De Chirico, trilogia I – 1. Il Film della vita e dell’arte nella grande ricerca di Fabio Benzi

di Romano Maria Levante

Una nuova  celebrazione di Giorgio de Chirico dopo quella del 2016 dedicata al trentennale della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico: fu una giornata di analisi e riflessioni sulle implicazioni filosofiche del suo pensiero e della sua arte all’Accademia di San Luca con le relazioni  di docenti universitari, oltre che del presidente Paolo Picozza e di Fabio Benzi. Questa celebrazione è dedicata al quarantennale della morte e al centenario del “Ritorno all’ordine” della classicità con la venuta a Roma dell’artista nel 1919, e si sono fatte le cose in grande. La Fondazione ha prodotto quella che ci piace chiamare una “trilogia” dechirichiana, innovativa anche nelle  componenti più tradizionali, per così dire, le mostre di Genova e di Torino, dove la novità sta nell’ulteriore approfondimento, la prima della “metafisica continua”, la seconda dell’eredità dei posteri con opere ispirate al  Maestro; trilogia iniziata con la grande ricerca di Fabio Benzi.

Autoritratto”, 1920 (dalla copertina del libro)

Il volume di Benzi, un’accurata ricerca nel labirinto e nell’enigma dechirichiano

La massima innovazione l’abbiamo trovata nella prima componente della “trilogia”, la chiave interpretativa delle altre due e dell’intera storia del Maestro l’imponente lavoro ermeneutico, di ricerca e ricostruzione svolto da Fabio Benzi  nel volume “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”. Non l’abbiamo chiamata “biografia”, sarebbe stato non solo riduttivo ma fuorviante, e in questo sta il suo aspetto profondamente innovativo tale da rappresentare un archetipo da seguire per chi avrà la forza di svolgere, come ha fatto Benzi,  un lavoro imponente anche per altri maestri.  

La volontà tuttavia non basta,  è necessaria la vasta documentazione che si trova solo se si sono costituiti Archivi  completi che consentono di ripercorrere l’itinerario creativo intrecciato alla vita dell’artista. La mostra “La vetrina di Cambellotti”  nel marzo scorso ha celebrato il compimento del vasto e documentato Archivio su di lui, ricco di 8000 documenti, a disposizione degli studiosi, e Fabrizio Russo, titolare dell’omonima galleria in cui si è svolta la mostra, ne ha sottolineato l’importanza a tutti gli effetti.

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Un dipinto di de Chirico con dinanzi l’autore a 19 anni, 1907

Benzi ha dimostrato come si possa valorizzare il materiale d’Archivio collegandolo alle opere dell’artista impegnandosi in un lavoro certosino di analisi e verifica  dei molteplici   momenti  creativi tradotti nelle opere collegandoli  con gli altrettanto molteplici momenti di vita per darne interpretazioni sostenute da valutazioni di ordine psicologico tanto più motivate quanto più la ricostruzione è precisa e documentata.

Una ricostruzione  inedita, originale e  innovativa, l’isola che non c’era nel mare delle analisi dechirichiane, con  gli opportuni  riferimenti agli apporti dei critici impegnatisi sui singoli aspetti  di volta considerati,  tratti da una bibliografia che l’autore definisce “immensa”, tale da non poter essere riportata in appendice;  mentre vengono indicate le citazioni utili a comporre un quadro valutativo  documentato in ogni aspetto.

E anche nella parte iconografica l’impegno è stato massimo, accompagnando passo passo la  ricostruzione del percorso artistico e dell’itinerario di vita nella quale particolare rilievo assumono  i contatti e gli incontri per i loro riflessi sul processo creativo dell’artista fatti rivivere con la riproduzione delle opere che ne sono nate. Per questo  il titolo “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”  ci sembra riduttivo, alludendo a una biografia, mentre è molto di più: ripensiamo al libro del Maestro “Le memorie della mia vita”,  nel lavoro di Benzi de Chirico potrà vedere “Il Film della mia vita”, perché le immagini contestuali ai singoli momenti dell’arte e dell’esistenza trasformano la lettura in una visione, appunto cinematografica, quanto mai coinvolgente: sono oltre 300, inserite nelle 550 pagine  del ricco volume, a illustrare ogni momento rivelatore del processo creativo.  

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“Tritone e sirena” , estate-autunno 1909

La lettura delle biografie per lo più si limita a suscitare un interesse conoscitivo facendo restare all’esterno,  mentre la lettura, anzi la visione della rappresentazione di Benzi fa entrare  dentro la scena fino a coinvolgere totalmente con l’ansia di andare avanti: per conoscere, interpretare e soprattutto vedere il prosieguo di una storia sempre più avvincente. Si penetra nelle vicende di una vita movimentata e mutevole e nel processo creativo che, pur nella “metafisica continua” cui si intitola una delle due mostre del quarantennale, è altrettanto movimentato e variabile dando vita ad  opere apparentemente incomprensibili  che la ricostruzione di Benzi riesce a far decifrare dando al lettore la soddisfazione della scoperta.

E come sia stato complesso tutto questo lo anticipano  le due citazioni che l’autore pone in apertura come  “sigilli”:   “Un labirinto è un edificio costruito per confondere gli uomini; la sua architettura, ricca di simmetrie, è subordinata  a tale fine” ” di Jorge Louis Borges; e “l’enigma dell’arte racchiude in sé quello del mondo, però lo rende formalmente praticabile” di Fabio Mauri.

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“Lotta di centauri” , estate-autunno 1909

Benzi non si è fatto “confondere” dal labirinto dechirichiano in cui ci sono le architetture, con e senza simmetrie;  e si è impegnato nel decrittare “l’enigma dell’arte” rendendo “praticabile” quello del mondo. E lo ha fatto – elemento oltremodo importante e non scontato facendo lui parte della Fondazione – senza alcun intento agiografico, al contrario si impegna strenuamente per far emergere gli influssi e le ispirazioni che il Maestro ha avuto nelle  sue creazioni maggiormente innovative – dalla pittura  metafisica in generale fino ai manichini in particolare – e trova i precedenti in poeti e pensatori, e non solo, in una visione opposta a quella che coltiva il “genio isolato” anticipatore senza alcun debito verso il retroterra culturale.  Sotto questo profilo la sua ricerca è particolarmente accurata, si direbbe accanita: anche dove comunemente viene visto un “prius” assoluto scova antecedenti ispiratori, e riporta le relative immagini a confronto con la rielaborazione del Maestro, sempre innovativa, si tratti di luoghi come pure, in certi casi, perfino di  dipinti.

Ci ha fatto ripensare all’impostazione della mostra alle Scuderie del Quirinale nel quinto centenario della morte di Leonardo, dichiaratamente orientata a “sfatare il mito del genio isolato” da parte del curatore, che dirige il Museo delle macchine leonardesche. Il lavoro di Benzi, esponente della Fondazione de Chirico, sebbene non si propone  questo, fa emergere, con una indagine anche psicologica molto penetrante, i fattori su cui si è costruito quel genio straordinario che ha lasciato un segno profondo nell’arte e nel pensiero del ‘900:  fattori interni, come la formazione adolescenziale e gli spostamenti da una parte all’altra in Europa e nel mondo, fattori esterni nei rapporti con filosofi, poeti, e anche pittori dai quali ha tratto gli elementi per la sua personale rielaborazione.  I suoi copiosi scritti, e quelli dei personaggi con cui è stato in contatto,  sono  una fonte preziosa di validazione e conferma di quanto ricostruito con l’equazione arte-vita.

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“Centauro morente” , estate-autunno 1909

Uno dei maggiori pregi della ricostruzione operata da Benzi sta nel procedimento investigativo con cui ha trattato le sue fonti dalle origini più diverse, ma noi non potremo darne conto per i limiti del nostro scritto, concentrato necessariamente sui punti fermi, e sono molteplici, che riesce a fissare nella sua ricerca instancabile all’interno del labirinto. Riesce sempre a trovare il percorso giusto che gli consente di decifrare gli enigmi più imperscrutabili, nei quali l’arte si intreccia con la filosofia e con altre discipline che l’inesauribile fantasia e l’imponderabile versatilità del Maestro evocano in forme sempre nuove e intriganti. Pagina dopo pagina l’interesse cresce, si resta attoniti e ammirati, seguiremo il suo racconto come il dipanarsi di un film, per questo riprodurremo in parte anche la sequenza di immagini che lo corredano.

Atene, Monaco e Milano, la nascita di un artista colto e irrequieto

La ricostruzione della figura e dell’opera di de Chirico, nato a Vados in Tessaglia il 10 luglio 1888 da famiglia benestante – il padre Evaristo ingegnere civile costruttore di ferrovie in varie nazioni e poliglotta, come sarà anche lui che parlerà cinque lingue – inizia con “l’educazione in Grecia” in un clima cosmopolita per la presenza di espatriati; quindi, apertura internazionale ma intense suggestioni del mito greco, inteso non come mitologia favolistica bensì come simbolo e metafora. Il massimo  poeta ellenico di allora, Kostis Palamis ebbe di certo influenza su di lui, che studiava al Politecnico di Atene, come sui giovani compagni che manifestavano anche in piazza. Il pensiero di Nietzsche, al quale si ispirava il poeta, e la filosofia di Schopenauer, si impressero nel meccanismo formativo  del giovane Giorgio ammodernando ciò che altrimenti sarebbe stato superato e stantio.

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“Prometeo” , inverno 1909

Una compresenza di entrambi i motivi, tradizionale e moderno, si aveva anche nel panorama urbano, con le antiche rovine, si pensi all’Acropoli,  e i moderni edifici industriali, e tutto ciò si rifletterà nelle sue opere, almeno all’inizio.  Come la formazione dei suoi insegnanti del Politecnico, avvenuta all’Accademia delle Belle Arti di Monaco, rinsaldava il nesso con la cultura tedesca già emerso in Nietzsche, in direzione di un rinnovamento che nella pittura apriva l’arte greca al di là dalle icone tradizionali. De Chirico si collegava agli artisti greci d’avanguardia, oltre che all’ambiente letterario e filosofico; poi verranno gli innovatori,  Picasso, Kandinskji e Marinetti.

Da Atene e Vados a Monaco di Baviera, il salto avvenne nell’ottobre 1906, meno di un anno e mezzo dopo la morte del padre, lui aveva meno di 17 anni, il fratello Savinio era tredicenne,  orientato alla musica. La madre volle trasferirsi nella città tedesca alla ricerca della migliore Accademia d’arte per lui, da cui provenivano  i maestri del Politecnico, mentre per il fratello c’era la prospettiva musicale in Italia dove andò dopo 5 mesi accompagnato dalla madre, che rimase con lui. Giorgio restò a Monaco, una pietra miliare sul piano artistico perché conobbe la pittura di Bocklin, le incisioni di Klinger, definito “il campione delle Secessioni”, e altri come Feuerbach e von Marèes; mentre sul piano filosofico si addentrò nella filosofia di Nietzsche e Schopenhauer che leggeva nei testi originali, conoscendo il tedesco, e assimilò temi e concezioni nel suo mondo interiore che troverà lo sbocco geniale dell’espressione metafisica.

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La partenza degli Argonauti” , inverno 1909

L’insegnamento accademico, tuttavia, alieno da ogni sperimentazione, costituiva pur sempre una sorta di cappa alla quale cercava di sfuggire con gli approfondimenti personali ora citati di tutt’altro orientamento, finché lasciò l’Accademia prima di terminare gli studi per seguire “l’altra strada”.  

Ma è a Milano – dove si trasferisce a 20 anni raggiungendo madre e fratello dopo due anni e mezzo vissuti da solo, senza portare con sé quanto dipinto a Monaco ritenuto inadeguato – che nascono i primi dipinti  “bockliniani”, come “Tritone e sirena” e “Prometeo”, “Lotta di Centauri” e “Centauro morente”, fino a “La partenza degli Argonauti”, tutti dell’autunno  1909. Un “mondo ancestrale, sospeso tra natura primigenia e mitologia antica, sorgente dell’umanità –  commenta Benzi – un’aurora dell’uomo  in cui ogni cosa stupisce e il tempo è fermo, circolare, un presente ancora senza storia dove è possibile l’eterno ritorno nietzschiano”.

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Serenata”, primavera-estate 1910

A Firenze, l’illuminazione metafisica con i suoi enigmi

E’ molto breve la parentesi milanese, nel 1910 è Firenze ad accogliere lui ventiduenne  con il fervore culturale e artistico cittadino, conosce Soffici e Papini il cui pensiero gli apre finalmente “l’altra strada”, che si traduce nella visione metafisica. Questa pur fondamentale circostanza non basta ad interpretare compiutamente le opere ispirate al nuovo sistema poetico-filosofico se non si trova anche la matrice della forma rappresentativa radicalmente diversa da quella di ispirazione blockiniana.  Infatti “L’enigma di un pomeriggio d’autunno” e “L’enigma dell’oracolo”, entrambi dell’ottobre-novembre 1910, con la nettezza e precisione delle campiture, sono lontanissimi dallo stile in cui sono dipinti i Centauri, Tritoni, Argonauti,  delle opere milanesi prima citate le cui vibrazioni pittoriche, assenti negli “enigmi fiorentini”, sono date da pennellate “minuziose e strisciate, pastose e tremolanti”.  Ebbene,  l’autore trova la nuova matrice pittorica delle primissime opere metafisiche nello stile di Henri Rousseau, a sua volta ispirato da Paolo Uccello, conosciuto attraverso un articolo di Soffici – che aveva acquistato due quadri del Doganiere – pubblicato subito dopo la morte del pittore francese; anzi, individua nelle due figure dell’”Enigma di un pomeriggio d’autunno” una citazione della “Musa che  ispira il poeta Apollinaire” di uno dei due quadri di Rousseau riprodotti in bianco  e nero  nell’articolo di Soffici, che potrebbe aver visto al naturale visitando la sua casa.

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“Processione su un monte” , settembre-ottobre 1910

Entra così in campo il poeta Apollinaire, che in un primo tempo sembra accreditare il riferimento a Rousseau, poi si ricrede, divenne sodale di de Chirico, sul quale – osserva l’autore con la sua libertà di pensiero aliena da intenti agiografici – “possiamo esser certi che non avrebbe mai confessato ad Apollinaire o ad altri il suo debito fugace ma determinante nei confronti del Doganiere”. Altrettanto libera e coraggiosa l’osservazione sui contenuti appoggiata a una citazione di brani  di Soffici su Rousseau: “L’impressionante linguaggio di Soffici, che sembra una descrizione dei quadri dechirichiani enunciata ancor prima che essi siano stati dipinti, ci dà una misura di come, appena uno o due mesi prima della sua intuizione, de Chirico dovesse aver letto quelle pagine, sentendole cariche di un presagio ancora non realizzato: descrizione di piazze deserte,  e di oggetti privati di significato, di lirismo spogliato di razionalità”.  A ciò fanno eco le affermazioni di de Chirico metafisico con riscontri tra parole, poetiche e concetti definiti “impressionanti”.

Il clima di malinconia nasce dallo “Stimmung”, posto da de Chirico alla base della sua visione metafisica come “stato d’animo”  che lui stesso, traendolo da Nietzsche, definisce “atmosfera nel senso morale”. Si traduce nell’espressione pittorica conseguente così definita: “Le nuove stesure divengono ampie e monocrome, rialzate da leggere pennellate chiare o scure per dare volume alle forme”  rispetto al precedente “sfrigolante tessuto”  di “pennellate sovrapposte”. In tal modo “riesce a rappresentare un mondo in cui l’astrazione del colore dona alle forme  un’assolutezza noumenica, astrattiva, mentale, che realizza una visione interiore e sintetica”.

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“L’enigma d’un pomeriggio d’autunno”, ottobre-novembre 1910

Ecco come lo giudica Soffici dopo un breve accenno a Paolo Uccello che ritira subito negando una “somiglianza essenziale” con de Chirico, anzi aggiungendo che “la sua opera non somiglia a nessun’altra, antica o moderna, che sia formata su cotesti elementi”. Per concludere: “La pittura di de Chirico non è pittura, nel senso che si dà oggi a questa parola. Si potrebbe definire una scrittura di sogni… egli arriva ad esprimere, infatti, quel senso di vastità, di solitudine, dì immobilità di stasi che producono talvolta alcuni spettacoli riflessi allo stato di ricordo nella nostra anima quasi addormentata”.

Siamo entrati così nel bel mezzo della visione metafisica, nei suoi aspetti contenutistici ed espressivi, e dopo aver citato le due prime opere in cui essi appaiono con chiarezza, ne citiamo una definita  “quadro proto metafisico”, che precede le prime due di un mese, “Processione su un monte”, settembre-ottobre 1910, un  paesaggio greco con tre coppie “infagottate” in cammino lungo un sentiero in salita verso una chiesetta lontana: il confronto con la composizione del 1908 di Camillo Innocenti, “Al rosario”, mostra le notevoli differenze ma anche l’analogia compositiva, mentre viene sottolineata “la somiglianza certo ancora più pregnante di questo quadro con quelli di Rousseau”, altra sconfessione del “genio isolato” avulso dall’ambiente artistico del suo tempo. Costituisce “il primo esperimento, ancora acerbo ma destinato rapidamente a condensarsi nella nuova visione, nella direzione dell’invenzione metafisica”.

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“L’enigma dell’oracolo”, ottobre-dicembre 1910

Ma si passa subito, un mese dopo, al “primo enigma metafisico”, cioè “L’enigma di un pomeriggio d’autunno”, ottobre-novembre 2010, quando a Firenze, in Piazza Santa Croce, come racconta lui stesso, seduto su una panchina da convalescente, davanti alla statua in marmo di Dante al centro della piazza, ebbe ”la strana impressione” di vedere “tutte le cose per la prima volta”: “E la composizione del quadro mi apparve in mente… Mi piace chiamare anche l’opera che ne risulta un enigma”. 

L’atmosfera è quella dello “Stimmung”, lo stato d’animo  che spoglia le cose del significato consueto per far affiorare il mistero della loro vera natura, e non manca il riferimento a Rousseau al quale Soffici attribuisce un “senso d’ irreparabile, quotidiana, diuturna malinconia”. Mentre de Chirico si entusiasma a ciò che di nuovo ha creato definendolo – in una lettera a Fritz Gartz, amico-collega di Monaco – “non grande o profondo (nel vecchio senso della parola) ma terribile” e cita Nietzsche come “il poeta più profondo”, mentre la profondità  “si trova da tutt’altra parte  rispetto a dove la si è cercata finora”. Fino ad esclamare: “I miei quadri sono piccoli, ma ognuno è un enigma, ognuno contiene una poesia, un’atmosfera (‘Stimmung’)… una promessa che lei non potrebbe trovare in altri quadri. E’ una terribile gioia per me averli dipinti”.

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L’enigma dell’ora” , ottobre-dicembre 1910

Seguono, entrambi di ottobre-dicembre 2010, altri due enigmi. In “L’enigma dell’oracolo” la figura arroccata in alto si staglia su uno sfondo lontano, tipico panorama che evoca il Partenone, mentre sulla destra c’è la statua del dio seminascosta da una tenda nera, che evoca a sua volta l’iconostasi posta nelle chiese ortodosse per separare la parte della chiesa dedicata alla divinità da quella con i fedeli. Al riguardo lui stesso scrive: “Una delle sensazioni più strane  e profonde che ci abbia lasciato la preistoria  è la sensazione del presagio. Essa esisterà sempre. E’ come una prova eterna del non senso dell’universo”. In merito al quadro precisa: “E’ l’ora ghiacciata dell’aurora di un giorno chiaro, alla fine della primavera”.

Poi si passa a “L’enigma dell’ora”, a chiusura di questa prima fase metafisica fiorentina, con riferimento al mistero del “meriggio” che nella tradizione greca e nei paesi mediterranei è “l’ora dei fantasmi, delle visioni, dei deliqui divinatori”, e nei paesi nordici corrisponde alla mezzanotte. Un ritorno alla cultura ancestrale greca a riprova che continua a premere su di lui, insieme alla poetica di Palamis, ai temi filosofici di Nietzsche e Schopenauer, al pensiero di Papini e Soffici.

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Ritratto dl fratello”, gennaio-marzo 1910

Così, riassume l’autore, “la meditazione paradigmatica rappresentata dalle due prime tele metafisiche, basate su Firenze e Atene, va ampliandosi a piazze più mediterranee in senso lato, che svilupperà  ampiamente  a Parigi, gravato dal senso di primordio greco che all’illuminazione  offertagli dalla filosofia  e poesia di Nietzsche aggiunge le proprie coordinate personali”. Con questo risultato: “L’enigma del tempo, aggiungendosi agli altri enigmi del mondo delle cose e dell’esistenza, viene condensato in quell’ora fatale che permette, facendo vacillare la mente razionale, l’applicazione dell’’eterno ritorno’ nietzschiano in un presente senza storia, in una consapevolezza in cui il futuro coincide col passato, in cui l’uomo è presenza che si può solo interrogare, senza darsi risposta, sul perché del mondo”.

Siamo solo agli inizi, l’artista ha 22 anni, andrà a Parigi dove la sua “metafisica” assumerà  nuove forme, dalle piazze d’Italia con la statua di Arianna ai manichini, fino all’apparentemente insensato assemblaggio di oggetti; il racconto proseguirà nella  2^ puntata di “Il Film della mia vita” di de Chirico visto come una fiction televisiva, il “regista” Benzi darà le spiegazioni e svelerà misteri che sembrano impenetrabili. Ne parleremo prossimamente, senza anticipare per ora i contenuti delle successive cinque puntate, anch’essi quanto mai intriganti e appassionanti come il resto del “film”.

“Ritratto della madre”, primavera 1911

Info

Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”, La nave di Teseo, maggio 2019, pp. 560; dal libro sono tratte le citazioni del testo. I successivi articoli sulle tre parti della trilogia usciranno in questo sito tutti nel mese di settembre 2019: i 6 articoli restanti sul libro di Benzi dopo l’attuale – la I parte della trilogia – nei giorni 5, 7, 9,11, 13, 15; i 3 articoli sulla mostra di Genova – la II parte della trilogia – il 18, 20, 22 ; i 3 articoli sulla mostra di Torino – la III parte della trilogia – il 25, 27, 29 settembre. Cfr. i nostri articoli precedenti su de Chirico: in www.arteculturaoggi.com, nel 2016, “De Chirico, tra arte e filosofia nel trentennale della Fondazione” 17 dicembre; “De Chirico, e la Fondazione, la realtà profanata tra filosofia e pittura” 21 dicembre; sulle mostre: nel 2015, “De Chirico, a Campobasso la gioiosa Metafisica”  1° marzo,  nel 2013 a Montepulciano, “L’enigma del ritratto” 20 giugno, “I Ritratti classici” 26 giugno, i “Ritratti fantastici” 1° luglio; in “cultura.inabruzzo.it: nel 2009 sulle mostre a Roma “I disegni di de Chirico e la magia della linea”  27 agosto, a Teramo “De Chirico e altri grandi artisti del ‘900 italiano” 23 settembre, a Roma “De Chirico e il Museo”  22 dicembre; nel 2010   a Roma “De Chirico e la natura”, tre articoli l’8, il 10 e l’11 luglio, e la mostra parallela, “L”Enigma dell’ora’ di Paolini, con de Chirico al Palazzo Esposizioni” 10 luglio  (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, comunque forniti a richiesta); in “Metafisica”, “Quaderni della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico”, n. 11/13 del 2013,  a stampa “De Chirico e la natura. O l’esistenza? Palazzo Esposizioni di Roma 2010”, pp. 403-418,  anche  nell’edizione inglese dei “Quaderni”, “Metaphysical Art”, n. 11-13 del 2013, “De Chirico and Nature.Or Existence? The Exhibition at Palazzo Esposizioni Rome 2010”,  pp. 371-386. Sugli artisti citati del testo cfr. i nostri articoli: in questo sito, Leonardo 2, 4 giugno 2019, Cambellotti 5 aprile 2019; in www.arteculturaoggi.com Picasso 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, Secessionisti 21 gennaio 2015, Marinetti 2 marzo 2013; in cultura.inabruzzo.it, Picasso 4 febbraio 2009.

Foto

Le immagini delle opere di de Chirico riguardano il periodo considerato nel testo e sono riportate in ordine cronologico, a parte l’apertura; sono state riprese dal libro di Fabio Benzi, si ringraziano l’Autore con l’Editore e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura, “Autoritratto” 1920 (dalla copertina del libro); seguono, Un dipinto di de Chirico con dinanzi l’autore a 19 anni 1907, e “Tritone e sirena” estate-autunno 1909; poi, “Lotta di centauri” e “Centauro morente” estate-autunno 1909; quindi, “Prometeo” e “La partenza degli Argonauti” inverno 1909; inoltre, “Serenata” primavera-estate 1910, e “Processione su un monte” settembre-ottobre 1910; ancora, “L’enigma d’un pomeriggio d’autunno” ottobre-novembre 1910, e “L’enigma dell’oracolo” ottobre-dicembre 2010; continua, “L’enigma dell’ora” ottobre-dicembre 1910 e “Ritratto dl fratello” “gennaio-marzo 1910; infine, “Ritratto della madre” autunno 1911e, in chiusura, “Autoritratto” marzo 1911.

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“Autoritratto”, primavera 1911

17 risposte su “De Chirico, trilogia I – 1. Il Film della vita e dell’arte nella grande ricerca di Fabio Benzi”

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