De Chirico, trilogia I – 2. L’evoluzione della pittura Metafisica

di Romano Maria Levante

“Il Film della mia vita”, come direbbe il Maestro se potesse leggere il monumentale volume di Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”, dopo l’educazione in Grecia, a Vados e Atene, e i trasferimenti prima a Monaco, poi a Milano e Firenze – dove nasce la prima  Metafisica nella Piazza di Santa Croce davanti al monumento di Dante – si snoda nei mutamenti continui, di sede, con il trasferimento a Parigi, e di espressione artistica, con le forme sempre diverse e intriganti in cui si esprime l’invenzione metafisica. Poi andrà a Roma e con il “ritorno all’ordine” abbraccerà il classicismo, ma sarà la 3^ puntata di questa “fiction” vera e coinvolgente. Prima di “vedere”  la 2^ puntata, ripetiamo che non possiamo ripercorrere l’interminabile itinerario di ricerca e di indagine dell’autore, pur se appassionante come un film poliziesco, ma dobbiamo limitarci ai risultati straordinari che  fanno uscire dal labirinto dechirichiano e decrittare gli intricati enigmi.

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Mystère et melancolie d’une rue”, prima metà 1914

Parigi, la Metafisica della nostalgia

E’ il 14 luglio 1911, da quattro giorni ha compiuto 23 anni, approda a Parigi dove è già andato il fratello Savinio alla continua ricerca del successo musicale invano atteso a Milano e a Monaco. E’   ansioso di entrare in contatto con il gotha dell’arte, ha già conosciuto l’opera di Rousseau, è apprezzato da Apollinaire e da Picasso. Ma non risente degli influssi artistici francesi, è al livello delle avanguardie, dai cubisti agli orfisti, un “vate”  europeo,  non solo italiano o “fiorentino” –  come lo definiva Soffici – aggiungendovi il retaggio culturale della Grecia antica e moderna, di Germania e Francia. Cosmopolita, ma con la malinconia del “senza patria”, il “greculo Chirico” , come lo chiamò poi Carrà, restò legato alle radici elleniche, sognando e amando la sua terra natale.

Del resto, dalla lettura di Nietzsche aveva imparato che “la bella apparizione dei mondi del sogno … è il presupposto di ogni arte figurativa”, e dalla lettura di Schopenhauer che  “contrassegno del pensiero filosofico [è] il dono che altri abbia di vedere in certi momenti gli uomini e le cose come puri fantasmi o ombre di sogno… L’uomo artisticamente sensibile,,, dalle immagini del sogno impara a spiegarsi la vita”. Ma più che i sogni, in quell’estate lo affliggono i disturbi psicosomatici e in autunno, sempre del 1911,  dipinge soltanto il “Ritratto della madre” completando il trittico dell’“Autoritratto” dipinto in primavera, e del “Ritratto del fratello” del 1910.

L’anno dopo, 1912, ad ottobre espone  al Salon d’Automne, quello che Benzi chiama “il ‘dittico’ della ‘rivelazione’”, i due enigmi dell’autunno 1910 visti nel primo tempo del nostro “film”, “L’enigma di un pomeriggio d’autunno” e “L’enigma dell’oracolo” con un “Autoritratto”.

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Solitude (Malinconia)”, prima metà 1912

Passano pochi mesi e nel marzo 1913 presenta al  Salon des Indèpendans la prima opera parigina, “L’énigme de l’arrivée et de l’après-midi”, realizzata all’inizio del 2012, insieme a “L’énigme del’heure”, che risale al 1910 e abbiamo già citato nel titolo in italiano, e a “La méditation matinale”, della seconda parte del 1912; nei due  dipinti parigini ci sono due figure, come in “L’enigma di un pomeriggio d’autunno” del 1910, più grandi ma separate, sono notati da Picasso ed Apollinaire. Quest’ultimo dipinto evoca ricordi della Grecia, il vecchio edificio del museo di Olimpia da lui visitato, finestre molto simili dietro le quali si affacciano le antiche statue di divinità, si fa sentire la nostalgia; ma abbiamo detto che ci sono anche due figure, quindi una compresenza umano-divino fonte essa stessa di mistero, accentuato dall’immagine statuaria centrale, come distesa su un triclinio, che anticipa la successiva presenza di Arianna.

Non risulta abbia presentato nella prima mostra dell’ottobre 2012  l’opera la cui datazione la fa ritenere disponibile sin da allora pur avendola esposta nella seconda mostra del 2013; e in nessuna delle due mostre citate risultano esposte altre 4 opere metafisiche, anch’esse riferite al 2012, forse anche qui con un’anticipazione rispetto alla data effettiva, altrimenti le avrebbe presentate. Si tratta di ”Solitude (Melanconia)”, “La lassitude de l’infinì”, “Les plaisirs  du poete”, della prima metà dell’anno, di  “L’arrivée (La mélancolie du départ)”, della seconda metà.

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“L’arrivée (La mélancolie du de depart?)”, seconda metà 1912

Sono  accomunate da una vivace campitura gialla, sembrerebbe accolta l’osservazione di Apollinaire il quale, pur essendo vicino al cubismo dalle basse tonalità cromatiche, nel commentare la mostra pur in termini positivi trovava il  colore dei dipinti “triste”; non solo l’artista ne avrebbe tenuto conto nelle opere successive alla critica, ma avrebbe ritoccato quelle precedenti per renderle più vivaci. In tutte, inoltre, troviamo  gli elementi caratteristici della Metafisica parigina: le arcate più o meno numerose; l’elemento centrale costituito in due dipinti dalla statua, in altri due da motivi diversi;  la locomotiva sbuffante sullo sfondo, tranne in “Solitude” con due piccole figure e un’ombra misteriosa e inquietante.

Di nuovo la nostalgia in “La mélancolie d’une belle journée”, 1913, dopo un anno si esprime nelle colline sullo sfondo che ricordano quelle di Atene dietro la sua casa, dove da bambino giocava con il fratello.

In altri dipinti, più che la nostalgia ritroviamo visioni che lo hanno colpito, come nella visita a Torino del 1911 la Mole Antonelliana, nella cuspide troncata di “La nostalgie de l’infini”, 1913; e, nell’ottobre 1909, a 21 anni, nella visita a Roma la Tomba di Cecilia Metella riconoscibile in “La tour rouge”, aprile-ottobre 1913. Queste due opere, di ispirazione italiana, hanno dato avvio alla serie delle  torri metafisiche.

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“La melancolie d’une belle journée”, 1913

Di Roma gli rimasero impresse le arcate ininterrotte degli acquedotti, di lì è nato il sigillo delle “Piazze d’Italia”. Scrisse: “L’Arcata romana è una fatalità; essa ha una voce che parla attraverso enigmi pieni di una poesia stranamente romana, di ombre sui vecchi muri, e una musica curiosa…”   

E di Parigi? E’ colpito dalle stazioni e dalle alte ciminiere delle periferie di una città operosa, in un rimando alle immagini della Grecia, tra i ricordi infantili del padre ingegnere ferroviario e delle ciminiere  di Atene con l’Acropoli nello sfondo  “proponendo – nota  Benzi – quello stridente e indecifrabile contrasto tra antichità mitica e modernità industriale”.  

L’autore, sugli spunti presi dalla realtà, fa un penetrante rilievo, e ne vedremo in seguito l’importanza: “Dunque molti luoghi apparentemente immaginari  dei quadri dechirichiani sono decodificabili, e questi luoghi  hanno sempre uno speciale significato nella sua filosofia pittorica; sono una localizzazione dello Stimmung, potremmo dire dell’ispirazione stessa di de Chirico, che intende individuare il lato misterioso degli uomini e delle cose”. Tanto che nel 1918 scriverà:  “Bisogna scoprire il ‘demone’ in ogni cosa ”. Sono elementi reali da lui trasfigurati che restano riconoscibili, ma solo in questa fase.

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“La récompense du dévin”, 1913

Arianna e le Piazze d’Italia

Naturalmente non è presa dalla realtà Arianna – la cui figura dolente reclinata a terra compare nelle statue al centro delle “Piazze d’Italia” – né è tratta direttamente dalla poetica di Ovidio sul mito dell’abbandono da parte di Apollo da cui deriva comunque  l’immagine malinconica e desolata, ancora non è sopravvenuto Bacco a consolarla. Nasce da una poesia di Nietzsche – Apollinaire la citerà dopo, nel 1913 – “Lamento di Arianna” : “Fulminata  a terra da te,/ occhio beffardo che dall’oscuro mi guardi!/ Eccomi distesa,/ mi piego, mi dibatto tormentata/ da tutte le torture eterne,/ colpita/ da te, crudelissimo cacciatore,/ sconosciuto – dio…”.  In effetti, così la vediamo, distesa e tormentata nell’atmosfera metafisica delle “Piazze d’Italia”.

In “La ricompense  du dévin”, del 1913, di Nietzsche, oltre ad Arianna ci sono le due palme nello sfondo  dopo l’arcata e al di là del muro di mattoni, su cui il poeta tedesco scriveva: “A me un Europeo sotto le palme/ …e guardo come la palma,/ quasi una danzatrice,/ si piega flessuosa e sull’anca si dondola”.  Anche nel quadro “L’arrivée” c’è la “citazione” artistica  delle palme. 

Ricordiamo l’opera del 1912 , prima metà,  “Solitudine (Melanconia)”, già citata, con Arianna al centro e l’ombra inquietante tra le arcate, ora possiamo identificarla come appartenente al dio Apollo che “dall’oscuro” la guarda dopo averla “fulminata” con l’abbandono.

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“Piazza con Arianna”, metà 1913

Del 1913, ad aprile-ottobre “L’après-midi d’Arianne”,  in cui al motivo di Arianna si aggiungono la nostalgia e l’identificazione: l’alta torre-comignolo richiama, sia pure nel diverso colore rosso, quella del quartiere ateniese di Gazi ad Atene con le ciminiere in vista dell’Acropoli, nella commistione moderno e antico che abbiamo già sottolineato.

Arianna protagonista assoluta nei due dipinti da zoom fotografico, anzi, nel nostro riferimento cinematografico, da sequenza con primo piano finale: “Piazza con Arianna”  e “La statue silencieuse”, entrambi del 1913 in sequenza temporale, il primo a metà anno, l’altro nella seconda metà; vi troviamo i motivi  metafisici, arcate, torri e treno a vapore sbuffante sullo sfondo.

In queste due opere notiamo una prospettiva meno nitida di quelle precedenti, soprattutto nella seconda il primo piano schiaccia tutto il resto; in “Le voyage émouvant”, di fine 1913, addirittura manca la prospettiva, si è dentro le arcate, l’unica apertura l’arcata sinistra con lo sbuffo di vapore dietro il muro rosso, in una composizione quasi claustrofobica.  Nelle opere dell’anno successivo, il 1914, la deformazione si consolida, prima con una prospettiva laterale, poi con punti di fuga molteplici, fino a schiacciamenti in una sorta di scombussolamento senza alcun rapporto con la realtà pur immaginata.

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“La statue silencieuse”, seconda metà 1913

“Anche le rappresentazioni delle Piazze d’Italia, quando ancora compaiono – osserva l’autore – sono scosse da un terremoto interiore e onirico più profondo e minaccioso”, cosa che rende l’insieme   “sempre più evidentemente irreale, vicino alle immagini di un sogno. Le scene sono rivolte  a far emergere dall’interno della psiche nodi associativi che suggeriscano in maniera progressivamente più esplicita l’equivalente dello spaesamento visionario, della ‘rivelazione’ nietzschiana e schopenhauriana”.  Vi rientrano, in deformazione prospettica crescente, 4 opere della prima metà del 1914: “L’énigme d’une journée I”, e “Mystère et mélanconie d’une rue”, “Nature morte. Turin printanière” e “Le jour de féte”, fino al bianco e nero di “Le joie du retour”  le cui componenti sono prive di prospettiva come di spazi, con un effetto ancora più claustrofobico di “Le voyage”.  

I quadri “innovativi e stupefacenti” con oggetti impensati

Non solo piazze in questi anni, vediamo nel 2011 “Autoritratto” e “Ritratto della madre”;  nel 2013  “Portrait de Madame L. Gartzen” e  “Nu (aux cheveux noirs”, “L’incertude du poète”; nella prima metà del 2014 “La conquéte du philosophe” e “L’enigme de la fatalité”, “La revenant (Le cerveau de l’enfan)t”  e “Le  temple fatal”, “La sérenité du savant” e “Le chant d’amour”. A parte i ritratti, elementi disparati ed enigmatici, carciofi e  guanti, palle e  stampi, fino al cannone.

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“L”énigme d’une journée” , prima metà 1914

Anche di questi quadri, che definisce “innovativi e stupefacenti”, l’autore dà una descrizione quanto mai efficace: “Gli oggetti dilagano, monumentali, in spazi incomprensibili e serrati, dove anche i formati  dei dipinti possono deformarsi in inconsueti triangoli o trapezi, completamente alieni rispetto ai canoni della storia dell’arte”.  Ed ecco l’interpretazione: “Sembra quasi inutile cercare significati iconologici in dipinti che rinnegano qualsiasi senso logico. I nessi sono ormai solo psichici: ritroviamo sì i topoi dell’immaginario dechirichiano, ma essi sono contraddetti e messi in crisi da contesti intenzionalmente spiazzanti, a somiglianza di ciò che accade nei sogni più intimi e misteriosi, che ci lasciano al risveglio angosciati e  incapaci di comprenderne il senso”.

Troviamo conferma nelle parole dello stesso de Chirico che, proprio nel 1914-15,  scrive: “Affinché un’opera d’arte sia veramente immortale bisogna che esca completamente dai limiti dell’umano: il buon senso e la logica vi mancheranno. In questo modo essa si avvicinerà al sogno e anche  alla mentalità infantile”.  E Soffici, nel primo scritto su di lui definì la sua pittura “scrittura di sogni”.

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“Nature morte. Turin printanière”, prima metà 1914

La spiegazione non manca neppure dinanzi a visioni inimmaginabili, merito del grande lavoro di ricerca compiuto dall’autore e valore indiscutibile dei risultati del suo sforzo ammirevole, anche per le assonanze che trova con altri artisti e lo portano a riprodurre vicino al dipinto di de Chirico quelli “citati” di Rousseau e Matisse, Picasso e Gauguin, fino a Van Gogh. A scanso di equivoci spiega: “Questi riferimenti scivolano come mercurio sulle immagini assolute e autonome di de Chirico, senza contaminarle, come sosteneva Apollinaire, con riferimenti e debiti leggibili”. Ed ecco la citazione del poeta mentore e sodale di de Chirico: “L’arte di questo giovane pittore è un’arte interiore e celebrale che non ha alcun rapporto con quella dei pittori che si sono rivelati in questi ultimi anni. Non viene né da Matisse né da Picasso; e non deriva dagli impressionisti. Questa originalità è talmente nuova, che essa merita di essere segnalata”. E chiama i suoi dipinti “metafisici”.

I manichini metafisici e Apollinaire

Benzi osserva che lo stringersi dei rapporti con Apollinaire ha coinciso con l’evoluzione di cui si è detto nelle  Piazze metafisiche, allontanatesi sempre più dai luoghi della nostalgia perdendo anche i riferimenti prospettici e l’ ambientazione naturale: “Gli spazi e i contesti  che vanno creandosi sono sempre più vicini a quelli irrazionali dei sogni, in un percorso che era già iniziato con la Metafisica fiorentina, ma che ora va approfondendosi in iconografie sempre più complesse e articolate”.

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“Le chant d’amour”, metà 1914

Ma va ben oltre, nella sua investigazione che, come abbiamo detto, cerca anche di individuare la matrice originaria di quanto è ritenuto frutto di una intuizione personale senza altri padri. Lo vediamo rispetto ai “manichini”, il sigillo di quella parte della Metafisica dechirichiana diversa dalle Piazze d’Italia  e da altre visioni. E trova la matrice in Apollinaire, a conferma di quanto de Chirico ne seguisse gli scritti, che il poeta gli faceva leggere anche prima della pubblicazione quando i loro rapporti si strinsero; e così fu per “Le poète assassiné”, in cui oltre alla descrizione dell’”homme-cible”, cioè bersaglio, c’è “l’uomo calvo”,  una statua di bronzo che parla e si muove,  e un uomo “senza occhi senza naso senza orecchie”, dai quali nasce il manichino di de Chirico; e non – come insinuato maliziosamente da Roberto Longhi, che non ha mai amato de Chirico – dai “Chants de mi mort” di Savino ispiratisi nello stesso periodo alla medesima fonte.

Il primo manichino lo vediamo in “Le tourment du poète”, è solo un prototipo, se possiamo usare questo termine, di tipo sartoriale, della fine del 1914. Ma già all’inizio del 1915 abbiamo i manichini metafisici veri e propri, con due archetipi. “Le vaticinateur”  ne fissa l’immagine e il ruolo “misterico”, quello dell’oracolo. E anche nella funzione, oltre che nella forma di manichino, de Chirico si ispira ad Apollinaire, impegnato sui temi a lui cari, “la ‘preistoria’ dell’umanità e la sensazione del presagio, l’oracolo e il mistero, il non senso che si può esprimere attraverso segni di cui si ignora il significato”. L’autore cita anche i “geroglifici” presenti in opere dell’artista con questa derivazione e significato: nella commistione antico-moderno diventano segni stenografici.

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“Portrait de Guillaume Apollinaire”, estate 1914

L’altro archetipo, “Le duo”,  prelude a una serie di coppie metafisiche – “Ettore e Andromaca”, “Oreste e Pilade”, “Il figliuol prodigo” –  la cui origine, documentata da Benzi con le immagini comparative,  si trova nel gruppo statuario greco del I sec. d. C. “Oreste  e Elettra”. Nella prima  metà del 1915 “Les deux soeurs” ci dà il primo piano delle teste di un “duo” di manichini, quasi una “zoomata” come quella che abbiamo visto nella “Statue silencieuse” di Arianna nel 1913.

Manichino di spalle  sulla destra in “Le poète et la philosophe” e sulla sinistra in”Le double réve du printemps”, accomunati anche da un quadro centrale: nel primo sono delineati i contorni, mentre in “Le pareté d’un réve” c’è anche un quadro al centro, questa volta con un ramo colorato, che dà luce alla composizione con due alte costruzioni ai lati dalle arcate scure e opprimenti.

Siamo nella prima metà del 1915, è anche l’oppressione della guerra alle porte, per la quale l’interpretazione del significato del manichino si incupisce rispetto a quella legata ad Apollinaire: “In continuità col pensiero nietzschiano della prima Metafisica, il manichino assume l’aspetto dell’uomo deprivato della sua coscienza nazionale, parvenza enigmatica in mezzo alle altre enigmatiche presenze del mondo, uomo primordiale all’alba della storia”.  De Chirico è stato testimone di un  bombardamento a Parigi, perciò – scrive Benzi – il manichino “rappresenta il senso dell’alienazione umana causata dal conflitto… come se la classicità ellenica e italica, che sempre aveva permeato i suoi primi dipinti metafisici, fosse stata messa in crisi dalla brutalità cieca della guerra. Tuttavia la visione dechirichiana rimane sempre intatta sullo sfondo, anche in presenza di crisi”.

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“Le vaticinateur”, inizio 1915

Invece Apollinaire partecipò da volontario alla Grande guerra, e fu ferito alla testa da una scheggia di obice nel 1916, nella tempia sinistra dove profeticamente de Chirico aveva tracciato un bersaglio nel “Portrait de Guillaume Apollinaire” dell’estate 1914,  proprio quando il poeta amico lasciò Parigi nel mese di luglio per arruolarsi. Il bersaglio dell’”homme-cible” è nel profilo scuro di fondo della figura,  mentre in primo piano c’è la testa da scultura classica ma con capelli moderni e occhiali scuri che alludono alla veggenza:  un uomo contemporaneo visto come busto classico, l’intrigante commistione antico-moderno. Due formelle per dolci sulla destra, la “carpa”, pesce della malinconia,  per questa che viene definita “musa inquietante” sua e di de Chirico,  e la “conchiglia”  per il pellegrinaggio a San Giacomo di Compostela del quale il poeta parla nel  “Poete assassiné”, una sorta di simbolica autobiografia. Il monumento al protagonista Croniamantial, “nuovo Orfeo”,  è fatto di “nulla”, è una fossa affinché “il vuoto fosse pieno del suo fantasma”, perché qualunque materiale sarebbe inadeguato alla  sua grandezza. come queste  forme vuote: “Una sorta di fossile moderno, memoria di epoche primordiali, la cui forma è conservata dal suo vuoto”. Anche nell’altro ritratto di poco successivo, “La nostalgie du poéte”, estate-autunno 1914, c’è la testa da statua con occhiali, questa volta di profilo, e la “carpa” vuota. Apollinaire definì il ritratto “opera singolare e profonda”, e de Chirico, nel rendergli omaggio dopo la morte prematura nel 1918 scrisse: “Di malinconie ne conosceva più di una; anzitutto quella dei senzapatria”; ricordando  “le spirali della sua cronica malinconia di poeta dal destino triste”.

“Le duo”, inizio 1915

Così Benzi riassume l’importanza del poeta nell’evoluzione dell’artista, ormai trentenne: “Il sodalizio con Apollinaire e l’influenza della sua onirocritique, il metodo del sogno innestato alla poesia, coincide dunque con la sviluppo in de Chirico di spazi sempre più irreali… e contigui allo stato onirico, di non luoghi, o meglio, luoghi della coscienza interiore. Manichini, forme inspiegabili, scritte indecifrabili li popolano da ora in avanti, segni di una coscienza allo stato primordiale, di un vaticinio appena espresso: che invece di rendere più chiaro il mondo, lo rende ancora più imperscrutabile”.

Vedremo nella 3^ puntata della “fiction” vera in cui si snoda “Il Film della mia vita” di de Chirico,  nella magistrale regia di Fabio Benzi, come la sua Metafisica diventi ancora più indecifrabile nel periodo “ferrarese”, e sarà seguita dal  “ritorno all’ordine” e dal classicismo adottato pienamente, nella tecnica e nei contenuti. Nelle puntate successive l’ulteriore evoluzione, il surrealismo e l’arte teatrale, il ritorno della Metafisica, seguita da un nuovo classicismo fino alla neometafisica. C’è ancora molto da vedere e da emozionarsi dinanzi a una vita e un’arte così inquieta e mutevole.   

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“Les deux seurs”, prima metà 1915

Info

Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”, La nave di Teseo, maggio 2019, pp. 560; dal libro sono tratte le citazioni del testo. I successivi articoli sulle tre parti della trilogia usciranno in questo sito tutti nel mese di settembre 2019: i 5 articoli restanti sul libro di Benzi dopo l’attuale e quello del giorno 3 – la I parte della trilogia – nei giorni 7, 9, 11, 13, 15; i 3 articoli sulla mostra di Genova – la II parte della trilogia – il 18, 20, 22 ; i 3 articoli sulla mostra di Torino – la III parte della trilogia – il 25, 27, 29 settembre. Per i nostri articoli precedenti su de Chirico degli anni 2016 e 2015, 2013 e 2010 cfr. le citazioni riportate in Info del precedente articolo del 3 settembre. Sugli artisti citati nel testo cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi.com, per la mostra su Ovidio, 1, 6, 11 gennaio 2019, Picasso 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, Cubisti 16 maggio 2013, Matisse 23, 26 maggio 2015, in cultura.inabruzzo.it Van Gogh 17, 18 febbraio 201, per l’aspetto onirico “Il teatro del sogno” 30 settembre, 7 novembre, 1° dicembre 2011, Picasso 4 febbraio 2009 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).

Foto

Le immagini delle opere di de Chirico riguardano il periodo considerato nel testo e sono riportate in ordine cronologico, a parte l’apertura; sono state riprese dal libro di Fabio Benzi tutte meno 4 (perchè in doppia pagina), si ringraziano l’Autore con l’Editore e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. Le 4 immagini non riprese dal libro sono tratte dai siti di seguito indicati, di cui si ringraziano i titolari per l’opportunità offerta con la loro disponibilità “on line”, pronti a rimuoverle su semplice loro richiesta: tali siti sono “Engramma” per le immagini n. 2, 3, 7, “Fichr” per la n. 6 In apertura, “Mystère et melancolie d’une rue” , prima metà 1914; seguono “Solitude (Malinconia)” prima metà 1912, e “L’arrivée (La mélancolie du de depart?)” seconda metà 1912; poi, “La melancolie d’une belle journée” e “La récompense du dévin” 1913; quindi, “Piazza con Arianna” metà 1913, e“La statue silencieuse” seconda metà 1913; inoltre, “L”énigme d’une journée” e “Nature morte. Turin printanière” prima metà 1914; ancora, “Le chant d’amour” metà 1914, e “Portrait de Guillaume Apollinaire” estate 1914; continua, “Le vaticinateur” e “Le duo” inizio 1915; infine, “Les deux seurs” e, in chiusura, “Le poète et le philosophe” prima metà del 1915.

“Le poète et le philosophe”, prima metà del 1915

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