D’Orsay, dalle Accademie al post impressionismo, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

La mostra “Musée d’Orsay. Capolavori” espone per la prima volta a Roma, al Vittoriano, dal 22  febbraio all’8 giugno 2014, 60 opere del celebre museo dell’impressionismo sorto nello spazio di un’antica stazione ferroviaria, in cui è in corso un restyling. L’esposizione inizia dalla pittura accademica dei Salon, poi presenta i grandi maestri dell’impressionismo, simbolismo e post impressionismo, Courbet e Corot, Cèzanne e Sisley, Monet e Pissarro, Degas e Manet, Seurat e Signac, fino a Gauguin e Van Gogh e altri, in una impostazione che consente un confronto sui singoli temi, dal paesaggio e vita rurale alla vita dell’epoca, dagli stati d’animo alle avanguardie. La mostra è realizzata da “Comunicare organizzando” di Alessandro Nicosia, ne sono curatori eccellenti Guy Cogeval, Presidente dei Musées d’Orsay et de l’Orangerie, e Xavier Rey, Direttore delle collezioni e conservatore del dipartimento di pittura del Musée d’Orsay. Catalogo Skira.

La mostra dei capolavori del Museo D’Orsay si inserisce in un  percorso che ha visto realizzare al Vittoriano  negli ultimi anni le mostre “Da Corot a Monet. La sinfonia della natura” nel 2010, “Van Gogh”  nel 2011 e “Cézanne” nel 2013. Nel presentare l’esposizione, Alessandro Nicosia ha sottolineato  “la straordinaria disponibilità del Presidente dell’Orsay, Guy Cogeval, grande amante ed estimatore di Roma” e la preziosa attività del “cocuratore Xavier Rey che ha selezionato le opere nella prospettiva scientifica finalizzata alla definizione di un progetto compiuto e sistematizzato”.

Si tratta di un’occasione straordinaria per vedere in Italia una serie di opere che segnano l’itinerario di celebri artisti usciti dall’accademismo dei Salon parigini per le nuove vie dell’impressionismo e del realismo,  del simbolismo e del post impressionismo. Sono artisti che si cimentano su una serie di soggetti ai quali sono dedicate 5 sezioni in cui ritroviamo gli stessi maestri in un’impostazione non monografica ma tematica. Utili raffronti si possono fare dalle visioni arcadiche e mitiche dell’Accademia e dai paesaggi e scene di vita rurale degli impressionisti che rappresentavano la vita contemporanea, agli stati d’animo dei simbolisti fino alle avanguardie post impressioniste.

Da Gare d’Orsay a Musée d’Orsay‘

La prima parte della mostra è dedicata al “contenitore” da cui le opere esposte provengono, data la sua storia intrigante che la vede nascere come stazione ferroviaria nel cuore di Parigi per l’Esposizione Universale del 1900, quella per cui fu realizzata la Torre Eiffel; anche per la Gare d’Orsay si parla di record, un solo anno di lavori per quasi 700 operai in più turni 24 ore su 24.  

Con la seconda guerra mondiale cessa l’impiego come stazione, diventa di tutto – da centro raccolta per prigionieri e poligono di tiro a deposito e parcheggio – finché nel 1970 si decide di demolirla suscitando reazioni che porteranno alla trasformazione in museo dell’edificio esistente. L’italiana Gae Aulenti progetta il museo  nel 1886, puntando sul contrasto tra l’edificio esistente e le nuove scelte architettoniche, dando la prevalenza agli spazi e alla luce. Mentre con il nuovo allestimento le opere diventano ancora di più protagoniste

All’ingresso della mostra accoglie il visitatore una ricca galleria fotografica con le immagini dell’Orsay nelle successive incarnazioni, da stazione a deposito a Museo versione anni ’80 e ’90 fino alla versione attuale del “Nuovo Orsay”  inaugurato nel 2011, basata su diversi criteri espositivi oltre che architettonici, tra cui l’abbandono del criterio monografico per quello cronologico e tematico che permette il raffronto tra artisti sui vari temi.

Ma la storia del Museo d’Orsay non è sorprendente soltanto sotto l’aspetto architettonico, lo è anche dal lato artistico. Perché  ha ereditato le opere del Musée du Luxemburg, nel quale venivano collocate le opere di artisti viventi  presentate nei Salon mentre al Louvre andavano soltanto quelle degli artisti che si erano affermati ma dieci anni dopo la loro morte;  tutto il resto era confinato nel citato museo, confluito nel Musée d’Orsay, dove entravano le opere degli artisti in attesa di poter approdare al Louvre oppure quelle di artisti respinti, o quelle acquistate direttamente dagli autori.

Le regole che riservavano le acquisizioni istituzionali alla consacrazione ufficiale ai Salon hanno fatto sì che  musei apparentemente secondari come il Musée du Luxemburg potessero avere sin dall’inizio le opere, ad esempio, degli impressionisti, destinate a finire solo in mano ai collezionisti, sia mediante acquisti sia per i lasciti di collezionisti e mecenati, tra questi si ricorda Gustave Caillebotte  nel 1984, cui si devono opere di Renoir e di Monet, Isaac de Camondo nel 1011, cui si devono Degas e Manet, Etienne Moreau-Nélaton, dal 1906 al 1929,  cui si deve “Le dejeuner sur l’herbe” di Manet, fu anche il direttore del Musée destinatario, il Musée du Luxemburg. 

Questo museo accolse anche molte opere di artisti stranieri, italiani, spagnoli, americani, su iniziativa  del direttore Léonce Bénédite subito dopo il 1890, finché le collezioni straniere del “museo d’arte moderna” furono separate dalle altre e poi trasferite al Jeu de Paume., dove nel 1947 andarono anche le collezioni degli impressionisti. Nel dopoguerra il Musée du Luxemburg fu chiuso e le sue raccolte trasferite al Louvre e collocate soprattutto nei magazzini, finché si fece pressante l’esigenza di presentare gli impressionisti, sempre più apprezzati, in un nuovo museo.

Dove? La reazione all’idea di demolire la Gare du Orsay come si era fatto per le Halles, unita a quest’esigenza, fece prevalere l’idea della sua trasformazione nel Museo per quella parte dell”800 e ‘900  non rappresentata al Louvre – dove rimasero le opere del neoclassicismo e romanticismo di David, Ingres, Delacroix – in particolare impressionismo,  post impressionismo e simbolismo, con tante opere tra il 1848 e il 1914, dei più grandi artisti dell’epoca, basta citare Courbet e Corot, Cèzanne e Sisley, Monet e Pissarro, Degas e Manet, Seurat e Signac, fino a Gauguin e Van Gogh.

E’ evidente da questi accenni sommari alla storia tutta particolare del Musée d’Orsay, il valore delle sue raccolte pittoriche e l’importanza della mostra al Vittoriano che ha colto l’occasione di un ultimo restyling dopo la nuova inaugurazione del 2011 per un prestito prestigioso che comprende tutti i grandi maestri appena citati, presenti spesso con diverse opere nelle varie sezioni.

Il presidente e curatore della mostra Guy Cogeval,nel rievocare la storia del museo, conclude affermando che con il restyling in corso, il “Musée d’Orsay, rispettando le intenzioni originali di Michel Laclotte, ritrova la sua vocazione di museo ‘polifonico’. E polifonica sarà anche la mostra allestita a Roma, in cui si rende omaggio alla varietà di stili che coesistono, rivaleggiano e si contaminano reciprocamente nei ricchissimi decenni tra il 1848 e il 1914 rappresentati dal Musée d’Orsay. Accademismo, realismo, naturalismo, impressionismo, simbolismo, post-impressionismo: ciascuna delle grandi correnti della seconda metà dell’Ottocento è chiamata ad attestare l’importanza decisiva di questi anni per la nascita dell’arte moderna agli inizi del Novecento”.  

Dall’Accademia all’impressionismo, ambiente e vita rurale

L’impostazione tematica e non monografica della mostra è perfettamente in linea con il nuovo assetto del Musée d’Orsay, organizzato nello stesso modo. Ed è altamente spettacolare perché fa vedere la risposta sugli stessi temi data da artisti diversi nelle varie correnti stilistiche che evolvono nel tempo passando, nelle varie sezioni, dall’Accademia all’impressionismo, dal simbolismo al post impressionismo; i temi evolvono anch’essi passando dalle visioni arcadiche e mitiche a quelle paesaggistiche e di vita quotidiana, fino alla realtà moderna e agli stati d’animo interiori.

La prima sezione è come un prologo, pone subito il visitatore di fronte alla pittura dominante, quella delle Accademie, il cui predominio era perpetuato dalle esposizioni nei “Salon” cui erano ammessi soltanto artisti prescelti da una giuria di tradizionalisti che sbarrava il passo al nuovo corso; le mostre personali erano molto rare e solo in questa sede avvenivano gli acquisti da parte pubblica di opere che venivano parcheggiate al Musée du Luxemburg, come si è detto, per essere trasferite al Louvre  dieci anni dopo la morte dell’autore. Museo che, però, con lungimiranza ne accettava anche altre fuori da questo circuito, e sono quelle che costituiscono la parte preponderante della mostra.

Bastano i titoli per immaginare le opere di stile accademico esposte in questa sezione: “La casta Susanna” e “Tamara”, “Diana” e “Gioventù e amore”, gli autori Henner e Cabanel, Delaunay e Bouguereau. Il periodo è dal 1864 al 1877.  E’ esposta anche “Donna nuda con cane” di Courbet,  un nudo ben diverso da quello levigato con amorino di “Gioventù e amore”, c’è un altro colore e un altro tratto, e una visione della realtà del tipo di quella che vediamo nella sezione successiva.

Si passa all’impressionismo con un’opera di soggetto accademico, “La danza delle ninfe” di Corot, 1860, ma la visione, nel segno e nella luce, è ben diversa da quella arcadica, e così la “Pastorella con gregge”, 1863, di Millet,  immagine non bucolica ma naturalistica “en plein air”.

La natura non ha i caratteri dell’Arcadia, ma della realtà ambientale, lo vediamo nella “Foresta di Fontainbleau”, 1865, di Bazille, e nel “Tempo da neve” , 1874, e “La costa del Coeur.Volant a Marly sotto la neve”, entrambi di Sisley. Non sono rappresentazioni idealizzate, si cerca l’identificazione precisa con luoghi reali, e qui scendono in campo i grossi calibri. 

Monet arriva a indicare l’indirizzo, nella rappresentazione della realtà: “Cortile di fattoria in Normandia”, 1863, “Argenteuil”, 1872, “Le barche. Regata ad Argenteuil”, 1874.  Il “Cortile di fattoria” , 1879, è rappresentato anche da Cézanne, mentre Pissarro a sua volta raffigura il “Viale della Tour-du-Jongleur e casa del signor  Musy, Louvecennes”, 1872,  e la “Strada d’Ennery”.

Lo stesso Pissarro ritrae chi vive quella realtà, la “Giovane contadina che accende il fuoco”, 1888,  e Seurat il “Giovane contadino vestito di blu”, 1882. Squarci di vita rurale sono offerti da Troyon in “Guardacaccia fermo vicino ai suoi cani” e Guigou in “Lavandaia”, de Sousa Pinto  in “La raccolta della patate”, e Muenier in “La lezione di catechismo”.

Dalla vita contemporanea agli stati d’animo, alle avanguardie

Dall’ambiente rurale nella seconda sezione si passa alla rappresentazione della vita contemporanea, iniziando con una serie di luoghi parigini in cui si svolge:  come “La Senna e Notre-Dame di Parigi”, 1864, di Jongkind, e “La Senna e il Louvre”, 1903, di Pissarro, “La rue Montorgueil a Parigi. Festa del 30 giugno 1878” di Monete “La piazza delle Piramidi”, 1875, di De Nittis; altre località come “Porto di Rouen, Saint-Sever”, 1896, e “Angolo di giardino all’Hermitage. Pontoise”, entrambi ancora di Pissarro.

Ai luoghi si affiancano coloro che ci vivono, uno dei quadri esposti evoca il duro lavoro, è “Gli scaricatori di carbone”, 1875, di Monet; un altro presenta “Il giorno di visita all’ospedale”, 1889, di Geoffroy.  Tutti i restanti della sezione mostrano situazioni e momenti ben diversi, che fanno rivivere il clima della Belle Epoque parigina. Come i due di Degas, “L’Orchestra dell’Opera”, 1870, e “Ballerine che salgono una scala”, 1875, cui associamo “Un palco al Théatre des Italiens” di Eva Gonzalès. E poi, entrando sempre più nell’intimità,  “Ragazze al pianoforte”, 1892,  di Renoir, e “Brthe Morison con un mazzo di violette”, 1872, di Manet, fino a “Il bagno”, 1867, di Stevens, e “La sognatrice,”, 1876, di Tissot.

In queste opere l’impressionismo con la sua visione della natura e dell’ambiente  illuminata dalla luce “en plein air” e resa vivida dal colore con la caratteristica pennellata,  descrive luoghi e situazioni  della realtà avvicinandoci sempre più a una visione più direttamente rivolta alla persona.

Sarà la pittura simbolista a cercare di riprodurre gli stati d’animo, ad essa è dedicata la sezione successiva, in senso tematico e cronologico, dove troviamo opere di fine ‘800 di cinque artisti, diversi da quelli incontrati finora. Sono presenti con due opere ciascuno Vuillard, “A letto”, 1891, e “Felix Vallotton”,  1900; Denis con “Il bambino dai calzoncini blu”, 1897, e “Maternità alla finestra”, 1899, Redon con “Paul Gauguin”, 1903-05, e “Pianta verde in un’urna”, 1916.

Siamo giunti così all’ultima sezione della mostra, dedicata al post impressionismo, verso le avanguardie del XX secolo. Arrivano i nostri, si direbbe, tornano i grandi nomi come Monet con “Il tramonto”, e “Il giardino dell’artista a Giverny”, entrambi del 1900, Signac e Seurat, rispettivamente con “Il circo”, 1891, e “Les Andelys”, 1886.  Troviamo nuovamente anche Vuillard con 3 opere, “Il covone” e “Il viale”, del 1907-08, “Piazza Berlioz, schizzo”, 1915,  e Denis, con “La signora del giardino chiuso”, 1894.

In più una serie di artisti che raffigurano luoghi  e ambienti mentre altri si soffermano sulle persone. Per i primi, ecco Cross con “Le isole d’oro”, 1891-92, e Sérusier con “Lo steccato” e “Campo di grano dorato e di grano saraceno”, Van Rysselberghe con “Barche a vela ed estuario”. Tra i secondi Bernard  raffigura “Donne bretoni con l’ombrello”, 1891, e Maillol “Ragazza con drappo”, una statua in bronzo, l’unica scultura  tra tanti dipinti, mentre Bonnard con “Il palco” e “Giochi d’acqua”,  intorno al 1908, ci fa tornare nell’atmosfera serena e festosa prima evocata.

Il botto finale dello spettacolo pirotecnico dei capolavori del Musée d’Orsay al Vittoriano è nei due nomi che in questa sezione si aggiungono ai grandissimi già incontrati. C’è Van Gogh con “L’italiana”, 1887, e Gauguin con “Il pasto”, 1891.

Un viaggio pittorico che abbatte gli steccati

Si conclude così il viaggio pittorico che la mostra ci ha fatto compiere in quella che da stazione ferroviaria dell’Orsay è stata trasformata nella più straordinaria raccolta di impressionisti, simbolisti e esponenti delle avanguardie post impressioniste:  di Monet e Pissarro troviamo ben 6 opere ciascuno, di Vuillard 5 opere, anche altri celebri, come abbiamo visto, sono presenti con più opere.

Ma sono distribuiti tra le varie sezioni a seconda dei tempi rappresentati, e in questo si è seguita l’impostazione del Museo tematica e non monografica per autori, come si è detto, senza neppure divisioni in base a classificazioni stilistiche.  Persino rispetto alle opere del classicismo accademico il curatore Xavier Rey invita a “comprendere la libertà che gli artisti si erano indiscutibilmente  presi nonostante il loro contributo alla pittura accademica, ma soprattutto a distinguere l’immensa varietà delle opere comodamente relegate nella categoria ben poco fondata del neoclassicismo”. 

Nel classicismo vengono  trovati “strumenti comuni alla pittura moderna”, visione che si inquadra nella linea portava avanti dal Musée d’Orsay, che “le categorie non siano più sicure di se stesse”, e le opere raccolte consentono di “penetrare tutta la complessità di relazioni all’interno di un’arte in apparenza ricca di contrasti”.

In questo senso il d’Orsay avrebbe contribuito ad una revisione della storia dell”800, abbattendo gli steccati delle classificazioni, portando a una nuova valutazione delle correnti pittoriche, a un dialogo tra gli stili, a parallelismi sempre nuovi tra artisti posti a confronto. “E’ come se il museo d’Orsay – afferma ancora Rey – volesse raccontare una storia senz’altro più complessa della leggenda che si è rapidamente fissata nell’immaginario collettivo sul periodo”.

Poter cogliere questo aspetto cruciale è un altro motivo di interesse, che si aggiunge a quello insito nella grandezza degli artisti e nel fascino della loro arte, della mostra al Vittoriano  che esprime – nelle parole con cui Rey conclude la propria presentazione – “l’estrema ricchezza di un istante breve e determinante dell’arte occidentale”.

Info

Complesso del Vittoriano, via San Pietro in Carcere (lato Fori Imperiali). Dal lunedì al giovedì ore 9,30-19,30; venerdì e sabato 9,30-23,00; domenica 9,30-20,30, nessuna chiusura settimanale, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero euro 12,00, ridotto euro 9,00. Tel. 06.6780664, www.comunicare organizzando.it. Catalogo: “Musée d’Orsay. Capolavori”, a cura di Guy Cogeval e Xavier Rey, Skira Editore, 2014, pp. 196, formato 24 x 28, dal quale sono tratte le citazioni del testo. Per le mostre al Vittoriano  citate, cfr., in questo sito, i nostri 2 articoli sulla mostra “Cézanne” il 24, 31 dicembre 2013; inoltre cfr., in “cultura.inabruzzo.it”, i nostri 2 articoli sulla mostra “Da Corot a Monet, La sinfonia della natura” il 27, 28 giugno 2010 e i nostri 2  articoli sulla mostra  “Van Gogh” il 17, 18 febbraio 2011.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano alla presentazione della mostra, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti, in particolare il Musée d’Orsay. In apertura, Vincent Van Gogh,L’Italiana”, 1887.