Berlino, il culmine del viaggio della memoria di Monteleone, al Palazzo Esposizioni

di Romano Maria Levante

Per celebrare nel nostro sito il trentennale della caduta del Muro di Berlino, oltre all’articolo “Berlino, il Muro infranto, a trent’anni dalla sua caduta, nella Sala da Feltre” del 9 novembre, ripubblichiamo, sempre oggi in questo  sito, il presente  articolo uscito nel ventennale, il 14 gennaio 2010 , e il precedente, “Cortina di ferro, il viaggio della memoria di Monteleone, al Palazzo Esposizioni” del 12 gennaio, nonché l’altro nostro articolo del 9 novembre 2009, “Berlino, la caduta del Muro, rievocata nel ventennale, al Palazzo Incontro”. Questi 3 articoli furono pubblicati in “cultura.inabruzzo.it” (non più raggiungibile). Le immagini su Berlino inserite non riguardano la mostra, ma la caduta del Muro,, tratte da siti web attuali, ce ne scusiamo con Davide Monteleone per aver ceduto, in questa ripubblicazione, all’odierna enfasi celebrativa.

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cultura.inabruzzo.it – 14 gennaio 2010 – Postato in: Eventi

Si conclude la visita alla mostra “La linea inesistente”, con 70 fotografie di Davide Monteleone lungo l’ex Cortina di ferro, Il viaggio del giovane reporter raggiunge il suo culmine a Berlino, nel ventennale della caduta del Muro, alla riscoperta delle atmosfere di un’epoca e di un evento cruciale per la vita e la coscienza d’Europa nella mostra di Roma aperta fino al 24 gennaio al Palazzo Incontro, promossa da “Italianieuropei” con “Contrasto”.

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Il viaggio nella memoria

Il reportage dalla “linea inesistente” diventa un viaggio nella memoria che il giovane Monteleone vuole recuperare quando dice: “Ricostruisco nella mia mente una storia che non ho vissuto, a cui non ho partecipato. Avrei voluto accarezzare il muro dal lato di Kreuzberg, superandolo sottoterra con il metrò, vedere i lugubri bagliori delle stazioni, avvicinarmi curioso a una porta di Brandeburgo deserta. Avrei voluto arrampicarmi su quel muro, spingere insieme alla folla, essere testimone di quel momento storico”. Con questo nel cuore lo accolgono le ali aperte del grande angelo liberatore.

Forse vorrebbe esserne stato protagonista e non solo testimone, se si rammarica di non aver “partecipato”, di non aver potuto “spingere insieme alla folla”; è chiara la volontà di “arrampicarsi” sul Muro magari quando era ancora sorvegliato dai “vopos”, e ricordiamo l’immagine dei ragazzini ripresi dal fotografo rischiosamente affacciati nel pieno della sua efficienza alla mostra di Palazzo Incontro, sempre a Roma; nei “lugubri bagliori delle stazioni” si sente tutto il regime di polizia.

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Così il diario di viaggio diviene un diario dell’anima, dopo aver attraversato “campagne piatte, cieli grigi, enormi spazi vuoti, il terreno ideale per due mondi che un tempo si fronteggiavano”. A Berlino, il centro dell’Europa, si sono sfidati e confrontati, c’è stato un vincitore e uno sconfitto. Ma il giovane reporter non può sentire tutto questo lungo la “linea inesistente” e giunto dove se ne sente ancora l’esistenza, è il dicembre 2008, si accontenta per il momento delle immagini del Checkpoint Charlie, l’ingresso di un tempo verso la libertà. Per il viaggio nell’inferno di ieri ci tornerà un anno dopo, a un mese dal ventesimo anniversario della caduta del Muro, il giorno dei 60 anni dalla proclamazione della Repubblica democratica tedesca nel settore sovietico della città.

Le immagini si fanno intense, ha frapposto spazio e tempo ai “chilometri di terra piatta e vuota”, prima di entrare nelle viscere di “Berlino, il centro dell’Europa. Straziata dalla Seconda guerra mondiale, divisa dagli accordi di Yalta, di Potsdam, separata dal Muro. Isola nel cuore della vecchia Germania Est, divisione nella divisione”. Aggiungiamo un ricordo personale, della nostra visita a Berlino l’anno dopo la caduta del Muro ci è rimasta negli occhi l’immagine del campanile crivellato di colpi lasciato per “memento” a fianco di quello modernissimo, e della collina che domina la città formata dalle immense macerie di una metropoli totalmente distrutta. Poi la monumentalità austera e inquietante della zona Est della città.

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La galleria di immagini di Berlino

Siamo al 5 ottobre 2009, la galleria di immagini inizia con un volto sofferente, seguono due poliziotti sulla porta di Brandeburgo, animali in una fosca oscurità, quindi l’arteria larga novanta metri per le parate militari, una Via dell’Impero socialista. Subito dopo dei fiori, una ragazza a un tavolino d’angolo nella penombra di un caffé, il volto intenso in primissimo piano, l’immagine di un enorme edificio che schiaccia la piccola figura nel grande cortile immerso nell’oscurità. Poi un’immagine ancora più oscura, “quel troncone di Muro rimasto in piedi a ricordare la limitazione della libertà su Bernauer Strasse mi appare minaccioso, materico, silenzioso e inavvicinabile”.

Lo era allora perché chi si avvicinava per superarlo poteva perdere la vita. Ce lo ricorda Monteleone, non è più il reporter, è un giovane ansioso di ricostruire la storia che non ha vissuto: 136 morti accertati nel tentativo di oltrepassarlo, impresa disperata con oltre 300 torrette di osservazione dove i Vopos armati vigilavano senza pietà; più di cento chilometri il muro eretto tra il 1961 e il 1975.

Dal Muro al camposanto il passo era breve se non si stava attenti, lo è anche oggi per motivi logistici, al termine di Bernauer Strasse c’è il cimitero di Invalidenfriedhof sul canale Spandauer in mezzo al quale passava la linea di confine tra i settori alleati e quello sovietico: la linea oggi inesistente, ma ieri tragicamente presente, una barriera invalicabile tagliava il corpo vivo della città.

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Sono già passati quattro giorni dall’arrivo a Berlino, l’ansia di ricostruire le vicende di allora porta all’aeroporto in disuso di Temphelof, non è possibile visitarlo; si ripiega sul Museo della Tecnica dove c’è un esemplare dei velivoli, dalla sagoma panciuta, utilizzati per il ponte aereo su Berlino dopo che il 24 giugno 1948 i sovietici avevano chiuso gli accessi ai settori occidentali della città interrompendo i collegamenti stradali e ferroviari che passavano nel territorio sotto il loro controllo. Furono interrotti anche i collegamenti elettrici, Berlino Ovest rimase senza viveri, medicinali ed energia. Si sfiorò una nuova guerra mondiale ma la risposta fu pacifica, per oltre 460 giorni, fino al 30 settembre 1949, 1400 voli ogni 24 ore trasportarono giornalmente 13 mila tonnellate di viveri e medicinali, carbone e macchinari: in totale 280 mila voli, 2 milioni 300 mila tonnellate, metà delle quali fatte di carbone per il riscaldamento e la produzione di elettricità. Un esempio di come si può evitare la guerra se si mobilitano tutte le risorse in una battaglia sul piano civile e non militare.

L’immagine che troviamo a questo punto è nera, angosciosa, inquietante, richiama quelle del “Terzo uomo”, là era Vienna, qui Berlino, ma l’atmosfera ci sembra la stessa. Ed è evidente, stiamo per entrare nel cupo mondo della Stasi, l’onnipotente polizia segreta, il Ministero per la sicurezza di Stato. Oltre 90 mila dipendenti, 20 mila informatori, uno ogni 63 abitanti, mentre il famigerato Kgb staliniano ne aveva uno ogni 6000, quasi cento volte meno della Germania Est; Erik Mielke, che ne è stato al vertice dal 1955 alla dissoluzione, diceva che “ognuno è un potenziale rischio per lo Stato” e per questa ossessione paranoica aveva messo su un sistema altrettanto paranoico.

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Monteleone ripercorre attonito questo itinerario allucinante nel suo diario e nelle sue immagini. Che iniziano con un innocuo corridoio dal tappeto rosso dove si aprono insospettabili porte, ci sono anche dei quadri alle pareti. Ma ecco le “interna corporis” rese da scatti semplici ed essenziali: le stanze per gli interrogatori e le celle, le seggiole con la lampada da puntare negli occhi e i tavolinetti, fino ai telefoni per le intercettazioni.

Il diario dell’anima di Monteleone

Leggiamo le parole del diario dell’anima di Monteleone: “I corridoi degli interrogatori sono impressionanti. Ci sono più stanze per interrogare che stanze per detenere. Le sedie, quelle degli interrogatori, non hanno bracciali, sono scomode, isolate, lontane dalla scrivania, quelle dell’’inquisitore’, invece, comode, ampie, basse. Telecamere, sistemi di spionaggio, pedinamenti, controlli assoluti”.

Il giovane con il suo viaggio ha varcato la porta dell’inferno, ascoltiamolo ancora: “Lo sforzo incredibile messo nel controllo della popolazione, della limitazione della libertà individuale, dell’umiliazione personale, della tortura e dei ricatti mi ha sconvolto. I rapporti dei pedinamenti sono tanto assurdi quanto ripugnanti, incredibili”. Ne dà le cifre, quasi incredulo: 112 chilometri i “file” degli archivi messi in fila, 18 milioni le pagine di rapporti, oltre a fotografie, video e registrazioni: furono “salvati” dalla popolazione che occupò la sede il 4 dicembre 1989 temendo che le autorità ancora al potere volessero distruggerli per cancellare le prove di tale barbarie. Sono stati resi pubblici e visibili agli interessati due anni dopo la caduta del Muro, il 29 dicembre 1991.

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Sembra di rivedere “Le vite degli altri”, il film cult che di recente ci ha fatto penetrare in quel mondo d’incubo, ma qui si tratta di toccare con mano la realtà, e il giovane resta fortemente impressionato dalla “spersonalizzazione delle persone” che veniva operata. Le sue fotografie ora non indugiano più sugli strumenti di questa oppressione poliziesca, ce ne fanno sentire l’atmosfera, il peso, l’incubo con degli squarci: il grande palazzo con alcune finestre illuminate, quasi che vi si perpetrassero ancora gli interrogatori, due esterni con alberi, uno con una sbarra di delimitazione, l’altro con molta gente in attesa. Tutti al buio, come al buio sono gli scatti alle persone. Su fondo scuro incombe il viso indagatore con la spessa montatura degli occhiali, il grande inquisitore.

Dopo un’immagine degna di “se questo è un uomo” di Primo Levi, e un’altra enigmatica di un giovane quasi in posa segnaletica, la galleria di interni tutti oscuri: la graziosa giovinetta dagli occhi smarriti e dallo sguardo accorato seduta con la testa appoggiata alla mano destra, i due primi piani all’interno di un’auto fino alla tenerezza della coppia, dove lei si stringe al giovane con trasporto. Tra queste un’altra immagine fosca, c’è quasi somiglianza con Orson Welles del “Terzo uomo”.

Ed ecco il diario di Monteleone raggiungere toni di forte intensità, quasi un “diapason” emotivo che dà alle sue parole il valore di una testimonianza diretta, dove non c’è più nulla di professionale o di costruito, è lo sfogo di un’umanità ferita: “Cammino per la strada e ripenso al numero impressionante degli agenti, degli informatori e dei perseguitati. Se fossi alla metà degli anni Ottanta, la probabilità che il mio sguardo incroci quello di una persona appartenente a una di queste tre categorie, escludendo i bambini, è praticamente assoluta”. Non è solo un’impressione momentanea: “L’ossessione che ho provato nei corridoi di Hohenschonhausen mi fa osservare i passanti, il loro abbigliamento, i tratti somatici, i movimenti. Sono tutti per qualche minuto inconsapevoli protagonisti della mia storia senza tempo che attribuisce all’uno o all’altro il ruolo della spia, del burocrate, del traditore della patria, del perseguitato”.

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Siamo al nono giorno a Berlino, il viaggio non può concludersi nell’inferno della Stasi, Monteleone torna al luogo simbolo della città: “Dal giorno dell’erezione del Muro la quadriglia sulla porta di Brandeburgo guarda a Est. A vent’anni dalla sua caduta continua guardare nella stessa direzione”. L’immagine panoramica di un teatro vuoto con le poltrone allineate in platea e il sipario rosso chiuso illustra le parole finali: “Uno spettacolo si è concluso per lasciarne cominciare un altro”. E si è concluso bene, nel momento della verità ci furono comportamenti responsabili da parte di tutti. Sono eloquenti i documenti del National Security Archive di Washington, che la mostra ha avuto l’ulteriore merito di rendere pubblici, e di riportare a futura memoria nel Catalogo.

I documenti rivelatori dell’Archivio segreto: prima della caduta del Muro

Si tratta del diario di Anatolij Cernaev sulla visita di Gorbaciov di cui era autorevole consigliere, nella Repubblica democratica tedesca il 5 ottobre 1989 per il quarantennale del regime: “In realtà non ha piacere di andarci. Mi ha chiamato due volte, mi ha detto di aver ripulito alla lettera il suo discorso, ben sapendo che lo esamineranno al microscopio… non c’è nemmeno una parola di sostegno di Honecker… ma sosterrà la repubblica e la rivoluzione”. Il popolo lo attendeva come un liberatore, dopo le aperture verso un inizio di democrazia della “perestroika” e della “gladnost”.

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Il consigliere segnala che erano scesi in piazza più di 20.000 manifestanti  a Dresda, di più a Lipsia, un treno di profughi in transito era stato quasi preso d’assalto; avverte che in Ungheria e in Polonia il regime è al collasso: “In poche parole, è in corso un completo disfacimento del socialismo come fattore dello sviluppo mondiale. Forse è inevitabile e anche un bene. Perché è un fatto di umanità che si unisce sulla base del buon senso”. Prosegue riferendosi a Gorbaciov: “E tutto è stato avviato da un tipo normale di Stavropol. Forse ha ragione la Thatcher, quando lo ammira perché pensa che ‘in fondo al cuore’ egli abbia previsto l’auto-liquidazione di una società estranea alla natura umana e all’ordine naturale delle cose”. Fino alla considerazione storica: “E’ un’altra faccenda… se alla Russia siano stati necessari il 1917… e una volta di più (!) i nostri grandi sacrifici perché l’umanità potesse giungere a questa conclusione”

Dalla registrazione del colloquio tra Gorbaciov e alcuni membri dell’ufficio politico del Comitato centrale del Partito socialista unificato tedesco il 7 ottobre 1989 si ha conferma di questo atteggiamento. Dice Gorbaciov: “Il popolo rivendica una nuova atmosfera sociale, più ossigeno nella società, soprattutto perché parliamo di un regime socialista… Per usare una metafora, il popolo non vuole solo pane, ma desidera anche potersi divertire. Se considerate questo fatto in senso generale, stiamo parlando della necessità di creare non solo un’atmosfera materiale, ma anche socio-spirituale per lo sviluppo della società”. Quante parole per evitarne di pronunciarne una che si chiama libertà! Ma il senso è lo stesso, e non lascia speranze agli interlocutori tedeschi sui propri intendimenti: “Dalla nostra esperienza, da quella della Polonia e dell’Ungheria, abbiamo visto che se il partito fa finta che non stia accadendo nulla, se non reagisce alle richieste della realtà, è condannato. Siamo preoccupati per la sorte delle forze sane in Ungheria e in Polonia, ma non è facile aiutarle. Hanno rinunciato alle proprie posizioni. E l’hanno fatto perché non sono riuscite a dare risposte tempestive alle domande della realtà, così gli eventi hanno preso una piega dolorosa”. Lasciate ogni speranza, sembra dire, di un bis dei fatti d’Ungheria e della primavera di Praga quando l’intervento militare di Mosca schiacciò i movimenti popolari che anelavano alla libertà.

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Le ansiose consultazioni nei due giorni dopo la caduta del Muro

Scrive Cernaev, il consigliere di Gorbaciov, nel Diario il 10 novembre 1989: “Il Muro di Berlino è crollato. Tutta questa fase della storia del sistema socialista è finita. Dopo il partito polacco e quello ungherese oggi è toccato a Honecker. Oggi abbiamo sentito messaggi sul ‘pensionamento’ di Deng Xiaoping e di Todor Zhivkov. Solo i nostri ‘ottimi amici’ Castro, Ceausescu e Kim Il Sung sono ancora in giro, tutta gente che ci detesta cordialmente. Ma il fatto principale è la DDR, il Muro di Berlino. Perché non riguarda solo il ‘socialismo’, ma lo squilibrio delle forze nel mondo. E’ la fine di Yalta… dell’eredità stalinista e la ‘sconfitta della Germania hitleriana’. Ecco che cosa ha fatto Gorbaciov. E si è rivelato in realtà un grande leader. Ha sentito da che parte andava la storia e ha contribuito a farle trovare una strada naturale”.

I timori del bagno di sangue che aveva funestato i grandi rivolgimenti storici serpeggiavano nelle capitali occidentali, come traspare dalle parole con cui il cancelliere tedesco occidentale Helmut Kohl tranquillizza il presidente americano George Bush telefonandogli il 10 novembre 1989, il giorno dopo la caduta del Muro: “Sono appena rientrato da Berlino. E’ come assistere a un’enorme fiera. C’è un’atmosfera festosa. Le frontiere sono completamente aperte. In certi punti stanno letteralmente tirando giù il Muro e aprendo nuovi varchi. Al Checkpoint Charlie passano migliaia di persone in un senso e nell’altro. Ci sono tanti giovani che vengono a fare una visita e si gustano il nostro modo aperto di vivere. Secondo me stasera torneranno a casa. Pur con una certa cautela, io le direi che, a quanto pare, l’apertura non ha provocato uno spettacolare aumento dell’afflusso di rifugiati”; cioè quell’esodo, sia ricordato per inciso, che preoccupava il governo cecoslovacco come risulta dal documento inviato alle proprie ambasciate nel quale, il 19 ottobre 1989, venti giorni prima dell’evento, si segnalava un esodo in corso, soprattutto di giovani e di personale qualificato, dopo l’eliminazione delle recinzioni di confine tra Ungheria e Austria, ritenuto un gravissimo pericolo per l’intera economia della Germania Orientale.

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Kohl così continua parlando della manifestazione organizzata dai suoi “amici politici” con 120-200.000 partecipanti:”Lo spirito nel complesso era improntato all’ottimismo e all’amicizia. Quando ho ringraziato gli americani per il ruolo che hanno avuto, ci sono stati molti applausi. Senza gli Stati Uniti, questa giornata non sarebbe stata possibile. Lo dica alla sua gente. Le persone della  che hanno partecipato alle proteste e alle manifestazioni erano sincere, non aggressive. Questo ha impressionato molto. Non ci sono stati conflitti, anche se a Berlino Est, a Lipsia e a Dresda sono scesi in piazza in centinaia di migliaia. Spero che continuino a rimanere calmi e pacifici. Ecco in sintesi quello che le posso riferire”.

L’indomani, 11 novembre, Kohl chiamerà Gorbaciov, cercherà di tranquillizzare anche lui e ne risulterà tranquillizzato lui stesso. Dopo avergli detto che le “centinaia di migliaia di persone” che avevano attraversato il confine della Repubblica democratica tedesca lo avevano fatto solo per visitare la Repubblica federale senza alcuna intenzione di restarvi stabilmente precisa: “Vogliamo che nella  la gente resti a casa propria e non cerchiamo certo di far spostare tutta la popolazione della  nella Germania federale… Il numero di coloro che desiderano stabilirsi stabilmente nella Germania Ovest è molto più limitato rispetto a quello che potrebbe preoccuparci”. E non si riferisce alla capacità di accoglienza, ha già detto che “quest’anno si sono trasferite dalla DDR alla BRD 230.000 persone e tutte sono state accolte e sistemate”. Non è plurale maiestatis, si riferisce alla preoccupazione comune con Gorbaciov: “Non molto tempo fa le ho detto che non vogliamo una destabilizzazione della situazione nella Ddr. Sono sempre di quell’idea”.

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La risposta di Gorbaciov è un esempio di saggezza da vero statista illuminato, disinnesca una situazione incandescente; “I cambiamenti si verificano più in fretta di quanto potessimo immaginare solo poco tempo fa. Certo, i cambiamenti possono prendere forme diverse in paesi diversi ed essere più profondi. Tuttavia, per mantenere la stabilità, è importante per tutti agire responsabilmente. Tutto sommato, io credo che stiano migliorando i fondamenti di una comprensione reciproca. Ci stiamo avvicinando gli uni agli altri. E’ un fatto molto importante… Io penso, signor Cancelliere, che stiamo vivendo una svolta storica verso nuove relazioni, verso un mondo nuovo”. Ma ecco i rischi e gli avvertimenti: “E non dobbiamo permetterci di danneggiare questa svolta con azioni maldestre o, peggio ancora, di spingere le cose in una direzione imprevedibile, verso il caos, forzando gli eventi. Non sarebbe auspicabile, da nessun punto di vista”, neppure occidentale, lascia capire. E qui la parte politicamente impegnativa, il vero sigillo del non intervento, anzi della pacificazione: “Per questa ragione prendo molto seriamente le parole che ci siamo dette oggi in questa conversazione, e spero che lei usi la sua autorità, il suo peso politico e la sua influenza perché anche altri si tengano nei limiti adatti al momento attuale e alle esigenze dei nostri tempi”.

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Gli “altri” evidentemente sono gli Stati Uniti, che in passato lo avevano sollecitato direttamente: “Mister Gorbaciov, apra questa porta, mister Gorbaciov, abbatta questo Muro!” l’appello lanciato da Ronald Reagan a Berlino due anni e mezzo prima, nel giugno 1987. In una continua e stretta vicinanza ai berlinesi, dal ponte aereo del 1948 al famoso discorso alla folla oceanica accorsa alla porta di Brandeburgo per accogliere trionfalmente John Fitzerald Kennedy, con parole entrate nella storia:“Tutti gli uomini liberi, ovunque si trovino, sono cittadini di Berlino. Come uomo libero, quindi, mi sento di dire: Ich bin ein Berliner”.

Ricordare queste parole è la migliore conclusione del viaggio nell’anima di Davide Monteleone che è stato un viaggio nell’anima anche per noi e potrà esserlo per tutti gli spiriti amanti della libertà.

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Info

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Catalogo: Davide Monteleone, “La linea inesistente. Viaggio lungo la ex Cortina di ferro”, con un saggio di Silvio Pons e una selezione di documenti del National Security Archive di Washington D.C., Italianieuropei-Contrasto, novembre 2009, pp. 152, formato 20 x 30,5; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo sulla mostra è uscito in questo sito il 12 gennaio 2010. Cfr. anche il nostro articolo “Berlino, la caduta del Muro, rievocata nel ventennale, al Palazzo Incontro” 9 novembre 2009, sempre in questo sito.

Foto

le immagini, come anticipato in premessa, non sono quelle del viaggio di Monteleone, esposte in mostra, ma sono sulla caduta nel Muro di Berlino che abbiamo voluto inserire in questa ripubblicazione celebrativa del trentennale che avviene il giorno dell’evento, 9 novembre 2019, trent’anni dopo il 9 novembre 1989. Si ringraziano i titolari dei siti web, pronti ad eliminare su loro richiesta le immagini di cui non fosse gradita la pubblicazione, che non ha finalità commerciali, pubblicitarie, o economiche di qualsiasi tipo. Sono inserite in modo da rendere l'”escalation” della conquista del Muro, tratte dai siti seguenti, indicati nella successione delle immagini: 1. raggiungere.net, 2. travelfanpage.it, 3. corriere.it, 4. ansa.it, 5. firenze.repubblica.it, 6. ecodibergamo.it, 7. ilfriuli.it, 8. corrieredi rieti.it, 9. corriere.it, 10. donnamoderna.it. 11. ecodibergamo.it, 12. culturaoscialart.it, 13. ravenna.it, 14. ravennatoday.it, 15. raiplayradio.it.

19 risposte su “Berlino, il culmine del viaggio della memoria di Monteleone, al Palazzo Esposizioni”

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