di Romano Maria Levante
Il ciclo di San Matteo diCaravaggioalla Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma ha rivelato i suoi segreti nella mostra ideata da Rossella Vodret che ha presentato al pubblico, dal 10 marzo al 15 ottobre 2011 a Palazzo Venezia, le sofisticate indagini sui tre dipinti facendo rivivere il momento creativo con radiografie che hanno evidenziato i ripensamenti e le incisioni operate dal sommo artista: una ricerca all’interno di capolavori, pietre miliari dell’arte, che ripercorriamo due anni dopo.
Autoritratto dal “Martirio di San Matteo”, indagini diagnostiche 2009
Un nuovo suggestivo capitolo nel disvelare i momenti e le tappe del processo creativo di Caravaggio, tutt’altro che “pittore maledetto” in preda all’impulso irrefrenabile dell’arte senza la mediazione della razionalità e della tecnica. Con la mostra sulla “Bottega del genio” nello stesso Palazzo Venezia era stato esplorato in profondità il suo modo di dipingere in uno studio trasformato in “camera oscura” con pertugi che facevano penetrare il raggio di luce secondo un percorso di ottica selettiva e specchi orientati per trasmettere sulla superficie piana le immagini riflesse dal vero, secondo un procedimento fotografico.
Nella mostra sulla “Cappella Contarelli” l’allora soprintendente museale e “domina” di Palazzo Venezia Rossella Vodret, è andata oltre la mostra ora citata da lei stessa ideata, con l’anatomia di tre opere magistrali, quelle che Michelangelo Merisi realizzò a Roma tre anni dopo il suo arrivo da Milano. Aveva già dipinto su temi religiosi “Maddalena” e lo straordinario “Riposo durante la fuga in Egitto”, ma soprattutto opere “di genere”, allegoriche e mitiche: “Bacchino malato” e “Buona ventura” e i due ultra celebri “Canestro di frutta” e “Ragazzo con il canestro di frutta”.
“Chiamata di San Matteo”
Le vicissitudini dell’incarico per la Cappella Contarelli
Dopo questi dipinti di carattere non religioso, nessuno dei quali di committenza pubblica, venne l’incarico ben remunerato per la Cappella Contarelli, le cui circostanze pongono l’interrogativo cui non è stata data una risposta univoca: perché con tanti celebri pittori a Roma legati alla Chiesa l’incarico per opere così impegnative come quelle del ciclo di san Matteo è finito a un giovane venuto da Milano senza precedenti specifici nella committenza pubblica e nella pittura religiosa?
Ripercorrere le vicende legate ai dipinti della Cappella può contribuire e dare questa risposta evocando il mondo e l’ambiente nel quale si è manifestata la sua arte con una forza dirompente.
Il primo incarico per le opere su san Matteo fu dato dallo stesso cardinale Contarelli al pittore di Brescia Gerolamo Muziano con indicazioni molto precise sul contenuto dei dipinti da realizzare, dopo che nel 1565 la cappella della chiesa di San Luigi dei Francesi gli era stata affidata dallo stato transalpino. Alla sua morte nel 1585 nulla era stato realizzato, per questo nel 1587 il curatore testamentario assegnò l’incarico per l’altare al fiammingo Jacob Cornelisz Cobaert, un gruppo marmoreo al posto del dipinto previsto, ma non fece nulla per i due dipinti laterali. Soltanto quattro anni dopo, nel 1591, lo stesso curatore, dichiarata decaduta per inadempienza la committenza a Muziano, la assegnò al Cavaliere d’Arpino, l’affermato Giuseppe Cesari, aggiungendo ai due dipinti laterali quello del soffitto, il Miracolo di San Matteo e i Profeti, al compenso di 650 scudi.
Soltanto il dipinto del soffitto fu ultimato entro il 1593 e pagato dal figlio del curatore nel frattempo deceduto, mentre non furono eseguiti né i dipinti laterali affidati a Cesari né il gruppo marmoreo per l’altare affidato ancora a Cobaert. La Congregazione di San Luigi dei Francesi cominciò a premere su papa Clemente VII perché contestasse in giudizio le inadempienze al curatore testamentario, finché nel 1597 ottenne che la ricca eredità di Contarelli fosse affidata alla Fabbrica di San Pietro sottraendola agli eredi del curatore per poter realizzare il progetto del Cardinale.
L’organismo religioso si mosse con decisione, rinnovò l’incarico al Cesari per i dipinti laterali ma fissando il termine perentorio di un anno. Anche questa volta, però, l’impegno fu disatteso ma la fabbrica di San Pietro con il suo deputato padre Berlinghiero fu altrettanto decisionista revocando l’incarico e sparigliando completamente. Infatti lo affidò a sorpresa a Michelangelo Merisi.
“Testa del Cristo”, particolare
La “missione impossibile” affidata a Caravaggio con successo
Ecco, quindi, entrare in scena, inaspettato, Caravaggio al quale fu assegnato un termine ancora più ristretto: doveva realizzare i due dipinti “entro l’anno”. Il contratto fu firmato il 23 luglio 1599, quindi aveva soltanto cinque mesi di tempo; e il compenso restò elevato, 400 scudi. C’era un motivo ulteriore per l’urgenza, l’Anno Santo del 1600, ma questo non riduce lo spazio del mistero: un incarico remunerato all’altezza del celebre Cesari a un giovane di 28 anni non addentro all’ambiente ecclesiastico, nuovo a incarichi di tale natura e poco esperto di temi religiosi.
I biografi di Caravaggio danno due spiegazioni a questo mistero. Baglione nel 1642 attribuisce la committenza alla protezione esercitata su di lui dal cardinal Del Monte, vicino ai membri della fabbrica di San Pietro, Bellori nel 1672 parla dei buoni uffici del poeta Giovan Battista Marino molto vicino a sua volta alla famiglia dell’esecutore testamentario; che era Virgilio Crescenzi, cui succedette il figlio ed erede, l’abate Giacomo. Sia stato il cardinale Del Monte a premere sulla fabbrica di San Pietro come dice Baglione, o il poeta Marino a farlo sui Crescenzi, evidentemente ancora con voce in capitolo su questa materia, come dice Bellori, questa volta la committenza andò a buon fine pur nei tempi molto più ristretti imposti dalle circostanze.
Il “pittore maledetto” appare come benedetto: non solo riesce nella missione impossibile di realizzare due dipinti di quasi 3 metri e mezzo per 3 in cinque mesi, ma vince anche la sfida successiva di dipingere due anni dopo la grande tela per l’altare centrale in sostituzione del gruppo marmoreo di Cobaert: il tutto nel tempo record intercorrente tra il 7 febbraio 1601, data della firma del successivo contratto, e il 23 maggio dello stesso anno, giorno di Pentecoste, l’occasione obbligata per presentarlo al pubblico come prima era stato l’Anno Santo.
L’exploit fu tale che non ci si deve stupire dell’escalation successiva: seguiranno la Crocifissione di san Pietro e la Conversione di Paolo, la Madonna dei Pellegrini e la Madonna dei Palafrenieri, la Deposizione e la Morte della Vergine, per restare alle più note del periodo. Dopo il 1606, com’è noto, l’uccisione in una rissa di Ranuccio Tommasoni lo fece peregrinare dal Lazio ospite dei Colonna a Napoli, da Napoli a Malta, da Malta alla Sicilia, tutte località dove si impegnò in grandi opere di pittura nonostante la precarietà della condizione fino al drammatico ritorno, sembra dopo aver ottenuto il perdono papale con i noti colpi di scena: la partenza senza di lui della feluca con i suoi quadri e la tragica conclusione a Porto Ercole per il morbo contratto nell’affannosa rincorsa.
“Martirio di San Matteo”
Le scoperte del visitatore alla mostra di Palazzo Venezia
Per tutto questo il ciclo delle tre opere per la Cappella Contarelli (Chiamata di san Matteo, Martirio di san Matteo e San Matteo e l’Angelo) è fondamentale nel suo percorso artistico, e i risultati delle analisi molto approfondite compiute vanno ben oltre i dipinti a cui si riferiscono. Di qui l’importanza di averli messi a disposizione del pubblico attraverso una mostra che ha fatto penetrare nella creazione artistica. E questo in aggiunta alle spiegazioni dei pannelli, con la tecnologia del “touch screen” che ha personalizzato la ricognizione nel campo degli addetti ai lavori: in questo caso sono i restauratori e gli analisti, gli storici e gli esperti documentalisti.
Ripercorriamo, dunque, questa ricognizione limitandoci a qualche riscontro, fermo restando che dopo la visione diretta con i supporti visivi e tecnologici della mostra è rimasto il prezioso Catalogo edito dalla Munus che ne dà conto con analisi specialistiche e circa 100 riproduzioni visive.
Il primo riscontro dei risultati della ricerca è la precedente “stesura” del quadro “Martirio di san Matteo”, che non rivela ripensamenti parziali, come spesso accade, ma un rifacimento totale del dipinto sopra quello steso inizialmente in modo completo. C’era anche un’architettura che delimitava lo spazio, oltre a molte piccole figure il cui affollarsi rischiava di nascondere o comunque oscurare l’immagine del santo, motivo per cui l’artista pensò di cambiare totalmente. Nella stesura definitiva, ridipinta sopra uno strato neutro posto a copertura della prima raffigurazione, le figure sono invece quelle da lui predilette nel suo realismo a grandezza naturale. Interessanti comparazioni visive mostrano nella figura statuaria dell’uccisore del santo le reminiscenze michelangiolesche del Torso del Belvedere e classiche del Discobolo di Mirone. Appare evidenziato il grafico dei ripensamenti con i contorni sostituiti da nuove delimitazioni.
Così andiamo alla seconda evidenza emersa dai rilievi radiografici e spettrografici. Non c’erano dei disegni di base a guidare la pittura di Caravaggio, ma piuttosto incisioni dei contorni delle figure, che si trovano anche se poi non le ha dipinte, come l’arto non realizzato ma solo delimitato. Il procedimento della Cappella Contarelli sarà utilizzato anche nelle opere successive.
E’ stato rivelato o confermato, soprattutto nella “Chiamata di san Matteo”, l’uso del compasso per disegnare dei cerchi in modo da assicurare l’equilibrio compositivo che è uno dei pregi peculiari dell’arte di Caravaggio, soprattutto rispetto alla successione di luci ed ombre. Questo vale sia per il Martirio di san Matteo che per la Chiamata del santo: i cerchi concentrici fissano nelle corone circolari le aree di addensamento delle ombre o di fulgore delle luci e anche particolari soluzioni riguardo la forma dei soggetti e la composizione dell’insieme.
Per San Matteo e l’Angelo è la documentazione storica e artistica piuttosto che l’analisi tecnica a dare conto di una precedente raffigurazione, questa volta su un altro quadro finito nella collezione Giustiniani a seguito del rifiuto vero o temuto da parte dei committenti per il carattere troppo dimesso del santo. E questo sebbene l’artista avesse seguito con scrupolo le prescrizioni del cardinale sul soggetto da rappresentare; ma l’esigenza di dare al santo l’autorevolezza necessaria fece sì che da contadino la sua figura divenisse di un saggio con vesti e atteggiamento solenni.
“Testa del Diacono”, particolare
La ricerca degli equilibri compositivi era sostenuta dal supporto della tecnica più raffinata con un’assoluta razionalità d’impostazione. Anche a tale riguardo, come per l’immagine di “pittore maledetto”, la ricerca ha rovesciato quanto si potrebbe ritenere a seguito di una visione superficiale e di maniera. E’ stata dunque meritoria l’iniziativa della Vodret che ha fatto entrare il pubblico nel “sancta sanctorum” mettendolo a diretto contatto con le conoscenze necessarie per accostarsi ai capolavori caravaggeschi con maggiore consapevolezza. Ne ha guadagnato non soltanto la cultura ma anche la fruizione delle opere, guardate con occhi diversi, e più interessati, dopo aver conosciuto più da vicino ed apprezzato l’impegno creativo.
Ma non si pensi che l’approccio dellaVodret in questa riscoperta del Caravaggio segreto sia stato di tipo tecnicistico, tutt’altro. La mostra ha rivelato l’impegno a tutto campo che collega la tecnica e la razionalità all’estro creativo senza trascurare gli aspetti umani. Infatti sono stati esplorati anche con un‘altra iniziativa della soprintendente, il vero e proprio pellegrinaggio a Roma nei luoghi frequentati dall’artista nel suo decennio nella città eterna: “Sulle orme di Caravaggio” si chiamavano le visite guidate da marzo a giugno 2011 con inizio a Palazzo Madama, dove risiedeva il cardinal Del Monte e visse lui stesso; poi a piazza Navona, dove fu protagonista di aggressioni e arresti, a piazza san Luigi dei Francesi per la Cappella Contarelli e alla chiesa di Sant’Agostino perla “Madonna dei Pellegrini”; a via della Scrofa dove frequentava botteghe di artigiani, e a via del Corso dov’è la chiesa dei santi Ambrogio e Carlo; poi a san Lorenzo in Lucina sede di aggressioni e a piazza della Torretta dove fu apprendista, per finire ai luoghi della sua vita violenta, vicolo del Divino Amore e piazza Firenze, via della Maddalena, piazza della Minerva e piazza del Gesù. I temi: i committenti e le opere, l’apprendistato e la vita violenta, la vita quotidiana e gli amori.
E’ un tour importante al quale si possono collegare virtualmente, i percorsi caravaggeschi nella tenuta laziale dei Colonna, a Napoli e in Sicilia per non parlare di Malta. La ricostruzione della vita in contatto con i luoghi in cui si è svolta nella realtà si è unita così alla ricostruzione degli aspetti peculiari della sua arte. E il suo spessore umano va oltre la pur straordinaria valorizzazione delle opere in atto da tempo.
Quanto più si conosce la ricostruzione della sua vita e della sua arte tanto più acquista rilievo la sua figura. Michelangelo Merisi, il Caravaggio, per quello che ha fatto ed è stato, lo merita eccome.
“San Matteo e l’Angelo”
Info
Catalogo: “Caravaggio, la Cappella Contarelli”, a cura di Marco Cardinali, Maria Beatrice De Ruggeri, Ed. Munus, marzo 2011, pp. 150, formato 14×28.
Foto
Le immagini dei dipinti di Caravaggio nella Cappella, con i relativi particolari, del 1599-1600, sono state fornite dalla soprintendenza museale di Palazzo Venezia che si ringrazia, con i titolari dei diritti. In apertura, autoritratto dal “Martirio di San Matteo”, indagini diagnostiche 2009; seguono “Chiamata di San Matteo”, e particolare della “testa del Cristo”, poi “Martirio di San Matteo” e particolare della “testa del Diacono”; infine “San Matteo e l’Angelo” e, in chiusura, particolare della “testa di San Matteo”.
“Testa di San Matteo”, particolare