Wharol, l'”artista totale del XX secolo”, alla Fondazione Roma

di Romano Maria Levante

Al Palazzo Cipolla della Fondazione Roma in via del Corso,  dal  18 aprile al 28 settembre,   la grande mostra “Warhol”, che espone circa 110 opere e 40 ritratti, prosegue la rassegna di grandi artisti americani, dopo le mostre su Hopper, la O’ Keffee e la Nevelson, volute fortemente dal presidente Emmanuele F. M. Emanuele.  Organizzata da “Arthemisia”, e da “24 Ore Cultura” a cura di Peter Brant con Francesco Bonami, che ha curato il  catalogo di “24 Ore Cultura”:  un “Silver Catalogue” –  ispirato nella rigida copertina argentata al rivestimento in alluminio delle pareti della “Silver Factory”- in cui oltre alla splendida iconografia delle opere esposte e all’analisi di Francesco Bonami c’è un’ampia intervista a Peter Brant, il grande collezionista curatore della mostra.

Abbiamo voluto intitolare con la definizione data da Francesco Bonami, che precisa:  “E’  il gigante della società dei media, l’artista che ha intuito prima di ogni altro il fascino che la celebrità e il disastro avrebbero avuto sulla società contemporanea”: sono questi infatti i suoi  soggetti preferiti, insieme ai miti del consumismo, anche quelli più banali e quotidiani.

Bonami afferma realisticamente che dinanzi alle sue scatolette di zuppa Campbell,  come avveniva dinanzi alle bottiglie di Giorgio Morandi,  ugualmente oggetti di uso comune, “molti ancora oggi storcono il naso e le guardano con sospetto, come una presa in giro  e  non come una pietra miliare della Storia dell’Arte, non solo contemporanea ma di tutta la Storia dell’Arte”. Le une e le altre erano gli oggetti della quotidianità, quelle di Morandi indiscutibilmente ritenute arte sublime, quelle di Warhol da molti contestate.

Per quanto appena detto,  negare che la mostra di Wharol possa frastornare e rendere incredulo il comune visitatore che non lo ha apprezzato finora sarebbe venir meno a un principio fondamentale della sua arte, cioè il prevalere dell’evidenza concreta su qualunque considerazione e teoria astratta. Evidenza che gli ha fatto  elevare a opere d’arte oggetti da supermercato e immagini diffuse in modo ripetitivo dai media per la loro presenza quasi ossessiva: una realtà fattuale indiscutibile che in lui ha sovrastato le emozioni e le pulsioni interiori alla base dell’Espressionismo astratto, rendendogli ostili i critici d’arte vicini agli espressionisti celebrati come  i  nuovi “artisti maledetti”.

Il racconto di Peter Brant, il grande collezionista curatore

Questa sensazione, che permane tuttora nonostante la fama, rende ancora più interessanti le parole di Peter Brant, il collezionista curatore della mostra che  nell’intervista a Tony Shafrazi riportata nel Catalogo racconta i suoi rapporti con Warhol,  che conobbe personalmente durante la convalescenza dopo il grave attentato  del 1968, e di cui fu il maggior acquirente di quadri lungo tutto il suo percorso artistico al punto di poter alimentare la mostra antologica con la sua raccolta .

Iniziò con straordinaria  preveggenza acquistando il quadro che raffigurava il barattolo della “Campbell ‘s Soup” per 8 mila dollari, quando una grande Cadillac nuova costava 3.600 dollari; a questo primo acquisto seguì quello di “Gangster Funeral” per 35.000 dollari quando aveva 22 anni, e due anni dopo comprò “Thirty is Better  than One” per 20.000 dollari, era andato perfino in Africa per contattare la collezionista africana Mary Harari McFadden che lo possedeva. Ancora più stupefacenti i due acquisti di “Lavender Disaster” e di un’opera con la lattina di “Campbell’s Soup, 19 cents”, ebbene poco dopo mise all’asta a Zurigo al Kunsthaus un’opera simile che già possedeva, la “Big Torn Campbell’s Soup”  e la vendette per ben 60.000 dollari allora.

All’inizio degli anni ’70 aveva già comprato alcune delle più importanti opere di Warhol, e oggi ricorda: “Negli anni Settanta stavo crescendo e stavo imparando, e ho  venduto dei dipinti notevoli che mi pento di aver venduto. Qualsiasi collezionista che si sia separato da un Andy Warhol ha fatto un grosso errore. Ma è un processo di apprendimento”.

Sul  valore di artista dice: “”Warhol ha proprio un suo posto nel XX secolo: ai miei occhi, è lui il leader di maggior spicco. La gente confronta sempre la prima metà del Novecento con Picasso e la seconda con Warhol, secondo me spicca come una figura alla Leonardo. Questo ha fatto sì che abbia influenzato molti altri artisti delle generazioni successive” E su un piano ancora più personale:  “Credo che Andy abbia sempre saputo di essere un grande artista. Poteva anche scherzarci sopra, ma sapeva di essere grande, e si aspettava che gli altri capissero la sua grandezza”.

Il suo e nostro mondo, la contemporaneità

Dopo queste parole torniamo all’antinomia tra la sensazione dell’osservatore inconsapevole e la valutazione del critico avveduto e per superarla cerchiamo di far entrare l’osservatore nel “suo” mondo, operazione  naturale dato che si tratta del “nostro” mondo, il mondo di tutti: quello del consumismo che ispirò soprattutto la corrente di arte contemporanea della  Pop Art, in un fervore creativo che  dall’Espressionismo astratto ha portato anche  al  Minimalismo e al Postminimalismo al  Concettualismo e  al Fotorealismo..

Oltre che nel suo mondo si deve entrare nella sua vita per scoprirne i risvolti dai quali nasce l’impulso per una visione così  particolare, innovativa nel momento in cui è elementare. Ma “l’uovo di Colombo” proprio perché elementare è stato ritenuto una soluzione geniale, lo stesso dicasi per le figurazioni  di Warhol tanto ovvie da divenire proprio per questo coraggiose e controcorrente anche per gli stessi cultori dell’arte contemporanea che all’inizio ne furono spiazzati, a parte chi ebbe subito fiuto come il collezionista Peter Brant, di cui abbiamo riportato alcuni ricordi rivelatori.  

Come è  rivelatore seguire il manifestarsi e lo svilupparsi del peculiare disegno di rappresentazione di Warhol in parallelo con le principali vicende della sua vita, commentando via via le opere esposte nella spettacolare rassegna antologica della mostra. Lo faremo riservando alla fine le considerazioni sulla sua arte che scaturisce dall’essenza stessa dei soggetti rappresentati, in una creatività frenetica con le interruzioni di eventi che lo hanno minato nel corpo e nello spirito.

Il primo periodo della vita e le opere grafiche iniziali

La sua famiglia è originaria della Slovacchia,  il padre Andrej Warhola emigrò per Pittsburgh dove lavorò da minatore, morì nel 1942 di epatite quando il figlio Andrew, nato nel 1928,  aveva 14 anni;  a questo punto per la famiglia composta dalla madre e da altri due figli la vita diventa misera, ma Andrew può entrare nel 1945 nel Carnegie Institute of  Technology cittadino.

Rivela presto doti  particolari, diventa “picture editor” di una rivista universitaria e decoratore, è dello stesso anno il primo autoritratto, si laurea in “fine arts” e nel 1949 si trasferisce a New York assumendo il nome che lo ha reso celebre e sperimentando la tecnica della “blotted line” con cui replicava l’originale dalla matrice iniziale, in anticipo sulla tecnica serigrafica. Ha un aspetto da artista trasandato, accentuato da pesanti occhiali e da una parrucca bianca, è apprezzato come grafico pubblicitario, crea una serie di disegni di scarpe per “Glamour”, e lavora per grandi riviste come “Vogue” e “Harper’s Bazaar”. 

Dal piccolo studio iniziale va in un vasto ambiente con altri creativi; il lavoro pubblicitario ha successo, intanto nel 1952 la madre va a vivere con lui e i suoi gatti, ci resterà per vent’anni. Del 1952 e 1953 le due prime mostre, nel 1955 e 1956 campagne pubblicitarie di scarpe ed esposizione dei relativi disegni con “blotted line” su “foglia d’oro”. Nel 1957 fonda la “Andy Warhol Enterprises Inc.“, il suo reddito da pubblicitario sale a livelli che come pittore raggiungerà solo negli anni ’70.

Di questo periodo iniziale, tra il 1950 e il 1957, vediamo nella prima sala della mostra la serie di disegni su carta di Shoes”,  scarpe in “foglia d’oro” e inchiostro, sono molto raffinate e leziose nei minimi dettagli, qualcuna fa pensare alla scarpina di Cenerentola; del resto lui disse “To shoe or not to shoe”,  mercificando scherzosamente le celebri parole shakesperiane; poi “Gold Boot”, gli “stivali d’oro” di Elvis Priesley e  un “Golden cat”, stessa tecnica; di questo periodo anche “Sam”,  un gatto in  acquerello rosa,  “Pin theTail on the Donkey”, una gustosa composizione da cortile quasi naif e  “Butterfly”, grande farfalla  in “foglia d’oro”. Inoltre  due colorate “Scarpe in legno dipinto”, a fondo verde o rosso con viso di biondo cherubino.

Altri disegni di volta in volta raffinati o arguti completano la fase iniziale della sua vita artistica: Del 1955-56 disegni di volti molto diversi, “Hermione Gingold” e “James Dean”  riverso dopo l’incidente mortale;  due languide figure femminili, sempre “Hermione Gingold” e un “Nudo di donna seduta” ; del 1957-58 “Flowers in Vase” e“Watermelons”; del 1957-59 due “Nativity”  colorate, inoltre “Wild Raspberry Cake” e “Strawberry Shoe”, una scarpa piena di bacche, 1960 due “Interior”, disegni  a penna a sfera su carta su arredi e pareti con quadri dell’abitazione, e “Female Faces”, ,un disegno con 8 profili femminili sovrapposti, che prelude la svolta del 1962. E’ l’anno anche di “Dick Tracy”  e di altri personaggi dei fumetti dipinti come sono nelle strisce, proseguirà su questa linea, è del 1964 “The Kiss”, appassionata scena cinematografica fissata su carta.

Gli anni ’60, da “Campbell’s Soup” a “Marilyn” e alle serigrafie multiple

All’inizio degli anni ’60 la prima svolta in una carriera già lanciatissima, è quella decisiva: nel 1961 dipinge 32 scatole di ” Campbell’s Soap” con una riproduzione seriale e ripetitiva quasi fosse una macchina, dei barattoli di zuppa, come migliore interprete del consumismo che omologa e moltiplica. Si tratta del suo cibo preferito, le dipinge come se le vedesse veramente sullo scaffale del supermercato: la levata d’ingegno nasce dal consiglio di un’amica di “dipingere ciò che gli piace di più”. Vediamo queste celebri opere in varie forme, “Chicken with Rice”, “Condensed” “Tomato Juice Box”, e non si può non restare  colpiti dalla loro semplicità per non dire banalità direttamente proporzionale alla loro fama. I disegni a matita e gli schizzi ne mostrano la preparazione  Sono esposte anche varianti sul tema, “sculture” di legno o compensato, sono sempre prodotti di largo consumo da supermercato che diventano opere d’arte:  ecco, del 1964,  i “Kellog’s Corn Flakes” e “Del Monte”, “Silver Coke Bottles” e “Brillo Soap Pads Box”, le scatole con le pagliette per le pulizie domestiche.

Non sono i soli temi di questi anni, è per Warhol una fase altamente innovativa e creativa, dopo aver espresso in “Do it yourself”  i suoi concetti su copia e originale e sulla riproducibilità:in serie. Dal 1962 applica questa nuova linea in una serie di serigrafie basate sull’originale disegnato a mano,  iniziando con  “One Dollar Bills”,  vediamo l’opera esposta, una infinità di piccole banconote verdi affiancate e in colonna, ne abbiamo contate oltre 190; così le “Green Stamps”,  blocchi di francobolli in 5 file per 11 colonne, in tutto 55.  In questo anno così innovativo  continua a disegnare e colorare all’anilina, come nei “Matchsticks”, fiammiferi sparsi, e  nei due “Profile of Woman”,volti femminili delicati ingabbiati in un forte cromatismo blu e giallo, ci sono anche due disegni  intitolati “Perfum Bottles”,  pubblicità di profumi,  uno di essi non colorato con Chanel n. 5  sovrastato da Santa Klaus, l’altro su fondo giallo con effluvi rossi verso l’alto.

Seguiranno, nei due anni successivi, sorprendenti applicazioni della tecnica  moltiplicativa serigrafica, i soggetti non potrebbero essere più diversi: del 1963 vediamo esposta Thirty are Better than One”, nel titolo quasi l’enunciazione della filosofia della moltiplicazione di immagini uguali all’originale, nientemeno che la “Gioconda” di Leonardo in bianco e nero; del 1964 Twelve Electric Chair”, il soggetto questa volta è addirittura la sedia elettrica ripetuta 12  volte, con  varianti cromatiche,  al nero  associa il bianco o il giallo, l’arancio o il rosso, il viola o il verde; nessun pathos, è un oggetto omologato dalla notorietà come tanti altri..

I disastri e la morte nelle opere, la Silver Factory nella vita

Oltre a ciò che piace, o comunque  attira, nella vita c’è  quello che colpisce per il motivo opposto,  si tratta dei disastri e della morte, anche questi diventano fonte di ispirazione e li rappresenta. Il primo quadro è “129 Die in Jet”,  da un disastro aereo, ne seguiranno altri ispirati a disastri automobilistici, vediamo “Green Disaster Twice”, autovettura distrutta in campo verde-nero replicata, e  tragedie personali, “Tuna Fish Disaster”, foto delle vittime e scatoletta avariata replicate.

Oltre alle tragedie di persone comuni si ispira a quelle di personaggi: nel 1962, tra  il 5 e il 6 agosto muore Marilyn Monroe,  la celebra con la fotoserigrafia, tecnica da lui studiata per trasferire le immagini fotografiche su una matrice per moltiplicarle;  la stessa cosa fa con l’immagine della Taylor quando si ammala gravemente, “Liz Colored” e così con Priesley in una circostanza analoga, a lui dedica la foto inconfondibile del viso moltiplicata per 36 volte  su un fondo rosso cupo, il “Red Elvis”. Le immagini di Marilyn” vengono esposte in una mostra a New York, che segue la mostra con le “Campbell’s Soup”, sottolineando la compresenza dei diversi motivi che fanno parte dell’esistenza nella società dei consumi.

La fotografia lo affascina, ne parla così: “Una bellezza in fotografia è diversa da una bellezza dal vero… si vorrebbe essere sempre come si viene in fotografia, ma ciò non è possibile. E così si comincia  a copiare la fotografia. Con la fotografia entri per metà in un’altra dimensione”.

Disastri e morte, a questi è connessa la delinquenza, ed ecco la serie “Most wanted men”,  gigantografie di foto segnaletiche di criminali, foto frontale e profilo in bianco e nero, vediamo esposta quella di “Arthur Alvin M.. il lancio fu spettacolare nel 1964, sulle pareti dello State Pavillon di New York  con la collaborazione di un architetto, poi ne fece un prodotto seriale..

Non finisce qui l’eclettismo della prima metà degli anni ’60. Del 1964, dopo aver visto le scatole di articoli domestici e di serigrafie come quella della sedia elettrica, vediamo un filone che sorprende per la sua “normalità” rappresentativa, come gli altri hanno sorpreso per la loro “normalità” quotidiana che diventa spiazzante trasferita nell’arte. Si tratta della serie “Flowers”, pitture acriliche e inchiostro serigrafico su lino di grandi corolle aperte a cinque larghi petali, lo sfondo è nero con fili d’erba verdi, i fiori sono 4 per ogni dipinto, in tinte calde rosso-giallo e fredde blu-viola, o miste, uno con fiori solo bianchi e  “Large Flowers”, due fiori giganti uno rosso, uno blu.

Come spiegare questa fase  così intensa, forse irripetibile, della sua vita artistica? E’ presto detto, nel 1963 si è trasferito a Manhattan in un loft che diventerà la “Silver Factory” altamente creativa,  dall’arredamento ai frequentatori, Billy Name l’ha rivestita per lui con una pellicola di alluminio. Non fu creatività ma segnale allarmante l’incidente del 1964: alla Factory si presenta nel 1964 una donna di nome Dorothy Podwer, “to shot Marilyn”, disse: non fotografò il quadro che ritraeva l’attrice, come lasciava intendere il verbo dal doppio significato, bensì sparò al gruppo di dipinti accatastati a terra, tre poi furono restaurati, il quarto  acquistato da Peter Brant, con l’autorizzazione di Warhol,  ha mantenuto l’impronta del colpo in mezzo alla fronte  è il celebre “Marilyn Shot.

Nella  fucina di creatività della Factory gira dei film che possono sembrare stravaganti, come “Sleep”, “Eat”, “Empire”, con la caratteristica comune di immagini fisse per 6-8 e più ore consecutive; girerà anche “Chelsea Girls”, sui pittoreschi frequentatori della Silver Factory; pensa di lasciare la  pittura e dedicarsi solo al cinema. Nel 1966  ricopre le pareti della galleria di Leo Castelli dove tiene una mostra con la gigantografia di una mucca ripetuta su fondo giallo, in un’altra stanza nuvole d’argento gonfiate di elio, le “Silver Clouds”,  tutto ciò richiama la Silver Factory. La lascerà nel 1968 dopo aver  prodotto anche un disco, “The Velvet Underground & Nico”.

Vedremo prossimamente il seguito della sua vita e commenteremo le altre opere esposte in mostra.

Info

Fondazione Roma, Palazzo Cipolla, via del Corso n. 320, Roma. Tutti i giorni apertura alle ore 10,00, tranne il lunedì alle 14,00; chiusura alle ore 20,00, tranne il sabato alle 22,00; la biglietteria chiude un’ora prima dell’orario di chiusura. Ingresso euro 15,50, ridotti 13,50 (over 65, tra 11 e 18 anni, studenti fino a 26 anni, bambini 4-11 anni 5 euro, ridotti per gruppi e scuole). Tel. 06.98373328. Catalogo ““Warhol”, “24 Ore Cultura”, aprile 2014, pp. 186, formato 28,5 x 31,00, dal Catalogo sono tratte le  citazioni di Peter Brant  e Francesco Bonami.  L’articolo conclusivo sulla mostra, con un’altra serie di immagini,  è in questo sito il 22 settembre 2014. Per le precedenti mostre sugli artisti americani e le correnti citate nel  testo cfr.  i nostri articoli:  in questo sito per Loise Nevelson, il  25 maggio 2013,  per  la collezione del Guggenheim in generale il 22 novembre 2012, dall’Espressionismo astratto alla Pop Art il 29 novembre 2012, dal Minimalismo al Fotorealismo l’11 dicembre 2012;  in “cultura.inabruzzo.it” per Edward Hopper, il 12, 13 giugno 2010 e per Georgia O’ Keffee, 2 articoli entrambi il 6 febbraio 2012..

Foto

Le  immagini riprodotte, tranne la 4^, sono state fornite dall’Ufficio stampa di Arthemisia, che si ringrazia per la cortesia e sollecitudine, come si ringraziano i titolari dei diritti, e in particolare  l’autore delle fotografie dell’allestimento,  Giovanni De Angelis;  la 4^ immagine, “Campbell’s Soup Can”,  è stata ripresa dal Catalogo di 24 Ore Cultura, che si ringrazia. In apertura  “Blue Shot Marilyn”, 1964, seguono “Pin the Tail on the Donkey”, 1954-55, e “Shoe (Blue and gree e Red with Blond Cherub)”, 1958; poi “Campbell’s Soup Can”, 1962, e “Corn Flaxes Boxes”, 1964;  quindi “Silver Coke bottles”, 1964, e “One Dollar Bills”, 1962, inoltre “Thirty Better Than One”, 1963, e “Twelve Electric Chairs”, 1964; infine “Green Disaster Twice”, 1963 e, in chiusura, “Flowers”, 1964.