Aiardi, 3. L’ultimo libro sull’economia e la società del ‘900 a Teramo

di Romano Maria Levante

La “Breve storia economica e sociale della provincia di Teramo nel Novecento”, libro uscito nel gennaio 2012, si aggiunge alla storia pubblicata nel febbraio 2011, “L’Azione Cattolica a Teramo, 1919-1953”, dello stesso autore, Alberto Aiardi, che abbiamo ricordato ieri a sei mesi dalla sua scomparsa, avvenuta l’8 giugno 2012. Economista con un’intensa vita politica a livello prima locale poi nazionale, e uomo di cultura: tra l’altro fondatore e presidente dell’associazione culturale “Maritain”, già presidente del gruppo dei “Personalisti”,  ha dato alle stampe una serie di saggi sui tre filoni – economia, politica e società – nei quali si è esercitata la sua intensa azione politica e culturale sia  di amministratore e legislatore sia di studioso delle grandi problematiche del Paese.

La Copertina del libro

Uscito nel periodo in cui tutti erano impegnati a riempire i moduli del Censimento, il libro di Alberto Aiardi  mostra come si possano utilizzare i dati raccolti con le periodiche rilevazioni censuarie per ricostruire la storia di un territorio, in questo caso la provincia di Teramo.

Sono molte altre le fonti di cui si è avvalso nella sua analisi socio-economica del ‘900 teramano: pubblicazioni dense di dati dello stesso Istituto Centrale di Statistica e della Banca d’Italia, della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Teramo e del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, del Censis e del Centro regionale di Studi e Ricerche Economico-Sociali, oltre alle monografie e agli studi che hanno analizzato vari aspetti dell’economia e della società provinciale.

Un impegno notevole per misurare le profonde trasformazioni e il progresso a livello provinciale. Perché proprio a questo si è rivolta la sua ricostruzione storica e la valutazione dei risultati sul piano economico-sociale nelle varie fasi in cui viene diviso il percorso di un secolo movimentato: la prima metà da fine ‘800 alla 1^ guerra mondiale  e dal 1921 al secondo dopoguerra; la seconda metà del secolo dalla ricostruzione al boom economico, dalle crisi petrolifere alla globalizzazione.

Caratteristica peculiare, diremmo raro pregio del libro, è di inquadrare costantemente il microcosmo provinciale nel macrocosmo nazionale e non solo, con degli excursus evidenziati in corsivo che richiamano i grandi mutamenti dei quali si trovano i riflessi in diversa misura a livello locale.

Non è stato facile passare dall’accurata analisi dell’andamento delle variabili quantitative attraverso la dovizia di dati reperiti dalle diverse fonti utilizzate, alla valutazione della loro incidenza sul tessuto economico e sociale nella sua peculiare conformazione provinciale. L’evoluzione, nei radicali mutamenti, nei progressi e nelle battute d’arresto, è stata analizzata con puntuali riferimenti alle iniziative che hanno mutato il volto all’economia  e alla società teramana; in tal modo tutti possono ripercorrere quel cammino pescando nella propria memoria, aiutati da immagini fotografiche scelte con cura per segnare alcuni momenti di passaggio da una fase all’altra.

Gli inizi del ‘900, una struttura produttiva agricola arretrata

Si comincia con la fase più antica in cui la provincia di Teramo denominata “Abruzzo Ulteriore primo” comprendeva il circondario di Penne, fino all’istituzione della provincia di Pescara nel 1927, complicazione non da poco per l’omogeneità territoriale dei raffronti nel tempo, considerando che il circondario di Teramo nel 1901 era limitato a 39 comuni rispetto ai 35 di Penne con una popolazione non di molto maggiore. L’autore supera questo problema, ma abbiamo voluto citarlo per dare un’idea dell’itinerario accidentato quando ci sono variazioni anche nella base statistica.

Naturalmente i mutamenti economici sono ben più incisivi, basti pensare che prima dell’inizio del secolo il 90% della popolazione provinciale era dedito all’agricoltura, mentre un secolo dopo, nel 2001, tale percentuale  risulta inferiore al 6%. Aiardi accompagna il lettore nel ripercorrere questo cammino attraverso una puntigliosa documentazione statistica riportata con il rigore e la capacità interpretativa dell’economista e l’analisi accurata dei mutamenti nella società di cui la sensibilità del politico e la conoscenza del territorio consente di cogliere i movimenti più profondi.

Chiarisce subito come nel 1901, sulla popolazione di 204.000 abitanti, solo il 13,5%  gravitasse sull’industria, legata soprattutto all’attività agricola, che a sua volta rappresentava il 78,5% del totale: l’industria di allora era costituita in gran parte dai frantoi per l’olio, dai molini per il grano, e dalle officine per gli attrezzi agricoli; poi dolci e liquori, tessuti e  cordami, cave e fabbriche di laterizi, mobili e carrozze, saponi e farmaceutici, stoviglie e ceramiche. Nel 2001, alla fine del secolo, sull’industria gravita già il 44% della popolazione di 287.000 abitanti, aggiungendo ai settori tradizionali – trasformati notevolmente per portarli al passo dei tempi e sviluppati – quelli legati al progresso, come carta, stampa ed editoria, gomma e materie plastiche, abbigliamento, pelli e cuoio e prodotti in metallo, apparecchiature meccaniche, componentistica e impiantistica elettrica ed elettronica, quest’ultima tale da configurare un'”area della ‘meccatronica’” molto avanzata.

Del terziario di inizio secolo facevano parte le attività creditizie essenziali, il commercio limitato ai negozianti di cereali e bestiame, mugnai e pastai, venditori di cuoiami e bettolieri, farmacisti e droghieri, con una percentuale di popolazione addetta del 3,5%, più un altro 3,5%  per servizi e professioni e 1% per la  pubblica amministrazione. Un secolo dopo troviamo oltre al commercio al dettaglio e ingrosso, la logistica dei  trasporti, magazzinaggio e  comunicazioni, l’immobiliare di progettazione e consulenza, sanità e servizi sociali; e un settore creditizio molto sviluppato per l’alta propensione al risparmio. In complesso la popolazione addetta al terziario nel 2001 supera il 52%.

Con questo sommario “come eravamo”, non vogliamo di certo banalizzare l’analisi, al contrario sottolineare con degli elementi tangibili il cammino compiuto che trova una documentazione esauriente sul piano numerico e le relative spiegazioni sul piano dell’analisi socio-economica e della valutazione politica. L’interesse appare evidente dal momento che per ognuno dei periodi in cui viene articolato il Novecento si misura il cammino compiuto, nei progressi e nelle carenze, con riferimenti continui alla realtà esterna con la quale la provincia di Teramo viene posta a confronto e alle peculiarità del territorio con le sue vocazioni e suscettività ma anche le sue debolezze di fondo.  

Il reparto imbottigliamento  della ditta Gavini,
produttrice di gassose e bibite negli anni Venti

Dagli anni ’20  agli anni ‘70

Si ripercorrono così i momenti critici dei dopoguerra seguiti alle due guerre mondiali, con evidenziato il fenomeno dell’emigrazione, rispetto al quale Aiardi ha una particolare sensibilità e conoscenza dall’interno, per i ruoli di vertice avuti negli organismi impegnati in un campo dal quale pochi degli abitanti nella provincia di Teramo e nell’Abruzzo in complesso possono sentirsi estranei. Le sofferenze e i successi dei nostri emigranti sono un’epopea  il cui elevato valore identitario si avverte al di là dei dati statistici che danno la misura dei flussi epocali: la punta si riscontra nel 1960 con un saldo negativo di 3771 persone tra le 5786 uscite e le 2015 rientrate. Viene evidenziato che “l’emigrazione riversava qualche beneficio attraverso le rimesse” e che al termine del primo dopoguerra, agli inizi degli anni ’20, in provincia di Teramo c’era “una popolazione portatrice di una manifesta volontà di migliorare la realtà sociale”.

Nei decenni ’20 e ’30 questa volontà trova riscontro nei fatti, “in termini di benessere qualche passo in avanti si realizzava concretamente”, anche se al di sotto della media nazionale il cui reddito progrediva del 30%: Aiardi valuta la crescita provinciale non inferiore al 25%. I mutamenti nella struttura produttiva non sono rivoluzionari tra il 1920 e il 1936: dal 78 al 72% per la popolazione agricola, dal 15 al 17% per quella industriale, da meno del 7% a quasi il 10% nel terziario. La popolazione della provincia tra il ’21 e il ’31 era salita da meno di 220.000 a 236.000 abitanti.

Gli anni ’50 iniziano con una popolazione che ha superato i 270.000 abitanti, ancora legata all’agricoltura per una percentuale del  64%;  pertanto sale di poco, al  21%, quella gravitante sull’industria  e al 16%  quella sulle attività terziarie; nella graduatoria delle 92 province  Teramo ha l’80^ posizione, dietro alle altre province abruzzesi e ad alcune delle  regioni del Mezzogiorno.

Prosegue la minore velocità della crescita provinciale pur nelle positive benché limitate modifiche della struttura produttiva; mentre cresce il movimento migratorio fino a toccare il massimo, e si assiste all’insorgere di nuovi problemi: “Gli squilibri derivanti dalla differente crescita del territorio, la necessità di una sua più moderna apertura verso l’esterno con adeguati collegamenti viari, l’affermazione culturale e innovativa dei suoi rapporti sociali”.

Nella staffetta del tempo il “testimone”  passa agli anni ’60, quando la popolazione scende al di sotto dei 260.000 abitanti, in presenza di quelli che Aiardi chiama “importanti progressi con notevoli trasformazioni in una crescita economica di particolare importanza”; l’emigrazione diminuisce nel corso del decennio finché nel 1971  si inverte definitivamente il saldo migratorio con il prevalere dei rientri. Profonde modifiche nell’agricoltura con l’abbandono delle terre meno produttive e la fine della mezzadria: “Ma ormai sono gli altri settori che offriranno sempre maggiori occasioni occupazionali ed incrementi di produzione e di reddito”. Lo evidenziano i dati sulla percentuale di popolazione dedita alle varie attività: tra l’inizio e la fine degli anni ’60: nell’agricoltura scende  dal 46 al 28%, mentre nell’industria sale  dal 33 ad oltre il 41%, e nel terziario, comprendendo tutti i servizi, dal 21 al 30%, un vero balzo in avanti.

Nasce il Consorzio per il nucleo industriale  della Val Tordino e quello per il Centro ceramico di Castelli, cominciano gli investimenti dall’esterno lungo la costa e alcune vallate, si crea la concentrazione di iniziative nella confezione, abbigliamento, pelli e cuoio della Val Vibrata, divenuto un modello di “distretto industriale”, e nel mobilio a Mosciano S. Angelo; importanti insediamenti nelle confezioni a Roseto con la Monti e nei sanitari per l’edilizia a Teramo con la Spea, filiazione della Spica, impresa per la ceramica industriale costituita  dalla Simac di Castelli negli anni ’50 quando entrò in funzione il moderno zuccherificio della Sadam a Giulianova dove si insedia anche una fonderia; a Martinsicuro un’altra fonderia con la Veco e una fabbrica di spazzole e carboni per motori. Quindi altre aziende all’interno del nucleo industriale, nelle gomme e mobili in ferro, prefabbricati per l’edilizia, plastica e dolciaria; nell’alimentare, oltre allo sviluppo dei tradizionali pastifici, l’ortofrutta con i moderni surgelati, prodotti di liquerizia e di gelateria.

Cresce notevolmente l’attività alberghiera per lo sviluppo turistico soprattutto nella costa e vengono promosse iniziative per le aree interne e montane, come il Consorzio per la valorizzazione del Gran Sasso soprattutto per gli interventi nel comprensorio dei Prati di Tivo. Si opera attivamente per migliorare la viabilità minore, in specie montana, e iniziano i lavori per l’autostrada Roma-Adriatico con il traforo del Gran Sasso. Si sviluppano l’Università dell’Aquila creata nel 1959 e il consorzio delle Università nelle altre tre province, con i corsi riconosciuti alla metà degli anni ’60. 

Panoramica del nucleo industriale di Teramo

Dagli anni ’70 agli ultimi due decenni del secolo

L’accelerazione nel processo di sviluppo della provincia negli anni ‘70 riguarda più o meno tutti i settori e nel contempo si inverte il flusso migratorio, più rientri che uscite. Un andamento positivo ancora più rimarchevole in presenza della grave crisi petrolifera che minacciò lo stesso modello di sviluppo delle economie avanzate. Si inizia dalla popolazione, che inverte il trend tornando a salire a quasi 270.000 abitanti nel 1981; intanto l’incidenza della popolazione agricola sul totale quasi si dimezza tra il ‘71 e l’81  scendendo dal 28 al 15%, quella del terziario sale ancora dal 30 al 42% mentre la popolazione nell’industria ha un incremento contenuto passando dal 41 al 43%.

In questa fase, con la qualità del suo sviluppo industriale dopo gli insediamenti sopra citati, la provincia di Teramo diventa un modello di vitalità localistica nella direttrice adriatica, tanto che il Censis l’ha definita, riferendosi alla Val Vibrata, “la Milano del Sud”. Piccole e anche medie imprese nascevano “per iniziativa di uno spirito imprenditoriale di base, che aveva avuto modo di formarsi proprio dalle esperienze commerciali, artigianali e anche rurali della zona”.

Sottolineato questo dinamismo nell'”apporto equilibrato di tutti i settori, con nuovi rapporti di integrazione e scambio”, Aiardi precisa che “i problemi però non mancavano”, e li individua nelle produzioni soprattutto “mature” per consumi di base con scarsa diversificazione e specializzazione, nell’insufficiente innovazione e nella fragilità organizzativa esposta ai mutamenti del ciclo economico. E aggiunge: “Restava però la forza di reagire, espressione di quello spirito di iniziativa  che aveva prodotto l’avvio delle prime esperienze di imprenditorialità, anche artigianale”.

I due ultimi decenni del secolo si aprono con l‘esplosione del fenomeno dell’immigrazione, i cui primi segni si sono manifestati negli anni ’70 insieme con la fine dell’esodo. Un fatto positivo, una prova di vitalità contrapposta all’invecchiamento della popolazione e al continuo spopolamento della montagna, nonché all’accentuazione del grave problema della disoccupazione giovanile. 

Il sistema produttivo raggiunge l’equilibrio caratteristico delle economie avanzate mentre la popolazione cresce di 10.000 unità  fino a toccare quasi 280.000 abitanti nel 1991 e ad avvicinarsi ai 290.000 nel 2001, con 287.000 abitanti.  La percentuale impegnata nell’agricoltura, già pari al 9% nel 1991 – risultato di per sé ambizioso stando ai dati di partenza – scende nel 2001 al 5-6% ; quella nell”industria smette di crescere attestandosi al 42%, mentre la percentuale del terziario relativa ai servizi supera la metà della popolazione attiva raggiungendo il 52%,

Si rafforza la dotazione infrastrutturale, importante fattore di sviluppo, con l’apertura del traforo del Gran Sasso e di altre tratte e la realizzazione di reti metanifere per usi civili e industriali; emerge “una certa capacità di adattarsi alle nuove esigenze produttive e alle  moderne domande di tecniche di comunicazioni, di sistemi informatici, ecc.” . I risultati si vedono nella crescita delle esportazioni.

Questi elementi positivi, mentre mostrano “l’economia provinciale come una realtà non ferma, pur se non con un’accentuata dinamicità”, non sono però sufficienti “per quel salto di qualità necessario a consolidare il cammino finora realizzato e ad afferrare le opportunità dei nuovi percorsi”. Perché ad esse si associano le minacce crescenti che vengono dall’aspra competizione divenuta globale.

Ciò richiede quel più elevato tasso di innovazione tecnologica che è mancato per una serie di motivi. Tra questi Aiardi sottolinea  “la sottoterziarizzazione dell’economia locale, che produce un ritardo nella percezione dei processi innovativi e una conoscenza frammentaria degli stessi”, e cita la monografia del prof. Mauro sulla provincia di Teramo che analizza le “piccole imprese e distretti industriali”: “Ciò induce  a ritenere che talvolta l’innovazione è stata spesso attuata per adattamento, anziché con continuità e sistematicità”. Per questo motivo è al di sotto delle esigenze, è limitata ai processi produttivi e non innova nei prodotti, come è necessario per il salto di qualità.

Contro il declino, il ruolo di cerniera tra Sud e Centro

L’andamento del reddito negli ultimi decenni riflette queste difficoltà. Nel decennio 1980-90, con uno sviluppo superiore a quello nazionale, il reddito pro capite è cresciuto del 75%  superando nel 1991 i 28 milioni di lire a valori 2001, il 90% rispetto al livello medio del Paese e collocando la provincia al 60° posto tra quelle italiane; è il massimo avvicinamento di una lunga marcia che era riuscita a ridurre notevolmente la distanza, considerando che nel 1963 il reddito pro capite provinciale era il 60% di quello nazionale, percentuale salita al 73% nel 1975 e all’83% nel 1984.

Pur rilevando tale successo in 30 anni di crescita con fasi alterne, Aiardi evidenzia il peggioramento successivo: nel 1995 si scende all’85%, nel 2001 all’82% fino al 2010 nel quale il reddito pro capite provinciale, che raggiunge i 30 milioni di lire, si riduce all’80% di quello nazionale, e la posizione relativa tra le province arretra al 69° posto. Tra le cause la scarsa capacità innovativa, le carenze organizzative e nei servizi, le difficoltà di mercato che la globalizzazione ha accentuato.

Il Centro regionale di Studi e Ricerche Economico-Sociali, CRESA, nel rapporto del 1° trimestre del 2011 fa un’analisi impietosa della situazione abruzzese applicabile alla provincia di Teramo che dal 2002 è arretrata dal 2° al 3° posto nella graduatoria regionale del reddito pro capite: l’Abruzzo, si legge nel rapporto, è “pressoché fermo dalla seconda metà degli anni Novanta, pesantemente colpito dalla recessione mondiale del 2008-2009, che ne ha riportato indietro di dieci anni il livello di produzione, paralizzato da un terremoto da cui si cerca di uscire con lo stesso passo lento  con cui si cerca una via di uscita dalla crisi economica”. Le conseguenze? “Come per il Paese, l’insieme di questi fattori espone la sua economia al rischio di un progressivo declino”.

Al fine di fronteggiare tali tendenze, secondo Aiardi “è importante rendersi conto della necessità di intensificare gli sforzi per procedere nella introduzione regolare di modalità innovative per i sistemi produttivi e per le risposte ai mercati”.  Inoltre “è indispensabile riattivare quel clima di iniziativa e di entusiasmo imprenditoriale che si espresse al meglio dando vita al localismo emergente”.

Vengono citate le precise indicazioni degli studiosi Landini e Massimi, che in un saggio sulla geo-economia teramana richiamano l’attenzione sulla possibilità di valorizzare la posizione geografica della provincia dandole “quel ruolo di ‘cerniera’ che finora è stato genericamente attribuito all’intero Abruzzo”. Anche Giuseppe De Rita, dall’osservatorio del CENSIS, in un convegno a Teramo, nel vedere  “un ruolo moderno del territorio provinciale, in sinergia con quello ascolano”,   ha detto che “prospettive forti di sviluppo possono derivare da una linea articolata di interventi per esaltare la funzione di nodo scambiatore intermodale tra nord e sud e le sponde del mare Adriatico”.

Aiardi si collega a queste analisi convergenti e ricorda come la provincia veniva considerata “zona vera di passaggio dal Sud al Centro, con una linea di demarcazione che la attraversava nel mezzo del territorio”. E ne trae questa conclusione, con cui termina anche il nostro excursus sulla sua cavalcata nella storia economica e sociale del ‘900: “Il salto decisivo di qualità è quello di essere ‘cerniera attiva’, come realtà ormai facente parte a pieno titolo delle sinergie  dell’area centrale del Paese, con la capacità di guardare al nuovo secolo con rinnovato spirito di volontà ed intraprendenza”.

E’ il lascito di chi nel vecchio secolo tanto ha fatto per alimentare questo spirito. Per questo ci sembra significativo che l’immagine con cui chiudiamo il nostro ricordo lo veda alla presentazione del suo libro con lo sguardo sereno e fiducioso a lui proprio. Da non dimenticare. 

Info

Alberto Aiardi, Breve storia economica e sociale della provincia di Teramo nel Novecento, Galaad Edizioni, gennaio 2012, pp. 170, euro 10,00. Dal libro sono tratte le citazioni riportate nel testo. Il 3 novembre abbiamo pubblicato su questo sito l’articolo “Aiardi, un testamento spirituale negli ultimi due libri”; ieri 8 novembre 2012 abbiamo commentato il libro del 2011 con l’articolo “Aiardi, il penultimo libro sull’Associazione cattolica 1919-53 a Teramo”; oggi commentiamo singolarmente l’ultimo libro del 2012.  

Foto

In apertura la copertina del libro; seguono due immagini tratte dalle illustrazioni dello stesso libro: “Il reparto imbottigliamento  della ditta Gavini, produttrice di gassose e bibite negli anni Venti” e “Panoramica del nucleo industriale di Teramo“; in chiusura Alberto Aiardi alla presentazione del libro, si ringrazia “Il Centro”, nella persona del direttore Mauro Tedeschini, per la gentile concessione di un’immagine così bella ed espressiva. 

Alberto Aiardi alla presentazione del libro