Memling, 2. Ritratti e dipinti devozionali, alle Scuderie

di Romano Maria Levante

Alle Scuderie del Quirinale, dall’11 ottobre 2014 al 18 gennaio 2015, la mostra “Memling. Rinascimento fiammingo” espone le opere di Hans Memling, dedicate alla ritrattistica e sulla pittura devozionale per uso pubblico e privato. Le mostra, organizzata dall’Azienda Speciale Expo con Arthemisia, è curata da Till-Holger Borchert;  lo splendido Catalogo, a cura dello stesso, è edito da Skira, sono in programma incontri sull’arte fiamminga e visite guidate a tre importanti opere. Si inserisce nel ciclo delle mostre sugli “Old Masters”, come Antonello da Messina, Bellini e Lippi.

Delle iniziative di contorno alla mostra abbiamo dato conto in precedenza, come abbiamo cercato di inquadrare l’arte di Memling nel contesto in cui si è manifestata: il Rinascimento fiammingo, di cui è stato un protagonista, che ha preceduto e influenzato per molti versi il Rinascimento italiano.

Abbiamo già ricordato alcuni aspetti della vita di Memling approdato a Bruges, centro commerciale e finanziario con filiali di banche fiorentine e una classe agiata con una comunità italiana aperta alla committenza verso un artista di cui sentiva l'”appeal” per la sua particolare produzione pittorica a olio su tavola: con  grande impiego della paesaggistica negli sfondi delle opere devozionali e dei ritratti, questi ultimi nell’originale posizione a tre quarti rispetto alla posizione di profilo degli artisti italiani. C’è una verisimiglianza particolarmente spiccata nel suo realismo anche per l’estrema precisione e nitidezza dei dettagli, con una luminosità tutta speciale. E poi le innovazioni compositive come nella “narrazione”, e quelle relative all’impiego delle opere devozionali per uso personale anche in viaggio con piccoli  polittici portatili o tondi da tenere in mano.

Una mostra diversa dalle tante altre con pale d’altare e opere a soggetto religioso che colpiscono per la loro imponenza. Qui colpisce l’opposto, la nitidezza e precisione nelle piccole dimensioni fino alle miniature, che l’allestimento valorizza con l’uso della luce moltiplicandone l’effetto.

Emerge l’intimità di una pratica devozionale interiore e discreta, se ne resta  profondamente colpiti. per la “rara bellezza e l’alta qualità”, sono le parole dal presidente dell’Azienda Expo Franco Bernabè. Non si può che sottoscriverle, bellezza e qualità le troviamo nei due piani della mostra. 

I due ritratti emblematici, “testimonial” della mostra

All’ingresso accolgono i visitatori due ritratti emblematici, i “testimonial” dell’esposizione: “Ritratto di donna”, 1480-85 e “Ritratto d’uomo con una moneta romana” , 1473-74.

Il primo è un  delicato ritratto femminile, lo sfondo neutro fa risaltare  il viso e  la scollatura,  manca la parte inferiore con le mani e non si conosce l’identità;  la si conosce invece per il ritratto di “Sibylla Sambetha”, il volto e gli occhi che guardano altrove presentano  analogie, a noi richiama “La dama dell’Ermellino”,  la nostra è solo un’associazione visiva, non un riferimento critico.

L’altro ritratto-simbolo  sembra raffiguri Bembo, ambasciatore veneziano alla corte di Borgogna che nel  1473-74 soggiornò nelle Fiandre e nel 1475 fu ambasciatore a Firenze dove  portò con sé questo quadro con la moneta, che  può aver ispirato Botticelli nel “Ritratto d’uomo con medaglia di Cosimo il Vecchio”. e Leonardo nel “Ritratto di Ginevra de’ Benci” . E’ l’unico con lo sguardo verso l’osservatore e non altrove e con la testa non rivolta sulla sinistra come negli altri ritratti.

Dopo questo inizio folgorante, l’esposizione  ripercorre la vita e la carriera di Memling in una carrellata di storia pittorica e personale illustrata dalle opere appartenenti ai diversi periodi o ai diversi temi analizzati.

Dai  trittici degli esordi alla “ritrattistica”, fino alla “narrazione”

Nella sezione sugli “Esordi” è interessante il riferimento al più celebre pittore di allora, Roger van der Weiden, del quale è esposto il “Compianto del Cristo morto”, 1460-65,  accostato al celebre “Trittico di Jan  Crabbe”, che  fu commissionato a Memling  poco dopo il suo arrivo a Bruges per il 15° anniversario del prelato Crabbe. Si avverte l’influenza di van der Weiden nello stile e nell’iconografia, mentre nei due pannelli esterni sull’Annunciazione c’è tutto il realismo di Memling, con immagini “in carne e ossa”, e non  idealizzate, dell’incarnazione di Cristo.

Dagli esordi a “Un incarico ambizioso”  il passo è breve  in termini cronologici e in termini espositivi,  l’incarico è per Il Giudizio Universale”, siamo nel 1467-72, poco dopo il suo arrivo a Bruges. L’opera è’ riprodotta in video perché  dichiarata non trasportabile a causa della sua delicatezza,  quasi un contrappasso nella vita tormentata del dipinto, rubato dai pirati anseatici nel trasporto in Italia, e finito a Danzica. Committente Antonio Tani, il banchiere fiorentino direttore della filiale di Bruges del Banco Mediceo  che lo volle per la sua cappella privata della Badia di Fiesole, dove il quadro non arrivò mai.

E’ una composizione molto ricca con tante figure quasi filiformi di stile nordico, richiamano visivamente Cranach, protagonista dell’algido Rinascimento tedesco;  pur nell’assenza giustificata dell’originale, si può analizzare per lo scorrere sul video di un gran numero di ingrandimenti dei sottili corpi nudi  delle anime nell’al di là. Spicca al centro la grande figura di san Michele Arcangelo  con la spada, che colpì la fantasia al punto di essere riprodotta in modo pressoché identico in un dipinto anch’esso di grandi dimensioni  opera  di un Anonimo napoletano del 1490-500, esposto vicino al video del “Giudizio Universale”. .

Dopo  questi  grandi Trittici la mostra cambia passo, torna ai piccoli ritratti presentati in apertura. La sezione “Maestro ritrattista” ne presenta  8, rappresentativi di un filone fortunato, dato che i banchieri e il ceto facoltoso di Bruges, e non sole le élite aristocratiche, ne commissionavano anche in dittici  e trittici devozionali. Sono piccoli,  per lo più 30 x 40 cm,  tutti con la testa a tre quarti e lo sguardo verso sinistra, l’eccezione è stato il ritratto di apertura che ha anche il fondo neutro.

Lo stesso  fondo  neutro  si nota in “Ritratto d’uomo”, 1475-80, e “Ritratto di giovane uomo in preghiera”, 1485-1490,  mentre gli altri ritratti esposti hanno  uno sfondo paesaggistico. In “Ritratto d’uomo”,1470-75, il personaggio non è stato identificato,  lo sfondo è un paesaggio idilliaco, con alberi e costruzioni, la figura a mezzo busto è divisa dalla sfondo da una cornice, come una finestra, che fa spiccare ancora di più il primo piano; mentre in “Ritratto di ignoto in un paesaggio”, 1475, invece della cornice c’è una balaustra dietro la testa all’altezza del collo e una più in basso dove si appoggia. Quasi immerso nel paesaggio è “Ritratto di giovane”, 1480, dove non ci sono elementi di separazione, anche se la mano è appoggiata su una balaustra invisibile.

I “Ritratti di William Moreel e Barbara von Vlanderbergh”, 1480, dovevano essere gli scomparti laterali di un piccolo trittico omonimo, essendo di 30-40 cm, ben più piccoli delle componenti del grande “Trittico Moreel”: a differenza degli altri sono all’interno di una loggia, ciononostante il paesaggio sullo sfondo è molto ampio, su due livelli, uno vicino alla loggia e l’altro più lontano.

Segue logicamente il grande “Trittico Moreel”, che in mostra è collocato al centro del lungo ambiente espositivo all’interno di una apposita vetrina protettiva. Fu commissionato da una delle famiglie più ricche di Bruges per l’altare della famiglia nella chiesa cittadina di San Giacomo: era una famiglia di origini italiane che aveva fatto fortuna con il commercio delle spezie e l’attività bancaria. .Il grande pannello centrale, di 140 x 170,  raffigura San Cristoforo che porta  Gesù Bambino sulle spalle con a lato i santi  Mauro ed Egidio.

Nei due pannelli laterali i committenti in ginocchio con i rispettivi santi protettori la cui mano è sulla loro spalla e i figli allineati dietro, Willem Moreel con il santo Guglielmo di Malavalle e i 5 figli maschi, la moglie Barbara con santa Barbara e le 11 figlie femmine; nel verso san Giovanni Battista e san Giorgio come fossero statue nelle nicchie. Anche le dimensioni dei pannelli laterali sono ragguardevoli, 140 x 86 cm, nell’insieme è il suo più grande dipinto esposto. E’fondamentale nell’arte fiamminga  per la paesaggistica, molto curata con verde, alberi e costruzioni, e per la ritrattistica di gruppo a diversi piani prospettici.

La mostra prosegue in crescendo con “Memling narratore”, non solo ritratti di gruppo ma composizioni molto elaborate in cui più eventi sono raffigurati simultaneamente in una rappresentazione panoramica di tipo teatrale; le immagini si sviluppano in una sequenza che  pone gli eventi  in successione logica e temporale  presentandoli insieme nella stessa sede pittorica.

Lo vediamo nella “Passione di Cristo”, 1470, ritenuta una delle prime sue opere a carattere  “narrativo”, esposta in mostra vicino al dipinto del 1500 sullo stesso tema di un seguace che ne riprende forma e contenuto in un trittico che non ha né può avere la continuità narrativa di Memling. Gli fu commissionata  da Tommaso Portinari, che dirigeva la filiale di Bruges del Banco Mediceo, il quale la portò a Firenze dove fece scuola: al riguardo  è esposto un dipinto di Gaspare Sacchi, “Scene della vita di Cristo”, 1520-30, dalla composizione affine nell’ambientazione  in nicchie e comparti, sebbene si dia più spazio alla campagna rispetto al complesso urbano abitativo.

E’  un’opera permeata di religiosità medioevale, come se si svolgesse un pellegrinaggio sulla salita del Calvario ripercorrendo i vari momenti della Passione, da riscoprire con una lettura attenta e meditata, muovendo lo sguardo da sinistra a destra e spostandolo dal primo piano allo sfondo; l’intento era farli rivivere nel raccoglimento interiore, e non sappiamo se vi fossero collegate le indulgenze come avveniva qualche volta in quel periodo.  

Per presentare contemporaneamente i  momenti molto diversi della Passione, come luogo e come tempo,  l’artista ha scelto la prospettiva dall’alto e un gioco di luci che rende il giorno e la notte  compresenti nel quadro. Il percorso spirituale che culmina con il Golgota e l’immagine delle tre croci è inserito in una sorta di complesso monumentale con le  figure umane collocate all’interno di enclave abitative o in esterni urbani molto raccolti;  al culmine di architetture elaborate con torri e cupole spicca la collina del Calvario con il Cristo a terra inchiodato sulla croce, poi i tre crocifissi eretti, fino alla deposizione dalla croce. Pur nelle dimensioni molto contenute, 50 x 90 cm circa, le figure sono numerosissime,  brulicano tra le torri e le cupole, gli archi  e le guglie di Gerusalemme.

Il “Trittico della Crocifissione”, 1480-85,  sviluppa in primo piano il tema che nella “Passione di Cristo” è quasi sullo sfondo sebbene al culmine, quasi visto in una lontananza siderale. Anche qui le figure si affollano, e la sequenza narrativa si realizza non in modo unitario come nel grande complesso urbano della “Passione”, ma in  tre comparti: dal laterale sinistro con Cristo sotto il peso della croce nella salita del Calvario, al grande pannello centrale con i tre crocifissi intorno ai quali si accalca la folla, fino alla Resurrezione nel pannello destro con Cristo fuori dal sepolcro.

La prima galleria della mostra è terminata, si sale al piano superiore dove prosegue la “narrazione”. Con altre sorprese in una continuità di motivi e di temi che contiene sempre elementi di novità.

Dai  piccoli polittici devozionali ai confronti con artisti italiani e fiamminghi

 “Il rinnovamento dell’immagine devozionale” si intitola la sezione dove è esposta una serie di piccoli dipinti; il rinnovamento viene collegato alla nascita  della “devotio moderna”, con il culto popolare legato alla natura umana di Cristo e quindi portato a emularne l’umiltà nella vita e la sofferenza nella passione, in attesa del giorno del Giudizio.

Si tratta di dittici e trittici, una sorta di  piccoli polittici di uso privato, meno legati alla liturgia curiale e più aderenti alla religiosità del proprietario, che accompagnavano anche in viaggio, venivano aperti per poter toccare e baciare le sacre immagini, poi richiusi. Le piccole dimensioni, in uno stile pittorico orientato al realismo, impegnavano l’artista in un precisione quasi da miniatura, e il suo virtuosismo si spingeva fino ad evidenziare dettagli anche insignificanti. Mentre l’uso privato, e intimo, faceva personalizzare l’iconografia secondo le preferenze devozionali del committente.

Si inizia con il “Trittico di Adriaan Reins”, 1480, il cui pannello centrale, di 44 x 36 cm., reca la deposizione dl Cristo dalla croce, nel pannello di sinistra il committente in ginocchio in adorazione con il protettore nella sua armatura in piedi, la mano sulla spalla, nel pannello di destra santa Barbara, il tutto con uno straordinario paesaggio  sullo sfondo:  al centro le cupole e i templi di Gerusalemme, ai lati gli alberi e la campagna; sul retro degli “sportelli” laterali  due immagini di sante, una martire e una eremita, entro arcate traforate che richiamano la struttura della cappella.

Nel “Trittico della Resurrezione”  torna  sul pannello centrale la figura di Cristo, dentro una cornice circolare, mentre esce dal sepolcro aiutato dagli angeli con le guardie addormentate, sullo sfondo il Golgota con le tre croci;  nel pannello di destra la scena prosegue con la Santa Madre e gli Apostoli che guardano in alto Cristo  ascendere in cielo se ne vedono sono i piedi, mentre  la figura di san Giovanni di spalle chiude il cerchio, nel pannello sinistro il corpo nudo di  san Sebastiano,

Cristo  trionfante non nella Resurrezione ma in trono come “Salvator mundi” è al centro di un’opera molto particolare, il “Trittico della vanità terrena e della salvezza divina”, 1485: è circondato da 4 angeli, ma è l’unica immagine religiosa in una composizione allegorica – una delle tre pervenute di Memling – che per i suoi insoliti contenuti si è dubitato a lungo fosse riconducibile a lui: Il Salvatore  rappresenta la salvezza rispetto alla dannazione dell’inferno per la vanità, per alcuni la lussuria, raffigurata sul retro nel corpo nudo di una donna che si guarda allo specchio, collegata al teschio che ricorda la morte, mentre i cartigli contengono ammonizioni sulla fine del mondo e sulla redenzione dell’umanità. Anche quest’opera ha un committente italiano, di famiglia bolognese, il mercante Giacomo di Giovanni d’Antonio Loiani..

Ci sono poi i due laterali esterni raffiguranti “Santo Stefano e San Cristoforo”, 1480, con uno sfondo molto elaborato e monumentale. Facevano parte del  “Trittico del riposo durante la fuga in Egitto”, conservato al Louvre e non esposto in mostra, nel pannello centrale  la Madonna col Bambino in piedi dinanzi a uno sfondo roccioso, mentre san Giuseppe lontano coglie i frutti da un albero, un santo e una santa nei pannelli laterali in cui continua il paesaggio del pannello centrale,

Di piccole dimensioni anche i tondi  devozionali, potevano essere girati tra le mani dal devoto in preghiera avendo un diametro di soli 18 cm. Ne sono esposti due con che raffigurano la “Madonna col Bambino (Maria lactans)”, 1475-80, uno di Memling, l’altro della sua scuola che ne ricalca la forma senza avere la stessa straordinaria luminosità e trasparenza dell’incarnato nel tenero momento dell’allattamento.

Con la sezione “L’affermazione artistica”,  prosegue  la galleria di opere devozionali. Particolare rilievo ha l’iconografia della Vergine, tra le altre la  “Madonna col Bambino”, 1485,  in piccole dimensioni, poco più di 40 x 30 cm. E’ un tema prediletto da Memling che doveva avere schemi precostituiti  cui apportava di volta in volta varianti in funzione delle committenze. Ritroviamo la mela data al Bambino come ammonimento del peccato originale con l’innovazione della balaustra coperta da  un prezioso tappeto su cui appoggia il Bambino. Sono esposte a confronto due opere:dallo stesso titolo: quella successiva di Bernardino Luini, 1500, con molte assonanze stilistiche e il motivo della balaustra sviluppato in un parapetto su cui è disteso il Bambino; quella precedente di Hugo van der Goess, 1475-80,in cui ritroviamo la posizione e le fattezze dei soggetti, ma non la delicatezza del dipinto di Memling.

Rivediamo i comparti di un trittico, sono incompleti e  raffigurano “San Pietro (recto) e San Francesco d’Assisi (verso), Santa Elisabetta d’Ungheria  (recto) e San Bernardino da Siena (verso)“, 1485-1490:  austere figure nei loro sai, due in nicchie senza sfondo, quasi delle statue, due  in logge con sfondo paesaggistico.

Nelle sezioni “Un Rinascimento fiammingo”  e “Memling in Italia” viene evidenziata soprattutto  l’influenza dell’arte fiamminga, e in particolare di Memling, su quella italiana del periodo, e viene anche ricordata l’influenza indiretta sull’artista tramite la committenza le cui preferenze erano da lui recepite puntualmente e a poco a poco entravano nel suo stile, come si è visto per il paesaggio.

E’ esposto il “Trittico Pagagnotti”, 1480,  di piccole dimensioni perché per la devozione privata,  nel pannello centrale c’è Cristo bambino tra le braccia materne della Madonna con ai lati due angeli musicanti, su un trono sotto un sontuoso baldacchino con dei putti che sorreggono dei festoni in alto: è l’innovazione che troviamo dal 1480, su ispirazione degli antichi e forse di Donatello. Nei pannelli laterali due santi, nello sfondo un paesaggio agricolo con case di campagna e gli alberi dalla caratteristica forma cilindrica. A differenza del Trittico di Reins, il committente non è riprodotto nel pannello laterale, inoltre è  italiano, Benedetto Pagagnotti, vescovo di Firenze e poi di una diocesi francese.

E’ molto simile per soggetto e composizione al pannello centrale del “Trittico Pagagnotti” la “Madonna col Bambino e angeli”, 1480-85, di nuovo gli Angeli musicanti e il sontuoso baldacchino con dietro un paesaggio più monumentale;  e il particolare che l’angelo di sinistra offre al Bambino una mela, l’immagine simbolo del peccato e della redenzione. Viene evidenziata l’influenza sulla pittura italiana esponendo  il “Trittico della trasfigurazione” di Sandro Botticelli.

Un altro confronto diretto viene operato per il “Cristo benedicente”, 1485,  con il dipinto dello stesso titolo del Ghirlandaio, 1490: la somiglianza è tale da essere una copia vera e propria anche nei dettagli, come le gocce di sangue che scendono sulla fronte dalla corona di spine, sono state aggiunte solo due colonne in porfido quasi indistinguibili sullo sfondo scuro. L’opera di Memling, 50 x 30 cm,  è parte di un dittico con la “Mater dolorosa”, raffigurata quasi come una suora.

Ritroviamo un “Cristo benedicente (Salvator Mundi)”, 1480-85, ancora più piccolo, 35 x 25 cm, il busto è raffigurato in una cornice dorata  con nuvole scure, l’atteggiamento è ben diverso, assorto e protettivo. Mentre torna il “Cristo dolente”, 1490, in una specie di  miniatura di circa 10 cm.

I confronti con dipinti di altri pittori non riguardano soltanto gli artisti italiani fin qui citati. Nella sezione “Rivali e concorrenti” sono esposti i quadri, alcuni di grandi dimensioni, di artisti restati anonimi cui è stato attribuito un nome inerente i soggetti rappresentati. Si tratta del “Maestro della leggenda di sant’Orsola” con due opere del 1480:  il “Trittico di Paolo Pagagnotti”,  lo stesso committente italiano di Memling, la Madonna col Bambino nel pannello centrale, il committente in ginocchio con il protettore in piedi nel pannello sinistro, Cristo in quello destro; e  la “Madonna  con Bambino e quattro santi”,  originale composizione che vede i santi schierati ai due lati frontalmente.

Due opere sono del “Maestro della leggenda di santa Lucia”:  il monumentale, rispetto agli altri, “Santa Caterina d’Alessandria”, un’immagine regale alta 2 metri e “Madonna col Bambino”, 1485, altrettanto regale in trono con gli Angeli musicanti ai lati.  Vediamo poi una “Annunciazione e presentazione al tempio”  del “Maestro della leggenda di santa Caterina” e il “Trittico di sant’Andrea” del “Maestro di Andrea della Costa”.

Vogliamo concludere con il “Trittico di Clemente VII”  del “Maestro del fogliame ricamato” perché ci sembra possa assumere un valore di alto contenuto simbolico nei rapporti tra il Rinascimento fiamminga e l’Italia. Il trittico reca nel pannello centrale Cristo dolente con la corona di spine – che abbiamo già visto in Memling –  e la Madonna addolorata, nei pannelli laterali sant’Anna e santa Margherita, le dimensioni degli scomparti sono di circa 60 cm, con la sommità smussata.

Non fu commissionato, ma acquistato direttamente dal cardinale Giovanni di Lorenzo de’ Medici in un viaggio in  Europa nel 1499, dopo la cacciata dei Medici da Firenze, con lui viaggiò il nipote, cardinale Giulio de’ Medici. Il dipinto  dovette  portare loro fortuna, Giovanni divenne papa  Leone X  dal 1513 al 1521,  Giulio ne fu il successore come papa Clemente VII;  poi la fortuna sembrò cessare, nel 1527 ci fu il Sacco di Roma, il dipinto fu trafugato in Vaticano da un soldato spagnolo; ma mostrò di nuovo la sua forza perché il soldato temendo di incorrere nella dannazione per il sacrilegio lo consegnò nientemeno che ai frati agostiniani di Cagliari. Clemente VII  non lo riprese, anche lui scosso dal prodigio lo donò al Duomo di Cagliari con una prescrizione: l’obbligo di  esposizione ai fedeli ogni anno nella festa dell’Ascensione “ac honorifice ac devote”.

E’ una vicenda per noi emblematica nei rapporti del Rinascimento fiammingo con l’Italia: la “devotio moderna” fu un movimento popolare, e cosa c’è di più popolare dell’esposizione per la devozione dei fedeli a cadenza annuale nel mezzo secolo trascorso e nei secoli a venire?

Info

Scuderie del Quirinale, via XXIV Maggio 16, Roma. Tutti i giorni, da domenica a giovedì ore 10,00-20.00; venerdì e sabato 2 ore e mezza in più, fino alle 22,30; entrata ammessa fino a un’ora prima della chiusura. Ingresso intero euro 12,00, ridotto per le categorie ammesse euro 9,50, tra 7 e 18 anni euro 6,00, riduzioni speciali per scuole e gruppi. Tel. 06.39967500 e 848082408.  Catalogo “Memling. Rinascimento fiammingo”, a cura di Till-Holger Berchet,  Skira, 2014, pp. 248,  formato 24 x 31. Il primo articolo, con altre 10 immagini, è uscito in questo sito l’8 dicembre 2014.  Per le mostre precedenti citate nel testo cfr. i nostri articoli: in questo sito su Filippino Lippi il 26 giugno 2013; in “cultura.inabruzzo.it” su Giovanni Bellini il  4 febbraio 2009, sui Pittori fiamminghi e olandesi alla Fondazione Roma il  9 febbraio 2009,  su “Cranach, l’altro Rinascimento”  alla Galleria Borgese il  10 e 11 febbraio 2011. 

Foto

Le immagini sono state fornite dall’Azienda speciale Expo, il cui Ufficio stampa ringraziamo per la cortesia, tranne l’ultima ripresa dal catalogo dell’editore Skira, che si ringrazia per la concessione, Di Memling, in apertura, “Ritratto d’uomo con una moneta romana (Bernardo Bembo?)”, 1473-74 (?), Anversa,  seguono “Trittico di Jan Crabb”: Anna Willemzoon con sant’Anna (recto dello scomparto sinistro,  Willem de Winter con san Guglielmo di Malavalle (recto dello scomparto destro), New York, e “Ritratto d’uomo“, 1475-80, Londra, poi “Trittico Pagagnotti”: Madonna in trono col Bambino e due angeli (pannello centrale), 1480, Firenze, e  San Giovanni Battista (scomparto sinistro); quindi  “Trittico Moreel”, I santi Cristoforo, Egidio, Mauro (recto ),  San Giovanni Battista e San Giorgio (verso), 1484, Bruges e “Madonna col Bambino e angeli”, 1480-85, Washington; infine “Trittico della Resurrezione”: Martirio di San Sebastiano (scomparto sinistro), Ascensione (scomparto destro), Resurrezione (pannello centrale), 1480-85, Parigi, e “Trittico della vanità terrena e della salvezza divina”, 1485, Strasburgo; in chiusura, del Maestro del fogliame ricamato, “Trittico di Clemente VII”, sant’Anna, la Madonna e il Bambino, l’Addolorata con il Cristo dolente, Santa Margherita, 1500, Cagliari.