Dalì,3. l’Italia da Venezia a Roma, al Vittoriano

i Romano Maria Levante

Si conclude il nostro racconto della visita all’affollata  mostra  “Dalì, un artista, un  genio”,   al Vittoriano dall’8 marzo al 1° luglio 2012,  che trascorsi diversi mesi mantiene vivo l’interesse per conoscere il personaggio e l’artista. Dopo i dipinti della sua formazione nei vari stili e quelli surrealisti che sono il cuore della sua opera artistica fino al classicismo rivisitato negli ultimi anni – di cui abbiamo parlato – l’esposizione ha illustrato lo stretto rapporto di Dalì con l’Italia. Non solo la sua passione per i grandi artisti del classicismo e i contemporanei italiani, ma la scintillante serie di sue “performance” nella vita mondana e le sue espressioni artistiche originali e innovative.

Dematerializzazione vicino al naso di Nerone”, 1947 

Questa parte conclusiva della mostra si è sviluppata  nel piano superiore del Vittoriano in senso cronologico, rievocando i momenti dei suoi viaggi in Italia e le fasi delle lunghe permanenze nel nostro paese; il tutto illustrato con una dovizia di documenti visivi,  video, articoli e lettere, documenti e fotografie, quadri e disegni; inoltre opere frutto di ardite incursioni in vari campi.

E’ emerso il legame profondo con l’Italia, non solo per l’attrazione esercitata dal classicismo – soprattutto Raffaello e Michelangelo – ma per qualcosa di intrigante dell'”Italia plurale”, come la definisce  Lea Mattarella,  curatrice della mostra con Monste Aguer: “Il Bel Paese per Dalì è anche mistero, luogo ideale per provare il ‘fenomeno dell’estasi’ teorizzato fin dal 1933 come ‘lo stato vitale più sconvolgente fra i fantasmi  e le rappresentazioni psichiche’ in cui ogni senso e significato contengono il loro contrario”; il fascino dell’Italia esercitato anche su Picasso.

Già nel 1920, da studente, Dalì annotava nel diario: “Vincerò una borsa di studio per andare quattro anni a Roma e al ritorno sarò un genio, il mondo mi ammirerà. O forse sarò disprezzato e incompreso, ma sarò un genio, un grande genio”; nel 1964 si immedesimerà con le parole di Goethe che giunto a Roma disse: “Finalmente, sto per rinascere”.

Ancora prima della sua intensa frequentazione dell’Italia non mancavano  rapporti con i pittori italiani anche contemporanei, non soltanto con i grandi classici. Seguiva la rivista “Valori Plastici”, alcune sue figure femminili richiamano quelle di Casorati e di altri italiani. Marinetti gli attribuiva caratteri di futurista anche se operava scomposizioni cubiste e non aveva il culto della velocità  né esaltava il movimento, tutt’altro: gli orologi di Dalì sono liquidi e molli e si sciolgono nell’aria, ma alludono al tempo preso di mira dai futuristi. E certi atteggiamenti quanto mai estrosi collimavano.

Gli anni ’60:  il “Don Chisciotte”,  Fellini e Visconti

Il nostro iter italiano comincia dalla fine, il 1964 anno delle 130 tavole in bianco e nero e a colori  del “Don Chisciotte di Cervantes”:  la mostra ha esposto, oltre a istantanee di Dalì, 32  originali dei fascicoli settimanali sul “Tempo” destinati ad essere rilegati, una esaltante cavalcata di immagini nelle quali le deformazioni della sua visione della realtà non tolgono nulla alla resa figurativa, anzi rendono in modo plastico il carattere del personaggio raffigurato. La televisione trasmise un documentario dal titolo “Salvador Dalì. Il mestiere del genio”, quest’ultima parola che lui scriveva per sé già nel 1920 è riapparsa nel titolo di questa mostra nella “sua” Roma novant’anni dopo.

Sono state esposte le fotografie scattate da Frontoni a Dalì con Fellini e al modello americano Rothlein coni i curiosi baffetti ritorti  per un provino nella parte di Dalì giovane nell’ipotizzato film biografico cui teneva molto la moglie Gala, ma non si fece; l’incontro con Fellini lasciò una traccia nel “Libro dei sogni” del  regista, in mostra era aperto alle due grandi pagine in cui sogna Dalì.

Luchino Visconti  era amico suo e di Gala, a lei deve l’incontro fatale con Helmut Berger; nel film  “Ludwig” del 1973, le inquadrature di Berger che naviga nelle grotte di stalattiti su una barca a forma di conchiglia con i cigni intorno richiamano dipinti di Dalì degli anni ’40.  Del resto il re di Baviera era stato il protagonista di un balletto wagneriano nell’opera “Bacchanale” di cui a New York gli erano state affidate le scenografie, fu la prima da lui realizzata in America. Molto espressivo il “Bozzetto di scena per Bacchanale” del 1939 con il grande cigno in primo piano, nell’ottica italiana va sottolineato  il tempietto del Bramante in lontananza in cima al monte ma riconoscibile come derivazione da “Lo sposalizio della Vergine” di Raffaello, che come abbiamo visto era la sua grande passione fino all’identificazione anche fisica nell’età giovanile.

Dalì scrisse il soggetto di un film  “neomistico”, con la storia surreale di una donna paranoica la quale identifica la persona amata scomparsa in una carriola, e per questo se ne innamora fino a renderla di carne in una sorta di reincarnazione: di qui il titolo  “La carriola di carne”; interprete prescelta Anna Magnani, ma il progetto non andò in porto.

I suoi contatti con il mondo artistico non si limitano a questi, sono senza limiti di generi; ma coltiva sempre la pittura partecipando alla mostra di Milano per 8 pittori surrealisti, Brauner e Dalì, Ernst e Lam, Magritte e Matta, Picabia e Tanguy esponendo la propria opera “Composizione surrealista”.

Intermezzo veneziano nel 1961, sono state esposte 12 fotografie che lo ritraggono in gondola e  in vari luoghi veneziani. Insieme a queste  molte altre immagini fotografiche, anche raggruppate in grandi collage che lo presentano in tante situazioni, dal barbiere, al bar e altrove.

“Bozzetto di scena per ‘Bacchanale'”, 1939 

Gli anni ’50: il “Rinoceronte” e la “Divina Commedia”

Nella nostra marcia all’indietro siamo ora nel 1959, è la rivoluzione del Rinoceronte,  proclamato da Dalì l'”ispiratore ideologico” di una nuova rivista culturale che esce veramente. Afferma che “nell’incrocio delle spirali del girasole c’è evidentemente la sagoma perfetta del rinoceronte”, definisce la punta  del suo corno arrotondata e rivolta verso la terra o il cielo di una “perfezione assoluta”. Non lo ritiene “d’origine romantica o dionisiaca. Al contrario è apollineo”, sono le sue parole. Allo Zoo di Roma una sua “performance” con l’imponente animale, dopo  quella di diversi anni prima nel “Giardino dei mostri” di Bomarzo. Le fotografie in mostra ricordavano l’evento.

Nel 1954, dieci anni prima delle 130 tavole del “Don Chisciotte”, espose a Palazzo Rospigliosi  oltre a 28 dipinti e 17 acquerelli e disegni, 102 illustrazioni della “Divina Commedia “; 24 di queste andranno poi alla XXVII Biennale di Venezia. Alla presentazione romana fece scalpore un’altra sua “performance” stravagante: si fece trasportare per le vie cittadine da due coppie di incappucciati in un “cubo metafisico” dal quale spuntò all’interno del palazzo per pronunciare un discorso in latino. Alla X Triennale di Milano furono esposti 21 gioielli disegnati da lui dai titoli particolarmente espressivi: “L’occhio del tempo”, “Il cuore reale”, “Labbra di rubino”.

Gli anni ’40 e ’30: Il Palladio e Visconti, i mostri di Bomarzo  e Ravello

Il nostro percorso del gambero nella vicenda italiana di Dalì rievocata nella mostra ci porta ora più indietro, al 1948, al termine degli otto anni trascorsi in America. Due suoi dipinti della collezione di Peggy Guggenheim furono esposti al padiglione greco della XXIV Biennale di Venezia, sono “Donna addormentata in un paesaggio” e “Nascita dei desideri liquidi”. Lui con Gala è ospite vicino Vicenza del marchese Roi, un mecenate discendente di Fogazzaro che nella villa ha ambientato parte di “Piccolo mondo antico”. Studia le strutture del Palladio delle quali trasferisce la “divina proporzione” nella sua “architettura antropomorfa”: i “corpi abitati” da fossili e altro sono una sua costante fino ai quasi “d’aprés”  di Michelangelo  che abbiamo trattato nella prima parte.

Scrive il primo capitolo di un romanzo;  la campagna vicentina lo affascina. Lavora a “La Madonna di Port Lligat”,  che abbiamo descritto a suo tempo citando le ispirazioni classiche, in particolare da Piero della Francesca; e alla “Leda atomica”, di cui è stato esposto uno studio preliminare, datato 1947, con chiaro riferimento alla “Leda” di Leonardo da Vinci. Le due opere finite sono in data posteriore, 1949. Del 1947 è “Dematerializzazione vicino al naso di Nerone”, la cui struttura  anticipa  quella della “Madonna di Port Lligat”, per l’arco e la trabeazione classica vitruviana come simbolo di “perfezione celeste” sopra alla figura – qui  un busto dell’imperatore – oltre che per riferimenti simbolici.  Sono tre opere su cui si riflette l’impressione prodotta dalla prima esplosione atomica, nel periodo  di “misticismo nucleare”, nel 1951 ci sarà il “Manifesto mistico”. Queste citazioni molto sommarie stanno a indicare che l’Italia si fa sentire anche nella sua arte, non è soltanto lo sfondo dell’instancabile protagonismo mondano nel nostro paese.

In quel periodo trascorre una settimana a Venezia dove incontra l’architetto Clerici e gli chiede di affiancarlo nella scenografia che sta preparando per Luchino Visconti, regista dello spettacolo teatrale “Rosalinda o Come vi piace” di Shakespeare in scena a Roma nell’autunno. Scrive al riguardo: “Le mie scene si ispirano a un mimetismo autunnale, ammoniacale, sterilizzatissimo; i miei costumi sono morfologici, e, per meglio servire i miei spettatori,  anche profetici”.  Alla Galleria dell’Obelisco il giorno dopo la prima furono esposti i suoi bozzetti per le scene e i costumi. Spicca in modo particolare il bozzetto intitolato “Progetto per Rosalinda o Come vi piace”,  che raffigura due elefanti, con un obelisco sulla groppa, dalle lunghissime zampe filiformi da insetti, quasi dei trampoli, ai margini di un paesaggio sotto un cielo rosso fuoco.La Mattarella osserva che animali simili sono presenti in altri due dipinti  del 1944 (“Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melograna, prima del risveglio”) e del 1946 (“Le tentazioni di Sant’Antonio”); del 1946 è  il disegno in mostra  “Elefante con obelisco”, a conferma che l’ispirazione berniniana era precedente.  A corredo è stata esposta una lettera  a Visconti  in cui Dalì si preoccupa di “coordinare le luci in rapporto alla tensione drammatica del testo”; e nella scena finale crea “con un abile gioco di luci e ombre, un’atmosfera ‘crepuscolare’, che coincide con il ‘settecento autunnale’ voluto da Visconti”.

Dalla capitale a Bomarzo il passo è breve, a novembre visita il “Giardino dei mostri” con le statue surrealiste ante-litteram di Pirro Logorio, e si esibisce nella “performance”  da cui la nota fotografia, esposta in mostra, che lo ritrae con una candela accesa entro le fauci dell’Orco scolpito.

Nel cammino a ritroso tra le sue esperienze italiane arriviamo al 1935, l’anno in cui soggiornò nel mese di ottobre a Ravello con Gala su invito del poeta e collezionista inglese Edward James.  Doveva essere con loro anche Garcia Lorca, che Dalì, suo grande amico, rivide dopo sette anni: era stato invitato ma non poté raggiungerli; qualche mese dopo fu assassinato nella guerra civile spagnola, lasciando in Dalì il rimpianto che se fosse andato in Italia con loro si sarebbe salvato.

“Progetto per ‘Rosalinda o Come vi piace”,  1948 

Altre provocazione: gli “oggetti inutili” e la pubblicità

La stravaganza anche trasgressiva non toglie umanità al nostro personaggio;  del resto genio e sregolatezza sono abbinati, e in lui entrambi evidenti, spesso amplificati dall’uso dell’immagine dell’artista come soggetto e oggetto della sua stessa opera, anticipando la moda di Andy Warhol.

Sul piano artistico cerca di esprimersi anche in opere diverse da dipinti, disegni e acquerelli, come alcune sculture e la provocazione dei cosiddetti “oggetti inutili”: è stata esposta in mostra la lamiera di acciaio con all’esterno mollette dei panni e all’interno ami da pesca. Non esita a concedersi alla pubblicità con le fotografie a colori che lo ritraggono in posa a fianco di pneumatici Pirelli, le bottiglie celesti con disegni daliniani e altri lavori per “Rosso Antico”. E’ stato esposto anche  il suo scooter, la  “Vespa”  verde 150 S, con tanto di scritta personalizzata e targa AB 14142.

Abbiamo pescato “fior da fiore” dall’accurata cronologia “Salvador Dalì in Italia” – redatta dalla Fundaciò Gala-Salvador Dalì, cui si devono molti prestiti della mostra – che ha trovato rispondenza nelle tante istantanee esposte a conclusione della rassegna con un abbraccio del nostro paese cui è stato così legato. Ce lo hanno mostrato nei momenti quotidiani, con grandi personaggi oppure con gente comune, in situazioni normali o in atteggiamenti fantasiosi. Ma poi abbiamo sentito  il bisogno di tornare all’icona della sua arte, che è la grande immagine del suo viso tagliente, gli occhi grifagni, i baffetti ritorti in modo inverosimile. Siamo scesi al piano inferiore, abbiamo ripercorso la galleria dei suoi dipinti fino al corridoio dove si passava scortati dalle 13 gigantografie del fotografo americano Philippe Halsaman che abbiamo descritto all’inizio della visita. Al sommo della scalinata, il grande viso su sfondo rosso ci ha salutato di nuovo.  Dalì era proprio tornato a Roma!

Info

Catalogo della mostra: “Dalì. Un artista, un genio”, a cura di Montse Aguer e Lea Mattarella,  Skirà,  pp. 266, formato 24×28 cm. Nei due precedenti articoli, pubblicati il 20 e 26 novembre 2012, si è descritta la sua formazione, con il classicismo e i vari stili, fino all’approdo al surrealismo. Sono stati illustrati il primo con i Ritratti di Halsman e “Autoritratto con il collo di Raffaello”, “La Madonna di Port Lligat” ed “Eco geologica. La Pietà”; il secondo con “Impressioni d’Africa” e “Composizione con tre figure. ‘Accademia neocubista’”, “‘Angelus’ architettonico di Millet” e “Autoritratto molle con pancetta fritta”.

Foto

Le prime 3 immagini sono state tratte dal Catalogo della mostra fornito cortesemente da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia che si ringrazia con i titolari dei diritti, in particolare la Fundaciò Gala-Salvador Dalì. In apertura “Dematerializzazione vicino al naso di Nerone”, 1947;  seguono “Bozzetto di scena per ‘Bacchanale'”, 1939,  poi “Progetto per ‘Rosalinda o Come vi piace”,  1948; in chiusura, la foto “Dalì e il Rinoceronte “, del 1959, ripresa da Romano Maria Levante al Vittoriano  alla presentazione della mostra.

“Dalì e il Rinoceronte “, 1959