Grecia e Italia, classicità ed Europa, al Quirinale

di Romano Maria Levante

Le presidenze di Grecia e Italia dell’Unione Europea in successione nei due semestri del 2014 vengono celebrate con la mostra al Quirinale intitolata “Classicità ed Europa. Il destino della Grecia e dell’Italia”, dove è esposta dal 29 marzo al 15 luglio 2014 una selezione di  25 opere tra reperti archeologici, a testimonianza dell’inizio nell’antichità, e dipinti, a testimonianza dell’approdo nel ‘900. E’ realizzata, con la partecipazione di entrambi i paesi,  da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, curata da Louis Godart, Consigliere del presidente della Repubblica italiana per la Conservazione dei Patrimonio Culturale, inaugurata il 28 marzo dai Presidenti della Repubblica dei due paesi. Catalogo del Segretariato Presidenza della Repubblica.

Un’iniziativa meritoria come quella precedente dedicata alla presidenza dell’Unione Europea da parte di Cipro, con la differenza che questa volta si è ricercata un’estrema sintesi, se si pensa che rispetto ai molti reperti di allora, ne sono esposti soltanto 16, oltre ai 9 quadri di epoca recente, e qui si tratta delle due civiltà egemoni, greca e romana. Lo riconosce il Segretario generale del Ministero della cultura della repubblica Ellenica, Lina Mendoni, affermando che la mostra è stata realizzata “con un numero minimo di capolavori, il cui contenuto concettuale e simbolico è così elevato, e allo stesso tempo così familiare ai membri della civiltà europea, da essere perfettamente in grado di riconoscere gli elementi principali della memoria e dell’identità collettiva continentale”.

La testimonianza del comune destino europeo

La  stessa Mendoni ha volto in termini interrogativi il titolo “il destino della Grecia e dell’Italia” chiedendosi, dinanzi alla crisi epocale che ha investito i due paesi:  “E’ Europeo?” , e più direttamente: “Vale la pena di far parte dell’Unione Europea?”  Ecco il suo pensiero : “La risposta è affermativa, chiara e definitiva. Il destino comune, per essere autenticamente e veramente ‘europeo’, non può essere solo ‘greco’, ‘italiano’ o ‘mediterraneo’. Non può esserci un’Europa senza il Mediterraneo – come entità geografica e culturale – che ha funzionato da catalizzatore per l’incontro, l’unione  e la diffusione feconda della ‘civiltà classica greco-romana’ in tutto il continente”.  Sono “le fondamenta sopra le quali il progetto moderno europeo si è lentamente ma gradualmente costruito. Non può esistere una civiltà greco-romana rinchiusa in una struttura geograficamente ed etnicamente limitata, isolata dalla costante e inerente attività, dalla comunicazione e dalla mentalità di chi l’ha creata e la definisce”.

Il  presidente Giorgio Napolitano ha presentato la mostra citando le parole di Pericle: “Abbiamo una costituzione che non emula le leggi dei vicini, perché noi siamo più d’esempio ad altri che imitatori; è retta in modo che i diritti civili spettino non a poche persone ma alla maggioranza; perciò è chiamata democrazia”. E riferendosi espressamente alla staffetta tra Italia e Grecia nella presidenza dell’Unione Europea nel 2014,  ha affermato: “I due paesi trasmettendo al mondo il messaggio delle civiltà classiche hanno plasmato il volto dell’Europa moderna”. Le opere esposte nella mostra, reperti archeologici e dipinti, “esprimono attraverso i millenni la complessa elaborazione della coscienza europea germinata in Grecia e in  Italia e segnata dal rispetto per l’individuo  e la sua libertà  tanto celebrato dagli antichi”.

Louis Godart come curatore è entrato nei particolari della mostra  evidenziando “il messaggio lanciato all’Unione Europea dalla civiltà classica, che ha compiuto due grandi invenzioni: ha posto l’uomo al centro della storia, ha  creato la democrazia.  Sono invenzioni della civiltà greca, recepite da Roma che le ha trasmesse all’Europa e al mondo”.  La mostra presenta  reperti che esprimono la persistenza dei valori comuni: i reperti della Grecia coprono cinque millenni di storia, dal III e II millennio a. C. delle civiltà cicladica, minoica  e micenea; millenni anche nei reperti italici, dal 1200 a:C.; per concludere dipinti fino ad epoca recente, al termine di un percorso millenario.

Il nostro paese ha avuto un  ruolo fondamentale “nella trasmissione del messaggio greco, dimostrando così che fu Roma a diffondere in Europa una visione del mondo imperniata sui valori che hanno fatto grande la civiltà ellenica”. E ha citato i simboli della civiltà, la difesa della democrazia nell'”Athena pensosa” dell’Acropoli, e la lotta ai tiranni nei “Tirannicidi” del Museo di Napoli, che il presidente Napolitano ha richiamato come le due opere più significative della mostra.

Le opere esposte non sono divise per provenienza, quelle greche e quelle romane si alternano in un percorso cronologico che iniziando da millenni prima di Cristo arriva, con reperti via via  del V e I secolo a. C., poi del II e VI secolo d. C., fino ai dipinti di autori greci e italiani dal 1300 al 1950.

Seguiremo anche noi questo percorso che è una cavalcata nell’arte e nella storia del Mediterraneo.

I reperti del periodo più antico

Il reperto più antico è una statua femminile che risale al 2700-2300 a. C., della civiltà cicladica, nel cerchio di isole intorno a Delo, la patria di Apollo. Ci sono stati contatti con la Grecia continentale fin dal Paleolitico, la produzione artistica tipica delle Cicladi sono le statue di marmo, di piccola dimensione come quella esposta, ma che superamo anche il metro e mezzo.  La “Statuetta femminile” in mostra, del  Museo Archeologico di Atene, trovata nella tomba 10  del cimitero di Spedos, Naxos, appartiene al Cicladico Antico II allorché le tecniche si erano perfezionate rispetto al Cicladico Antico I  con figure schematiche, il corpo rappresentato da una sagoma, la testa come una protuberanza; la statuetta esposta è una figura sottile ed elegante, la testa è abbozzata in modo essenziale, dà un’idea di agilità ed eleganza. Nelle tombe c’era un numero molto maggiore di figure femminili, alle quali sono state date diverse interpretazioni, dalla “Grande dea madre” alle compagne destinate a servire il defunto nell’al di là. Ma poiché sono state trovate anche nei resti di abitazioni, Godart spiega: “La funzione primaria delle statue cicladiche non era certamente collegata con il culto dei morti; si tratta di oggetti che facevano parte del mondo dei vivi e che erano normalmente collocati nelle case”.

Segue un reperto legato alla civiltà micenea, il “Rhyton a testa di toro” rinvenuto a Zagros,  un vaso per libagioni  che evoca la leggenda del Minotauro, la mostruosa creatura nata dal toro bianco mandato da Poseidone a Minosse, figlio di Zeus e di Europa , il quale non volle sacrificarlo al dio e fu punito dalla sua unione innaturale con la moglie Pasifae, invaghitasi dell’animale, dalla quale nacque il Minotauro, cui venivano dati sacrifici umani nel labirinto di Dedalo, dove era rinchiuso e fu ucciso da Teseo aiutato dal filo di Arianna.

Poi la “Tavoletta in scrittura lineare B”  testimonia l’introduzione della scrittura, per le esigenze di registrare e controllare il traffico  che si svolgeva tramite i “palazzi” minoici, dove venivano consegnati i prodotti del territorio e da lì distribuiti  nello sviluppo di scambi commerciali. Tra le due scritture sillabiche sorte nei secoli XVIII e XVII, geroglifico e lineare A, prevalse la scrittura lineare a Creta e nelle isole, I Greci vi si stabilirono dalla fine del III millennio e adattarono alle loro esigenze il lineare A, così nacque  il lineare B,  utilizzato all’inizio sempre per registrazioni di controllo attraverso gli scribi ufficiali.

Altre civiltà vengono evocate seguendo le rotte commerciali dei minoici e micenei, come quella egiziana:  le navi egee portavano i prodotti dell’Asia in Egitto dopo che i Faraoni ebbero occupato  i porti della costa siriana. Negli scritti in lineare B si trovano citati porti dell’Egitto, inoltre di  Mileto e Cipro, Cnido e Alicarnasso, in quanto erano quelli del commercio di tipo statale; mentre per il Mediterraneo occidentale, nelle rotte dei commerci privati dei mercanti egei, vi sono i reperti archeologici delle presenze micenee in Magna Grecia e in Sicilia, nelle Eolie e in Sardegna.  L’Anfora a staffa del periodo Tardo elladico, risalente al XIII sec. a. C., esposta in mostra e proveniente dal Museo di Taranto, è una di queste preziose testimonianze storiche: le popolazioni locali apprezzavano i vasi micenei al punto di produrli  imitando i lavori dei ceramisti egei.

Altra importante testimonianza è la “Kotyle Rodia” dell’VIII sec. a. C., in argilla, rinvenuta in una tomba di Phintecusa, oggi Ischia, la sua decorazione geometrica fa pensare che provenga dall’Egeo Orientale, forse Rodi. E’ detta “Coppa di Nestore”  perché così si legge nell’iscrizione in una delle scritte alfabetiche più antiche del mondo greco, e il nome richiama un personaggio omerico. Vi è scritto  che “chi berrà sarà preso immediatamente dal desiderio di Afrodite”, la dea dell’Amore, il cui culto fiorì a Cipro. Sono versi in forma metrica, segno che già nell’VIII sec. c’era la poesia epica greca scritta, inoltre è la coppa accuratamente descritta nell’XI canto dell’Iliade, “una coppa bellissima che il vecchio [Nestore] portò da casa”; evidentemente la portarono poi nella sua tomba.

I reperti del V-VI sec. a. C.

Questo periodo intermedio tra  quelli cui si riferiscono i reperti in mostra presenta la “Kore”, in marmo pario, della fine del VI sec. a. C.,  rinvenuta ad Est dell’Eretteo, il tempio dedicato ad Atena Pallade, protettrice della città. La statuetta è di epoca  precedente la distruzione dell’Acropoli nel 480 da parte di Serse, poi sconfitto per mare a Salamina e per terra a Platea  l’anno successivo; seguirà la ricostruzione iniziata da Temistocle dei santuari e monumenti sulle rovine del passato, così abbiamo il Partenone tra il 447 e il 438, i Propilei tra il 438 e il 432, il tempio di Atena Nike, nel segno della vittoria, tra il 421 e il 415, l’Eretteo completato tra il 410  e il 404 a. C.  Viene ricordata  la gara tra Atena e Posidone, la vittoria di Atena con il dono dell’ulivo, il prodigio della statua caduta dal cielo dove nel I millennio a. C. le fu edificato il tempio con successive ricostruzioni, ampliamenti e abbellimenti.

Abbiamo citato la distruzione dell’Acropoli nella guerra tra greci e persiani: ebbene, il celebre pittore di vasi greci Eufronio – la cui posizione nella pittura greca arcaica è ritenuta pari a quella di Leonardo o Raffaello nel Rinascimento – fornisce nella “Kylix attica a figure rosse” e nel “Cratere con  Sarpedonte”  la doppia prospettiva in cui viene vista la guerra, una epica e l’altra tragica. La visione epica presenta l’immagine dei giovani ateniesi che si preparano alla battaglia, hanno il volto sereno, l’anima in pace, combatteranno per la propria patria, la massima virtù civile; la visione tragica presenta il trasporto del corpo di Sarpedonte trafitto dalla lancia, nell’impari duello con Patroclo vestito delle armi di Achille, cioè la fine della vita, la  terribile rovina per un giovane.  La  guerra di Troia è rappresentata da Eufronio nelle sue espressioni più violente e spietate, come l’uccisione del piccolo Astianatte, figlio di Ettore ed Andromaca,  e poi del re Priamo, nel tempio inviolabile e sotto gli occhi sbarrati della figlia Polissena violando tutti i principi di umanità.

Questo il commento di Godart: “Dalla Kylix che descrive gli orrori della guerra al Cratere che sconsiglia di andare a combattere, il messaggio politico di Eufronio è evidente: la guerra va condannata in assoluto perché è portatrice di sofferenze e di lutti”.

“In più spirabil aere”, per così dire, con i due reperti che provengono dagli Horti Sallustiani, sono di figure femminili, quindi lontani da riferimenti bellici:  “L’amazzone inginocchiata”, del VI sec. a. C.  e l’“Acrolito Ludovisi”, della prima metà del V sec., erano nei giardini che  Sallustio arredava con i capolavori del mondo greco da lui ammirato.

Altra opera esposta ispirata alla bellezza muliebre  è la “Stele Borgia”, dello stesso periodo, di marmo bianco, proveniente dal Museo Archeologico di Napoli, della collezione iniziata da Gioacchino Murat.

Con “Atene pensosa”  torna il riferimento alla guerra attraverso un’immagine tutt’altro che bellica:, che si cerca di interpretare, considerando  che fu trovata nella Rocca sacra del Partenone e proviene dal  Museo dell’Acropoli. Godart l’ha commentata così nella presentazione alla mostra: “La sua serena  e severa perfezione trasmette a chi l’ammira un sentimento di pace ma guai ad inorgoglirsi eccessivamente pensando ai risultati raggiunti! L’Atena che poggia la fronte sulla lancia non è soltanto la dea dell’intelligenza, è anche quella pronta al combattimento. Le conquiste che l’Atene democratica ha conseguito rischiano di non essere eterne, perciò vanno difese e la lancia deve essere perennemente al servizio della lucida intelligenza”. C’è un’altra interpretazione alla quale Godart stesso ha aderito nel corso della visita alla mostra, cioè la sofferta riflessione della dea pur nella vittoria  dinanzi alle tante perdite umane. In fondo si ripropone in quest’opera la doppia  prospettiva  del vaso di Eufronio sulla guerra, non sono visioni alternative ma compresenti.

Pensosa anche la testa in bronzo della seconda metà del V sec. a. C. esposta, è tra i reperti di grande interesse rinvenuti nel mare di Reggio Calabria com’è avvenuto per i “Bronzi di Riace”, . a C.. E’ chiamata “Testa del ‘filosofo'” anche con riferimento alle scuole filosofiche della Magna Grecia.

I reperti dal I sec. a. C. al II sec. d.C., il Codice purpureo

Siamo giunti a cavallo dell’era cristiana, è del I sec. a. C. la “Statua di giovane” in bronzo, proviene dal Museo Archeologico di Atene,  recuperata dalla Germania dove era approdata per le vie misteriose del traffico illegale, è del periodo ellenistico-romano,  scuola di Policleto. Mentre si colloca tra il I sec. a. C. e il I sec. d.C. il “Busto di Pirro”,  in marmo, dalla Villa dei Papiri di Ercolano, proviene dal Museo archeologico di Napoli, raffigura il re dell’Epiro sconfitto da Roma, che è entrato nel linguaggio comune per indicare una vittoria che è costata più di una sconfitta.

Non c’è solo la guerra verso il nemico esterno, c’è anche un nemico interno da combattere con altrettanta forza, è il tiranno. Questo è testimoniato dal “Gruppo dei Tirannicidi”, del II sec. d. C., copia romana scoperta a Villa Adriana e portata a Napoli,  con la collezione Farnese; l’originale era rappresentato da due statue degli scultori Crizio e Nesiote, che a loro volta avevano  riprodotto la statua originaria dello scultore Antenore portata via dai Persiani nella conquista di Atene del 480 a. C.  Le  dimensioni sono più grandi di quelle naturali, l’imponente gruppo marmoreo celebra Armodio e Aristogitone, uccisori del tiranno Ipparco. In realtà i motivi furono personali – vendicare la sorella che il tiranno voleva escludere da funzioni rituali per il rifiuto oppostogli  da Armodio – ma assunsero un valore civile dopo che  furono presi e giustiziati e la situazione si aggravò, come ha scritto Tucidide: “Dopo questi avvenimenti la tirannide divenne per gli Ateniesi molto più dura e Ippia, ormai in preda alla paura, uccise molti cittadini; e cercava fuori di Atene un riparo dove fuggire in caso di rivoluzione”. La fuga del tiranno avvenne nel 510 e, come attesta Plinio, i due furono il simbolo della ribellione alla tirannide, celebrati come eroi.

Concludiamo la rassegna con un reperto del tutto diverso, il “Codex Purpureus Rossanensis”, del VI sec. d. C., manoscritto in pergamena purpurea finemente miniato, viene da Rossano in Calabria, dove approdarono i monaci geco-melkiti in fuga dinanzi all’espansione araba dopo il 636-638, e i monaci iconoduli dopo la metà dell’VIII secolo per sfuggire alle persecuzioni degli imperatori bizantini contro i monasteri. L’ipotesi più attendibile sembra quella secondo cui il Codice purpureo vi sia stato portato da questi ultimi. A “Rossano la bizantina”, sede vescovile, ci sono monasteri e biblioteche, sono di questa terra di accoglienza dei papi e santi come San Nilo e San Bartolomeo fondatori della celebre basilica di Grottaferrata vicino Roma, particolari che confermano l’ipotesi.

E’ un codice miniato molto particolare nel suo aspetto esteriore estremamente arcaico al quale corrispondono all’interno miniature molto raffinate, con il bianco, celeste e soprattutto l’oro,  che spiccano sulla scura porpora della pergamena, In mostra è chiuso sotto una teca di vetro, ma lo si può “sfogliare” virtualmente pagina per pagina in un video che ne rende la straordinaria bellezza.

I dipinti del XII, XVII e XX secolo

La cavalcata nei tempi remoti finisce qui, ma non il percorso della mostra che si propone di giungere al giorno d’oggi, sia pure con poche  presenze pittoriche di artisti greci e italiani.

Prima un’opera molto antica, “La vergine della tenerezza”, del XII sec. d. C., dal Museo Bizantino Cristiano di Atene, una tempera all’uovo su legno semplice e maestosa, espressione dello spirito religioso sviluppatosi in Oriente, nel mondo bizantino. Segue un’altra presenza greca di eccellenza, “San Pietro” , opera di “El Greco”, artista nato a Creta,  vissuto tra la Grecia, l’Italia e la Spagna,  un olio su tela del 1600-1607 in cui la spiritualità è unita all’autorevolezza.

Degli stessi anni “San Giovanni Battista” di Caravaggio, il pittore con il quale nasce l’arte moderna,  in un parallelismo tra l’arte italiana e quella greca: una figura non certo acetica ma popolare, il modello del santo  ricorda quelli che spesso fecero rifiutare l’opera ai committenti, quando riconobbero, ad esempio, che per il volto della Madonna aveva preso quello di una popolana amica dalla vita non certo spirituale. A lato il dipinto di Mattia Preti, “Il tributo della moneta”, un caravaggesco che ha ripercorso l’itinerario di Caravaggio, come lui è stato a Roma, a Napoli e a Malta, anche se non aveva condanne a cui sfuggire, come Merisi la cui odissea tra queste località e la Sicilia fino alla morte a Porto Empedocle fu dovuta alla condanna a morte per una rissa finita tragicamente  con la morte del fratello del capo rione di Campo Marzio a Roma.

Sule altre pareti dell’apposita sala, le opere del ‘900. Per l’Italia due dipinti che fanno parte del patrimonio del Quirinale, il sereno e liliale “Il mattino delle rose. L’attesa”, 1906, di Giovanni Giani, che ci porta in un contesto ambientale accogliente e familiare, e “Le tabacchine” di Guido Cadorin,  di cui ricordiamo oltre ai dipinti religiosi, gli affreschi della Stanza del Lebbroso nel Vittoriale dannunziano; il  dipinto esposto 

Conclude una terna di opere di artisti greci, due del 1931 di Konstantinos Parthenis, un pioniere del modernismo  nel suo paese “Natura morta con Acropoli” e “Paesaggio con tre figure”, entrambi in tinte pastello, l’Acropoli nel primo e le tre figure nel secondo sono quasi in dissolvenza, evanescenti, un insieme suggestivo. La terza e ultima opera è del 1951, “Figura”, di Yiannis Moralis, pioniere del post-modernismo, un’immagine scura molto ben definita.

La conciliazione dell’arte moderna con la tradizione è stata una conquista degli artisti greci, come si è visto nella mostra al Vittoriano “Ellenico plurale”  che ne ha esaltato l’ampiezza dell’orizzonte sul piano stilistico e su quello dei contenuti; anche quell’esposizione  ha avuto un particolare significato politico, essendosi svolta nel momento di maggiore crisi per la Grecia, indegnamente bistrattata in campo europeo, a riaffermarne l’alta dignità e il valore della sua civiltà che non può essere umiliato, come non può esserlo quello italiano, da deteriori visioni mosse da egoismi e ristrettezze culturali.

Né la loro economia può essere soffocata da restrizioni insostenibili esercitando un’egemonia finanziaria che risulta inaccettabile in quanto rende impossibile la crescita, fonte di lavoro e di iniziative, di sviluppo e di ordinata vita civile e sociale, e condanna  a una regressione senza fine.

Quale  conclusione si può trarre da questa mostra, che celebra la significativa staffetta dei due paesi, accomunati nella presidenza semestrale dell’Unione Europea del 2014 – la Grecia nel primo, l’Italia nel secondo semestre – come lo sono stati nella diffusione dell’arte e della civiltà nel Mediterraneo, in Europa e nel mondo?  Che la sua concomitanza con le elezioni  per il nuovo Parlamento Europeo possa essere il segno di una svolta per una nuova Europa  dando corpo ai valori della civiltà classica nello slancio solidale verso la crescita civile, economica e sociale di una vera unione di popoli.

Info

Palazzo del Quirinale, sala delle Rampe e sale delle Bandiere. Da martedì a sabato ore 10,00-13,00, 15,30-18,30; domenica 8,30-12,00 in concomitanza con l’apertura al pubblico delle sale di rappresentanza, chiuso il lunedì  e i giorni festivi, comprese le domeniche del 1°, 22 e 29 giugno, 6 e 13 luglio 2014. Ingresso gratuito. Catalogo: “Classicità ed Europa. Il destino della Grecia e dell’Italia”, marzo 2014, pp. 240, formato 23×30. Per le precedenti mostre al Quirinale, citate nel testo, e per questa mostra,  cfr. in “www.antika.it”  i nostri articoli “Roma. I reperti di Cipro, l’isola di Afrodite, al Quirinale”, ottobre  2012, “Roma. I tesori del Quirinale alla fine del settennato”,  ottobre 2013, e “Roma. Al Quirinale la classicità di Grecia e Italia per l’Europa”, maggio 2014. Per la mostra “Ellenico plurale” citata, cfr. in questo sito il nostro articolo il 26 dicembre 2012.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Quirinale alla presentazione della mostra. Si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia e la Segreteria generale della Presidenza della Repubblica con i titolari dei diritti, per l’opportunità  offerta. In apertura, “Athene ‘pensosa’”, 460 a. C.;  seguono “Gruppo dei Tirannicidi (Armodio e Aristogitone)”,  II sec. d. C., e “Cratere di Eufronio”, 515 a.C; poi “Statua di giovane”, I sec. a.C.-I sec. d. C., e “Acrolito Ludovisi”, 480-470 a. C., quindi “Kore”, 520-510 a. C. e “Aristogitone“, particolare del “Gruppo dei Tirannicidi”; in chiusura, Caravaggio, “San Giovanni Battista”, 1605-06.