Impressionisti e moderni, fino all’espressionismo astratto, al Palazzo Esposizioni

di Romano Maria Levante

Si conclude la nostra visita alla mostra al Palazzo Esposizioni,  dal 16 ottobre 2015 al 14 febbraio 2016,  “Impressionisti e moderni. Capolavori della Phillip Collection di Washington”, 60 opere  dell’800 e del ‘900, selezionate dalla raccolta messa insieme da Duncan Phillip in quarantacinque  anni di intensa attività di collezionista: creò nel 1921 la Phillip Memorial Gallery all’avanguardia negli Stati Uniti nell’affiancare artisti europei a talenti emergenti americani  con allestimenti atti a stimolare confronti proficui da parte di artisti e visitatori. La mostra è organizzata dalla Phillip Collection con l’Azienda Speciale Palaexpo, curata da Susan Behrends Frank, curatrice della Collezione di Washington, Catalogo Silvana Editoriale  con Palazzo delle Esposizioni.

Abbiamo rievocato in precedenza l’appassionata attività di Duncan Phillip che lo portò a raggiungere 2000 opere, dalle 300 iniziali della raccolta di famiglia con cui aprì il Museo,  diventate 3000 con la prosecuzione dopo la sua morte nel 1966.  Poi abbiamo raccontato la nostra visita alle prime tre sezioni della mostra, “Classicismo, romanticismo, realismo”, “Impressionismo e postimpressionismo”, “Parigi e il cubismo“. Passiamo ora alla visita alle ultime tre sezioni,  “Intimismo e modernismo”, “L’espressionismo e la natura” ed “Espressionismo astratto”.  

Intimismo e modernismo, Bonnard e Vuillard,  fino a Matisse e Morandi

Il titolo della  4^ sezione “Intimismo e modernismo”, abbina due termini che sembrerebbero  un ossimoro per certe trasgressioni visive, ma sono un accostamento naturale per la svolta moderna di trasmettere nel dipinto l’intimità fatta di meditazioni e sentimenti, immaginazioni e fantasie.

Si tratta di scene della vita privata e degli interni abitativi da cui traspare lo stato psicologico,  analizzato in modo rivoluzionario dalla psicanalisi che stava nascendo in quel periodo. Non è la realtà di per se stessa che ispira l’artista, ma come si imprime nella memoria, e muove i sentimenti.

Di Pierre Bonnard vediamo due opere espressive  di questo atteggiamento. La prima in ordine cronologico è  “Bambini con gatto” , 1909, un primo piano tenerissimo nel rosa  delle figure in un cromatismo denso. Poi abbiamo  “Nudo in un interno”, 1935,   uno dei tanti dipinti in cui riprende al bagno  la donna della sua vita, Marthe Boursin,  cinquant’anni di vita insieme, qui  all’età di sessant’anni mentre si strofina la gamba con un guanto, in un ambiente spoglio e irreale perché riprodotto come lo ricorda, non come lo vede.

 Suo anche “La Riviera”, 1923,  una veduta del sud della Francia, nella zona di Cannes dove andava a dipingere dal 1922,  con tocchi di colore impressionisti ma linea compositiva alla Cézanne, i colori creano la forma in una giustapposizione tra il primo piano e l’orizzonte vicino e  lontano che fa sentire in questa sequenza l’onda dei ricordi.

Phillip predilesse Bonnard che definiva “poeta dell’intimità di ogni aspetto della vita”,  trovava in lui il sensualismo di Tiziano e Renoir, ne acquistò 17 dipinti, la maggiore raccolta in America, ma apprezzava anche l’intimismo di Vuillard che con Bonnard e altri artisti faceva parte del gruppo “Nabis”, profeta. Ritraevano interni domestici con familiari e amici  nel rifiuto dell’impressionismo per una nuova concezione pittorica dello spazio e del colore, orientato su tinte luminose.

Di Edmond Vuillard acquistò 4 opere  tra cui le due esposte, diceva che  “riconosce l’anima della casa, di ogni stanza, e degli oggetti di cui si circonda, e verso cui prova affetto”. “Il giornale” risale al 1896-98 e rende appieno tutto questo, ci sono il  tavolo apparecchiato e le sedie, i quadretti e la carta da parati, la tenda e la finestra tagliata in alto, importante nei suoi interni, con  l’albero all’esterno che entra nel quadro. La figura che legge in poltrona  ha il volto quasi completamente coperto dal giornale, non è il lettore il protagonista ma il foglio tenuto aperto dinanzi agli occhi.

“Bambinaia con bimbo vestito alla marinara”, 1895,  anche se è un esterno ha la stessa intimità degli interni,  dipinto a macchie cromatiche con figure appena abbozzate ma molto espressive, come il bimbo alle spalle della donna che si stringe alla sua gonna teneramente, quell’abbigliamento  è rimasto a lungo,  ripensiamo al “Vestivamo alla marinara” di Susanna  Agnelli, e all’abito della nostra prima comunione.

Un salto in avanti di oltre quarant’anni con “Joinville”, 1938, di Raoul Dufy, ne abbiamo apprezzato nella sezione precedente la linearità e luminosità solare del suo studio d’artista sul celeste, qui la dominante è verde, anche se in primo piano questo colore è dell’acqua, tanto  intenso da sembrare erba,  alcune barchette con rematori navigano verso le arcate di un ponte con lo sfondo di alberi, una scena che esprime gioia di vivere.

La gioia di vivere è stato il motivo ispiratore della pittura di  Henri Matisse , basta ricordare per tutte la sua opera del 1906 con questo titolo nella quale presentava  una scena bucolica con uno stile chiaramente decorativo, di ispirazione orientale, che sarà il motivo della sua pittura serena, basata sulla semplificazione della forma con linee e colori puri.  E’ stato innovativo sia rispetto ai classici sia rispetto alle avanguardie, ed è riuscito a mantenere la sua visione  contemplativa anche negli anni sconvolgenti  di due guerre mondiali, senza mostrare  inquietudini né  entrare nelle polemiche.   

 Phillip acquistò la sua prima opera  nel 1927, qui ne è esposta una del secondo dopoguerra, “Interno con tenda egiziana”, 1948, l’artista aveva quasi ottant’anni, il nero del fondo evoca l’età e le forme rosse e verdi la sua vitalità, con la palma che irrompe dalla finestra come segno di longevità;  in primo piano, il melograno con i  semi segno di fertilità, la lancia segno di virilità,  la gioia di vivere è ancora intatta. 

Fondo nero anche in “Il filodendro”, 1952, di Georges Braque, ritroviamo l’artista le cui natura morte avevano catturato Phillip venticinque anni prima, e lo affascinavano ancora mentre Braque continuava a farne la sua massima espressione pittorica, ne acquisterà 13, l’ultima è questa presa nel 1953, poco dopo la sua realizzazione. Si ispira a ciò che vedeva nel giardino della sua casa in Normandia, dove tornò a guerra finita, non c’è gioia di vivere ma un senso nostalgico, del filodendro si intravede la sagoma, protagonista è il tavolino tondo in primo piano evidenziato dal colore arancio con sopra caraffa, bicchiere  e mela, che sembra in rilievo, tale è il suo effetto volumetrico: fra il ricordo e il sogno, la realtà e la fantasia.

Tra le due ultime opere si collocano, cronologicamente, le nature morte del 1950  con cui chiudiamo la sezione, ricordando che  per gli artisti moderni questo genere è sempre stato un modo per sperimentare nuove forme espressive senza significati simbolici, ma con il gusto di selezionare e ordinare gli oggetti in base ai sentimenti personali che ispirano.  Questo si trova al massimo livello in Morandi, che con limitate eccezioni ha dedicato  la parte di gran lunga prevalente, e comunque la più rilevante, della propria attività artistica alle nature morte: non frutta ma oggetti, bottiglie e ciotole, brocche e vasi, che teneva nello studio impolverate studiandone le diverse disposizioni e assortimenti con un’attenzione ai volumi levigati e luminosi. Di Giorgio Morandi è esposta “Natura morta”. 1950, caraffa, brocche e bottiglie nella sua tipica tonalità delicata.

Vediamo inoltre “Natura morta, 17 marzo 1950”, dello stesso 1950, di Ben Nicholson. artista che ha avuto molti riconoscimenti e come Morandi teneva tanti oggetti nello studio per scegliere di volta in volta le composizioni, ma si esprime in modo radicalmente diverso:  non in modo figurativo ma con  l’ispirazione cubista che nell’opera citata sfocia in piani sovrapposti con geometrie bidimensionali.

L’espressionismo, dalla natura all’astrazione, Kokoshhka e  Kandinskij, Pollock e Rothko

Una  mostra tematica come questa presenta continui salti cronologici, perché i temi possono essere  compresenti negli stessi anni anche se vengono tenuti distinti, per cui si torna indietro nel tempo.

Nella 5^ sezione, “L’espressionismo e la natura”, torniamo di nuovo indietro di vent’anni  per una tendenza artistica che accentua i motivi personali e intimisti che al contrario  dell’impressionismo trovavano nella natura il punto di partenza e non di arrivo, il mondo non veniva visto nella sua realtà esteriore ma nella visione personale dell’artista che esprimeva le proprie emozioni attraverso il colore con forme e linee sempre più lontane da quelle  della realtà.  Il collegamento con la natura in questa sezione ne fa mantenere ancora la percezione visiva e non trasfigurata dall’interiorità. 

Lo vediamo nella rappresentazione panoramica “Courmayeur e la Dent du Géant”, 1927, di Oskar Kokoshka,  che lo dipinse con altre due opere in occasione di un viaggio in quella località. Il paese è incastonato nei monti,  dal cromatismo intenso con macchie di colore in un equilibrio compositivo che rende tutto chiaramente percettibile in una notevole profondità  prospettica. Fa parte della serie “Mondo dipinto” di cui Phillip acquistò 4 opere con molte altre dell’artista.

Più indistinti, con i soggetti  delineati  in modo appena percepibile,  due dipinti con intense tonalità, tra il marrone e il rosso con striature e forme verde scuro.Con “Ultimo bagliore, Galilea”, 1930, ritroviamo  Georges Rouault. l’artista della sofferenza umana  che trae dalla visione della natura il modo di collegare con la realtà la propria immaginazione di artista, si intravvede la barca di Pietro in un ambiente corrusco che si riflette nel titolo.

Mentre “Chiatta rossa”, 1931,  ci fa conoscere Arthur Dove, che con il gruppo di pittori intorno a Stieglitz esprimeva le proprie sensazioni dinanzi alla natura, e fu tra i primi ad arrivare all’astrazione. Il dipinto  raffigura la chiatta con volumi in movimento,  era il periodo in cui dormiva su una barca, la caratteristica saliente è data dalla visione raddoppiata dal riflesso sull’acqua,  da non considerare soltanto elemento visivo ma un appello all’immaginazione. Dove fu prediletto da Phillip che lo sostenne, acquistandone addirittura  60 dipinti tra il 1926 e il 1966..

“Il fagiano”, di Chaim Soutine, 1926-27, lo assimiliamo a questa modalità espressiva, forza  compositiva e cromatismo intenso, qui unito a contrapposizioni chiaro-scuro, immobilità e movimento. Nato in Russia e vissuto a Parigi tra i “pittori maledetti” , usa il colore in modo violento con pennellate dense, le sue nature morte sono popolate da animali, dai volatili ai conigli, fino al bue.  Phillip acquistò 4 suoi quadri e fu il primo  a presentarlo  negli Stati Uniti.

Il soggetto è ben percepibile, come in  Georgia O’ Keefe, che faceva parte con Dove del gruppo di Stiglitz:   lei si concentrava invece sui fiori visti molto da vicino nella loro composizione interna, con i pistilli ingranditi in modo che fu ritenuto allusivo. L’opera esposta “Motivi di foglie”, 1936, presenta una lunga frattura, le inseriva nelle sue figurazioni floreali come segno delle lacerazioni  che la attraversavano, anche per il tempestoso rapporto con Stiglitz. Phillip  acquistò 6 sue tele.

Un lungo salto indietro e troviamo  Vasilij Kandinskij,  il quale dal 1910 aveva già pensato che non occorreva un soggetto per l’espressione artistica, poteva anche essere astratta per il contenuto spirituale da lui attribuito all’arte,  tuttavia continuava a riferirsi alla realtà, come in  “Autunno II”, 1912, esposto in mostra. Mentre dei dipinti precedenti  abbiamo sottolineato  la percettibilità, maggiore o minore ma pur sempre presente del soggetto, qui notiamo l’astrazione:  la giornata autunnale è resa dai colori cui si assegnano significati simbolici, e non dalle forme assolutamente indistinte.  Del resto l’artista riteneva che la linea “liberata dal fine di disegnare una cosa funge essa stessa da cosa”. Un  astrattismo  in senso stretto,  pensiamo che siamo all’inizio del secondo decennio del secolo scorso.

La 6^ e ultima sezione, “L’espressionismo astratto” ci proietta nel secondo dopoguerra allorché negli Stati Uniti, anche per opera di artisti fuorusciti,  si sviluppò un movimento che assunse presto un valore internazionale, con gli artisti americani all’avanguardia in un espressionismo di tipo nuovo che, pur con riferimento ai maestri europei –  Klee, Mirò e Mondrian, oltre a quelli già citati – attingeva ad altre culture esotiche come i nativi americani e lo sciamanesimo per affrontare quella che chiamavano “crisi del soggetto”. 

I fuorusciti ci sembrano mantenere un legame debole ma percepibile con la cultura europea e le sue fonti di ispirazione. Il russo Nicholas De Stael lo mostra con “La fuga”,  1951-52, una serie di blocchi modulari nei quali  è riconoscibile l’origine naturale pur se non sono figurativi ma trasfigurati;  del resto l’artista, che ammirava Courbet e Braque, non si ritenne mai pittore astratto. Fu la prima delle 8 sue opere acquistate da Phillip,  che gli diede questo titolo trovandovi il ritmo e la ripetizione caratteristiche delle fughe musicali.  

Della portoghese Maria Elena Viera Da Silva, “Cavalletti da pittore“, 1960,  un’opera in cui l’intelaiatura verticale dà la sensazione di sbarre che creano angoscia.  E’ nel suo stile presentare una visione spaziale dalla percezione labile pur se non è antifigurativa. Tende a creare un’atmosfera piuttosto che  a rappresentare una scena o un soggetto, lo vediamo in questi  suoi “cavalletti”

Sono gli americani a distaccarsi del tutto dalla realtà  affidandosi all’atto del dipingere in sé e per sé per esprimere le proprie sensazioni ed emozioni del momento, di qui le diverse tecniche utilizzate.

A  Jackson Pollock  viene ricondotto l’espressionismo astratto, anche con lo sgocciolamento puro e semplice del colore. Non sono esposte opere di questo tipo,  quindi non ci soffermiamo su questa sua peculiarità artistica,  ma  “Composizione”, 1938-41,  del periodo precedente nel quale si ispirava all’arte dei nativi; infatti le figure richiamano maschere tribali rimaste nel suo inconscio.

“Numero 182”, di Morris Louis  rende bene, invece, la propria tecnica innovativa: faceva scendere il colore dall’alto sulla tela fissata nel telaio senza l’intermediazione della pennellata, e senza distinzione tra alto e basso dopo che il colore si era rappreso compenetrato nel tessuto. Le strisce dell’opera esposta sono  in colori forti e brillanti, un’iride verticale  di forte impatto cromatico.

Di Adolph Gottlieb,  “Equinozio, 1963, formato da quattro elementi circolari sfrangiati,bianco e nero, rosso  e blu,  uno sopra  e tre allineati che galleggiano su  fondo rosa in colori puri, un modo di evocare il fenomeno cosmico non del tutto astratto.

Mentre di Mark Rothko  è  esposta un’opera visibilmente assimilabile a questa. “Senza titolo”, 1968,  mostra al posto dei cerchi un rettangolo orizzontale sfrangiato che galleggia su un analogo fondo a tinta unita, arancio invece che rosa. Come già ricordato all’inizio, oltre ad acquistare 4 dipinti di questo artista, gli dedicò una sala apposita nel museo,  dedicata all’approfondimento. 

Ricordano i cerchi di Gottlieb alcuni elementi circolari in “La lezione”, 1975, di Philip Guston, che su un  paesaggio immaginario era solito inserire oggetti tangibili:  qui degli abbozzi di teste calve,  suole di scarpe e una bolla, forse la contrapposizione tra la caducità e la realtà della vita,  nell’indecifrabile astrazione.

Concludiamo con Richard Diebenkorn, marine di stanza a Washington che visitando il museo di Phillip si era appassionato ai grandi europei e agli americani Dove e Hopper, quest’ultimo non rappresentato in mostra.  Nel contrasto tra figurazione e astrazione, la luce e il colore hanno grande rilievo, lo vediamo in “Berkeley n. 1″, 1953, con macchie cromatiche luminose, mentre l’opera di quasi vent’ anni dopo, “Ocean Park n. 38“,  fa parte della serie così intitolata nella quale l’astrazione rende in modo visibile la luce della California dove si era trasferito a Santa Monica. In quest’opera i gialli  di varie intensità con l’azzurro del cielo su piani allineati o sovrapposti sono parte dell’astrazione stilistica, ma non si differenziano,  pur in una forma così diversa, da una contemplazione di tipo classico.

Termina la cavalcata nell’arte dell’800 e ‘900 iniziata con il classicismo;  l’espressionismo astratto raggiunge il suo culmine quando l’osservatore riesce a cogliere i sentimenti dell’artista come in questo caso.  Analogamente per le altre correnti ricordate nelle quali  è il soggetto a dominare.  Tutto converge nell’autentica  manifestazione artistica senza tempo e senza nazionalità perché universale. E la mostra ne dà una dimostrazione visiva fonte di continue emozioni per il visitatore.

Info

Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale 194, Roma. tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Da martedì a domenica  ore 10,00-20,00, chiusura prolungata alle ore  22,30 venerdì e sabato, lunedì chiuso. La biglietteria chiude 45 minuti prima della chiuusura serale. Ingresso intero euro 12,50, ridotto euro 10,00, che permette di visitare tutte le mostre in corso al Palazzo Esposizioni,  in particolare oltre a “Impressionisti e moderni”,”Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano 1900-1940″ e, fino al 15 dicembre è stato possibile vedere anche “Russia on the Road” (cfr. i nostri articoli, in questo sito, su “Una dolce vita?” 1°, 14 e 23 novembre, “Russia on the Road” 18 e 26 novembre 2015).  Catalogo “Impressionisti e moderni. Capolavori dalla Phillip Collection di Washington”,  Silvana Editoriale, 2015, pp. 166, formato 24,5 x 28,5.dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I primi due articoli sono usciti in questo sito il 12 e 18 gennaio 2016, con 12 immagini ciascuno.  Per gli artisti e movimenti citati nel testo, cfr. in questo sito i nostri articoli su  Matisse  23 e 26 maggio 2015,  Morandi, 17 e 25 maggio 2015, per Pollock, Rothko e gli altri artisti americani i due articoli sul Guggenheim  22 e 29 novembre 2012, per l’arte culinaria di Pollock l’articolo del 3 luglio 2015 sulla mostra di presentazione degli Usa all’Expo; in “cultura.inabruzzo.it”, su Georgia O ‘Keeffe due articoli del febbraio 2012 (il sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti in questo sito).  

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Palazzo Esposizioni alla presentazione della mostra, si ringrazia l’Azienda Speciale Palaexpo con i titolari dei diritti, la Phillip C   ollection e i singoli artisti,  per l’opportunità offerta. Sono riportate prima tre immagini della 4^  sezione della mostra commentata in questo articolo, mentre le altre quattro immagini sono nell’articolo precedente; poi le immagini delle sezioni 5^ e 6^ qui commentate. In apertura, Henri Matisse,  “Interno con tenda egiziana”, 1948; seguono,  Raoul Dufy, “Joinville”, 1938, e Georges Braque, “Il filodendro”, 1952; poi, Oskar Kokoschka,  “Courmayeur e la Dent du Géant”, 1927,  e  Georgia O’ Keeffe,  “Motivo di foglie”, 1926;  quindi,  Georges Rouault, “Ultimo bagliore, Galilea”, 1930,  e Vasilij Kandinskij, “Autunno II”,  1912;  inoltre, Jackson Pollock,  “Composizione”,  1938-41, e Richard Diebenkorn, “Berkeley n. 1”, 1953; infine, Mark Rothko, “Senza titolo”,  1968, e Philip Guston, “La lezione'”, 1975; in chiusura, Adolph Gottlieb, “Equinozio”, 1963, si intravede sulla dx la parte finale di “Numero 182” di Morris Louis, in primo piano l’ombra di una visitatrice.