Arte e Stato, anche l’arte Orientale a Castel Sant’Angelo

di Romano Maria Levante

Si conclude la nostra visita alla  mostra “Lo stato dell’Arte, l’Arte dello Stato”,  che dal 26 maggio al 29 novembre 2015 espone a Castel Sant’Angelo  un’ampia selezione di “Acquisizioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per colmare le lacune e ricucire la storia”.  Il  Centro europeo per il Turismo, Cultura e Spettacolo, presidente Giuseppe Lepore,  che realizza mostre sui recuperi di opere d’arte sempre a Castel Sant’Angelo, è l’organizzatore della mostra a cura di  Maria Grazia Bernardini e Mario Lolli Ghetti che hanno curato anche il catalogo della Gangemi Editore, ricco di saggi introduttivi e schede sulle opere.

Il nostro racconto della mostra riguarda ora la visita alle ultime 5 sezioni, dall’archeologia all’arte orientale, dopo quelle di cui abbiamo già dato conto intitolate “Tornare a casa” e “Restare a Casa”, “Integrare le collezioni” sotto diversi aspetti, ciascuno oggetto di una sezione: “Colmare le lacune” e “Ricomporre un insieme”, “Ricongiungere le collezioni storiche” , “Onorare le glorie locali” e “Rinascimento a Napoli”. 

Si ricorda che prima di descrivere le opere esposte abbiamo riassunto i motivi e i contenuti della mostra: in sintesi la presentazione al pubblico di un’attività assidua e poco conosciuta volta alla ricostituzione di opere smembrate o al reintegro delle collezioni  che hanno subito perdite di parti rilevanti per le vicende della storia. Questo viene fatto superando le remore frapposte da un patrimonio tanto vasto che sembrerebbe non richiedere accrescimenti e dalle risorse insufficienti,  e utilizzando vari strumenti, dagli acquisti sul mercato all’esercizio del diritto di prelazione, fino all’accettazione di donazioni.

Dai reperti archeologici alle storie nobiliari

Un campo molto particolare è l‘archeologia, di notevole rilievo sotto il profilo storico e culturale, che ha un peculiarità  nel contesto in cui si muove la mostra: poiché  qualsiasi rinvenimento nel sottosuolo nazionale è di esclusiva proprietà dello Stato, non vi è il problema economico dell’onerosità dell’acquisto di opere disperse offerte sul mercato, ma il problema dei ritrovamenti e dei recuperi di reperti trafugati spesso individuati nelle aste internazionali. E’ il terreno,  molto impegnativo sul piano pratico,  in cui operano  le forze dell’ordine, Polizia, Guardia di finanza e soprattutto Carabinieri, il cui Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale presenta  abitualmente,  in apposite conferenze stampa nella sede di via Anicia in Trastevere a Roma,  i risultati dell’attività svolta e i principali  recuperi, archeologici e artistici in genere.

Le mostre periodiche  a Castel Sant’Angelo del Centro Europeo per il Turismo, Cultura e Spettacolo,  ne danno una presentazione spettacolare, al livello di quella fornita con la mostra attuale per le acquisizioni mirate. Perciò su questo specifico aspetto, cui è dedicata l’VIII sezione, “Rinvenire l’archeologia”,  viene presentato soltanto un reperto, un “Cratere marmoreo con corsa di amorini su bighe”  recuperato dalle forze dell’ordine dopo essere stato asportato in uno scavo clandestino: tre carri in corsa, con le  figure in grande rilievo in una sequenza di forte dinamismo.

Dai reperti dell’archeologia a periodi più recenti con la IX sezione, “Raccontare una storia”, nellaquale sono esposte opere riferite a importanti fatti storici che contribuiscono a ricostruire.

Una serie di ritratti e dipinti richiama eventi veneziani, fiorentini e lucchesi, tra il XVI e il XVIII sec., e  riporta al mondo nobiliare e all’ambiente culturale dell’epoca cui si riferiscono.  Vediamo il “Ritratto di Agostino Barbarigo”   e il “Ritratto di Leone Strozzi”,  del XVI sec,  di Cristoforo di Papi detto l’Altissimo; il “Ritratto di Giacomo Menochio”,  di Francesco Apollodoro, tra il XVI e il XVII sec.;  il “Ritratto di Teresa Bandettini in Arcadia”,  di Gaspare Landi,   il “Ritratto di Giacinta Orsini  Duchessa d’Arce”, di Pompeo Girolamo Batoni,  e il “Battesimo di Almorò III Pisani”,  di Guillame Le Marchant, XVIII sec. I ritratti maschili sono a mezzo busto, mentre quelli femminili mostrano l’intera figura in pose seducenti, l’ultimo è invece una vasta scena corale, con la scritta “invenit et pixit”, dell’artista  è anche l’ideazione,  non solo la rappresentazione.

E’ esposto anche l’acquerello di Giuseppe Borsato,  “Il monumento sepolcrale di Marco e Agostino Barbarigo nella chiesa di Santa Maria della Carità”, XIX sec.,  un’importante testimonianza perché tramanda l’immagine del monumento dei dogi che si trovava a Venezia negli spazi dove sono oggi le Galleria dell’Accademia e i cui frammenti sono sparsi in diverse sedi.

Quindi degli oggetti speciali, “Balestra e pallottole” di un balestraio non identificato, 1570-1600, “Calamaio e penna”, 1897-09, di Giuseppe Valadier e “Bracciale ‘retur d’Egypte'” di Jean- Baptiste Claude Odiot, 1809, concorrono a riportarci a quelle epoche, in un rapido passaggio dal ‘600 al ‘900.

Le Corti reali e la tradizione

Nella sezione successiva, la X, “Tornare a Corte”, vediamo esposte opere riacquistate sul mercato per essere ricollocate nei rispettivi contesti storici, in particolare delle Corti dei Medici e degli Absburgo, nonché dei Borbone di Napoli e di Parma.  Sono tutti ritratti, delle diverse età, infantile e adulta, maschili e femminili, soprattutto in pose ufficiali con abiti spesso sontuosi.

Il “Ritratto di Cosimino de’ Medici ” , 1639, di Domenico e Valore Casini, ritrae  il neonato morto a 40  ore dalla nascita, con un abito ricamato,  il senso dinastico e l’affetto familiare immersi nell’angoscia della morte; mentre il “Ritratto di fanciullo in veste di Bacco”, 1785, di Angelica Kauffmann, esprime il motivo opposto, è un’immagine allegorica nella natura con la predestinazione del principino a un futuro di regnante, peraltro nella tenerezza infantile che lo fa apparire spaesato rispetto a una cosa più grande di lui.

Presentano i sovrani con le vesti  del potere, in atteggiamento fiero e imperioso, Francesco Solimena con il “Ritratto di Carlo d’Angiò”, 1706-11, e Vincenzo Caluccini con il “Ritratto di Ferdinando I di Borbone”, sec. XVIII-XIX. E poi le figure più accattivanti di Laurent Pécheux, “Ritratto di Don Ferdinando di Borbone”, 1766, e “Ritratto di Maria Luisa Teresa di Borbone”, 1765,  e di Raffaele Giovannetti, “Ritratto di Carlo Ludovico di Borbone nel Palazzo ducale di Lucca”, 1823, in piedi dinanzi  ad una sedia  di manifattura fiorentina pur essa  esposta in legno intagliato e dorato.  Vediamo anche il dipinto di Aslan d’Abro Pragatide, che ritrae “Lucia Migliaccio duchessa di Floridia”,  in posa studiata con veste opulenta che guarda alla sua destra.

“Continuare la tradizione” è il tema dell’XI sezione, nella quale  vengono presentate in particolare due prestigiose acquisizioni per proseguire collezioni storiche:  la collezione dei “Ritratti per il Corridoio Vasariano”degli Uffizi, e le matrici delle Vedute di Roma  per la raccolta dell’Istituto per la Grafica, che ha proseguito l’attività della Calcografia Camerale dello Stato Pontificio.

I “Ritratti degli Uffizi”  riguardano la celebre galleria vasariana, iniziata  da Cosimo I de’ Medici  nel 1552, alla quale soprattutto  dopo la terribile alluvione di Firenze del 1966 sono state aggiunte costantemente opere anche di  artisti contemporanei, donate o acquistate. Come esempio di un’importante opera acquistata di recente è esposto  il “Ritratto di scultore”, di Cristoforo Terzi, 1720-30,  raffigurato mentre fissa quasi  in atto di sfida l’osservatore, emergendo da un ambiente buio che sembra illuminato da una testa bianca scolpita in primo piano.

Esempi di opere di contemporanei donate o acquistate sono quelle donate da Patti Smith, “Autoritratto, New York 2001/2003”,  Mimmo Paladino, “Saladino Paladino”, e Hiroshi Sugimoto, “Visione universale distorta (Autoritratto)”; e quelle facenti parte della Collezione Raimondo Rezzonico di Locarno acquistata nel 2005 per un milione di euro complessivi, di Joseph Beuys, “Autoritratto con cappello”, “Michelangelo Pistoletto, “Autoritratto con occhiali gialli”, e Marino Marini, “Autoritratto” . Si tratta di serigrafie, fotografie, e, per Paladino, di tecnica mista su tavola.  

Sono esposte  8 “matrici in rame  ad acquaforte con ritocco in bulino”  di Giuseppe Vasi,  una piccola parte delle 100 acquistate:  ne furono realizzate 250 per illustrare i 10 libri sulle “Magnificenze di Roma antica e moderna”, 1747-61. Le matrici presentate mostrano Piazza del Popolo e Piazza di Spagna,  Palazzo Barberini  e Villa Ludovisi, la chiesa di San Giorgio al Velabro  e l’Isola Tiberina,  Ponte Sisto e il Porto di Ripa Grande:  “Non già li antichi, ma i moderni Palazzi di Roma – diceva l’artista –  per illustrare  questa insigne Metropoli… risorta a superare le antiche magnificenze”. Nei libri delle “Magnificenze”  le tavole sulle diverse tipologie ambientali e monumentali erano raggruppate in base a una precisa classificazione, e hanno in comune la precisione dei dettagli, e la nitidezza che rende il soggetto rappresentato  com’era nel momento della raffigurazione.

L’Arte orientale e Giuseppe Tucci

Infine l’Oriente, cui sono dedicate due sezioni della mostra. Lolli Ghetti descrive la difficile situazione in cui si trova il Museo Nazionale d’Arte Orientale, collocato nel Palazzo Brancaccio in Via Merulana, per il quale si profilano possibilità di trasferimento dall’area centrale in cui è sacrificato dalla vicinanza di luoghi ritenuti più attrattivi, all’area dell’Eur dove ci sono, sì altri musei per un’ipotetica sinergia, ma sfavoriti dalla posizione decentrata. Tanto la permanenza nella sede attuale quanto il trasferimento appaiono penalizzanti, urgono soluzioni all’altezza dell’enorme potenziale del museo, sede di raccolte spettacolari di un’arte dotata di grande fascino.

La meritoria promozione che ne fa la mostra si manifesta con la presentazione di una scelta tra i copiosi materiali conservati nel museo nella XII sezione, “Andare in Oriente. Arricchire le collezioni” .

Vediamo oggetti di arte tribale, 2 braccialetti in avorio, 2 collane in vetro e osso,  e un orecchino di conchiglia, una serie di statuette di porcellana, 2  di arte religiosa buddista con un monaco e un dio, 2 con personaggi femminili; 2 in terracotta grigia di arte funeraria; 2 teste lignee di discepoli di Buddha. Poi pagine di manoscritto del XVIII sec, e un  esemplare di arte miniaturistica, il “Diagramma  cronologico”

L’esposizione esotica prosegue con l’ “Arte folk”,  oggetti in bronzo quali una statuetta devozionale e un contenitore per calce; e con altra porcellana,  decorata per arredi domestici, una “Coppia di vasi bangchuiping” sempre per uso domestico, una Cassa per manoscritti del XIX sec. con decorazione in rilievo a base di lacca e cenere.  Questa sezione espone anche una “Coppa astrologica” decorata a sbalzo con i segni dello Zodiaco e una deliziosa piccolascultura ricavata sulla zanna di elefante, che rappresenta un “Gruppo con Buddha  e monaci seduti sotto a un albero”.

E’ una piccola selezione del vastissimo materiale donato dalla moglie di Giuseppe Tucci, l’orientalista che promosse la costituzione del Museo: la signora Francesca Bonardi  ha dato allo Stato per il Museo di arte orientale 2092 oggetti nel 2005, altri 2300 esemplari di gioielleria etnica in argento nel 2008, 200 oggetti nel 2013; dal 2010 il Museo è intitolato a Giuseppe Tucci.

Ed è un omaggio doveroso, oltre che una interessante documentazione storica, la XIII sezione della mostra, “Andare in Oriente. I viaggi di Giuseppe Tucci”, definito “mente poliedrica dalla curiosità insaziabile, genio linguistico” che iniziò le sue esplorazioni in Oriente nel 1925 alla ricerca di testi antichi sul Buddhismo o delle traduzioni tibetane; andò in Tibet nel 1939, e vi tornò  dopo la guerra con una  spedizione  la quale nel 1948  scoprì una necropoli  della dinastia che aveva introdotto il Buddhismo nella regione; nel 1950  si recò  in Nepal, dal 1955  come presidente dell’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente organizzò  e diresse campagne di scavo prima in Pakistan, poi  in Afghanistan ed Iran. 

Vediamo esposti 9 oggetti di arte Himalayana del Tibet, di cui 6 statuette religiose e 3 oggetti di uso domestico; 2 oggetti di arte indiana, 1 di arte nepalese, 1 scaffale ornamentale di arte giapponese.

Suscitano particolare interesse le fotografie  che fanno parte del fondo di 20.000 tra positivi e negativi,  alcune relative all’album fotografico della spedizione italiana in Tibet del 1939; e una indubbia emozione i suoi Quaderni di appunti: uno dei 7 esistenti con la copertina rossa  reca la trascrizione manoscritta di testi tibetani, un altro dalla copertina nera le note di viaggio del 1939 fino a lettere e telegrammi di suoi compagni di spedizione  inerenti i contatti con le istituzioni locali.  

La mostra si conclude con la XIV sezione, l’ultima,  “Una donazione esemplare” , quella degli eredi del soprintendente Gino Chierici relativa a disegni e appunti di studio sulla sua attività nel campo della conservazione e del restauro architettonico. Sono più di 20  straordinari disegni di prospetti architettonici in un cromatismo delicato, dalle palazzine  liberty alle case medievali e alle facciate d restaurare, bisogna vederle per apprezzare l’importanza di questa donazione.

Viene colta l’occasione da Lolli Ghetti per lamentare come in Italia, a differenza dell’estero, la pratica delle donazioni sia poco seguita; per questo motivo si è dedicata ad essa un’apposita sezione “nella speranza che tale generosità possa essere seguita da molti”.

Il curatore riporta al riguardo al formula burocratica con la quale si  perfeziona la donazione indicando che il valore dell’oggetto va determinato “sia in rapporto al valore intrinseco dell’opera sia in rapporto al patrimonio del donante”. E conclude: “Giacché in Italia, come ci raccontano le statistiche, esiste una grande quantità di enormi patrimoni in mani private, si potrebbe fantasticare di donazioni favolose in rapporto ‘al patrimonio del donante’. Si vedrà in futuro”. 

E’ anche il nostro auspicio, e se la mostra sarà servita a portare alla ribalta questa opportunità, la sua importanza supererà anche quella già notevole che ha sul piano conoscitivo oltre che sul terreno artistico. Ha disvelato un’attività meritoria che si svolge nell’ombra e su cui invece è giusto che vada la luce dei riflettori: la gestione del patrimonio culturale deve essere attiva e non meramente conservatrice dell’esistente, superati gli alibi del più grande patrimonio artistico del mondo che non avrebbe bisogno di accrescimenti e dell’insufficienza di risorse anche per il solo mantenimento.

Il patrimonio, a parte le facili enfatizzazioni, è tale se viene gestito in modo dinamico, aggiornandolo continuamente con le acquisizioni; e per le risorse vanno messe in campo tutte le formule più adeguate compresa la collaborazione tra pubblico e privato con virtuose sponsorizzazioni di cui abbiamo esempi rilevanti, come per il Colosseo e la Fontana di Trevi. 

Avanti, dunque. Il  “si vedrà in futuro” di Lolli Ghetti  dovrà essere più che una speranza visionaria, una autentica certezza. Questo il nostro auspicio, mentre abbiamo ancora negli occhi la carrellata fantasmagorica delle opere acquisite con un lavoro certosino che arricchiscono la dotazione dei nostri musei nobilitandola sul piano storico e culturale.

Info

Castel Sant’Angelo, Lungotevere Castello 50. Tel 06.6819111. Da martedì a domenica ore 9,00-19,30 (la biglietteria chiude un’ora prima), lunedì chiuso. Ingresso a Castel Sant’Angelo: intero euro 10,50, ridotto euro 7,50 (tra 18 e 25 anni, insegnanti Ue scuole statali); gratuito minori di 18 anni e maggiori di 65 anni, oltre ad una serie di categorie.  Catalogo: “Lo stato dell’Arte, l’Arte dello Stato”, a cura di Maria Grazia Bernardini e Mario Lolli Ghetti, maggio 2015, Gangemi Editore, pp. 318, formato 21×30, le citazioni del testo sono tratte del Catalogo. Cfr., in questo sito,  i nostri due primi articoli sulla mostra, il 20 e 25 ottobre 2015, con altre 20 immagini. Per i nostri servizi sulle precedenti mostre del Centro Europeo per il Turismo, Cultura e Spettacolo,  cfr., in questo sito, “Papi della memoria”,  15 ottobre 2012,   “Arte salvata nel 150°“,  1° giugno 2013, e “Archeologia, capolavori recuperati a Castel Sant’Angelo”, 22 luglio 2013 ; in “cultura.inabruzzo.it” , “Tesori invisibili”,  10 luglio 2009 . Per i recuperi dei Carabinieri cfr. in questo sito, i  nostri servizi:  nel 2015 il 22 giugno, 25 aprile e 25 gennaio, nel 2013  il 21 luglio; inoltre  in “www.antika.it”: il 12, 15 febbraio e 9 maggio 2010, il 12, 21 gennaio e 12 giugno 2012, e il 30 giugno 2013 (i siti “cultura.inabruzzo.it” e “www.antika.it” non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su questo sito). 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra, si ringrazia il Centro Europeo per il Turismo, Cultura e Spettacolo di Giuseppe Lepore, con i titolari dei diritti,  per l’opportunità offerta. In apertura, Laurent Pécheux, “Ritratto di Don Ferdinando di Borbone”, 1766, a sin, e “Ritratto di Maria Luisa di Borbone”, 1765, a dx; seguono, “Statua acefala di Apollo”, e Francesco Apollodoro (Porcia), “Ritratto di Giacomo Menochio”, XVI-XVII sec.; poi, Domenico e Valore Casini, “Ritratto di Cosimino de’ Medici”, e Angelica Kauffmnn, “Ritratto di fanciullo in veste di bacco”: quindi, Cristoforo Terzi, “Ritratto di scultore”, 1720-30, e Mimmo Paladino,“Saladino Paladino”, 2003;  infine, Hiroshi Sugimoto, “Visione universale distorta (Autoritratto), 2011, a sin, e Michelangelo Pistoletto, “Autoritratto con occhiali gialli”, 1973, a dx, e “Statuina funeraria“, 25-220 d. C.  in chiusura,  la statua simbolica dopo l’uscita dalla mostra.