nausea che è in gran parte versato alla Rai impropriamente, come se fosse la sola a svolgere tale servizio pubblico, invece lo fa molto parzialmente; mentre Radio Radicale lo fa in modo ben più compiuto, e questo riguarda non tanto le sedute del Parlamento, quanto tutte le altre trasmissioni dai congressi dei Partiti  all’intera gamma di rubriche e dirette integrali.

Quindi è al gettito di tale imposta che dovrebbe attingersi per finanziare il servizio svolto da Radio Radicale allargando così la Convenzione: non è “canone Rai” , pur se alla Rai viene devoluto in gran parte, 80%, in una impropria identificazione. E a questo, al di là delle sue intenzioni, portano le stesse affermazioni, pur di chiusura, del sottosegretario Crimi.

Perché nessuno apre il “fronte Rai”? Crimi ha snocciolato i dati per le trasmissioni all’estero e per le minoranze linguistiche, diecine di milioni di euro, ma non ha giustificato minimamente l’1,6 miliardi di euro alla Rai per un servizio pubblico svolto solo in parte, quasi fossero dovuti senza doverli documentare, come ha fatto per le entità minori delle trasmissioni ora citate. Ed è lì che va riferita una Convenzione non rinnovata ma diversa, prelevando su quei 1,6 miliardi di euro o sui restanti 400 milioni circa destinati in modo singolare alla “riduzione del debito pubblico”; mentre se quello da noi chiamato “ircocervo” – servizio pubblico svolto dall’organo ufficiale di un partito politico peraltro desueto come la “lista Marco Pannella” –  può essere di ostacolo,  crediamo si possa normalizzare.

Una proroga di 6 mesi consentirebbe un mutamento di ottica radicale – usiamo questo aggettivo senza riferimenti politici – dando il tempo di definire l’accesso al finanziamento prelevato dall’imposta sul possesso degli apparecchi riceventi, con eventuali gare tra coloro che possano aspirarvi, e non vediamo quali e quanti altri, considerando che il prezioso archivio di 430.000 registrazioni integrali e l’esperienza maturata sul campo sono elementi unici e decisivi.

Ha fatto ben sperare la presentazione da parte dei deputati della Lega, primo firmatario il capogruppo alla Commissione di vigilanza sul sistema radio-televisivo Massimiliano Capitanio, di un emendamento al decreto “Crescita” con cui si destinano 3,5 milioni di euro alla proroga della Convenzione per tutto il 2019. Finalmente un’azione concreta che merita di avere successo, naturalmente dovrà superare il vaglio dell’ammissibilità, ma non possiamo credere alla volontà di impedire al Parlamento di pronunciarsi con motivazioni magari di lana caprina che mai hanno impedito di inserire materie anche diverse nelle corsie preferenziali dei decreti.

Una prima pronuncia delle presidenze delle commissioni Bilancio e Finanze della Camera è stata però negativa, ma solo perchè occorreva l’unanimità dei gruppi, ed è mancata la disponibilità del gruppo del Movimento 5 Stelle, nonostante le sollecitazioni da ogni parte, a far discutere non solo l’emendamento della Lega, il partner di governo, ma quello di tutti gli altri gruppi in una convergenza trasversale che dà un’altra conferma dell’importanza e della caratura di questo servizio pubblico. Ma si potrà impedire al Parlamento di intervenire per il dissenso di un solo gruppo, quindi minoritario, su un problema per il quale c’è la mobilitazione della quasi totalità del mondo politico, economico, sociale, e anche istituzionale, a stare alle deliberazione di tanti consigli regionali e comunali e di molti altri organismi culturali e professionali? Sarebbe un “vulnus” democratico inammissibile, per questo la presidenza del Parlamento, che sarà chiamata sull’ammissibilità questa volta al voto in aula, dovrebbe doverosamente ammetterne la discussione superando ogni pretestuoso problema formale pena la sua irrimediabile squalifica venendo meno all’imparzialità. Fabrizio Cicchitto ha evocato, in caso estremo, l’intervento del Presidente della Repubblica. Subito dopo le elezioni europee e non ai posteri, l’ardua sentenza!

Giordano Bruno Guerri ha esortato a “non cedere ai segni”, esortazione che vale ancora di più quando i “segni” si sono tradotti in una chiara negazione nella sede più qualificata come la Commissione parlamentare competente.

Ma a questo punto non servono più i soli attestati delle benemerenze di Radio Radicale per l’insostituibile servizio pubblico che svolge; occorre esigere con la forza associativa e culturale che si è dispiegata finora, che il gettito dell’imposta destinata al servizio pubblico della completezza dell’informazione e diffusione della cultura” non sia pressoché monopolizzato dalla Rai che lo svolge soltanto molto parzialmente, ma vada anche a chi lo svolge compiutamente nell’intera programmazione, per di più senza pubblicità, e a costi infinitamente più ridotti.

Il tempo stringe, la mobilitazione non si dovrà fermare il 20 maggio, anche se sarà approvato l’emendamento che proroga per tutto il 2019 la Convenzione delle sedute parlamentari: il campo è ben più vasto e abbiamo cercato di dimostrarlo. E’ più vasto nei contenuti e nei soggetti interessati, impegnati a difendere, con Radio Radicale, il “diritto all’informazione e alla diffusione della cultura”, fondamentale per la vita democratica, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza sul finanziamento del servizio pubblico nel sistema radiotelevisivo.

Rita Bernardini chiude la manifestazione di Pasqua al lato del Vittoriano

Info

L’articolo citato è uscito su “www.arteculturaoggi.com” il 24 aprile 2019 con il titolo: “Radio Radicale dopo Bordin, una voce di civiltà da salvare per il bene di tutti”.

Foto

Le immagini sono state riprese a Roma da Romano Maria Levante, la prima davanti alla Facoltà Valdese Teologica il 19 aprile, le altre davanti al Vittoriano il 21 aprile 2019.

14 risposte su “Radio Radicale, servizio pubblico per la completezza dell’informazione e la cultura”

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