Sironi, le graffianti vignette satiriche, a Villa Torlonia

di Romano Maria Levante

Una mostra inattesa quanto benvenuta, a Villa Torlonia,  su “Mario Sironi e le illustrazioni per il Popolo d’Italia 1921-1940” , dal 24 ottobre 2015 al 10 gennaio 2016,  riporta alla ribalta, dopo la recente grande  mostra al Vittoriano, un artista di cui viene riscoperta la grandezza dopo la “damnatio memoriae”  per la sua adesione al fascismo, espressa nelle grandi pitture decorative delle esposizioni che celebravano i fasti del regime con l’esaltazione del genio e lavoro  italico e nei disegni satirici delle vignette per il “Popolo d’Italia”,  l’organo del partito fascista e personale di Mussolini al quale collaborò quasi ininterrottamente mettendo alla  berlina, con  potente stile pittorico e sarcasmo graffiante, l’opposizione interna ed estera. La mostra è organizzata dalla Galleria Russo nella sua meritoria attività di ricordare artisti come Tato e Carlo Erba, DottoriMarinetti,  oltre a Carlo Levi, in collaborazione con l’Associazione Mario Sironi, con il sostegno della  Fondazione Roma attraverso  la Fondazione Roma-Arte-Musei. Curatore Fabio Benzi, che ha curato anche il Catalogo di Palombi Editore,  consulenza storica di Monica Cioli, con un intervento di Giuseppe Vacca.

La figura e l’arte di  Mario Sironi sono oggetto di una sacrosanta rivalutazione dopo la colpevole “damnatio memoriae” che nel dopoguerra ha colpito gli artisti ritenuti compromessi con i regimi dittatoriali del ‘900, D’Annunzio  in letteratura per la sua contiguità con il fascismo, e gli stessi artisti russi del “Realismo socialista” ignorati e oscurati finché la rivalutazione è giunta anche per loro, lo testimoniano le mostre romane del Palazzo Esposizioni.   Qualche analogia con questi artisti si può trovare nell’adesione alla mistica del regime e ai valori  da diffondere tra la popolazione facendo leva sul linguaggio dell’arte. Tuttavia, come per Alecsandr Deineka, sul versante opposto per Sironi si deve dire che la sua adesione non era opportunistica e di convenienza e neppure imposta, bensì frutto della corrispondenza di visioni nella forza dell’uomo e del progresso e della convinzione che l’arte potesse avere una funzione importante nel diffondere i valori positivi di  quella rivoluzione civile e sociale che doveva mutare  in meglio il volto dello Stato.

Ma come per D’Annunzio, anche per Sironi si deve riconoscere che al di là di questa coincidenza di visioni veniva mantenuta la distanza che nel poeta si tradusse nel suo isolamento nella “gabbia d’oro” del Vittoriale, e per Sironi  in un certo boicottaggio operato dalla gerarchia fascista nei suoi confronti.  Perché nonostante accedesse alle spettacolari rappresentazioni dei risultati della mobilitazione di sforzi ed energie nei diversi campi propagandata dal regime in un’immagine di grandezza, non mancava di conservare quel senso di tragicità  insito nella sua visione personale che dava molto fastidio ai corifei interessati. E quando il regime cadde e con esso finirono le grandi pitture murali mantenne quella coerenza che è stata il sigillo della sua vita, pagandone il prezzo.

Contenuto e valore della mostra

Non di questo si tratta nella mostra che si svolge nella cornice grandiosa di Villa Torlonia, non sono esposti i suoi dipinti e neppure gli spettacolari pannelli celebrativi dell’impegno rivoluzionario, bensì le sue vignette satiriche pubblicate sul “Popolo d’Italia” nell’arco del ventennio 1920-40 che coincide con il regime del quale il giornale era l’organo ufficiale, fondatore e primo direttore ne era stato Benito Mussolini.

E’ stato geniale collocare a Villa Torlonia, la storica residenza del Duce, una mostra così evocativa che fa compiere un vero tuffo nel passato, le vignette di Sironisono state definite  “la storia che diventa segno” da Emmanuele F. M. Emanuele, sostenitore della mostra con la Fondazione Roma. Emanuele ha così spiegato “quest’atto di omaggio tutto romano a Mario Sironi”: “La monumentalità di Roma dagli albori dell’impero e i capolavori dei massimi esponenti  del Rinascimento sono stati i pilastri fondanti della grandiosa pittura celebrativa sironiana”. E ha citato il murale “L’Italia fra le arti e le scienze”  realizzato ottant’anni fa per l’inaugurazione della città universitaria di Roma.

Tutto ciò ha portato a dare alla mostra un valore documentario sul piano artistico oltre che storico togliendo dall’imbarazzo per il lato celebrativo di un  artista di regime per di più nella residenza di allora del capo del fascismo. Il sovrintendente capitolino ai beni Culturali Claudio Parisi Presicce ha affermato senza infingimenti, con il coraggio di chi sa di essere nel giusto, che la mostra in questo luogo “costituisce a nostro avviso il giusto tributo  dovuto all’uomo e alla forza di quella sua coerenza  a sostegno di un ideale politico in cui profondamente, intensamente, lealmente credeva  e per il quale totalmente si è speso. Senza mai un ripensamento alcuno. Anche quando avrebbe potuto trarne generoso vantaggio”.  Aggiunge che Mario Sironi è “riconosciuto oggi, pur se tardivamente, come uno dei maggiori artisti italiani del ventesimo secolo” citando le parole di Pablo Picasso: “Avete un grande artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto” perché, precisa il sovrintendente, “il pensiero critico sull’artista è stato  per lungo tempo condizionato, in modo pressoché unanime, dal credo politico dell’uomo” , condannato alla “damnatio Memoriae”.

L’arco temporale delle vignette satiriche e il loro numero, oltre 340, sono tali da rappresentare un ampio excursus su un ventennio  tra gravi crisi e contrasti feroci e nello stesso tempo agitato da velleitarismi di ogni tipo, culminati nell’avventura bellica, con la farsa finita in tragedia epocale.

Oggi le vignette satiriche più riuscite dei maggiori caricaturisti vengono considerate alla stregua di articoli di fondo di spessore politico in quanto riescono a sintetizzare in forma visiva con la forza deformante della satira, concetti, posizioni, denunce. Ebbene, tutto questo si trova già in Sironi, da considerare un antesignano, i suoi disegni dissacranti sono una declinazione della  politica e dell’ideologia operata mettendo alla berlina,  partendo dai fatti di cronaca o dalle enunciazioni,  concetti e personaggi, con l’evidenza fulminante assicurata dalle esagerazioni paradossali.

In questo c’è il valore della mostra, che porta al sorriso e anche al riso, non disgiunto però da uno stimolo alla  riflessione perché ci si sente calati in un periodo storico cruciale per il nostro paese con il punto di osservazione privilegiato dato dalle immagini di un grande artista. Che attraverso le vignette satiriche, illuminate dal  suo talento,  ci fa rivivere vicende che sappiamo finite tragicamente, e per questo il sorriso suscitato dalla sua ironia  graffiante, diventa alla fine amaro.

Il Popolo d’Italia e lo stile dei disegni satirici

Va sottolineato che “Il Popolo d’Italia” era  non solo l’organo ufficiale del partito fascista, ma il giornale personale  di Mussolini, che lo aveva fondato nel 1914 e lo diresse fino al 1922, poi con la sua andata al potere ne divenne direttore Arnaldo Mussolini fino all’improvvisa morte nel 1931, e  Vito Mussolini fino al 1943.  La collaborazione di Sironi, dal 28 agosto 1921 al 28 ottobre 1942  fu particolarmente fitta  dal 1921 al 1927, con interruzioni negli anni 1931-34. Aveva la sua indipendenza, anche se i temi spesso li suggeriva Mussolini con il quale aveva un rapporto diretto, era un lavoro faticoso spesso notturno e  forniva una rosa di vignette tra cui la redazione sceglieva di volta in volta quella da pubblicare, delle 344 esposte circa ottanta non furono pubblicate.

Margherita Sarfatti  nel 1930 osservava che “nei suoi disegni satirici del Popolo d’Italia, la stilizzazione, rude e squadrata, procede per masse apodittiche, quasi tipografiche, di bianco e di nero”. E Paolo Sighinolfi  nel 1933scriveva su “Augustea”, rispetto alla tragicità unita alla grandiosità nelle sue opere pittoriche anche celebrative: “Se Mario Sironi nella pittura a olio è spesso tormentato o tragico, nel disegno è soltanto potentemente realizzatore. Con il colore fa vivere un mondo uscito dalla sua fantasia; con la matita, invece, esprime la realtà densa di tutto il pensiero che l’anima, che in esso vibra”. Ed ecco come la esprime: “Con pochi tratti egli crea un gioco di volumi, una plasticità scultorea di figure o di simboli improntati ad una maestà di espressioni, che mai nessun disegnatore, e politico in ispecie, ha raggiunta… Sironi ha creato una nuova via al disegno politico”.  Senza togliere nulla ai grandi vignettisti che lo hanno seguito, compresi i contemporanei,  si può dire che questi giudizi mantengono la loro validità anche oggi.

Viene detto ancora che “le sue chiazze cupe e pesanti hanno un linguaggio che assurge a declamazione epica”; ma questo avviene “senza mai incorrere nell’enfatico o nel grottesco… la semplicità lineare di Sironi consegnata entro pochi piani ci riconduce alla pura fonte della emozione, senza sovraccarico retorico”.

Una semplicità che tuttavia ricorre a figure scultoree, quasi monumentali, e a composizioni con prospettive  molto particolari che definiscono spazialità originali con visioni dall’alto e dal basso e creano un’atmosfera in molti casi di tipo metafisico, per i forti contrasti di luci e ombre, con un  senso di sospensione, quasi per segnare il passaggio dalla cronaca quotidiana alla storia. Arnaldo Mussolini nel 1931 aveva scritto che “è facile fare la storia di un giornale. E’ difficile fare un giornale per la Storia”, ebbene Sironi pur nello spazio apparentemente effimero del disegno satirico si muoveva in una prospettiva storica, le sue vignette non si rivolgevano a un’elite politica, ma al vasto pubblico di lettori, come le sue decorazioni murali alla massa di visitatori delle esposizioni..

Per i contenuti vale l’accurata analisi di Andrea Sironi che ha classificato i suoi temi prevalenti.

I bersagli prima dell’avvento del fascismo erano i partiti contrari, soprattutto i socialisti, presentati  come disonesti,  e i popolari come approfittatori, nonché i personaggi del liberalismo e il governo in carica; dopo la presa del potere anche i giornali, derisi nella vignetta del 1924, il “circolo vizioso”come palloni gonfiati in combutta con don Sturzo, i socialisti e la “demoidiozia sociale”.   All’estero, le “potenze plutocratiche”, America, Inghilterra e Francia, nonché la Russia bolscevica. I motivi ricorrenti erano le angherie subite dal nostro paese ad opera delle nazioni ricche per le quali aveva versato  il sangue nella Grande guerra culminata con la “vittoria mutilata”,  e la natura tirannica del comunismo.  La formula, che abbiamo visto permanere anche ai giorni nostri,è la personalizzazione della satira: , per i socialisti un miserabile in berretto frigio, poi Treves e Turati, per i popolari don Sturzo, per i governi i presidenti Nitti, e poi Facta, per l’Inghilterra John Bull, l’America lo Zio Sam,  per il comunismo inizialmente bersaglio dei suoi strali era Lenin.

“Tuttavia – osserva Monica Cioli – è difficile ridurre la satira di Sironi ad una polemica aggressiva e demolitrice, una parte ‘destruens’ che è propria indubbiamente del disegno satirico; nel demolire  e aggredire gli avversari l’artista ha un chiaro obiettivo: la costruzione dello Stato fascista: Forse, in nessuna delle sue altre forme artistiche Sironi ha potuto esprimere come nella satira il proprio credo politico e coadiuvare il fascismo nella costruzione del regime”.

Ma attenzione, non si trattava di acquiescenza né di supina sottomissione, bensì di credenza in determinati valori, riguardanti l’Italia e il suo popolo, che coincidevano con ideali astrattamente portati avanti dal fascismo ma caduti miseramente dinanzi alla realtà, come è avvenuto per il comunismo reale rispetto alle utopie.  Tanto che la stessa Cioli  afferma: “Seguire la produzione satirica di questo straordinario artista  attraverso il ‘Popolo d’Italia’ consente  di ricostruire la storia del quotidiano e del fascismo a partire dagli esordi ma anche di comprendere l’ideologia  e la battaglia politica che Sironi ha svolto in modo tutto suo, talvolta quasi anticipando quella del regime”. Fino alla disillusione finale  che lo fece ripiombare in quella tragicità che la grandiosità e monumentalità celebrativa mascherava a stento.

Riconosce che ha svolto un ruolo autonomo e positivo nel filone futurista dell’epoca Giuseppe Vacca, filosofo marxista, presidente della Fondazione Gramsci, per vent’anni membro del Comitato centrale del Partito comunista italiano. Dalla sua posizione di sinistra ricorda  le argomentazioni di Sironi sulla monumentalità in architettura e “la decorazione plastica e pittorica” nella quale si è manifestata, oltre che nei disegni satirici, la sua adesione alla mistica di regime: “Le considerazioni di Gramsci sul ruolo d’avanguardia dell’architettura ‘razionalistica’ nel rinnovamento delle arti figurative, sul valore estetico della ‘decorazione’ ed espressivo della ‘tecnica’ sembrano convenire con le sue argomentazioni”.

Vacca non si ferma a questo riconoscimento, ma aggiunge: “La poetica di Sironi si fondava su una opzione esplicita, plastica e riflessiva per il ‘nazional popolare. Che questa si coniugasse alle forme cogenti e autoritarie del fascismo non cancella il fatto che il modo con cui Sironi concepiva la funzione delle arti figurative rappresentasse un elemento caratteristico di quella che è per Gramsci la funzione dell’intellettuale moderno: l’unità del ‘comprendere’ e del ‘sentire’, la ‘connessione sentimentale’ del ‘popolo-nazione'”.

Tornando alla forma espressiva dei disegni satirici, che va vista in questa ottica, Fabio Benzi, il grande studioso di Sironi che ha introdotto i suoi cataloghi di illustratore e pittore, ne sottolinea una caratteristica: “Nelle illustrazioni per il ‘Popolo d’Italia’ colpisce in effetti la varietà infinita dei tempi compositivi ed iconografici, mai ripetuti ma invece reinventati quotidianamente, con una ricchezza di spessore visionario  e simbolico, trasfigurante la realtà ma profondamente radicato in essa, così da costituire un ‘unicum’ assolutamente straordinario nella storia dell’illustrazione”. 

Vi è un’altra considerazione, ancora più pregnante: “La passione politica è inscindibile da quella artistica ed estetica, in una simbiosi che sfugge dall’episodico e dall’occasionale, come suggerirebbe la natura effimera di una vignetta  a commento di un fatto quotidiano: tutto rientra in una mossa politica superiore, in un’idea sofferta di arte come di vita”. Torna così, per altro verso, la tragicità associata alla grandezza.

Forse anche per questo  Benzi conclude il suo saggio con una notazione per la quale i disegni satirici di Sironi assumono un valore che supera quello  storico: “In definitiva, l’enorme produzione per il ‘Popolo d’Italia’ fu non solo la sua più grande officina di idee formali, ma anche l’humus da cui nacque gran parte del suo immaginario artistico della maturità”.

Una cavalcata tra le vignette satiriche di Sironi

La prima vignetta della galleria, del 28 ottobre 1921, il “pugno di mosche”  dei socialisti, è già espressiva della monumentalità delle sue raffigurazioni.  Il  1922  è un anno di intensa attività vignettistica, notiamo la statuaria figura del lavoratore  delle Corporazioni sindacali fasciste e  “la granitica chiave di volta della politica italiana”, il  “loro eterno ricatto” con l’Italia turrita nelle fauci aperte  e l'”impotenza” della pur gigantesca Società delle  Nazioni, che vediamo anche appollaiata sulla scure dell’imperialismo in una vignetta dell’anno successivo, “il santo  e la preghiera della democrazia” e il “duello oratorio” con due grandi  palloni gonfiati e la scritta “si tratta di sgonfiarsi a vicenda”,, la “superconferenza di Genova”   con le potenze che rimescolano il grande paiolo  e “il nuovo apostolo della pace europea”  identificato nel teschio bolscevico,  fino al “proletariato” che appare  come un grande osso conteso tra comunisti e bonomiani .  

Nel 1923   “si spegne  e non si spegne” la candela dell’Intesa  e “perché la pace sia rispettata”  la figura alata sopra alla baionetta protegge la minuscola figura in basso, è l’Italia paciere tra Francia e Inghilterra; vediamo  “la fune d’oro” e “chi scende e chi sale” la lira e il franco francese, la grande scopa “che fa pulizia” e l’Italia turrita parte civile a un processo politico. Passando al 1924,   vediamo la grande matita della piccola intesa sulle spalle della Francia, e la gigantesca falce del Partito comunista italiano in un mare di sangue, fino al grande scorpione dell’ “opposizione”.

Siamo al 1925 con “la livrea dell’odiata borghesia”, il grande gallo francese e i macigni del terrorismo comunista, nel 1926 “la scure sui parassiti” e “la vittoria della democrazia”, “senza memoria” e “libertà vo cercando”, la grande mano del burattinaio  su minuscole figure dal titolo “la pena di morte non solo per quelli che hanno compiuto il gesto ma anche per quelli che li hanno spinti”, poi la mano altrettanto grande che innalza l’elmo carico di contributi per la sottoscrizione del Prestito del Littorio.  Nel 1927 la grande figura sospesa in alto in “come sa di sale lo scendere e il salire… per le proprie scale”.

Saltiamo al 1937 con la vignetta che non fu pubblicata, uno dei pochi casi di “censura”, perché le due grandi navi italiana e tedesca affiancate potevano offuscare l’immagine della Marina italiana sola dominatrice del Mediterraneo

Notevole spazio alle vignette con bersagli personali, alla berlina i leader espressivi di una politica, di un’ideologia e i simboli  di una nazione.  Vediamo,  a partire dal  1922,  “le fatiche di S. E. Ercole Facta”  mentre trascina a fatica il carro della maggioranza, poi  numerose  caricature di don Sturzo, tre con la satira sulla  collaborazione con i socialisti in senso antifascista, in una il prelato leader del Partito popolare  deve ingoiare un rospo,  ancora don Sturzo sull’altalena  dell’ambiguità per la collaborazione tra Partito popolare e fascismo e con lo scudo crociato dietro al quale “giungono un po’ tutti”, poi incerottato con le stampelle avendo lasciato i trampoli perché la vittoria al Congresso dei popolari era stata vanificata dall’accordo tra Mussolini e il presidente dell’Azione cattolica Luigi Colombo e come uno struzzo che deve ingoiare le indigeste istanze socialiste anticattoliche, fino alla gustosa “lu  paraninfu”  con don Sturzo e Turati sposati da Albertini del “Corriere della sera”, altro bersaglio preferito che troviamo in molte vignette, per la loro sintonia  sul caso Matteotti, c’è anche la satira religiosa su don Sturzo che salta sopra alla cupola di san Pietro come reazione al richiamo del Papa ai doveri dei sacerdoti rispetto alla politica o mentre sale sulla scala della speculazione contro il delitto Matteotti e viene richiamato alla carità cristiana.  

Alla berlina Giolitti,  raffigurato come cameriere mentre sparecchia dopo l’Aventino una tavolata sotto gli occhi di Sturzo, Turati e Amendola, in un’altra vignetta legati strettamente insieme,  e come generale dalla figura imponente alla quale si genuflettono gli omuncoli  parlamentari dell’opposizione; Turati lo vediamo anche mentre perde il treno, lascia i trampoli per le stampelle e si muove a fatica con i piedi ingessati, poi con De Gasperi che è diretto in Austria, quindi  l’andata all’estero con gli altri socialisti è un grande pugno dal treno all’Italia. Ecco Amendola che lascia la Camera trattenuto dal cane  fedele, un noto giornalista,  e  Treves, mentre sale una scala con al piede la palla di ferro “il marchese di Caporetto”,  e mentre inneggia alla libertà sopra  a una mitragliatrice russa, Nitti con il dispregiativo dannunziano Cagoja, una pelle squartata e il socialista Modigliani come guardia regia,  il direttore dell’Avanti Serrati in carcere.

Tra i  bersagli stranieri,  l’Inghilterra di John Bull che afferra il globo da Amleto moderno col motto “to have or not to have”,  un perfido  Lenin che decapita con una gigantesca falce una lunga teoria di persone minuscole e la scritta “alla larga!”,  Lloyd George e Clemenceau sulla questione di Fiume, l’americano Zio Sam seduto sulla montagna dei profitti di guerra, e intento con la Marianna francese nel dividersi il mondo; vediamo anche  lo Zio Sam e John Bull insieme e il ministro degli esteri francese Briand. Questi ed altri personaggi in una serie di situazioni sapide e grottesche.

Sono soltanto scampoli di una galleria sterminata di immagini ironiche e graffianti che riportano alle vicende dell’epoca nella politica interna  e internazionale, animate da autentica vis satirica in un chiaro scuro intenso, fatto di forme e volumi piuttosto che di linee e contorni:  si sente l’impronta  del pittore e anche del decoratore monumentale, l’impronta del grande artista Mario Sironi.

Info

Musei di Villa Torlonia, Casino dei Principi e Casino Nobile, Via Nomentana 70, Roma. Da martedì a domenica ore 9,00-19,00, la biglietteria chiude 45 minuti prima. Ingresso euro 7,50 intero, euro 6,50 ridotto, per i residenti  a Roma 1 euro in meno. Gratuità e riduzioni ai soggetti legittimati. Tel. 060808. Catalogo “Mario Sironi, e le illustrazioni per il Popolo d’Italia 1921-1940”, a cura di Fabio Benzi, consulenza storica di Monica Cioli con un contributo di Giuseppe Vacca, Palombi Editori, pp. 280, formato 20 x 28. Cfr., in questo sito, i nostri precedenti articoli su “Mario Sironi, la grandezza e la tragicità, al Vittoriano”, 1° dicembre 2014 e i due successivi  14 e 29 dicembre 2014; su Deineka, del “Realismo socialista”,  26 novembre, 1° e  16 dicembre 2012, su D’Annunzio, 12, 14, 16, 18, 20, 22 marzo 2013, sulle precedenti mostre alla Galleria Russo di valorizzazione di artisti italiani del periodo, per Tato 19 febbraio 2015, Carlo Levi, 28 novembre e 3 dicembre 2014, Dottori  2  marzo 2014, Erba  1° dicembre 2013, Marinetti  2 marzo 2013.

Foto

Le immagini sono state riprese a Villa Torlonia all’inaugurazione della mostra, si ringraziano gli organizzatori, in modo speciale la Galleria Russo, con i titolari dei diritti, in particolare l’Associazione Mario Sironi, per l’opportunità offerta.  Le abbiamo inserite senza attenzione alla cronologia, sono soprattutto del 1922, ma in un crescendo di toni drammatici, fino alle ultime due con l’Italia che dopo essere stata nel pantano spazza via con la ramamzza il ragno della massoneria in agguato. In apertura, “Abbonamento annuo 1,75”, 29 dicembre 1926, seguono, “Nitti prepara una ripresa”, 24 marzo 1923, e “Prima e dopo la battaglia“, 25 luglio 1923; poi, “La sagra dei motori“,  3 setembre 1922, e “Duello oratorio“, 3 ottobre 1922; quindi, “Il capolavoro del PUS”, 2 luglio 1922, e “San Pietro, ma che vacanza, è ora di lavorare!”, 29 giugno 1922; inoltre, “Le glorie del PUS”, 12 agosto 1922, e “La serie gloriosa”, 20 agosto 1922; infine, “Dio che pantano!”,  11 agosto 1922, e “Pulizia”, 16 febbraio 1923; in chiusura, una visione parziale di una parete della mostra.