Cézanne, la sua arte e la pittura italiana, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Al Complesso del Vittoriano, lato Fori Imperiali, dal 5 ottobre 2013 al 2 febbraio 2014  la mostra “Cézanne e gli artisti italiani del ‘900“, con 100 opere tra cui 20 di Cézanne e le altre 80 di 18 artisti italiani del ‘900  a lui ispirati, tra cui  Boccioni e Morandi,  Carrà e Sironi, Severini e De Pisis. La mostra, curata da Maria Teresa Benedetti con il catalogo Skirà, è stata realizzata da “Comunicare Organizzando” con il  coordinamento generale del Presidente Alessandro Nicosia..

E’ una grande mostra rivelatrice perché fa conoscere Cézanne, un sommo maestro della pittura, sotto aspetti poco noti almeno al grande pubblico: come il superamento dell’impressionismo a cui peraltro aveva dato un notevole contributo,  e il potente influsso esercitato sugli artisti italiani.

Con Cèzanne oltre l’impressionismo

Il primo aspetto viene analizzato da Claudio Strinati che cita l’affermazione di Ardengo Soffici secondo cui Cézanne sarebbe riuscito ad andare oltre l’impressionismo realizzando “quel che non avevano potuto gli impressionisti”. o avrebbe superato non limitandosi  a guardare la realtà “en plein air” secondo l’impressione del momento, e a riprodurne l’aspetto esteriore con le scomposizioni del colore ben note;  bensì “subordinando la realtà esterna alla verità della sua visione interiore”, in modo da “vedere la propria visione”.

Così lo spiega Strinati: “Non le sembianze fenomeniche del  Reale ma di quel Reale che è la propria attitudine a vedere e a distinguere”; più precisamente “non le apparenze ma le competenze e l’artista è tanto più grande quanto più riesce a imporre se stesso alla Realtà che lo circonda e a rappresentare se stesso che sta osservando”, avendo come oggetto della sua attenzione “prima ciò che è fuori di sé e poi ciò che è dentro di sé”.

In questo supera l’impressionismo che aveva “scoperto”la bellezza della natura vista da vicino, appunto “en plein air” i n tutta la sua luminosità e nella sua sinfonia di colori. Ai sensi che ne sono conquistati aggiunge la mente che, sono ancora parole di Strinati, “concepisce l’arte come atto di amore verso il creato  trattando la superficie pittorica quasi fosse un anelito a dire verità che la parola non può pronunciare. Queste verità sono i grandi, universali sentimenti che chiedono di essere rappresentati per togliere l’essere umano dal turbine doloroso dell’esistenza che lo incalza incardinandolo al ‘mestiere di vivere'”.

Ne consegue che diventa secondario il soggetto rappresentato, di solito fa parte della quotidianità, quindi è visto senza particolare interesse; acquista importanza basilare il sentimento interiore da esso suscitato non traducibile nell’immediatezza un po’ effimera dell’impressionismo, dato che va ben oltre l’apparenza. Dietro c’è pure la ricerca nell’arte di un rifugio contro ciò che nel mondo attenta alla mente e al cuore. Nel 1904, a due anni dalla morte, scriveva all’amico pittore  Emile Bernard di vivere “sotto l’urto di sensazioni” e di voler essere “aggrappato alla pittura”: “Le sensazioni sono alla base della mia opera – sono le sue parole – io credo di essere impenetrabile”. E aggiungeva: “Tutto quello che vediamo, non è vero? Si dilegua. La natura è sempre la stessa, ma nulla resta di ciò che appare. La nostra arte deve dare il brivido della sua durata, deve farcela gustare eterna. Che cosa c’è dietro il fenomeno naturale? Forse niente, forse tutto”.

In questo viene visto il suo superamento dell’impressionismo che si “accontentava” dell’immagine del momento, l'”impressione” piuttosto che la “sensazione”, che lui sente, di qualcosa che va oltre, colpisce la sua mente oltre ai suoi sensi. La sua ricerca di questo “qualcosa” lo porta a  penetrare la realtà  al di là delle apparenze, al di là della visione istantanea che ritiene provvisoria, incompleta; per tendere all’essenza del reale in modo da rivelarne i contenuti più profondi.

Il contatto diretto con la natura è il medesimo, ma in lui si aggiunge l’introspezione che lo porta all’isolamento anche sdegnoso rispetto alla spietata incomprensione che lo accompagnò nella vita.

L’astrazione insita nella sensazione profonda si aggiunge alla concretezza dell’impressione immediata in un insieme inscindibile che rappresenta la cifra della sua arte. In questo processo lui stesso vede la funzione della pittura: “Ascoltare con totale dedizione la voce della Natura, e con altrettanta dedizione trascriverla nelle forme della più eletta meditazione interiore, in una continua e ardua metamorfosi che si basa sul reale inteso come osservazione diretta delle persone e delle cose e mira al vero inteso come scoperta di una essenza che vige nel mutevole mondo dell’esistenza”.

L’efficace sintesi di Strinati acquista toni di alto valore morale: “Una religione laica implicante il silenzio, la riservatezza e il rispetto totale della professione sentita quasi come una missione”, tale è stata infatti la cifra della sua vita parca e schiva, nella continua e sofferta ricerca di un ideale artistico difficile da raggiungere”. Nella citata lettera a Barnard a due anni dalla morte scriveva “non si è mai troppo scrupolosi, né troppo sinceri, né troppo sottomessi alla natura”, e nell’ultima lettera a tre mesi dalla fine: “Studio ogni giorno sulla natura e mi pare di progredire lentamente”. Non serve aggiungere altro per ricordarne l’impegno inesausto, stimolo incessante alla sua arte.

Ma come si esprime la sua arte, quali le novità o le conferme? Al riguardo occorre partire dal suo superamento dell’impressionismo che ha i profondi contenuti cui si è accennato.  Ardengo Soffici ne fa un esempio illuminante, ricordato da Strinati: la mietitura come l’avrebbe dipinta un impressionista e come lo avrebbe fatto  Cézanne. Il primo avrebbe riprodotto l’immediatezza della realtà scomponendo le ombre create dal sole e immergendo la scena in una luce abbagliante per rendere la stagione e l’ora, con un effetto abbacinante; Cézanne, invece, nella considerazione che altri sono gli elementi essenziali della scena, avrebbe raffigurato in modo semplice ed essenziale l’ambiente, dalla campagna alle case fino al cielo, sottomettendo “la verità esterna alla verità interna della sua visione interiore e marcando con un segno imperioso i fantasmi del suo sogno”.

Lo fa ricercando strutture geometriche, anche se non in modo sistematico, concentrandosi su come organizzare forma  e volume. Anche qui ci aiutano nell’interpretare il suo intento le lettere a Bernard, in una di esse afferma di “voler trattare la natura per mezzo del cilindro, della sfera, del cono, il tutto posto in prospettiva, in modo che ogni lato di un oggetto, di un piano, si orienti verso un punto centrale. Le linee parallele all’orizzonte danno l’estensione, cioè un’estensione della natura.. Le linee perpendicolari all’orizzonte danno la profondità. Ora la natura, per noi uomini, è più in profondità che in superficie”.  Il suo “nitore geometrico” e il senso della prospettiva, insieme al particolare uso della luce e del colore  lo riconducono alla dimensione classica, con la ricostituzione della forma che gli impressionisti tendevano a scomporre fino a decomporla, e nello stesso tempo lo fanno antesignano di movimenti d’avanguardia attenti ai volumi come il cubismo e quindi maestro della modernità.

Alla scelta stilistica si collega strettamente quella dei contenuti che, come si è accennato,  sono all’insegna della semplicità, dato che per lui quello che conta è la visione della sua mente  alimentata dalle immagini di quotidianità: con architetture compositive dominate dalla plasticità dei volumi e poi nella maturità dalla sempre più intensa tessitura cromatica.

Nature morte in primo luogo, dove dominano i volumi nella loro espressione geometrica e il gusto della composizione geometrica con attenzione alla prospettiva, quindi paesaggi, nei quali rende  l’inespresso che c’è dietro la superficie della natura, traducibile attraverso la propria visione; stessa ricerca nei ritratti dove in un progressivo affinamento ha assunto un ruolo sempre maggiore il carattere e la personalità del soggetto  percepiti dall’artista pur nella continua ricerca di innovazione stilistica, nei nudi, infine, la classicità ha modo di esprimersi con forme solenni ma pur sempre toccate dalla sua modernità.

Cezanne nei giudizi di critici e artisti italiani

A tali contenuti sono dedicate  le 4 sezioni della mostra dove sono poste a raffronto le sue opere, tema per tema, con quelle di un folto gruppo di artisti italiani, ben 18. E qui s’innesta il secondo motivo dell’iniziativa, la ricerca artistica e culturale della penetrazione in Italia, analizzata dalla curatrice Maria Teresa Bernardini.

L’eco  delle sue opere si diffonde dopo la “scoperta” di Ardengo Soffici due anni dopo la sua morte. Soffici era vissuto dal 1900 al 1907 a Parigi dove aveva conosciuto l’opera di Cézanne e il ritorno al classicismo; nel suo articolo sulla rivista di Siena “Vita d’arte” del 1908:  aveva visto in lui la conciliazione tra modernità legata al presente e tradizione classica con richiami ai maestri del ‘300 e del ‘400. Soffici tornerà su Cézanne commentando su “La Voce” la mostra di Firenze del 2010, con 4 dipinti dell’artista, di cui sottolinea la creatività e  modernità in una visione idealistica dell’arte.

I suoi giudizi interesseranno i futuristi che della modernità più spinta fecero un credo, Carrà si espresse in termini positivi nell’articolo su “Lacerba” del 2013 “Da Cézanne a noi futuristi”, e ci tornò nel 1916 su “La Ronda”; Boccioni ne parlò nel 1914 in “pittura e scultura futurista”. In quegli anni ci furono due mostre in cui furono esposte opere di Cézanne: 12 acquerelli alla “II Esposizione d’Arte della Secessione” di Roma, mentre nella I erano assenti nonostante fosse dedicata a impressionisti, post e neo impressionisti; nella Sezione internazionale della Secessione del 1915 fu esposta la litografia “Bagnanti” , traduzione grafica del grande dipinto “Bagnanti in riposo”.

Roberto Longhi lo definisce “il più grande artista dell’era moderna, il cui testamento pittorico potrebbe essere quello di Pietro dei Franceschi”. Ma si deve attendere il 1920 per vedere 28 sue opere esposte in una personale alla prima Biennale veneziana dopo la guerra 1915-18, realizzata nel padiglione francese con il sostegno di Ugo Ojetti.

Ferveva il dibattito sul ritorno all’ordine del classicismo in una fase in cui agli strascichi della guerra si univa la crisi delle avanguardie artistiche. I giudizi sull’artista oscillavano tra il  prevalere della sua modernità o del suo classicismo, sul quale  venivano evidenziate le analogie con la pittura italiana nelle sue varie espressioni. Soffici, nel propugnare l’indirizzo tradizionalista sembra oscillare, finché lo definisce “il più potente iniziatore di una forma d’arte che  può dirsi ancora dell’avvenire”; mentre Emilio Cecchi lo classifica come classico per il suo ordine compositivo che cerca di conciliare con la sensazione di tipo impressionistico, invece di contrapporre i due motivi.

Carrà in “Pittura metafisica” ne sottolinea la classicità dopo l’abbandono dell’impressionismo, con riferimento alla tradizione italiana, e ai valori eternamente validi che ne sono gli aspetti salienti.

Soltanto Giorgio de Chirico contrasta questi giudizi positivi, pur nella sua difesa del classicismo che non vi vede rappresentato, contro l’impressionismo e le sue derivazioni che sostituiscono la forma-colore al rigore del contorno disegnato, tale da marcare l’essenza delle cose, cui Cézanne era contrario; e utilizza immagini forti e termini duri. Ma, commenta la Bernardini, “anche de Chirico non è del tutto indenne dall’avvertire l’importanza di Cézanne. Il tentativo di esorcizzarlo va considerato sintomatico di un riconoscimento, seppure in negativo”.

A questo punto l’interesse si acuisce, non resta che visitare la mostra passando in rassegna le 4 sezioni dedicate alla natura morta, al paesaggio, al ritratto e al nudo cercando prima di tutto di imprimere nella vista e nella mente le 20 opere di Cézanne sui quattro temi, cui fanno corona le 80 dei 18 artisti italiani. Prossimamente racconteremo la nostra visita seguendo questo  criterio.

Info

Complesso del Vittoriano, Roma, Via San Pietro in Carcere, lato Fori Imperiali,  Aperto tutti i giorni, compresi domenica e lunedì. Dal lunedì al giovedì ore 9,30-19,30, venerdì e sabato 9,30-23,00, domenica 9,30-20,30, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso euro 12,00 intero, 9,00 ridotto a determinate categorie. Tel. 06.6780664; http://www.comunicareorganizzando.it/. Catalogo: “Cézanne e gli artisti italiani del ‘900”, a cura di Maria Teresa Bernardini, Skira Editore, settembre 2013, pp. 286, formato 24×27. Cfr. in questo sito, il prossimo 31 dicembre,  il nostro secondo articolo “Cézanne, e gli artisti italiani, visita alla mostra al Vittoriano”, con altre 6 immagini. .

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano alla presentazione della mostra, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia e i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Su Cézanne è riportata l’immagine di un’opera per ogni sezione, nell’ordine natura morta, paesaggio, ritratto e nudo; per gli artisti italiani in questo articolo un’immagine per ciascuna delle due prime sezioni, per le altre due sezioni le immagini saranno nel prossimo articolo dopo altre quattro di opere di Cézanne nell’ordine inverso, prima nudo, poi ritratto, quindi paesaggio e infine natura morta. In apertura, di Cézanne “Frutta”, 1879-80, seguono “La strada in salita”, 1881,  e “Victor Chocquet”, 1877, poi “Bagnanti”, 1883-87″ e, di Giorgio Morandi, “Natura morta”, 1919; in chiusura,  di Carlo Carrà, “Chiesa romanica”, 1927.