Deineka, 1. Arte e ideologia fino agli anni ’20, al Palazzo Esposizioni

di Romano Maria Levante

La mostra sull'”Arte Astratta Italiana”, aperta fino al 27 gennaio 2013 alla Gnam, nell’evocare il “realismo” italiano e i laceranti dibattiti sul rapporto tra arte e ideologia sfociati in scissioni dei gruppi di avanguardia,  ci ha riportato alla mente il “Realismo socialista”. Il Palazzo Esposizioni gli ha dedicato nel 2011 una grande mostra, dopo quella al suo maggiore esponente che dal 19 febbraio al 1° maggio 2011 ha aperto l’Anno dei rapporti italo-russi nella cultura e nella lingua, inaugurata dai Ministri della Cultura dei due paesi, in un trittico che ha compreso il celebre fotografo Rodcenko: si tratta di “Aleksandr Deineka, il maestro sovietico della modernità”.

“Portiere”, 1934

La mostra ha fatto ripercorere il periodo storico del “Realismo socialista” nei rapporti tra politica e ideologia da un lato e arte e cultura dall’altro; e ha presentato un artista che nulla nasconde delle sue posiziorrere il periodo storico del “Realismo socialistaW” ni ideologiche e degli stimoli ideali dietro le sue espressioni  artistiche d’eccellenza. E Ha costituito un importante momento di riflessione  su un periodo della nostra vita e della storia dell’umanità nel quale il rapporto dell’arte con il potere è stato molto delicato, per usare un eufemismo. Emmaneele F. M. Emanulele, l’allorapresidente dell’Azienda speciale Palaexpo sede della mostra, ha rivelato di averla voluta fortemente “in una espressa volontà di innovazione culturale e nell’intento di superare quelle barriere ideologiche che hanno a lungo impedito di riconoscere con obiettività i risultati di una civiltà figurativa di sorprendente qualità artistica, anche laddove concettualmente controversa”.  E il termine “controversa”  si riferisce non solo agli aspetti stilistici e al valore delle opere ma anche al sottofondo ideologico che può inquinarne il giudizio.

Le barriere ideologiche

Ricordiamo la mostra “L’arte nell’Urss” che visitammo a Bologna nel dicembre 2000, nella quale erano esposte, oltre alle opere di regime, quelle che gli artisti creavano per se stessi, la cui scoperta, scriveva Astemio Serri, il curatore,  “ha permesso di far capire come quegli stessi autori che lavoravano per lo Stato fossero in realtà artisti completi, artisti veri, la cui sensibilità li rendeva simili all’idea che noi abbiamo di artista… artisti certamente, quasi sempre sotto controllo, costretti da un regime ma pur sempre artisti e quindi capaci, nel privato che sveliamo, di essere liberi come l’arte, che non può essere di destra o di sinistra, ma solo arte libera come solo l’arte sa essere”.

La mostra su Deineka non è stata “catacombale” per così dire, non ci ha rivelato l’artista “segreto” di cui parlava Serri, che esprime nel privato quanto ha represso nel pubblico, non contrappone immagini interiori e dimesse a quelle esteriori e spettacolari imposte o forzate dall’ideologia di regime. E’ stata una rassegna di 80 opere che ne ha ripercorso l’intera storia artistica nei vari periodi cronologici: gli anni ’20 e ’30, gli anni della guerra, e gli anni ’40 e 50, attraverso dipinti, opere monumentali e una grafica ricca di disegni e manifesti, libri e riviste. I temi sono stati approfonditi in tre incontri sul dinamismo sportivo impersonato dal “Portiere”, sul confluire di realismo e tradizione classica nel suo viaggio all’estero, a Roma,  e sui mosaici della Metropolitana di Mosca.

E’ evidente che il primo aspetto da considerare riguarda le “barriere ideologiche”  cadute con l’abbattimento del muro di Berlino e della “cortina di ferro” e la fine del regime in Russia che ha diviso la stessa Unione sovietica in stati indipendenti; barriere cadute  da una parte e dall’altra, per cui si può valutare serenamente un’opera marcata dall’ideologia trattandosi della produzione pubblica secondo le linee del regime. Non è un Pasternak o un Solgenitsin e neppure un Sinjavskij o Daniel, che opposero al “realismo socialista” le ragioni dell’autonomia dell’artista e della sua opera nei diversi campi, dalla letteratura alle arti figurative, tutt’altro: Deineka è stato un militante che ancora nel 1964, poco prima della morte, ebbe il Premio Lenin come “Eroe del lavoro Socialista”.

Ma non si può dire che seguì le regole del regime, anzi fu un profondo innovatore nello stile e nel linguaggio, e se incarnò i valori ideali del realismo socialista lo fece perché corrispondevano alla propria visione che ne faceva valori universali: L’uomo veniva visto nel suo “divenire sociale”  e questo non lo considerava imposto e neppure superato, anzi quando venne in Europa considerava sorpassato il “formalismo occidentale” in quanto non  vi trovava quello che è stato definito come suo carattere peculiare: “lo slancio verso un fine molto più elevato e più profondo”  che sentiva  nel suo paese ed esprimeva con un realismo moderno, innovatore e rinnovatore di valori neoclassici.

Costanti della pittura di Deineka

Si tratta di una semplificazione di sintesi, che si basa sulle diverse fasi della sua vita artistica e della milizia nel movimenti. Nella celebre scuola d’Arte  a Mosca, che frequentò per seguire la propria vocazione di pittore, Vladimir Favorskij gli fu maestro nella classicità e nell’universalità della cultura contribuendo alla formazione del suo stile personalissimo. La prima fase, gli anni ’20, lo vede tra i fondatori della “Società dei pittori del cavalletto” (OST), reazione alle forme fluttuanti di Malevic, e alle macchie cromatiche di Kandinskij  ritenuta arte di “élite” non comprensibile alle masse che andavano avvicinate con un figurativo chiaro nella scelta del soggetto, nella forma stilistica e nella composizione.  Di qui la concentrazione sui temi del lavoro edello sport, della tecnica edella produzione, mettendo in evidenza movimento e ritmo con semplicità compositiva.

In questa impostazione spiccano elementi costanti interpretati in modo particolarissimo dall’artista sotto l’influenza di Favorskij. Il corpo negli anni ’20 è visto da Deineka nella sua entità volumetrica e nel movimento, come scriveva il maestro: “Bisogna rendere la figura umana a tutti i costi nuova, affilata, sensorialmente irritante. E’ come se l’uomo si trasformasse in un oggetto capace di colpire per la propria stessa fattura”. Quindi plasticità e concretezza.

“Nel muoversi, camminare o fermarsi – scrive Irina Vakar nel bel Catalogo Skirà dopo aver citatoFavorskij –  tutti i suoi personaggi sono diversi e ogni loro azione è sempre resa in maniera espressiva. Hanno un’andatura diffusamente cadenzata e goffa i suoi lavoratori coi valenski (stivali di feltro) ai piedi…arranca divaricando le gambe una modesta sciatrice, mentre una militante dai capelli rasati ascolta un discorso durante una riunione, e una non più giovane operaia in un angolo alza le spalle incrociando le braccia … Descrive con evidente piacere degli energici minatori, calmi, incupiti nei loro movimenti misurati, ritmati”.

l tutto senza evidenziare il lato psicologico, a differenza della tendenza dei pittori e grafici russi della rivista “Il Mondo dell’Arte” che negli anni ’20 esaltavano, sì, la bellezza del corpo e l’armonia delle forme, ma con la differenza rispetto a Deineka sottolineata dalla Vakar: “In tutti gli artisti appena menzionati la ‘corporeità veniva immancabilmente controbilanciata dall’attenzione riservata al volto umano e dalla capacità di caratterizzarne i tratti; non è un caso che tra di loro fosse molto diffuso il genere del ritratto’… In sostanza Deineka ruppe con quella tradizione”. Cioè  si stacca dallo  “psicocentricmo, dal culto del volto come specchio dell’anima, nel quale si riflette l’essenza spirituale di una personalità”. Non puntavano a questo i “valori universali” dell’artista, al contrario a mettere al centro l’azione e il movimento di un soggetto ignoto che doveva annullarsi nella massa per  meglio evidenziare i valori come patrimonio generale e non legato al singolo individuo.

“Prima della discesa in miniera”, 1925

La prima fase, gli anni ‘20

Guardiamo le prime opere degli anni ’20 che acquisirono una certa ufficialità perché presentate a grandi mostre celebrative: da “Sul cantiere di nuovi reparti” a quella dell’Associazione Ost del 1926; da“Operaie tessili” alla manifestazione del 1927 per il Decimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre,  dalla Difesa di Pietrogrado” al Decennale dell’Armata rossa degli operai e dei contadini  nel 1928.  E’ importante, quindi,  soffermarsi su di esse anche perché  l’artista sperimenta speciali soluzioni compositive per esprimere appieno i valori del “Realismo socialista”.

In senso cronologico sono precedute da “Ragazza seduta su una sedia“, 1924, una fisicità che sembra attendere di esprimersi sul lavoro, nessun altro elemento dell’ambiente che è uno spazio vuoto; e seguiti da “Autunno”, 1928, un dipinto calligrafico in cui i due buoi con la contadina di cui spicca il fazzoletto bianco in testa sono visti in primo piano nel loro riflesso sull’acqua, e solo in secondo piano nella loro realtà corporea, soluzione compositiva che ci è sembrata straordinaria.

Ed ora andiamo ai tre dipinti delle celebrazioni. “Sul cantiere di nuovi reparti”, 1926, raffigura  due  figure femminili dominanti ai due lati del dipinto che aprono al centro uno spazio  dove si profila un paesaggio industriale idealizzato nella razionalità delle strutture in acciaio che si innalzano sulla ferrovia: la pesante figura a destra spinge a fatica un carrello e guarda sulla sinistra una figura leggera e chiara che le si rivolge con un’espressione  gioiosa. Scrive Kirill Svetljacov: “Sembra che nella luminosa e radiosa ragazza ella veda se stessa, trasfigurata e libera. Così unitamente alla piatta resa delle immagini, il quadro raffigurante una scena di vita di contenuto sociale acquisisce il significato di ‘icona proletaria’ sul tema della ‘gioia del lavoro liberatorio'”.

In Operaie tessili”, 1927,ci sono due figure femminili ai bordi e una al centro all’interno di un ambiente chiaro di cui sono visibili due delle tre pareti di una sala, in quella frontale si colloca il punto di vista dell’osservatore: “Le tre ragazze scalze ricordano le tre Moire dell’antichità classica – è sempre Svetljacov – dalle quali dipendono i fili delle umane vite, e lo sforzo di Deineka è quello di trovare l’equivalente ‘produttivo’ di quanto rappresentato dal mito”.

Dal mito della produzione a quello della storia con “La difesa di Pietrogrado”, 1928: E’ costituito da uomini ma anche da strutture e da armi,  quasi una simbiosi tra le figure  forti e determinate che sfilano impettite e i fucili in spalla le cui canne si stagliano nel fondo bianco in basso, sono i soldati che vanno al fronte; nonché la passerella di metallo dalla struttura solida e insieme leggera in alto dove passano i reduci dal fronte, incurvati e dimessi. Svetljacov lo vede così: “E un vero e proprio quadro storico, privo di enfasi e con la dominante di un’unica struttura spaziale, che ricorda la struttura compositiva a più livelli delle icone antico-russe. Possiamo considerare ‘La difesa di Pietrogrado’ l’ultimo tentativo di Deineka di creare un’‘icona proletaria’, la quale, però, non sarebbe rientrata negli schemi della futura cultura dei palazzi staliniani”. Venne infatti ritenuta espressione di un “formalismo” astratto che tradiva il “Realismo socialista”.

Abbiamo voluto riportare l’interpretazione autentica del critico russo  che sottolinea aspetti simbolici dei dipinti. La loro importanza risiede anche in un  elemento chiave della composizione, lo spazio. Per dare più rilevo alla corporeità dei protagonisti, è visto come un’astrazione geometrica, un vuoto convenzionale che non limita minimamente i liberi movimenti  in modo che possano esprimere l’energia e la bellezza di cui i corpi sono portatori.  Inoltre c’è un ulteriore elemento caratteristico della sua pittura, oltre al colore qui  ancora quasi assente: il metallo considerato una vera struttura della composizione che, in quanto tale, figura riprodotto nella sua essenza, con linee rettilinee e angolari senza arrotondamenti ornamentali.

La mistica proletaria torna in “Prima della discesa in miniera”, 1926.  “I suoi minatori – scrive Elena Voronovic –  non sono delle vittime, quali li avevano sempre raffigurati i pittori del XIX secolo, sono dei lavoratori pieni di dignità e di un sentimento di sicurezza. Ed è questa una tipologia umana molto acutamente colta dall’osservazione della vita reale: quella dell’uomo fisicamente forte robusto, aduso a lavori di questo genere”. La composizione molto scura nella zona centrale con tre minatori dalle figure forti e pesanti dà un senso di oppressione,  alleggerito dalle siluette di tre figure leggere ai bordi che si stagliano di profilo nel controluce di una grata e nel biancore di una parete; che sia una proiezione ideale come si è visto nel dipinto  “Sul cantiere dei nuovi reparti”?.

Nelle grafiche dello stesso periodo troviamo i tre elementi sopra descritti: il corpo, lo spazio, il metallo,  anzi si può dire che erano i dipinti ad essere fortemente influenzati dalla forma espressiva e stilistica delle grafiche per le illustrazioni, che erano la sua attività prevalente e molto intensa.

Si tratta di composizioni sul tema del lavoro operaio forte e dignitoso, “A Donbass” e “In un reparto di meccanica”,  fino a “Martello a vapore nella fabbrica Kolomanskij”: sono i corpi, maschili e femminili, i veri protagonisti, i volti non si vedono o non contano, lo spazio è appiattito, ridotto a un vuoto dove spiccano le figure solide e potenti;  il metallo delle strutture e dei macchinari è l’altro protagonista, né colore né altri elementi fuori dalla simbiosi uomo-macchina.

Le grafiche ci fanno scoprire l’altro tema fondamentale di Deineka, lo sport. E non è di poco conto se si considera l’importanza che questa forma espressiva ha avuto nella sua formazione artistica. Anzi l’OST, il primo gruppo a cui aderì, assegnava alla grafica addirittura la priorità nel favorire il rinnovamento pittorico e nell’orientare il linguaggio figurativo; e lui stesso, come ricorda Jurij Gercuk, scrisse anni dopo:  “Comprendo la pittura, la pittura sottile, ma prediligo il disegno, la forma”.  E fu attivissimo da illustratore e cartellonista, come la mostra documenta .

Per tornare al tema, lo sport è stato per lui importante anche nella vita, avendo praticato oltre a calcio e nuoto, anche pugilato e con successo nel circolo del famoso allenatore Aleksandr Get, il quale  riteneva che potesse diventare un pugile eccellente. Il soggetto non era l’incontro o la manifestazione sportiva raffigurata, quanto il dinamismo che esprimeva, con la plasticità del corpo umano in moto attraverso il quale, e non con lo sguardo, comunicavano le figure rappresentate.

Abbiamo soprattutto copertine o illustrazioni:  due con “Sciatori”, visione collettiva  sulla pista che è il solito spazio indistinto dietro il quale si profilano delle ciminiere di fabbriche dalle quali sembrano partire gli sciatori verso l’osservatore;  e “Sulla pista di pattinaggio”, un primo piano di quattro pattinatrici che in “Pattini” si allarga ad una composizione festosa nella quale sembra di vedere Matisse, peraltro molto stimato da Deineka, che teneva sue litografie esposte nello studio, stima ricambiata dal grande pittore che in una dichiarazione sui pittori russi ebbe a dire: “Deineka mi sembra il più dotato di tutti e colui che si è spinto più avanti nel proprio cammino artistico”.

In una illustrazione della rivista “L’ateo alla macchina” è raffigurato un saggio ginnico con l’istruttore dietro a un crocifisso dove protende le mani un prete in tonaca dalla barba bianca; in un’altra rivista un’illustrazione spettacolare, “Dimostrazione”, il corteo a braccia alzate con le bandiere passa sotto una serie di balconi su più piani colmi di persone plaudenti a braccia protese.

Ma c’è anche “Riposo”, un pannello di oltre 4 metri per più di 2 e mezzo che si trova al Museo Statale russo di San Pietroburgo: esprime il rilassamento dei corpi abbandonati sulle sedie a sdraio, i visi sono indefiniti, lo spazio è vuoto ed evanescente, si conferma l’impostazione dei dipinti.

“Sul cantiere di nuovi reparti”,  1926


Lo sport dipinto negli anni ’30, e i conflitti nel mondo artistico

Per trovare lo sport come soggetto dei dipinti si deve andare nella sezione del 1930, cominciando dal calligrafico “Sciatori” con grande senso del movimento su sci ridotti a linee e spazio ancora inesistente. In “Corsa”, 1931, c’è un  effetto prospettico tutto particolare tra le atlete con il costume bianco sulla pista rossa riprese frontalmente su due livelli in gruppo e le due che le precedono riprese mentre svoltano sulla sinistra su un terzo livello in  primo piano; lo spazio comincia ad esserci, e così il colore. L’altro dipinto “Corsa”, 1932,  mostra cinque atleti di profilo con una spettatrice nel bordo destro della pista che contribuisce a dare profondità allo spazio non più piatto.

Poi il calcio, con il “Calciatore”, 1932, che colpisce il pallone di destro verso l’alto, tiro chiamato “campanile”: chissà se per questo motivo raggiunge la punta di un grande campanile, che ha dietro  le cupolette come sopra al Cremlino. E soprattutto vediamo “Portiere”, 1934, imponente figura di oltre 3,5 metri per 1,20  disteso in volo plastico per afferrare il pallone, in un potente gesto atletico 

Dello sport, che conosceva bene da praticante, poteva mettere in evidenzia le particolarità che sfuggono agli osservatori dall’esterno, sempre nell’esaltazione  della fisicità come  valore universale, legata ad aspetti come equilibrio e armonia, movimento e ritmo,  bellezza e salute.

Non si  creda che il clima artistico e culturale nonché quello politico ad esso collegato fosse tranquillo al punto di potersi astrarre nelle raffigurazioni sportive; al contrario, all’inizio degli anni ‘30 divenne particolarmente agitato. Già nell’anno di passaggio, il 1929, con l’innesco della grave crisi economica vi fu quello che viene definito il culmine dell'”inasprimento della lotta di classe sul fronte delle arti”: gli artisti venivano stanati dalle loro “nicchie borghesi e individualiste”, accusati di pavidità e conformismo e sfidati a prendere contatto con fabbriche e cantieri, cioè a immergersi nel “Realismo socialista” del lavoro per poterlo meglio rappresentare nelle opere. A ciò si contrapponevano  coloro che puntavano sui temi ritenuti più espressivi dei nuovi valori e quelli che puntavano sulla produzione, e non solo per motivi artistici ma anche per le committenze statali.

Si delinearono le due correnti definite in modo grossolano di artisti “borghesi” e “proletari”: questi ultimi, ritenendosi i soli portatori dell’ortodossia ideologica, costituirono l'”Associazione russa degli artisti proletari” che promosse una sorta di “tribunali speciali” e campagne di stampa contro altre associazioni di artisti; nel 1931 vi aderì Deineka, pensando che rispondesse a esigenze sentite.

I conflitti si accentuarono e il regime ne approfittò per  procedere, nel 1932,  alla “ristrutturazione delle organizzazioni letterarie e artistiche”, cioè all’unificazione di tutte le associazioni e organizzazioni artistiche nell’“Unione degli artisti sovietici dell’Urss”, con la sottosezione “Unione moscovita”. Nel 1934, al Congresso degli scrittori, Zhdanov impose alle arti un carattere ideologico a contenuto socialista, con precise direttive per trasformarli in propagandisti di Stato.

In questo clima abbiamo le migliori opere di Deineka, che si concentra nella pittura tralasciando le illustrazioni nelle riviste, e questo segna una svolta secondo Elena Voronovic: “Se i lavori degli anni Venti sono influenzati dalla grafica e dal manifesto, i quadri degli anni Trenta acquistano volume e colore, profondità spaziale e una componente emozionale”.  Una vera rivoluzione culturale e non solo stilistica, perché mutano le forme espressive e si approfondiscono i contenuti.

Degli anni ’30 finora abbiamo avuto solo un assaggio, ne riparleremo prossimamente  raccontando la visita all’ampia galleria di opere di “realismo socialista” nella sua speciale interpretazione, oltre alle opere da lui create a seguito del viaggio in Occidente del 1935: America, Parigi e Roma.

Info

Catalogo “Aleksandr Deineka, il maestro sovietico della modernità”,  Skirà 2011,  pp. 214, formato 24×28, euro 39; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I due successivi articoli sulla mostra usciranno, in questo sito, il 1° e 16 dicembre 2012.  

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra, si ringrazia l’azienda Palaexpo con gli organizzatori e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta.  In apertura “Portiere”, 1934; seguono “Prima della discesa in miniera”, 1925 e “Sul cantiere di nuovi reparti”,  1926; in chiusura “Operaie tessili”, 1927.

“Operaie tessili”, 1927