Mapplethorpe, l'”obiettivo sensibile” nella Quadreria del ‘700 di Palazzo Corsini

di Romano Maria Levante

Nelle Gallerie Nazionali di Arte Antica, questa volta a Palazzo Corsini, la mostra “Robert Mapplethorpe. L’obiettivo sensibile”, dal 15 marzo al 30 giugno 2019 espone 45 opere fotografiche in parte ispirate all’antico, veri e propri  studi di statuaria classica e nature morte, paesaggi e composizioni anche trasgressive. La mostra è stata prorogata al 6 ottobre 2019 per il grande successo di pubblico che ha fatto raddoppiare le visite a Palazzo Corsini.

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“Prima Galleria, “Self portrait”, 1988

Il passato accostato al presente, come  nel 2017  il Sipario di “Parade” di Picasso e nel 2018  “Eco e Narciso” a Palazzo Barberini; nel 2019 il passato sono le opere della Quadreria settecentesca di Palazzo Corsini, il presente l’arte fotografica di Mapplethorpe. Curatrice della mostra – realizzata  in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation di New York – la direttrice delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica Flaminia Gennari Sartori. Sono stati organizzati appositi  incontri per approfondire  l’arte fotografica,  anche trasgressiva, insolita  per una Galleria Nazionale d’Arte Antica,  del grande fotografo nel 30° anniversario della morte, che vede anche una mostra a Napoli e una al Guggenheim di New York.

Anticamera, “Winter Landscape”, 1979, a dx

Le ragioni di una mostra insolita

Un’altra sorpresa da parte della direzione delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, di segno ancora diverso dalle precedenti. Lo spirito innovativo non manca alla direttrice Flaminia Gennari Sartori , lo aveva espresso finora attraverso mostre con pochi dipinti concentrati su temi ristretti approfonditi con un apposito lavoro di ricerca, come “Mattia e Gregorio Preti” e “La stanza di Mantegna”, “Venezia scarlatta”, “Il pittore e il gran Signore” e “Mediterraneo in chiaroscuro”; mentre con “Eco e Narciso” ha celebrato il recupero delle sale sottratte per decenni alla sede espositiva inserendovi temporaneamente opere di arte contemporanea.

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Prima Galleria, “Ken and Lydia and Tyler”, 1985

Ora fa entrare nel tempio dell’Arte Antica la fotografia, e che fotografia! Quella trasgressiva di Robert Mapplethorpe che negli anni ’80 ha addirittura scandalizzato con le pose estreme, anche di sesso esibito. Aver curato la mostra accompagnandola con un ampio saggio esplicativo indica che il suo impegno è stato personale e diretto, espresso anche nella sua conversazione del 15 maggio su Mapplethorpe come curatrice, con Jonathan K. Nelson, docente alla Syracuse University di Firenze e Andrea Villani , direttore del Museo Madre di Napoli.

Ma come si possono inserire fotografie moderne nella Quadreria settecentesca di Palazzo Corsini? E qui c’è l’idea portante dell’esposizione: non angoli riservati per le fotografie, che salvo un’enclave finale sono collocate, diremmo incastonate, tra le opere antiche, soprattutto dipinti ma anche sculture, accostandole a quelle con cui è possibile istituire delle assonanze e dei rimandi. Non è la prima volta che questo avviene, ma finora si era trattato di riferimenti sporadici, soprattutto per le sue fotografie scultoree accostate a Michelangelo e Rodin; ora invece sono collocate nella Quadreria settecentesca con il loro bianco e nero  che si trova a dialogare con il colore delle pitture.

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Prima Galleria, “Ajitto”, 1981, parete, di profilo

La Gennari Sartori ricorda che le quadrerie settecentesche erano ispirate a criteri di “simmetria,  euritmia e varietà compositiva che  stimolavano il visitatore ad individuare assonanze e differenze tra le opere, addestrandone lo sguardo”. Anche Mapplethorpe si è ispirato a questi criteri, e l’inserimento delle sue opere, definite “magneti in bianco e nero nel tessuto colorato di quadri che ricopre le pareti”, é considerato un ulteriore stimolo al visitatore per questa ricerca.

Mapplethorpe e la sua arte fotografica

Ma chi è Robert Mapplethorpe, e perché’ il suo viene definito “obiettivo sensibile”?  Oltre che grande fotografo era appassionato collezionista, non solo di fotografie storiche, anche di ceramiche scandinave e vetri italiani, stampe e mobilio artes and craft, se ne può avere un’idea dal  servizio fotografico in cui ritrae le pareti del proprio studio con molti pezzi della sua collezione, i cui spazi e le cui sistemazioni “compongono una specie di autoritratto ideale”. Lo fece nel 1988, pochi mesi prima di morire,  un’immagine di quotidianità che ne delinea l’’“orizzonte estetico ed intellettuale”.

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Prima Galleria, “Ajitto”, 1981, parete, di spalle e frontale

Eccentrico fin da quando descrive il quartiere del suburbio newyorkese in cui nacque nel 1946, “un buon posto in cui nascere perchè era molto sicuro, allo stesso tempo era un buon posto da cui andarsene”. Inizia il suo percorso artistico ispirandosi a Duchamp, con collages, dal 1970 vi inserisce fotografie da una “polaroid” acquistata in quell’anno, ma presto le rende autonome, nel 1973 la prima personale fotografica alla Light Gallery di New York.

In questo stesso anno comincia ad interessarsi al collezionismo di foto storiche, dopo aver visto la raccolta del Metropolitan Museum e soprattutto una mostra di fotografi pittoralisti, tra cui Stieglitz; lo abbraccia definitivamente allorché  in soli due anni il compagno Sam Wagstaff  diviene uno dei maggiori collezionisti al mondo di fotografie: soprattutto ritratti, figure e  paesaggi, sempre studi.

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Prima Galleria, “Italian Devil”, 1988

Nel 1970 in un viaggio in Europa aveva fotografato la statuaria classica, Michelangelo in particolare, ha la vocazione dello scultore e trova nella fotografia il mezzo più rapido per realizzare “sculture”, non solo i gruppi di nudi che ritrae, ma anche fiori e nature morte.

Il regalo di una macchina fotografica Hassemblad da parte di Wagstaff  nel 1975 contribuisce a fargli abbracciare la fotografia, iniziando con ritratti nel giro di conoscenti e di celebrità, realizza copertine di album ritratti e servizi per “Interview Magazine”, poi questa diviene la sua esclusiva forma di espressione artistica con i criteri classici cui si è appena accennato: composizioni realizzate soprattutto in studio curando tutti i dettagli  nell’organizzare i soggetti, con la luce che delinea i margini e i contorni, come avviene nella celebre “Canestra di frutta” di Caravaggio segnalata a lui sempre da Wagstaff proprio per questo aspetto.

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Galleria del Cardinale, “Lisa Lyon”, 1980, in basso

Un altro artista americano, Lachapelle,  concepisce la fotografia  quale composizione preordinata di cui preparare le componenti come in un teatro di posa, ma è molto diverso da Mapplethorpe: non solo perché punta sul colore e non sul bianco e nero, ma per forma e contenuti  lontani dalla classicità; piuttosto qualche assonanza si può trovare con Helmut Newton, per i nudi, e forse con qualche  bianco e  nero di fotografi di moda, come Lagerfeld, fino a De Antonis  in alcune immagini di studio  prima di passare all’astrazione fotografica, l’opposto della pulita figurazione di Mapplethorpe.  

Nessun riferimento invece ai grandi fotografi  proiettati sulle istantanee  come i grandi reporter, da  Cartier Bresson a Mc Curry, o ricercatori dell’esotico e remoto, come  Nomachi e Salgado.

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Galleria del Cardinale, “Lisa Lyon”, 1980, primo piano

Mapplethorpe ci presenta soggetti scelti e organizzati con una acuta sensibilità personale che poi si trasferisce all’“obiettivo sensibile”, così definita dalla Gennari Sartori: “L’incanto del decadimento e della morte e il tema della vanitas, o l’allegoria della  caducità della vita, scorrono nel suo lavoro accanto alla tensione  verso una simmetria a un tempo classica e contemporanea”. Il  pensiero va alla premonizione della fine a soli 43 anni per Aids, due anni dopo la morte del compagno-mecenate Wagstaff, espressa nell’autoritratto, il viso e la mano che sbucano dal buio.

A parte questo motivo che nasce dalla sua sensibilità colpisce l’andare  controcorrente rispetto alle avanguardie senza risultare retrogrado, suscitò più scandalo con le sue composizioni “ordinate” che tanti  innovatori con le loro stravaganze.

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Galleria del Cardinale, “Puerto Rico, Woman”, 1981, in basso a dx

In un’intervista del 1988, a un anno dalla morte, così definì le proprie trasgressioni: “Non mi piace la parola ‘scioccante’. Sono alla ricerca dell’inaspettato, di cose che non ho mai visto, ero in grado di fare quelle foto, sentivo l’obbligo di farle”. Inaspettato anche il suo interesse per la campionessa mondiale di bodybuilding Lisa Lyon, oltre a farle centinaia di fotografie – alcune esposte in questa mostra – le dedicò un film e il libro “Lady, Lisa Lyon”.

La sua arte fotografica spazia dai nudi maschili e femminili alle nature morte, ai fiori e ai ritratti in una classicità che convive con la trasgressione, impiegando diverse tecniche, comprese Polaroid e fotoincisioni, stampe platino su carta e lino, fino al “clye transfer color prints”. Realizza fotografie anche per un poema di Rimbaud e per un libro su 50 artisti di New York.

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Galleria del Cardinale, “Dominick and Elliot”, 1979, a dx

Nel 1988 la prima retrospettiva al Whitney Museum of American Art, da due anni gli era stato diagnosticato l’Aids, ma non aveva rallentato la sua attività, tutt’altro. L’anno successivo, alla sua scomparsa, John Didion lo celebrò con queste parole: “L’origine della sua potenza derivava non tanto dallo shock del nuovo ma dallo shock dell’antico, con la rischiosa imposizione dell’ordine sul caos, del classico su immagini impensabili. Alla fine l’oggetto del suo lavoro era quella stessa simmetria con cui disponeva ogni cosa”.

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Camera del Camino, “Samia”, 1978, in basso

Anche la Quadreria settecentesca di Palazzo Corsini risponde a un concetto di simmetria sia pure ben diverso da quello di Mapplethorpe che  organizzò la parete del suo studio – il ritratto  “autobiografico”  del collezionista – come una quadreria con i quadri fino al soffitto. Non conosceva  le opere della collezione di Palazzo Corsini; ciononostante  la classicità dell’artista, con la sua memoria dell’arte e della pittura del passato, ha portato di per sé  espressioni fotografiche che trovano assonanze con quelle pittoriche della Quadreria settecentesca.

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Camera del Camino, “Catherine Olim”, 1982, a sin.

Ed è proprio su queste assonanze che è stata costruita la mostra, disseminando i bianco-.neri di Mapplethorpe tra i cromatismi dei dipinti alle pareti sulla base di parallelismi spesso sorprendenti che hanno come denominatore comune il classicismo nella forma e nel contenuto.

Le sue opere fotografiche sono presenti in molte gallerie negli Stati Uniti, Sudamerica ed Europa, e nei principali musei del mondo, mentre la Robert Mapplethorpe Foundation è impegnata nella missione che lui stesso le assegnò, fondandola nel 1988: promozione della fotografia, sostegno ai musei che espongono fotografie artistiche, finanziamento della ricerca medica per sconfiggere l’Aids e l’Hiv. Così la sua parabola di arte e di vita si è nobilitata.

Camera del Camino, “Marcus Leatherdale”, 1978, al centro

Dall’Anticamera alla Camera del Trono

La visita alla mostra diventa una sorta di “caccia al tesoro”, stanza dopo stanza, per individuare le piccole fotografie di Mapplethorpe collocate per lo più singolarmente nel panorama pittorico delle varie pareti; ma è un tesoro tra tesori, perché nella ricerca si passa in rassegna l’intera collezione.

Si inizia dall’ Anticamera, “Winter Landscape”, 1979, rappresenta in una rara inquadratura lo scorcio di un grande albero spoglio, con una sagoma scura alla base,  una persona seduta, e un grigiore tutt’intorno, tristezza e desolazione;  Vicino vediamo il “Paesaggio con Rinaldo e Armida”  di Gaspard Dughet, con il verde cupo degli alberi dalle chiome folte e fronzute, anche qui c’è solitudine, ma l’opposto della desolazione, vediamo l’esuberanza della natura.

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Camera dell’Alcova, “Lisa Lyon”, 1981, al centro

Nella Prima GalleriaKen and Lydia and Tyler”, 1985, richiamano con assoluta evidenza  le “Tre Grazie”, ma qui solo la figura centrale è femminile, in posizione frontale, ai lati due figure maschili di profilo, un bianco e un “colored”  che con le mani le fanno da foglia di fico, c’è un che di provocatorio in questi nudi che rompe la classicità nella posa e nell’ispirazione.

Classiche e statuarie le 4 inquadrature di “Ajitto”, 1981, due di prospetto, due di profilo, anche qui un “colored”  rannicchiato su uno sgabello, raccolto con le braccia intorno alle ginocchia. L’accostamento ai bronzetti della Collezione di Palazzo Corsini è evidente, anzi fa sì che non passino inosservati come di solito avviene a fronte della più appariscente esposizione pittorica.

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Camera dell’Alcova, “Bernine”, 1978, a dx

Ma l’attrazione magnetica è data dal “Self Portrait”, 1988,  un autoritratto fotografico in cui si riprende con l’autoscatto mentre il suo volto diafano sembra emergere dal buio che si confonde con la casacca nera, mentre la mano, altrettanto diafana, si protende stringendo  un bastone dal pomo a forma di teschio. 

La foto è stata scattata pochi mesi prima della morte, gli occhi penetranti sembrano sfidare l’al di là che ormai si avvicina, forse nella Fondazione che ha creato vede la prosecuzione virtuale della sua vita artistica, per cui può guardare lontano senza abbassare gli occhi, non si sente sconfitto, tutt’altro, del resto ha lavorato fino all’ultimo: è un’immagine impressionante nella sua drammaticità autobiografica.

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Gabinetto Verde, “Guy Neville”, 1975″, in basso a dx

Dello stesso 1988 “Italian Devil”, un ritratto demoniaco che evoca, oltre alla sua passione per il collezionismo di busti oltre che stampe e foto storiche, la sua attrazione per angeli e demoni testimoniata dalla personale “quadreria” nelle pareti del suo studio.

L’accostamento tra foto di Mapplethorpe e dipinti della Quadreria è molto evidente nella Galleria del Cardinale, in particolare tra “Puerto Rico, Woman” 1981, il viso di una donna dai capelli bianchi che richiama il “Ritratto di vecchia”  di un seguace di Jan Van Scorel:  sono entrambi di piccole dimensioni, collocati ai lati opposti di un grande dipinto, il collegamento viene spontaneo.

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Gabinetto Verde, “Harry Lunn”, 1976, a dx

Molto diversa “Lisa Lyon”, 1980, un corpo femminile che si intravede disteso tra due grandi rocce grigie, come sono molto diversi da questa immagine i due dipinti di Francesco Albani, “Giove invia Mercurio ad Apollo”  e “Venere e amorini”, accomunati dall’abbandono alla natura, pur se con connotati quasi opposti.  Come è opposto rispetto al lirismo mitologico  il violento  “Dominick and Elliott”, 1979, un uomo nudo appeso per i piedi con le braccia aperte come un crocifisso, mentre un uomo in piedi a torso nudo lo tiene in pugno, è la prima di una serie di foto trasgressive.

In forte contrasto, nella stanza successiva, la Camera del Camino (o Sala del Trono Corsini),  3 fotografie di grande compostezza: due figure femminili, “Samia”, 1978, e “Catherin Ollm”, 1982, una ragazza seduta  con la veste bianca che spicca nell’ambiente oscuro e una giovane signora in piedi; e una figura maschile, “Marcus Leatherdale”, 1978, un giovane in piedi a torso nudo con un animale, forse una lepre, sulla spalla, come dopo la cacciagione. Tutte con espressioni intense. Il rapporto con l’antico riguarda, per le due figure femminili i quadri di due grandi maestri, Guido Reni e il suo “ Salomè con la testa del Battista”, Pieter Paul Rubens con la “Testa di vecchio”; per il giovane  i bronzetti di Adone e Diana Caccatrice di Antonio Montauti, con il comune riferimento alla caccia.

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Camera Verde, “Flower Arrangement”, 1984, a sin.

Dall’Alcova di Maria Cristina alla Camera V erde

Siamo giunti così nella stanza denominata “Alcova di Cristina di Svezia”,   la camera da letto della regina che abitò per trent’anni a Palazzo Corsini dopo aver abdicato  nel 1654, passando dal luteranesimo al cattolicesimo e trasferendosi  in Italia, nel palazzo dove riunì intorno a sé un cenacolo di intellettuali e artisti, fu un simbolo di coraggio e di anelito di libertà. La fotografia “Bernine”, 1978, il volto di profilo con un filo di perle nei capelli e un vago sorriso, ne evoca l’immagine, vicino ai ritratti di Lorenzo Lotto e dei maestri lombardi del Cinquecento.

Altri due accostamenti sono significativi. Vicino alla scritta con il motto della regina “Nacqui libera, vissi libera e morirò liberata” vediamo la fotografia “Lisa Lyon”,1981, con la culturista in piedi mentre gonfia i muscoli, nel torace ci sono delle cinghie, quasi ad esprimere la ribellione  ad ogni legame e nello stesso senso la ricerca di un ideale di bellezza che superi la distinzione dei sessi, nella concezione di Mapplethorpe; del resto per la stessa Cristina, forse perché restò nubile, si parlava di ermafroditismo.  Ma c’è un altro riferimento, oltre ai ritratti e la scritta simbolo di libertà, quello alla scelta del cattolicesimo, evocata dai tre ovali:  la “Vergine Addolorata”, il “Cristo coronato di spine” e il “San Giovanni Evangelista”, tutti  di Guido Reni, come di parte dei ritratti prima citati.

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Camera Verde, “Flowers”, 1983

Dopo la trasgressione dell’uomo fotografato appeso nella Galleria del Cardinale abbiamo avuto immagini composte nella Galleria del Camino, così dopo la ben più moderata trasgressione della culturista, nel Gabinetto Verde abbiamo la compostezza di “Guy Neville”, 1975, e “Harry Lunn”, 1976: due figure maschili, più che busti, la prima con la tuba, la seconda senza cappello, entrambi in posizione di profilo con giacca e cravatta. La corrispondenza a questo punto è molto precisa,  il primo è un simbolo di eleganza al pari del “Cardinal Neri Corsini senior” nel dipinto di  Giovan Battista Gaulli del 1666, il secondo ha addirittura una certa somiglianza con il cardinale “Ferdinando de’ Medici”, ritratto da Alessandro Allori.

Passando dal Gabinetto Verde alla Camera  Verde una doppia esposizione fotografica inconsueta, che segna due temi di Mapplethorne, Qui sono esposte le nature morte e le immagini di sculture umane  Tra le prime, “Flowers Arrangement”, composizione floreale compatta, mentre “Flowers”, 1983,  mostra un’immagine molto diversa, leggera e aerea con una sorta di aureola di rametti e fiori sottili, quasi impalpabili. “ Apple and Urn”,  1987, è una foto plastica, un vaso a coppa con 3 pomi, altri 3 sulla tovaglia e il tavolo. Fanno da “pendant” a queste diverse forme fotografiche  le Nature morte di Christian Berentz,  che esprime la pittura del ‘600 cui il nostro fotografo artista si sentiva particolarmente vicino.

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Camera Verde, “Apples and Urn”, 1987, a sin.

Le sculture fotografiche rappresentano il profilo di un “colored”,  “Black Bust”,  affiancato a quello di “Apollo”, dello stesso1988, con una straordinanza somiglianza fisognomica e  analoghe tonalità nei volti  segnati dalla luce che spiccano sullo  sfondo scuro con un rilievo veramente scultoreo.”Noblesse oblige”, troviamo in questa parte della Quadreria due dei maggiori artisti della Collezione, Caravaggio con “San Giovanni Battista” e Jusepe de Ribera  con “Venere e Adone”.

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Camera Verde, “Apples and Urn”, 1987, primo piano

La “Sala Rossa” e la “Saletta” con  le immagini più trasgressive

Nella Sala Rossa, dai “magneti” disseminati nella Quadreria si passa all’esposizione di tipo tradizionale di 17 fotografie di Mapplethorpe senza riferimenti alle opere della Collezione Corsini. Ma se l’allestimento della sala è tradizionale non lo è il contenuto, e lo vedremo presto.

Si inizia con alcune immagini ancora più insolite di quelle fin qui commentate: “Texas Gallery”, 1980 e “New Orleans Interior”, 1982, che sconfinano nell’astrazione, in “Orchid and Haad”, 1983, si vede una mano che si protende verso l’orchidea su fondo nero.

Camera Verde, “Black Bust”, 1988

Poi si passa ad alcune foto improntate alla classicità, come altre prima commentate: siamo al nudo femminile, ritroviamo la culturista “Lina Lyon”, che abbiamo già visto ripresa mentre mostrava i muscoli come per liberarsi delle cinghie che le stringevano il busto; qui i  2 nudi del 1980 e 1982, non sono più totali ma parziali, ad evidenziare due parti “sensibili” del corpo femminile dalla cintola in giù, posteriore e anteriore. Il loro carattere scultoreo, da statue antiche è evidenziato ulteriormente in “Female Torso”, in cui due anni prima, nel 1978, aveva fotografato un vero busto femminile classico, mutilo di testa, braccia  e gambe sotto il ginocchio.

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Sala Rossa, “Phillip”, 1979

E qui inizia la galleria che culmina nella trasgressione, vediamo “Lily”, 1986, e “Phillip”, 1979, due gambe con i piedi eretti sulle punte nella posa da ballo classico.  Dai nudi femminili di Lina Lyon si passa a due nudi maschili, “Allstair Butler”, 1980, profilo laterale muscoloso di parte del corpo e “Dennis Speight”, posizione acrobatica che tramuta il corpo in un originale arco sormontato dal viso.  La “Bronze Sculpture”, 1978, mostra un reperto statuario con la  parte centrale del  corpo maschile ben più mutila del “Female Torso”, e prepara l’immagine trasgressiva di un nudo maschile  a figura intera, questa volta senza positure e riferimenti classici. Non è ripreso come in “Ajtto”, scultoreo e composto, bensì con esplicita esposizione del sesso, in “Marty Gibson”, 1982, mentre tira con l’arco davanti a uno sfondo di grattacieli.

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Sala Rossa, “Allstair Butler”, 1980

Poi immagini floreali allusive, “Orchid”, 1985, e “Calla Lily”, 1988; mentre “Holly Salomon”, 1976, e “Carol Overby”, 1979, ci riportano  a figure del tipo di quelle esposte nella “Camera del Camino”, anche se la prima è sdraiata a letto mentre fuma e non ha lo sfondo nero ma una carta da parati a fiori, la seconda tiene la mano a mo’ di visiera davanti agli occhi come per ripararli dal sole e guardare lontano.

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Sala Rossa, “Holly Salomon”, 1976

“Milton White”, 1983, una figura maschile chinata vista da tergo, ci riporta alla trasgressione,  che esplode  nella Saletta, dove, quasi  per renderne più riservata la vista – come avvenuto ad esempio per i fumetti erotici nella mostra “Mangasia” – sono riunite le tre fotografie più esplicite, che non possono definirsi pornografiche perché senza scene essuali, il contenuto è nei titoli, “Cock and knee”, 1978,“Peeing in Glass”, 1977,  e “Cock and Devil”, 1982:  in “Marty Gibson” il “cock” faceva parte dell’intero nudo maschile – perciò questa foto poteva essere messa nella “Saletta”- mentre nelle tre immagini ora citate è  il soggetto esclusivo, protagonista assoluto. Comprendibile lo sconcerto e lo scandalo che suscitarono, tanto più che si tratta di quarant’anni fa. Con “Poppy”, 1988, e “Jack in the  Pulpit”  vediamo  immagini allusive di tipo floreale.

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Sala Rossa, “Calla Lily“, 1988

Che dire, in conclusione? Il coraggio è contagioso, lo è stato quello di Mapplethorpe con le sue trasgressioni, lo è quello della Gennari Sartosri non solo nell’accoglierle nelle Gallerie Nazionali d’Arte Antica,  nello storico e austero Palazzo Corsini, ma nel curare lei stessa la mostra e nel dedicarle gli approfondimenti citati all’inizio.  Anzi, per l’inaugurazione ha curato anche l’ambientazione sonora scegliendo lei stessa, in collaborazione con Alberto Salini,  i brani di Philip Glass, compositore e musicista statunitense amico di Mapplethorpe e come lui minimalista, la cui musica pur innovativa nella spinta verso l’astrazione, è legata al classicismo come la fotografia dell’amico.

In questo spirito la Gennari Sartori chiude il suo saggio introduttivo con le parole del compagno di Mapplethorpe, Sam Wagstaff, sull’amore per la fotografia: “La gioia assume molte forme nella fotografia: la gioia della tristezza, dell’oblio, della sfacciataggine, la gioia persino della morte”.  Effettivamente ci sono tutte queste componenti della vita, in un “memento” difficile da dimenticare; e anche questo è uno dei meriti di una mostra così insolita e intrigante.

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La “Saletta” con le foto trasgressive

Info

Palazzo Corsini, Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Via della Lungara, 10. Dal mercoledì al lunedì (martedì chiuso), ore 8,30-19, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso euro 12, ridotto euro 2 (giovani 18-26 anni), gratuito per scuole e insegnanti, studenti e docenti di architettura e lettere orientamento storico e artistico, Beni culturali, Accademie Belle Arti, Icom, con handicap accompagnati, guide e giornalisti. Biglietto valido 10 giorni in entrambe le sedi, Barberini e Corsini. www.barberinicorsini.org. Catalogo brochure: Galleria Corsini, “Robert Mapplethorpe, l’obiettivo sensibile”, Barberini Corsini Gallerie Nazionali, 2019, pp. 24, formato 16,5 x 23,5; dal catalogo sono tratte le citazioni del testo. Per le mostre e gli artisti citati cfr. i nostri articoli in ww.arteculturaoggi.com: per le mostre tematiche a Palazzo Barberini, nel 2019 “Mattia e Gregorio Preti” 24 febbraio; nel 2018 “La stanza di Mantegna” 7 novembre, “Eco e Narciso” 25 e 30 settembre; nel 2017 “II pittore e il gran Signore’ e ”Mediterraneo’ in chiaroscuro” 22 marzo, “Venezia scarlatta” 15 marzo. Per i fotografi, nel 2017, “De Antonis” 19 e 29 dicembre; nel 2014 “Cartier Bresson” 24 dicembre, “Nomachi” 17 marzo; nel 2012 “Berengo Gardin e Giacomelli” , “Doisneau” 2 novembr. Altri riferimenti, nel 2017, “Picasso e il “Sipario” 25 dicembre, “Mangasia” 6 novembre; nel 2014 , “Duchamp” 16 gennaio. In “fotografia.guidaconsumatore.it”: per i fotografi, nel 2013, “”Salgado” agosto, “Newton” luglio; nel 2012, “Doisneau” e “Berengo Gardin” novembre; nel 2011, “Rodecenko” dicembre, “Lagerfeld” novembre, “McCurry” marzo (quest’ultimo sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, disponibili su richiesta).

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Galleria Corsini alla presentazione della mostra, si ringrazia la direzione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Nelle didascalie vengono indicati soltanto i nomi delle sale e i titoli delle fotografie di Mapplethorpe, in bianco e nero, quelli delle opere della Quadreria del ‘700 che sono vicine quando le foto non sono riprese in primo piano, non sono indicati, per lo più vengono citati nel testo. In apertura, Prima Galleria, “Self portrait” 1988; seguono, Anticamera, “Winter Landscape” 1979, e Prima Galleria, “Ken and Lydia and Taylor”” 1985; poi, “Ajitto” 1981 di profilo e Ajitto” 1981 di spalle e frontale, quindi, “Italian Devil” 1988, e Galleria del Cardinale, “Lisa Lyon” 1980; inoltre, “Lisa Lyon” 1980 primo piano, e “Puerto Rico, Woman” 1981; ancora, “Dominick and Elliot” 1979, e “Samia” 1978; continua, “Catherine Olim” 1982, e “Marcus Leatherdale” 1978; prosegue, Camera dell’Alcova, “Bernine” 1974, e “Lisa Lyon” 1981; poi, Gabinetto Verde, “Guy Neville” 1975, e “Harry Lunn” 1976; quindi, Camera Verde, “Flower Arrangement” 1984, e “Flowers” 1983; inoltre, “Apples and Urn” 1987, e “Apples and Urn” 1987; continua, “Black Bust” 1988, e “Phillip” 1979; di nuovo, Sala Rossa, “Allstair Butler” 1980, e “Holly Salomon” 1976; infine, “Calla Lily” 1988, e la “Saletta” ; in chiusura, “Mapplethorpe’s Apartment” 1988.

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Mapplethorpe’s Apartment” , 1988

16 risposte su “Mapplethorpe, l'”obiettivo sensibile” nella Quadreria del ‘700 di Palazzo Corsini”

    1. Dear Kira, I’ve received a similar comment by Adolfo some days ago, and so I’ve have only to repeat for you my thanks and the other words that you can find in my answer to Adolfo on march 23.

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