“Realismi socialisti” al Palazzo Esposizioni, 1. 1920-28

di Romano Maria Levante

cultura.inabruzzo.it, 25 dicembre 2011, postato in mostre

La mostra “Realismi socialisti”, aperta dall’11 ottobre 2011 all8 gennaio 2012 al Palazzo delle Esposizioni, è la più grande rassegna fuori della Russia di un movimento artistico da non rinchiudere nella gabbia dell’ideologia, anche se ne è stato alimentato. Il sottotitolo “Grande pittura sovietica 1920-1970” esprime la mobilitazione per mezzo secolo dei talenti di migliaia di artisti, operata dallo Stato sul vasto territorio dell’impero sovietico esteso dall’Europa all’Asia.

Pur nell’imposizione del valore sociale dell’arte e della superiorità del contenuto sulla forma, il “Realismo socialista” è stata comunque la più grande espressione del realismo e l’unica vera alternativa al modernismo che faceva “tabula rasa” delle forme tradizionali dell’arte. Un movimento di assoluta novità che, sebbene fosse legato all’ideologia totalitaria, si è rivelato ben più complesso e articolato di quanto si possa pensare: di qui il plurale utilizzato nel titolo della mostra.

E’ il trionfo del realismo nella più vasta dimensione spaziale avutasi storicamente. La mostra ne rappresenta la più spettacolare celebrazione, il bel Catalogo Skirà a cura di Bown e Lafranconi ne rende il valore artistico anche se ben diversa è la visione dal vivo dei dipinti di enormi dimensioni.

L’interpretazione autentica dei curatori russi

Ne parlano alla presentazione i curatori, esponenti dei grandi musei russi che ne sono prestatori, dal museo statale di San Pietroburgo alla Galleria statale Tret’jakov che detiene il maggior numero di opere: Evgenija Petrova, Zelfira Tregulova e Matthew Bown, anche l’ideatore, e il quadro d’insieme che ne deriva è istruttivo su un movimento artistico inquieto e complesso. Viene innanzitutto sottolineata la diversità dalle altre mostre limitate agli anni ‘50, quindi fino a Stalin, e di solito organizzate in forma tematica; questa mostra arriva al 1970, quindi alla stagione di Breznev, allorché è venuto meno l’indirizzo forzoso e l’arte si è dispersa nelle più varie direzioni .

L’approccio è cronologico per esprimere lo sviluppo nelle diverse fasi del cinquantennio, attraverso dipinti di grandissime dimensioni, mai comparsi nelle mostre precedenti per i problemi logistici e la ristrettezza degli spazi disponibili, mentre il Palazzo Esposizioni ha offerto le sue ampie sale. E’ un aspetto importante non solo per il contenuto, ma per la qualità dell’arte dato che, anche a prescindere dai soggetti, è stato sottolineato come “non si può dipingere un quadro gigantesco senza essere maestri nel disegno, nell’uso del colore e nella composizione”. L’atmosfera che creano è indescrivibile, in ogni sala si è “avvolti” dalle immagini che fanno entrare nella storia..

Sono “grandi opere di grandi pittori”, e consentono di rivedere il giudizio negativo sul “Realismo socialista”, liquidato fino ai tempi recenti come frutto di imposizione e censura che mortifica ed esclude l’arte rendendola insincera in quanto oppressa dal potere. Il problema c’è ma è molto più complesso, e l’arte dell’epoca del socialismo reale oltre a farci considerare in modo nuovo quel periodo, pone molti interrogativi, anche se dalle risposte difficili, agli storici e ai critici.

Una delle domande verte sulla vita di un artista in quelle condizioni, con l’imposizione e la riduzione in miseria se non aderiva alla mistica di regime. La risposta viene dal constatare che la lunga coabitazione arte-regime rivela forti differenze nel tempo: all’inizio, negli anni ’20, ci sono stati i tentativi dei pittori di mantenere l’individualità cercando di portare avanti, pur nel nuovo corso, le idee dell’Avanguardia e tentando di mantenere all’arte l’autonomia e la soggettività; alla fine del decennio la svolta negativa dopo l’ultima mostra del 1927 sui 10 anni del potere sovietico, con le Avanguardie e i primi realisti socialisti, le cui opere venivano acquistate dal Ministero della cultura e distribuite nei musei russi, tendenza ripresa anche negli anni ‘50-‘80 con l’acquisto di opere nelle principali esposizioni. Questa mostra si poteva creare anche con la raccolta della Galleria Tret’jacov, ma si sono aggiunte opere di più musei per avere maggiore rappresentatività.

Tornando alla fine degli anni ‘20, si sentiva che l’Avanguardia era giunta al capolinea perché il regime ben consolidato intendeva porvi fine. Nel 1929 fallì il tentativo di una nuova mostra, e nel 1930 ci fu la misteriosa morte del poeta Majakoskij che aveva appoggiato l’Avanguardia; il grande pittore Malevic diceva che “seguire Majakoskij è scomodo ma come si fa a vivere altrimenti?” Lui stesso fu bloccato in patria e costretto a lasciare le opere in Germania; cambiano le sue premesse stilistiche, è costretto ad abbandonare l’astrattismo; torna all’arte figurativa, ma le nuove composizioni sono ben diverse dal figurativo assoluto di altri pittori del realismo, in quanto cerca di conciliare il quadro tematico con il suo stile caratteristico. Così crea opere non inferiori a quelle precedenti come qualità, forza e innovazione. Viene evocato anche Tatlin e la sua famosa “Torre della Terza Internazionale” ispirata al “Realismo socialista”, che è andata perduta come altre sue creazioni non conservate o distrutte, ma è considerata un archetipo.

I grandi quadri possono essere visti come un’eredità delle imponenti tele del Rinascimento, Barocco e Neo classicismo, ma la mostra ha un’importanza che supera il pur rilevante evento espositivo: fa parlare di artisti dimenticati anche in patria, fa aprire gli occhi su un’arte che cominciamo a vedere in modo diverso.

Ci si può immedesimare nei percorsi per sopravvivere artisticamente rinnegando l’Avanguardia non con un mimetismo deteriore ma come un abbandono cosciente, nel tentativo di dare vita a una nuova arte. All’inizio degli anni ’30 si può dire che l’arte tentò un compromesso con il potere, tanto che alcune opere già traducono il “Realismo socialista” pur se con una sofferta rinuncia degli artisti. E’ una problematica complessa in un momento storicamente difficile, che richiede un’analisi oggettiva non estrapolando casi particolari per dimostrare un’idea o il suo opposto.

La mostra fa vedere con più oggettività del passato e con occhi nuovi come l’arte si confrontasse con l’ideologia di regime restando autentica, e quale fosse il senso dell’arte legata alla vita reale. E’ un tentativo di analizzare in modo indipendente un’espressione artistica, che riflette cinque decenni fondamentali per l’Unione sovietica e per il mondo, finora considerata un caso anomalo al di fuori dell’arte e della cultura.

Ma l’arte ha mostrato di saper resistere persino nella fase ideologica più dura e pesante, e ha raggiunto elevati livelli anche cantando gli ideali del socialismo, con interpreti quali Deineka che ne ha condiviso i valori, e altri il cui approccio artistico è stato genuino, peraltro restando all’interno degli obiettivi del regime. Va analizzato un percorso tormentato che porta alla creazione di grandi opere propagandistiche da cui, comunque, traspaiono forti contenuti umani.

Nel rapporto tra “Avanguardia” e “Realismo socialista”, ha concluso Bown, c’è molto da scoprire: “Quella voleva distruggere la vecchia arte, questo invece conservava le forme precedenti legate alla rappresentazione della realtà. E’ stato un passaggio da una corrente all’altra, fenomeno ultramoderno come il postmodernismo che ha sostituito il modernismo: l’’Avanguardia’ russa va vista come prototipo del modernismo, il ‘Realismo socialista’ del post modernismo”.

Il suo oscuramento nel dopoguerra è dipeso dal fatto che con la guerra fredda era diventata “l’arte del nemico”, anzi la propaganda del nemico; mentre negli anni ’30 era apprezzato anche negli Stati Uniti; il “Realismo socialista” fu respinto nel momento in cui l’astrattismo diveniva simbolo di libertà. “Lo stesso Deineka lo si è trasformato in vittima del regime mentre è stato sempre nell’establishment, pur attraversando momenti difficili quando fu accusato di formalismo e accantonato; ma se si vuole includere tra i grandi pittori del secolo, e non ci sono dubbi, occorre ammettere che i suoi quadri sono portatori dell’ideologia ‘nemica’ ma si esprimono nell’arte”.

Il plurale del titolo, nell’evocarne il carattere non monolitico ma articolato, ne ricorda anche l’evoluzione nei cinquant’anni: da un’arte specchio dell’ideologia comunista, a un’arte riflesso di sentimenti nazionali come l’amore per la patria e i valori legati alla figura umana, soprattutto con l’emergere di forti personalità artistiche, tra cui spicca Deineka che credeva nei valori esaltati dalle sue opere. Il tutto fino al 1970 che segnò il disgelo, dalla politica alla vita, quindi all’arte.

La visione d’insieme delle 7 gallerie

Abbiamo voluto far precedere quanto sottolineato dalle parole dei curatori russi per non banalizzare una mostra di grande portata, e mettere in guardia dal rischio, prospettato da alcuni critici, di considerare “esagerate” e solo propagandistiche le opere. La presentazione dei curatori indica come siano profondi i contenuti della mostra, anche nel rapporto tra l’artista e la propria opera nel tempo in cui vive dominato dai condizionamenti di un potere che faceva dell’arte uno strumento politico.

Qui i condizionamenti sono stati assoluti, ma non va dimenticato che la grande arte dell’Occidente si è basata sulle committenze, in primis della Chiesa. E non si può dire che non vi fossero pressioni sull’artista, se abbiamo a mente come venissero rifiutate opere che uscivano dagli schemi proposti – non diciamo imposti – lo abbiamo visto in Caravaggio magari dopo la trasgressiva scelta come modella per la figura della Vergine di una donna a lui vicina nota per i facili costumi, se si vuole usare un eufemismo. Anche allora tele di grande dimensione, espressione del potere delle committenze che però non riusciva a spegnere la luce dell’arte, di qui i capolavori. Poi verranno i grandi artisti senza committenze, come Van Gogh, gli impressionisti e altri, ma è un’altra storia.

E’ una riflessione del tutto personale e forse di per sé trasgressiva, ispirata dalla visione d’insieme delle 7 gallerie poste in circolo intorno alla grande rotonda centrale del Palazzo Esposizioni. L’immensità dei quadri esposti, che è il colpo d’occhio immediato, ci ricorda le grandi pale d’altare: sono due religioni diverse, totalmente opposte, ma che si esprimono nell’arte, e come è avvenuto per le opere di ispirazione religiosa, anche quelle ispirate alle utopie del “radioso avvenire” nutrite dal mito socialista devono essere considerate opere d’arte il cui valore non può essere sottovalutato.

Va considerato che la mobilitazione dell’arte nella mistica di regime fu immediata, Commissario del popolo per l’istruzione fu un rivoluzionario, Lunacarskij, che lanciò un appello agli artisti, raccolto dagli esponenti dell’Avanguardia; poi tradusse nel verbo del “Realismo socialista” le sue idee sul coinvolgimento popolare con immagini figurative dai colori vivaci di corpi prestanti e visi sorridenti, impegnati nella vita e nel lavoro alla costruzione di un mondo migliore; a realizzare questo sogno utopico avrebbe contribuito l’arte così improntata, realista e insieme idealista. Lenin aveva una visione pragmatica di “arte comprensibile dalle masse”, e non riuscì a porla sotto il controllo del partito, mentre Lunacarskijscelse il pluralismo culturale. Ma questo fu solo l’inizio.

1920-28, la tolleranza della “Nuova Politica Economica”

Dopo questa introduzione, quanto mai necessaria data la rilevanza e la novità della materia, entriamo nella prima galleria dedicata agli anni ’20: ci sono 9 grandi dipinti, uno frontale, gli altri nelle due pareti laterali, è il “format” dell’esposizione, salvo rare aggiunte di opere più piccole.

Nel quadro frontale, “Il Bolscevico”, di Kustodiev, una grande figura fiabesca domina la città con le strade colme di folla e i tetti innevati, non è mera celebrazione ma mitizzazione quasi infantile, da befana politica con l’infinito bandierone rosso a marcarne l’identità; un’immagine simbolica e non didascalica. E’ invece palesemente celebrativo “La cerimonia di apertura del II congresso della Terza Internazionale”, di Brodskij, con la vasta platea stracolma, i bianchi colonnati che reggono la galleria, qualche bandiera rossa: spicca la folla di delegati, è un genere che avrà molti seguaci.

Poi le due grandi tele di Petrov-Vodkin, i primi piani di volti severi e dignitosi in “Operai”, le braccia conserte della figura a sinistra sono un simbolo di vigore nel lavoro; e il dramma di“Morte del Commissario”, una composizioneessenziale, due figure in primo piano in una posa quasi religiosa da “Pietà”, sullo sfondo figure ammassate dietro le quali si aprono ampi spazi.

La guerra è presente nell’austero “L’ordine di attacco”, di Suchmin: nulla di epico, figure scure in piedi sul bianco della neve che spicca in primo piano, c’è un’atmosfera di sospensione e forse di meditazione; e nel rigoroso “La difesa di Pietrogrado”, di Deineka, con le linee metalliche a segnare nella parte inferiore la marcia verso il fronte dei soldati con i fucili in spalla e in quella superiore il ritorno di figure stanche e ferite, in una visione quasi cinematografica su due piani sovrapposti. Gli strascichi del conflitto in “Invalidi di guerra”, di Pimenov,due sagome scure di soldati in primo piano con immagini di case distrutte a sinistra, dove più che dall’abbagliante fasciatura bianca la sofferenza è data dai volti allucinati.

Dal realismo figurativo di queste opere si distaccano due dipinti dove c’è ancora l’impronta molto diversa delle Avanguardie: sono “Formula del proletariato di Pietrogrado” di Filonov,una composizione quasi astratta dalle tinte tenui, si stenta a decifrarne il significato a meno che il suo aspetto nebuloso non si riferisca al tema cui si intitola; e “Donna- controllore” di Samochvalov, una figura imponente dal cromatismo tenue di cui è evidente la fermezza, con elementi simbolici che danno alla composizione un’atmosfera quasi onirica o spiritica, l’opposto del realismo.

Come si spiegano queste “eccezioni” nell’orientamento generale che abbiamo visto improntato al realismo figurativo? Inquadriamo le opere esposte nel loro contesto storico che segna l’inizio del cinquantennio ripercorso dalla mostra. Dopo la rivoluzione dell’ottobre 1917 e la guerra civile tra i rossi bolscevichi vincitori e le guardie bianche che resistevano, vi fu una guida collettiva con l’iniziale tolleranza della NEP, la“Nuova Politica Economica” che si estese anche all’arte nella quale, tuttavia, fu visto subito uno strumento del regime.

Il nuovo corso lasciava una certa libertà agli artisti, per cui coesistevano diverse forme espressive, ma il figurativo cominciò a imporsi in forma di realismo dieci anni prima del “Realismo socialista”. Gli “antifuturisti affidabili” furono sostenuti da Lenin, uno dei primi fu Brodskij che dal 1922 al 1924 lavorò sul quadro prima citato che diede l’avvio ad un vero e proprio genere celebrativo.

Nel 1922 gli artisti di scuola accademica costituirono l’“Associazione degli artisti rivoluzionari”, il cui manifesto, che esaltava il “realismo eroico”, promosse la rappresentazione della realtà come verità documentaria; fu il fulcro di un sistema di committenze sostenuto anche dall’Armata rossa dal quale il “Realismo socialista” riceverà l’impulso decisivo. Mentre gli artisti provenienti dalle scuole d’arte post-rivoluzionarie insistevano nell’esprimere la verità documentaria in forme moderne; fu costituita l’“Associazione dei pittori del cavalletto”, con Deineka e Pimenov, di cui abbiamo appena visto le opere, con l’intento di unire “contemporaneità rivoluzionaria e chiarezza di soggetto”, inteso come industria e lavoro, sport e vita collettiva.

Quindi pluralismo di stili nella forma; polarizzazione nei contenuti sui temi del progresso nelle varie forme e dell’uomo nuovo creato dalla rivoluzione, che divennero sempre più ineludibili. E’ un processo che seguiremo nelle fasi successive, finora del mezzo secolo abbiamo ripercorso attraverso i dipinti soltanto i primi otto anni dopo aver inquadrato il tutto. Completeremo presto il lungo itinerario nella visita alle altre 6 gallerie con quadri di dimensioni giganti che rendono in modo plastico documentandola e facendola rivivere, una fase storica per tanti versi sconvolgente.

Ph, Ph: le immagini sono state fornite dall’Ufficio stampa del Palazzo Esposizioni, che si ringrazia, con l’organizzazione della mostra e i titolari dei diritti, in particolare i musei di Mosca e San Pietroburgo prestatori delle opere riprodotte.