De Chirico, trilogia II – 1. Il volto della “Metafisica continua”, al Palazzo Ducale di Genova

di Romano Maria Levante

La seconda parte della trilogia dechirichiana nel 40° anniversario della morte e nel centenario del “Ritorno all’ordine” della classicità – dopo la prima da noi chiamata “Il Film della mia vita”, l’imponente lavoro di Fabio Benzi , “Giorgio de Chirico, La vita e l’opera” – è la mostra a Genova, “Giorgio de Chirico. Il volto della Metafisica”; conclude la trilogia la terza parte a Torino, “Giorgio de Chirico, Ritorno al Futuro, Neometafisica e Arte contemporanea”. La mostra di Genova è aperta dal 30 marzo al 7 luglio  2019 al Palazzo Ducale, Appartamento del Doge, organizzata dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, presidente Paolo Picozza e da Palazzo Ducale Fondazione per la cultura, presidente Luca Bizzarri,  con ViDi, presidente  Luigi Emanuel Rossi, a cura di Victoria Noel-Johnson come per il Catalogo Skira.

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“Ettore e Andromaca”, 1970

Il viaggio senza fine in una mostra speciale

Una mostra speciale su Giorgio de Chirico, imperniata sull’assioma “Metafisica continua”, in base alla constatazione che anche nei periodi in cui sembrerebbe ripudiata per abbracciare il classicismo, l’impronta metafisica permane nei particolari anche di contorno, pronta a tornare di nuovo alla ribalta e occupare tutta la scena. Il 2019, oltre che celebrativo dei 40 anni dalla scomparsa del Maestro, lo è anche del centenario dell’abbandono, nel 1919,  della prima Metafisica per il classicismo, con successivi reciproci ritorni, in uno spettacolare susseguirsi di invenzioni e sorprese. Tanto che la curatrice della mostra, Victoria Noel-Johnson  lo chiama “Le voyage san fin”.

Di questo viaggio la mostra fa rivivere i momenti salienti seguendo non un criterio cronologico ma tematico, per cui opere di periodi diversi  sugli stessi temi sono appaiati: “esterni”  e “interni metafisici”, “protagonisti” e “natura metafisica”, “l’incontro della metafisica con la tradizione” e “la magia della linea”, sono tappe del percorso ininterrotto in 60 anni di lavoro artistico geniale e fonte di continue scoperte. E’ un itinerario che seguiremo visitando queste sezioni tematiche della mostra, 6 atti di uno spettacolo teatrale suggestivo, come è stato suggestivo il “Film della mia vita” , da noi tradotto in una “fiction”  in 7 puntate.

In quella che è stata la prima parte della “trilogia” dechirichiana abbiamo ripercorso le molteplici e spesso tormentate fasi della sua esistenza con i numerosi spostamenti  soprattutto tra Grecia e Germania, Francia e Italia, fino agli Stati Uniti, che ne hanno fatto un cosmopolita poliglotta agguerrito, dotato tra l’altro di una notevole vis polemica; e l’evoluzione del processo creativo iniziato in grande mentre era poco più che ventenne con la prima Metafisica – rimasta la pietra miliare della sua arte – e sviluppatosi con il classicismo oscillando come un pendolo in moto incessante.

“”Piazza d’Italia con piedistallo vuoto”, 1955

Nel  nostro tragitto abbiamo esplorato i principali temi di una gamma vastissima, in stretto collegamento con il grande lavoro di ricerca e di approfondimento di Fabio Benzi, per cui ora  tratteremo solo quelli che la curatrice ha ritenuto di dover evidenziare come linee guida per meglio apprezzare la ricca galleria espositiva: 6 sezioni, ripetiamo, come 6 atti di uno spettacolo teatrale.

Le impronte del genio, enigmi e misteri della Metafisica e non solo

Da parte nostra ci piace sottolineare innanzitutto come le impronte del genio si vedono subito, basta porre mente al fatto, non abbastanza evidenziato, che la sua grande “invenzione” metafisica, dopo l’illuminazione nella piazza fiorentina di Santa Croce davanti alla statua di Dante, avvenne nel 2010, quando aveva 22 anni, e l’intero ciclo della prima Metafisica si è svolto nell’arco di 8 anni, quindi si è concluso con lui trentenne, per poi riaprirsi in diversi momenti e con varie forme.

Ed è stata la prima Metafisica ad imporsi all’ammirazione del mondo dell’arte – su cui si è abbattuta come un vento rigeneratore – e in particolare dei surrealisti, Breton in testa, i quali vi hanno colto uno spirito innovativo e d’avanguardia che apparentemente collimava con le loro posizioni. Mentre si basavano sull’irrazionale visione onirica con la coscienza addormentata, ben diversa dalle fondamenta filosofiche del pensiero di de Chirico nate da solide letture, Nietzsche e Schopenauer in particolare, letti nella lingua originale conoscendo bene il tedesco dopo il trasferimento a Monaco.

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Piazza d’Italia con fontana” , 1969

La curatrice della mostra Viictoria Noel-Johnson, con le parole sorpresa-scoperta-rivelazione evoca l’atmosfera imponderabile e suggestiva che aleggia nelle composizioni metafisiche: “E’ proprio la peculiarità di questa atmosfera (o Stimmung in termini nietzschiani), pregna di imprevedibilità e inquietudine, a suscitare un sentimento di sorpresa, scoperta e rivelazione: una rivelazione metafisica, per essere più specifici. Il mondo di de Chirico è, in definitiva, un luogo enigmatico in cui la banalità della vita quotidiana e gli oggetti ordinari si trasformano in modo tale da ‘rivelarci’ la loro essenza metafisica”.

De Chirico così ne scrisse  all’amico Fritz Gartz il 26 dicembre 2010: “I miei quadri sono piccoli… ma ognuno  è un enigma, ognuno racchiude una poesia, un’atmosfera, un presagio che lei non può trovare in altri quadri. Per me è una gioia terribile averli dipinti – quando li esporrò sarà una rivelazione per il mondo intero”. Molto sicuro di sé, ma a ragione, fu proprio come aveva previsto. Del resto, sono molteplici gli enigmi, le atmosfere, i presagi, delle sue composizioni metafisiche.

“Interno metafisico con paesaggio romantico” , 1968

Ci sono quelli delle piazze deserte, con le arcate e le ombre nette mentre un treno a vapore corre sul fondo e minuscole figure si stagliano nella solitudine di una landa assolata; con la variante della statua di Arianna al centro della piazza, nella desolata tristezza dell’abbandono da parte di Teseo.

Poi gli enigmi dei manichini, figure inquietanti che richiamano le Muse – uno dei quadri più celebri ha questo titolo – come vaticinatori che evocano il ruolo dell’oracolo, con i suoi presagi e i suoi misteri; e anche espressione dell’uomo-macchina di Apollinaire, il poeta sodale di de Chirico, e financo dell’uomo deprivato della propria coscienza razionale, enigma tra i tanti enigmi del mondo.

Ancora, gli enigmi degli interni “ferraresi” e non solo, con l’accozzaglia di righe e squadre da disegno e altri oggetti di uso quotidiano, per non parlare dei biscotti, incomprensibile se non si pensa alle vetrine da lui viste a Ferrara nel periodo militare nel quartiere ebraico, con tutto il retaggio dei suoi studi sulle religioni che lo interessavano forse per il loro contenuto misterico.

“Interno metafisico con testa di Mercurio”, 1969

Non sono enigmi metafisici ma enigmi altrettanto intriganti gli archeologi con il torace ricolmo di ruderi, evidentemente interiorizzati e divenuti parte integrante della loro persona; i “mobili nella valle” all’aperto “impropriamente” in strada, ma ispirati dalla visione spiazzante dei traslochi; e, di converso, le case e gli alberi nelle stanze, altrettanto impropri ma ispirati anch’essi ad evidenze reali, come l’ara monumentale di Pergamo in una sala del Museo di Berlino.

Sia in quest’ultimo caso, sia negli altri, preminente è l’onda di ricordi personali, e di nostalgie, per quanto di Ellade e Grecia antica si è impresso nel suo animo di adolescente, che frequentava un istituto vicino al Museo, visto come raccoglitore di memorie e cimeli: ed ecco la sala con il Palazzo Reale e altri edifici diventare quel raccoglitore di memorie, mentre gli alberi che si vedono nella stanza, che lui chiama “intrusione della natura”, entrano come elementi naturale  nell’intimità quotidiana ed evocano  la vicinanza degli dei agli uomini della mitologia greca; in chiave moderna   ha anticipato “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli che canta “questa stanza non ha più pareti ma alberi, alberi infiniti…”.  

“Visione metafisica di New York”, 1975

L’Ellade della sua adolescenza rivive nella Metafisica e nelle altre espressioni criptiche, apparentemente stravaganti, anche se oggi con l’arte contemporanea non ci si stupisce come avveniva al tempo in cui queste opere fecero irruzione nel mondo dell’arte. Percorso, sì, dalle provocazioni delle avanguardie, e dalle altrettanto spiazzanti innovazioni dei cubisti e dei surrealisti, ma quelle di de Chirico sottintendevano significati profondi che non si riusciva a rintracciare e ad individuare.

Proprio questo aspetto lo ha posto al centro di polemiche e aggressioni inqualificabili, come quella del capofila dei surrealisti, Breton, ammiratore della prima Metafisica al punto di chiedere con insistenza un’opera del periodo d’oro, accontentandosi di una copia che, con l’autorizzazione del proprietario, fu dipinta eccezionalmente da de Chirico per esaudire il suo desiderio così acuto; ebbene, questo gesto di benevolenza fu spudoratamente trasformato in falsaria produzione di copie, con la negazione dell’accordo nonostante prove inconfutabili che Benzi nel suo libro documenta. Gli strascichi di questo scontro violento si sono fatti sentire a lungo danneggiando il percorso del Maestro, che ha reagito con la sua proverbiale energia sostenuto anche dagli artisti italiani di Parigi.

Ma c’è poi tutto il filone del classicismo dechirichiano, manifestatosi a più riprese e in varie forme, fino alla paziente copia di dipinti dei grandi maestri rinascimentali, per rifarsi alla radice dell’arte e del culto della bellezza, in un’estensione di temi e soggetti, stili e visioni che non ha eguali.

“Il contemplatore”, 1976

Motivo e valore della svolta del 1919

E’ il centenario della svolta del 1919,  che la mostra intende celebrare insieme al quarantennale della scomparsa del Maestro, con una selezione di opere successive a tale anno, tranne il disegno “L’ebreo errante” del 1917. Prima di passare in rassegna la ricca galleria espositiva, dopo la carrellata sui principali temi evocati cercheremo di rispondere all’interrogativo che sorge spontaneo:  perché abbandonò di colpo la metafisica che aveva avuto e stava avendo tanto successo?

La risposta la troviamo nello scritto intitolato significativamente “L’esploratore”, pubblicato nella fase culminante della pittura metafisica, immediatamente prima del fatidico 1919. Rivela l’intenzione di ricercare “un’arte più completa, più profonda, più complicata”, e paradossalmente “più metafisica”, per arrivare a una “nuova Metafisica”. E si propone di farlo cercando “il demone in ogni cosa”, risalendo all’”origine o originarietà”. Il trasferimento a Roma pochi mesi dopo, con l’immersione nella classicità della città eterna fece sì che questi intenti trovassero uno sbocco nel classicismo, apparentemente antitetico alla Metafisica, ma nella sua mente invece contiguo. Del resto ciò è provato dal fatto che nelle sue composizioni metafisiche ci sono sempre richiami classici evidenti.

“Il figliuol prodigo” , 1974

Nulla di improvvisato né di occasionale, fu un cambiamento profondo pur in una continuità ideale espressa nei motivi metafisici che permangono nelle opere classiciste. E per risalire all’origine dell’arte classica si assoggettava a copiare dal vero, nei musei dove  erano esposte opere di Maestri, in particolare del Rinascimento, cercando di penetrare anche nella tecnica pittorica e nei materiali usati, tanto che per un certo periodo abbandonò l’olio per la tempera “all’antica”. E lo ha anche approfondito nei suoi scritti, che costituiscono un vero giacimento culturale abbinato alla pittura.

“So che il valore di quello che faccio oggi apparirà, presto o tardi, anche ai ciechi”, scriveva il 28 dicembre 1921 a Breton che non solo non riconoscerà il valore della svolta, ma lo boicotterà, come si è accennato, con gran parte dei surrealisti – non tutti – mentre sia pure tardi, il “vaticinio” di de Chirico si è avverato: non viene negato il valore della svolta né la continuità. D’altro canto, anche l’indiscussa Metafisica ebbe le aspre critiche di Roberto Longhi e le sue ironie sul “dio ortopedico”!

La Noel-Johnson afferma: “Nonostante le critiche surrealiste dichiarassero il contrario, de Chirico non abbandonò né tanto meno rinunciò alle sue prime opere metafisiche, ma scelse invece di svilupparle nella direzione di una maggiore riservatezza. Non si trattava di un ripudio, di una reazione o di una rivoluzione, bensì di una rinascita compiuta attraverso la scoperta metafisica”.  E ricorda che nella mostra del 1921, sebbene fosse tutto preso dalla riscoperta dei classici fino a farne copia, presentò sia le pitture metafisiche che le più recenti, compresa la copia del “Tondo Doni” di Michelangelo eseguita nel 1920;  inoltre nel catalogo scrisse: “Il lato metafisico della pittura mi ha sempre preoccupato”. E conclude,  riferendosi in particolare alla stroncatura di Roberto Longhi e alle aspre quanto interessate critiche dei surrealisti: “A cent’anni di distanza, non solo queste critiche appaiono datate, ristrette e superate, ma la cosiddetta arte da museo  e la produzione post-1918 di de Chirico risultano ‘audaci’, fresche e innovative tanto nell’approccio quanto nell’esecuzione”.

Natura morta”, 1930

Il viaggio di de Chirico tra passato e futuro

Un motivo che si può ritenere da un lato alla base della svolta del 1919, dall’altro unificante con la prima Metafisica che la precede, è quello del viaggio. Sia nella vita, per i suoi frequenti trasferimenti tra un paese europeo all’altro – dalla Grecia alla Germania, poi dalla nuova sede in Francia  all’Italia – e da una città italiana all’altra, da Firenze a Milano, fino a Roma con la parentesi di Torino; sia nell’arte, nella quale il viaggio viene evocato spesso, con il sigillo del 1917 nell””Ebreo errante”, rafforzato dalla sua attenzione per l’ebraismo sfociata anche nella metafisica “ferrarese” ispirata alle vetrine del quartiere ebraico con esposti poveri oggetti e i tipici biscotti.

Ma c’è di più, il pensiero di Nietzsche, cui è legata tanta parte della sua visione metafisica, contiene un riferimento preciso all’”eterno ritorno”, dal quale il giovane de Chirico – che lo leggeva nell’originale tedesco – fu molto colpito, e si rafforzerà nella convinzione quando i suoi viaggi si moltiplicheranno. Secondo questa concezione, l’esistenza si ripete in un ciclo infinito, e non potrebbe essere altrimenti data l’incessante trasformazione di materia ed energia.

Ecco il filosofo in “La gaia scienza”: “Questa vita, così come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte… e ogni cosa indicibilmente piccola e grande della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione… l’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta, e tu con essa…”. L’insegnamento di Nietzsche è “che il tempo non esiste e che sulla grande curva dell’eternità il passato è uguale all’avvenire”.

Di qui nasce l’interesse per una serie di personaggi mitici, le cui immagini sono presenti nella sua pittura: Giano raffigurato nell’incisione sulla fontana di alcuni dipinti,  simbolo della visione rivolta al  passato e nel contempo al futuro, nato in Tessaglia da cui erano partiti gli Argonauti, simboli del viaggio senza fine; e anche del suo viaggio come di quello di Ulisse e di Ebdomeros – il protagonista del suo romanzo – evocato in due opere in cui naviga nella barchetta all’interno della stanza in moto circolare, simbolo della natura eterna del viaggio, citato in una serie di titoli che incontreremo nella visita alla galleria della mostra.

“Ippolito e compagni”, 1963

Vados, dove nacque de Chirico è in Tessaglia, quindi al motivo mitico di Giano bifronte si aggiunge quello personale in una commistione nostalgica che pervade tutta l’opera del Maestro. La forza della classicità, con la prima parte della formazione ad Atene, non è attenuata dalla circostanza che la sua nascita in quella terra fu, per così dire, casuale trattandosi della sede provvisoria del padre, ingegnere ferroviario che stava lavorando per realizzare la rete in Tessaglia. Troppo forte è stato l’impatto su una mente assetata di conoscenza e su un’anima aperta alla fantasia, come quella del ragazzo, poi adolescente, Giorgio, per non lasciare un segno indelebile, nella vita e poi anche nell’arte, in un itinerario movimentato ma con una costante di fondo: la nostalgia venata di malinconia.   

Il figliuol prodigo, altro tema di più dipinti,  allude specificamente all’unione passato-presente con l’incontro tra il padre, quale statua di pietra o antico gentiluomo, che simboleggia la tradizione e il figlio, manichino metafisico. La Noel-Johnson interpreta così il significato dell’incontro: “L’abbraccio tra padre  e figlio sembra alludere al punto di contatto in cui passato e presente si toccano sulla grande curva dell’eternità nietzschiana, quel cerchio ininterrotto in cui ‘il passato è uguale all’avvenire’ ed è costruito da ‘flussi e riflussi, partenze e ritorni e rinascite’”. Nello specifico della visione dechirichiana, “in questo senso, la scena del ritorno del figliuol prodigo pare simboleggiare l’abbraccio armonioso, da parte di de Chirico, del passato (i grandi maestri) e del presente (la pittura metafisica)”: quindi  non va interpretato come ideale passaggio di consegne da una fase (metafisica) all’altra (classicismo) della propria espressione artistica ma, aggiungiamo noi, come la loro stretta unione  per  dimostrarne la complementarità e la continuità.

“Ritratto femminile”, 1921

L’unione tra passato e presente, lo “straniamento”

Nelle opere di de Chirico, in particolare in quelle metafisiche, è frequente l’accostamento di retaggi del passato, come templi e ruderi, a oggetti del presente nella loro semplice quotidianità. Ci troviamo di fronte al “dépaysement”, lo “straniamento” dato dalle  combinazioni singolari di oggetti avulsi dal contesto in cui sono collocati.

A fronte di tutto questo, va considerata la sua ricerca nell’arte e nella cultura classica per interpretare il mondo moderno con l’apporto del sapere sedimentato nei secoli. E’ un  contesto nel quale si inserisce il suo impegno nel fare copie di opere dei grandi artisti del passato per studiarli a fondo e cercare di carpirne i segreti. L’interesse per il passato nella propria produzione artistica scatta nel 1919, e diventa una costante fino alla Neometafisica dell’ultimo decennio della sua vita;  in fondo un ritorno personale trattandosi di opere che ricalcano quelle della prima Metafisica.

Sulle opere ispirate invece ai più celebri artisti del passato e, in particolare, sulle copie dai dipinti originali, va sottolineata l’evoluzione nel tempo, in quanto si differenziano da quelle del periodo iniziale sia nella scelta del soggetto, sia nell’approccio alla copia: ”Ora l’artista sceglieva di rielaborare particolari – spiega la Noel-Johnson –  o di includere specifici motivi tratti da dipinti dei grandi maestri riprodotti in fonti secondarie… anziché lavorare direttamente sull’originale”.

In sostanza, faceva  rielaborazioni simili o molto vicine a un dettaglio dell’originale, oppure inseriva motivi dei Maestri del passato in un diverso contesto ambientale; o si sbizzarriva negli Autoritratti, in particolare in quelli in costume  del ‘600 o del ‘700 considerati una “novità nel campo del ritratto”.

“Testa di fanciulla da Perugino”, 1921

Le rielaborazioni non vanno considerate imitazioni a cui è ricorso avendo perduto la vena creativa della prima Metafisica, dato che è sempre stato una fucina di idee e di invenzioni; riflettono piuttosto il depaysement . lo “straniamento” cui si è già accennato.  E l’interesse per i classici non  porta a ripudiare, bensì a sviluppare le opere precedenti; anzi, “tanto le realizzazioni artistiche, quanto i suoi scritti  critico-teorici esprimono in maniera costante il desiderio di portare avanti la grande tradizione pittorica ed entrare  a far parte della storia dell’arte”.

Sono parole della Noel-Johnson che, con la citazione di Ingres entra nel campo controverso dell’imitazione: “Quando vi ordino di copiare i grandi maestri, credete che voglia fare di voi degli imitatori servili e dei copisti? No, voglio che prendiate il succo della pianta per viverne”. Risultato, “tradurre la verità della grande tradizione dell’arte”. De Chirico, invece, “cercava di sottoporla  a una ‘trasfigurazione misteriosa’”, non ricercando l’originalità e l’innovazione  come le avanguardie dai surrealisti ai dadaisti, ma l’“originarietà – un’emozione  primordiale ricorrente legata all’origine della creazione artistica… presente in tutta la produzione dell’artista”. Mentre l’originalità vuol dire,  secondo Nietzsche, “non l’essere i primi a vedere qualcosa di nuovo, ma vedere come nuovo ciò che è conosciuto da sempre e, in quanto tale, visto e trascurato da tutti”. E, secondo de Chirico, ciò che qualifica l’opera d’arte è il fatto che “sarà sempre qualcosa di nuovo che l’artista avrà fatto uscire dal niente, qualcosa che prima non esisteva”.

Il problema dell’imitazione e della copia ha suscitato negli anni le polemiche più vivaci, dato che de Chirico vi ha fatto ampio ricorso, né si può liquidare con poche parole. Ci sembrano fornire un’interpretazione autentica le dichiarazioni da lui rese in un’ intervista all’“Europeo” il 30 aprile 1970: “La copia che riproduce e interpreti bene un’opera d’arte può anche essere un’opera d’arte, perché la copia, se è fatta bene, per quanto copia, è un’opera d’arte per forza, non può essere altrimenti”; e ancor più direttamente: “La copia di un’opera di de Chirico, se fosse fatta bene, sarebbe una buona copia della mia opera. Diversa è la questione dei falsi”. Alla base di tutto c’è l’“originarietà” e l’impiego del dépaysement. Non resta che concludere: ”Così è, se vi pare”…

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“”‘Frontespizio’, illustrazione per ‘Siepe a nordovest’ di Massimo Bontempelli”, 1922

Dalla “Metafisica continua” alla “Classicità continua”

Una notazione finale sul motivo di fondo della mostra, “Metafisica continua”. Indubbiamente è una costante che ritroviamo nelle fasi classiciste, come un sigillo, a marcarne la persistenza pur nelle notevoli differenze di stile e di contenuto. Però ci sembra che avvenga anche il reciproco, nelle opere metafisiche, dalla prima ai “ritorni di fiamma”,  non mancano riferimenti classici, anche qui elementi di varia natura, altrettanti  sigilli che l’artista vuol lasciare per sé, prima che per gli altri.

E allora, se i segni metafisici lasciati pur nelle opere classiciste hanno fatto parlare di “Metafisica continua”, ci sembra che altrettanto possa dirsi per i segni classicisti, per cui ci sentiamo di  dire che ci troviamo di fronte anche ad una “Classicità continua”. Così le due forti spinte interiori del Maestro possono congiungersi in un binomio indissolubile, e compenetrarsi nella visione della sua figura, che s’innalza sempre più nell’Olimpo dell’arte di tutti i tempi. Anche perché la sua “Metafisica continua”  unita alla sua “Classicità continua” dà luogo a una miscela tale da aver contagiato i contemporanei, pur così diversi, come dimostra la parallela mostra di Torino.

Concludiamo con il messaggio finale della curatrice Noel-Johnson: “Questo Zeusi novecentesco ci invita a seguirlo come ‘esploratori pronti per altre partenze’, in un viaggio infinito di sorpresa, scoperta e rivelazione metafisica”. Lo traduciamo nell’invito a visitare la mostra, racconteremo prossimamente la galleria delle 6 sezioni espositive.

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“‘Conversazione misteriosa’, illustrazione per
‘Mythologie di Jean Cocteau”, 1934

Info

Genova, Palazzo Ducale, Appartamento del Doge. Catalogo “Giorgio de Chirico. Il volto della Metafisica” , a cura di Victoria Noel-Johnson. Skira, marzo 2019, pp. 248; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Si tratta della seconda parte della trilogia di de Chirico nel quarantennale della scomparsa, e nel centenario del “Ritorno all’ordine” della classicità, pubblicata nel mese di settembre, sulla mostra di Genova, che dopo l’articolo attuale e quello del 18, terminerà con il terzo articolo del 22 settembre; sarà seguita dalla terza parte sulla mostra di Torino, con gli articoli del 25, 27, 29 settembre che concluderanno l’intera trilogia. Per la prima parte della trilogia, basata sulla ricerca di Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”, La nave di Teseo, maggio 2019, pp. 560, cfr. i nostri articoli, sempre in questo sito, usciti il 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15 settembre 2019. Cfr. i nostri articoli precedenti su de Chirico: in www.arteculturaoggi.com, nel 2016, “De Chirico, tra arte e filosofia nel trentennale della Fondazione” 17 dicembre; “De Chirico, e la Fondazione, la realtà profanata tra filosofia e pittura” 21 dicembre; sulle mostre: nel 2015, “De Chirico, a Campobasso la gioiosa Metafisica”  1° marzo,  nel 2013 a Montepulciano, “L’enigma del ritratto” 20 giugno, “I Ritratti classici” 26 giugno, i “Ritratti fantastici” 1° luglio; in “cultura.inabruzzo.it: nel 2009 sulle mostre a Roma “I disegni di de Chirico e la magia della linea”  27 agosto, a Teramo “De Chirico e altri grandi artisti del ‘900 italiano” 23 settembre, a Roma “De Chirico e il Museo”  22 dicembre; nel 2010  a Roma “De Chirico e la natura”, tre articoli l’8, il 10 e l’11 luglio, e sulla mostra parallela, “L”Enigma dell’ora’ di Paolini, con de Chirico al Palazzo Esposizioni” 10 luglio  (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, comunque forniti a richiesta); in “Metafisica”, “Quaderni della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico”, n. 11/13 del 2013,  a stampa “De Chirico e la natura. O l’esistenza? Palazzo Esposizioni di Roma 2010”, pp. 403-418,  anche  nell’edizione inglese dei “Quaderni”, “Metaphysical Art”, n. 11-13 del 2013, “De Chirico and Nature.Or Existence? The Exhibition at Palazzo Esposizioni Rome 2010”,  pp. 371-386. Per gli artisti citati nel testo cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi.com sui Cubisti 16 maggio 2013; in cultura.inabruzzo.it su “Dada e surrealisti” 6, 7 febbraio 2010 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).

Foto

Le immagini delle opere di de Chirico sono tratte dal Catalogo della mostra sopra citato, si ringraziano l’Editore e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta; riguardano le diverse sezioni della mostra commentate in modo specifico nei due articoli successivi. In apertura, “Ettore e Andromaca” 1970; seguono, “”Piazza d’Italia con piedistallo vuoto” 1955, e “Piazza d’Italia con fontana” 1969; poi, “Interno metafisico con paesaggio romantico” 1968, e “Interno metafisico con testa di Mercurio” 1969; quindi, “Visione metafisica di New York”” 1975, e “Il contemplatore” 1976; inoltre, “Il figliuol prodigo” 1974, e “Natura morta” 1930; ancora, “Ippolito e compagni” 1963, e “Ritratto femminile” 1921; continua, “Testa di fanciulla da Perugino” 1921, e “‘Frontespizio’, illustrazione per ‘Siepe a nordovest’ di Massimo Bontempelli” 1922; infine, “‘Conversazione misteriosa’, illustrazione per ‘Mythologie di Jean Cocteau” 1934 e, in chiusura, “Autoritratto con corazza” 1948.

“Autoritratto con corazza“, 1948

14 risposte su “De Chirico, trilogia II – 1. Il volto della “Metafisica continua”, al Palazzo Ducale di Genova”

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