Alice, il “Chaos”, opere cosmiche ispirate al terremoto, a Montorio

di Romano Maria Levante

Un’esplosione di colori, di sentimenti e di valori in dieci composizioni spettacolari. Visita alla mostra “Caos” dell’artista Alice, inaugurata a Montorio al Vomano (Teramo) il 4 settembre 2009.

Abbiamo parlato di immutabile per la chiesa parrocchiale e per fortuna lo è rimasta. Invece c’è qualche cosa, c’è tanto che ha avuto ben altra sorte, pensiamo solo all’abside della basilica di Santa Maria di Collemaggio, la parte superiore scoperchiata, non potremo mai dimenticare il cielo aperto dov’erano le “voltine” barocche sovrapposte alla nudità della struttura quando vi siamo entrati dopo l’apertura della Porta Santa per la Perdonanza. A terra un cumulo di macerie con l’infinità di elementi che le compongono, pezzi di affresco, di fregio, di tutto; questa frammentazione di un ordine immutabile ha preso il cuore.

Una scena analoga si è ripetuta nelle tante ferite inferte dalla scossa sismica, purtroppo spesso mortali, alle persone come ai monumenti, a tutto; una distesa di oggetti privi ormai di significato perché staccati dalla loro funzione originaria, recisi dalla vita anche quando la vita non è stata recisa. Ricordiamo le immagini post terremoto delle case sventrate, dalle quali emergevano gli interni, messi in piazza in modo impudico per così dire; lo abbiamo visto rappresentato dai “Cinque registi tra le macerie”, è stato un aspetto che ha colpito gli artisti. Ebbene, ovunque oggetti compagni della vita, amati come ricordo o come pegno, dispersi e abbandonati privi di ogni valore.

Ci eravamo chiesti cosa significasse tutto ciò, la disumanizzazione degli oggetti, forse pari a quella della realtà, con la natura divenuta non solo matrigna ma assassina. Aveva un nome tutto questo?

La cosmogonia di Alice

Sì, ora ha un nome, lo ha trovato Alice, e non si è limitata al titolo, ci ha costruito sopra una sorta di cosmogonia e di palingenesi, partendo addirittura dalla Teogonia di Esiodo che al verso 116 postula un “inizio senza inizio” dal quale tutto “trae origine e vita”. Se “sono tre gli attori della creazione” , c’è n’è uno dal quale si parte: “Dunque per primo fu Chaos”, poi vengono “Gaia ed Eros”, la Terra e l’Amore. Cioè tutto. Anche nella Creazione ebraico-cristiana “in principio Dio creò il cielo e la terra” ma non dal nulla; la terra era “informe e vuota”, c’era confusione e indeterminatezza, il Chaos primordiale fu vinto dalla Creazione che diede un ordine superiore. Ci torna in mente l’Aleardo Aleardi della nostra infanzia. “Dimmi, cosa è Dio?”, “‘Ordine’, risposero le stelle”.

Di fronte a tutto questo non potevamo non immergerci nel mondo di Alice, nella sua mostra di arte pittorica e non solo, che prende con i suoi colori lancinanti come prima ci aveva preso il bianco e nero delle foto d’epoca, ma non ci prende il colore, bensì quello che c’è dietro, che c’è dentro.

In primo luogo c’è una sensibilità che viene da lontano, se Maurizio Fallace, uno dei Direttori Generali di punta dei Beni culturali, ha scritto di lei: “E’ la forza e la maestria di un talento innato ed indiscutibile rivitalizzato dalla ricerca, dallo studio e da un bagaglio culturale che si nutre costantemente della curiosità intellettuale e degli insegnamenti che l’artista ha tratto dai numerosi viaggi attraverso le biblioteche, le chiese, d’Europa e le meraviglie del mondo”. E ancora: “I lavori di Alice sono il frutto di un animo profondo che spinge gli occhi a guardare sotto il velo dell’esperienza sensibile e a cercare nuova luce e speranza oltre il limite delle brutali apparenze”.

E ha trovato “luce e speranza” nella visione cosmica di Esiodo, facendo appello a qualcosa di sovrumano nella solitudine disperata dinanzi ad apparenze che più “brutali” non potevano essere avendo la terribile evidenza della realtà. Sarà che ci colpiscono le visioni cosmiche – già era successo con le “Genesi” scolpite da Deredia, come i lettori sanno – sarà che ha evocato in noi l’Aleardi così lontano nel tempo, siamo stati subito presi dalla visione di Alice, che diviene filosofica soltanto in seconda battuta, nasce come impatto con la realtà, brutale come non mai.

Uno studio d’artista devastato, gli innumerevoli oggetti che ne sono strumento di lavoro e arredo a terra, in mille pezzi; come erano tutti al loro posto e in ordine la sera prima, e così li avrebbe trovati l’indomani, mentre erano sconvolti come se ci fosse stato un terremoto distruttivo; e c’era stato veramente il terremoto, addirittura catastrofico, aveva messo a soqquadro, come il suo studio, tutte le case della città, facendone crollare molte, annientando tante vite, seminando terrore e caos.

Dal caos del terremoto al Xàos o Chaos primordiale

Ma è un caos che agli occhi dell’artista assume nuove sembianze, diventa Chaos, dato che per esprimere l’esiodeo Xàos occorre aggiungere l’h, altrimenti sarebbe stato Kàos. E il Xàos di Esiodo è l”inizio senza inizio”, anche se qui sembra segnare una fine. Soltanto in apparenza.

I frammenti di vetri e materiali, polveri colorate e oggetti sono disseminati a terra e sulle tele anch’esse cadute spargendosi secondo contorni elaborati, profili inattesi, immagini inedite mai viste e neppure pensate o sognate. Lontano da ogni ordine e logica secondo il sentire e il vedere corrente, ma poteva trattarsi di un ordine diverso, di una logica nuova forse superiore a quella ordinaria perché creata dalle forze della natura. Anzi da una forza irresistibile come il sisma, scatenata da giganteschi movimenti di faglie, da immani pressioni che sommuovono la crosta della terra. Forze distruttive che, per la compresenza degli opposti, se creano qualcosa lo fanno in grande. E se fosse una creazione di simili forze quella che gli occhi di Alice hanno colto nello studio disastrato?

Questa l’origine di opere che non vanno confuse con i soliti “collage” anche di autori rinomati, di oggetti appiccicati su tela o altri supporti, in una composizione volta spesso più a stupire che a trasmettere particolari significati, meno ancora emozioni. Invece qui troviamo ambedue, il significato sta in una cosmogonia distruttiva che diventa creativa al tempo stesso, non solo per l’episodio che l’ha generata, ma per il significato filosofico che incarna.

Parola quest’ultima non messa a caso, perché è anche alla carne delle povere vittime che pensa l’autrice. Le sue composizioni sono create sotto la spinta dello scompiglio e del tumulto che stravolge le cose e tutto il resto ma per far riacquisire una purezza primigenia nei nuovi assetti voluti dal Chaos, nel senso di nuovo inizio tutto da decifrare; così sono, del resto, le palingenesi.

Il messaggio di Alice

Guardiamole da vicino le opere prima di penetrarne ancora il messaggio. Sono composizioni policrome fatte di una miriade di oggetti e frammenti, tra i quali i coloratissimi vetri di cattedrale e i swarovsky, le perle e i merletti, le catenelle e i fogli di giornale, e poi gli orologi, tanti, ossessivi. puntati sulla stessa ora, le 3,32, non serve dire perché.

E’ un cromatismo magico che pur nei suoi violenti contrasti trasmette un’armonia sottile, come l’accozzaglia di oggetti giustapposti anche in diversi piani rilevati compone un insieme organico del quale non è facile cogliere la chiave. Forse è nelle parole che ci dice l’autrice: “Sono oggetti preziosi perché abbiamo perduto un bene prezioso. Sono messaggi luminosi, ma il bello dobbiamo cercarlo dentro di noi, dentro gli altri. Rifaremo quello che abbiamo perduto, rimetteremo a posto tutti i tasselli, come quelli delle composizioni che, pur eterogenei, hanno trovato una loro unitarietà. La scossa ha creato un disordine, ma con esso nuove forme, opportunità diverse, le ho viste sul posto e le ho fissate per sempre al momento”.

Ci ha confidato pure che l’estemporaneità è nell’ispirazione, non nella realizzazione per la quale c’è voluta una cura particolare, l’approfondimento dei collanti e dei materiali, una razionalità tutta l’opposto dell’istintività di base. Come avviene per lo scrittore, le abbiamo detto ed ha convenuto, che “scrive il libro con il cuore e lo riscrive con la mente”.

E’ stato un piacere parlarle perché i suoi occhi esprimono l’autenticità e la sincerità, pur nella modestia di chi inconsciamente teme di aver trovato qualcosa di troppo grande, e tende a minimizzare. Né si tratta di neofita, lo sviluppo della creatività artistica con la ricaduta sociale delle iniziative volte a promuovere arte e cultura è la finalità dell’Associazione culturale “Forum Artis” che ha sede a Mosciano Sant’Angelo, di cui Alice è presidente con il suo nome anagrafico, Adelina Di Sabatino Di Diodoro. Ha anche interpretato la tragedia delle Torri Gemelle in un’opera che portò a New York nel 2002 come messaggio di pace, premiata come la prima ispirata all’11 settembre. E’ divenuta socia onoraria e medaglia d’oro della “Columbia Association” di New York City, Fire Department, il cui presidente Vincent Tummino venne a premiarla in Abruzzo nel 2005; visita che ha ricambiato tornando a New York nel 2008 per le commemorazioni dell’11 settembre.

L’artista delle catastrofi, allora? No, la sua pittura è ben diversa, ma sa lasciare il passo alle emozioni che cambiano la vita e quando sono così forti e sconvolgenti incidono sull’arte.

Le dieci scintillanti composizioni

Descriviamo le dieci composizioni, create nel terremoto e dal terremoto, e destinate dall’artista alla ricostruzione che è il messaggio subliminale più positivo contenuto nelle opere stesse. Perché non sono fosche e tristi, ma solari e scintillanti di luce e di vita, perché così deve essere il nuovo inizio, raccogliere tutto quanto di positivo è andato in frantumi per ricomporlo nella palingenesi creativa dove Gaia ed Eros prendono il testimone della staffetta da Chaos per volare in alto.

Dal Chaos sono uscite le trecento stelline luminose entrate nel cielo creato intorno al grande cerchio sconvolto nell’opera dedicata alle vittime, l’unica dove non appare nessuno degli orologi che si trovano in ogni altra, e costituiscono la maggior parte degli oggetti della composizione nella seconda opera circolare; la quale, oltre a rappresentare un immenso orologio con le grandi lancette ed includere una miriade di piccoli orologi tutti incollati alle 3,32, per le sue antenne giganti di segnatempo della distruzione diviene la madre terra dalle potenti leve su cui poggiare per ripartire.

Le altre composizioni hanno forme allungate, materiali diversi, un piccolo orologio c’è sempre con presenza discreta, il cromatismo di fondo varia dal verde al viola al blu senza una dominanza particolare. Sono variamente composite nella presenza di oggetti come nella coloritura brillante, che non è resa dalle pur pregevoli riproduzioni; la ricchezza espressiva si può cogliere solo vedendole nella loro originale fattura, impossibile da percepire in tutto il suo rutilante fulgore se riprodotta.

Luce e colore, quindi, ricchezza e ridondanza, una cornucopia che attende di ricomporsi ma intanto sciorina tutta la sua potenzialità di vita e vitalità, superato il trauma del Chaos primordiale.

Il viale della memoria

Usciamo dalla bella “cave” con volte in mattoni che ospita i magici cromatismi di Alice, avendo negli occhi il caleidoscopio di immagini cosmiche da lei create. Torniamo sulla terra pensando alla sincerità dell’ispirazione, dimostrata anche dal gesto di donare le opere per ricostruire cominciando così a dare sostanza al nuovo inizio che supera il Chaos ricreando la vita nei suoi colori.

Il canto popolare” dispensa le sue melodie evocatrici anch’esse di un ordine umano, quello della tradizione dai tempi immutabili. Risaliamo Corso Valentini, vi troviamo una galleria, questa volta attiva e pulsante, di antichi mestieri, di usi e costumi, con l’arcolaio e i fusi della filanda, la preparazione di cibi, gli antichi arnesi e i costumi d’epoca. Una via che non diventa un “viale del tramonto”, le figure e i volti non sono spenti, la virtù atavica dell’Abruzzo “forte e fiero” è tutta in questi protagonisti di una tradizione, di una cultura. E’ un “viale della memoria”, della tradizione che va tenuta viva e vitale perché è un bene prezioso.

Sì, è possibile ripartire. Il Chaos è alle spalle, lo è ancora di più il caos del sisma; c’è sempre questo solido retroterra delle nostre radici che marca un’identità precisa. Ed è sicura garanzia per il futuro.