Il ’68 nel cinquantenario, rievocazione e mostra alla Galleria Nazionale

di Romano Maria Levante

“E’ solo un inizio. ‘68” , così si intitola la mostra alla Galleria Nazionale dal  3 ottobre 2017 al 14 gennaio 2018 che espone 75 opere simbolo della rivoluzione nell’arte provocata dal sommovimento  sessantottesco e nello steso tempo ha compiuto un’attenta riflessione su un periodo  della nostra vita civile così dirompente e controverso 50 anni dopo. Curatrice della mostra Ester Coen, catalogo Electa-Galleria Nazionale.

Celebrare il  ’68 dopo cinquant’anni con una mostra sembra doveroso ma nel  contempo  poco appropriato. Perché non è stata il campo artistico quello maggiormente investito dalla rivoluzione – o modernizzazione come si preferisce chiamarla – della contestazione studentesca che ha messo in  discussione soprattutto l’esercizio del potere in ogni campo e ad ogni livello, e l’arte non è certo il simbolo del potere, tutt’altro.

Ma la direzione della Galleria Nazionale ha magistralmente superato questa contraddizione affiancando alla mostra d’arte – pur doverosa per  dar conto degli evidenti riflessi sull’arte  in senso liberatorio – una ricognizione su cosa evoca il ’68 oggi presso  alcuni protagonisti e testimoni dell’epoca  e altri interlocutori con interventi e interviste svolte da  Ilaria Bussoni e Nicolas Martino, Giovanna Ferrara e Mara Chiaretti, Donatella Fumarola e la curatrice Ester Coen. Con questo non intendiamo sottovalutare l’importanza delle 50 opere esposte, al contrario sottolineare l’interesse della riflessione sollecitata dalla rievocazione di ieri nelle valutazioni di oggi.

Il ’68 nella società e nel costume

Cominciamo  dalla rievocazione, partendo dal titolo della mostra  “E’ solo un inizio. 1968”. Ebbene, il suo significato viene visto in modo opposto, come “inizio della fine”  di tanti aspetti negativi della società borghese o, al contrario, della fine “non solo dell’università, delle professioni e di molte altre cose… ma anche dell’arte” nelle parole di Mario Perniola. inoltre viene vista come inizio di una stagione di violenza, da chi, come Andrea Cortelelssa invita a completare  “Ce n’est qu’n début”  “con quanto. sui muri di Parigi, veniva subito dopo : ‘continuons le combat”.  E i qui si fanno partire anche gli anni di piombo.

in queste antinomie una visione che ci è sembrata  appropriata è quella del Ministro  per i Beni e le Attività Culturali” Dario Franceschini, il quale, dopo aver riportato l’intera frase divenuta slogan del 1968 per essere gridata nei cortei e nelle aule e scritta sui muri, ha aggiunto l’altro motto “l’immaginazione al potere” per concludere: “Questi due motti rappresentano le due anime del movimento del 1968, due caratteri originali che avranno destini diversi”. Ed eccoli evocati: “Il primo, più politico, con l’inizio di una lunga fase di contestazioni e di mutamenti sociali; il secondo, più culturale, con una profonda e duratura influenza sulla produzione creativa di tutti gli anni a venire…  Niente  sarà più come prima dopo l’esplosione del 1968, che libererà energie, capacità, volontà fino ad allora inespresse dando il via  a una rivoluzione che ha segnato l’affermazione delle giovani generazioni sulla scena politica e sociale”.

Non sarà apprezzato aver citato come esegeta del ’68 un rappresentante delle istituzioni, quindi del potere borghese che  si intendeva abbattere, ma ci è apparsa la migliore introduzione alla nostra rapida rassegna.

 Consideriamo soltanto alcuni dei 20 personaggi intervenuti nella tavola rotonda virtuale contenuta nel Catalogo – per questo in forma di rivista e non di volume – soffermandoci sui suoi protagonisti.

Mario Tronti, per il quale “è solo un inizio è stato lo slogan più bello del ‘68”,  fa risalire “la spinta al ‘68” agli anni ’50 e ’60 con il  neocapitalismo che ha modernizzato il paese uscito dal capitalismo più arretrato, “l’inizio è la modernizzazione del paese che si trascina dietro le lotte operaie dei primi anni Sessanta”.  Quindi  vede il ’68 come modernizzazione e non come rivoluzione, anche se quest’ultimo termine lo riserva per il costume, “un rovesciamento di usi e costumi” contestati; inoè ltre gli attribuisce il merito di aver preparato l’autunno caldo operaio del ’69.  Ma il giudizio su cosa ne è rimasto non è altrettanto positivo, “il ’68 è stato un potere destituente  e non è riuscito a essere costituente, non è riuscito a creare nuove forme”. inoltre vede nel ’68 l’origine  dell’antipolitica, “il senso comune di massa, il più pericoloso”, e “nel ’68 entrano in crisi i grandi partiti di massa” perché “il partito era visto  come un elemento da battere, distruggere, eliminare”.

Altrettanto per Franco Piperno non fu una rivoluzione. Bensì una “grande trasformazione” in questo senso: “Il ’68 è il primo movimento a fare della creatività uno strumento di lotta… l’immaginazione ha davvero preso il potere?” Inoltre “nel ’68 si è data una momentanea alleanza di lotta tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra operai e studenti”.E questo in una situazione del tutto mutata rispetto al passato che aveva portato “alla scomparsa della classe operaia ottocentesca” e rispetto al mondo universitario di cui veniva contestata la frammentazione rispetto all’unità del sapere.

“”Nel ’68 cambia tutto” esordisce Toni Negri e anche lui non parla di rivoluzione: “”Il ’68  è una trasformazione dei costumi talmente radicale  da determinare ovviamente un inizio. Ma è un inizio di rottura.  Si tratta certo anche di modernizzazione, ma è una modernizzazione critica, in qualche modo catastrofica”.  E non solo trasforma radicalmente il mondo dell’università, ma “rappresenta  una grande trasformazione del mondo del lavoro e anche della disciplina sociale”.Più in generale, “è una rottura di potere che emerge immediatamente, e in Italia, dove è stato represso sin dall’inizio, cioè da quando si sono diffuse  le lotte operaie insieme a quelle degli studenti”. E non gli si possono imputare colpe: “Come  si fa a dire che una rivendicazione di libertà ha effetti negativi?”.

Dopo questo tris d’assi dei contestatori di allora, un tris d’assi di politici di sinistra. Per Luciana Castellina  “il ’68 non è stato un improvviso, spontaneo movimento di protesta come spesso erroneamente si dice. E’ stato l’approdo di una riflessione (e di un’esperienza) maturata nel corso dei meravigliosi anni Sessanta”, che hanno segnato un mutamento storico dopo la fase del dopoguerra e della ripresa economica”.  E, usciti dall’arretratezza economica “si comincia a fare i conti con il capitalismo avanzato e le nuove contraddizioni che fa emergere”. Al riguardo rivendica “il nostro incontro col ‘68”, in polemica on il PC proprio “su questa novità”.

Rossana Rossanda formula questo giudizio rispetto allo scontro generazionale: “Non so se sia giusto parlare di una ‘rottura completa’. Si può anche sostenere che il ’68 tenta delle risposte a problemi sollevati dalle generazioni precedenti del ‘900 o di fine ‘800”. Viene gettato subito tutto in politica, sull’atteggiamento del PCI, la cui “repressione ” del movimento “si è espressa soprattutto nel rifiuto di affrontare le questioni che il ’68 stava ponendo”e nell’ “appoggio diretto o indiretto alla critica delle tesi studentesche e della gioventù operaia che ne era coinvolta”.

Il terzo testimone di sinistra, Giacomo Marramao, dalla sua posizione di filosofo, afferma che “il ’68 è stato l’inizio della rottura di un’idea della società moderna neocapitalistica, fondata sulla circolazione e sul consumo, fondamentalmente pacificata”. Anche lui nega di poter usare il termine rivoluzione, perché “la rivoluzione implica un soggetto rivoluzionario” che poteva essere solo “il cosiddetto intellettuale collettivo” ; ma non la considera neppure modernizzazione, bensì una “critica-pratica della modernizzazione” perché “la modernizzazione autoritaria non potrà funzionare, avrà sempre, con il ricambio generazionale, davanti a sé dei soggetti pronti a dire no”.

Concludiamo questa sommaria rassegna con altri due personaggi, che non rientrano nei due gruppi di protagonisti e politici d’epoca ma sono testimoni particolarmente qualificati, di diverse tendenze.

Guido Viale ritiene il ’68 “l’inizio della globalizzazione del conflitto a livello sociale” che ha fatto esplodere  nei settori più diversi e nei vari paesi, con la “lotta alle gerarchie, nelle scuole, nelle fabbriche, negli ospedali. Strumento privilegiato per rovesciare i rapporti di forza”in grado di mobilitare, oltre agli studenti e operai, “anche gli altri soggetti vittime di una precisa geometria di poteri”. in che modo? “La libertà che cercavamo non poteva che essere conquistata all’interno di una dimensione collettiva”.

Sul versante ideologico opposto Giuliano Ferrara demitizza con la sua vena graffiante.: “Non era progresso, era uno scombussolamento .dada in ritardo di quasi un secolo, un’insorgenza mondialista che univa i distinti e li fondeva nel fuoco della grande confusione babelica… Era lo spirito santo che soffia dove vuole, era la decostruzione avant la lettre…” E ammette: “1968 è un numero magico. E’ la pietra filosofale, il pensiero de-pensato e non-pensato, il grande nonsense senza ironia ci prese tutti, tutti Alice…”.  Dopo aver affermato che “il numero magico fece tendenza, moda”  conclude: “Quell’inizio fu fatale , Ci ha messo tutti a bagno nella hegeliana pappa del cuore, ha trasformato la sensibilità in sentimentalismo, ha oltraggiato quella base della cultura classica e moderna che è il cinismo epico, la capacità di scegliere il male, se necessario entrarvi, come diceva Machiavelli, ma conoscendo la differenza tra il bene e il male”.

Il ’68 nell’arte

Sul lato artistico si sono pronunciati anche alcuni dei personaggi politici citati. Luciana Castellina sulle arti figurative e il cinema ha detto: “Quanto al loro essere arte se rivoluzionarie o rivoluzionarie solo se arte, si tratta di un dibattito ben lungi dall’essere concluso”, che nel PCI fu molto aspro. E indica come “quadro simbolo” della sua generazione il quadro di Picasso Guernica.

Mentre per Rossana Rossanda  è “meglio non confondere arte e politica, sono due settori totalmente diversi e implicano diversi criteri di misura. Perciò, a un’opera che si dichiara artistica va chiesto soltanto, secondo me, se lo è davvero e secondo quali criteri”.

Giacomo Marramao entra nel tema: “Nel ’68 abbiamo la traduzione in politica di una rottura che era già avvenuta antropologicamente nei costumi, dal punto di vista degli stili espressivi nella letteratura, nella poesia, nella musica”. Parla di arte subito dopo: “L’arte del resto è sempre stata un motore straordinario della coscienza critica e della comprensione del presente… Le poetiche e le arti vengono prima delle politiche, non lo dimentichiamo, la comprensione del presente non passa tanto attraverso il concetto hegeliano, quanto piuttosto attraverso la capacità dell’aisthesis di cogliere i terminali del contemporaneo”.

Ma passiamo agli interventi espressamente centrati sull’influenza del ’68 sull’arte.  Cominciamo con Goffredo Foti che denuncia come “figlio delle nouvelles vacue , il ’68 si affettò a tradirle. I gusti in fatto di arte  dei suoi  leader e ‘quadri’  furono tradizionali, retrogradi, consolatori, consumistici, segnati dal culto della violenza e non da quello della ragione, dalla propaganda e non dalla persuasione”. E precisa: “Nelle arti, insomma, il ’68 più vero è quello che lo preparò, e che riuscì a resistere alle pressioni dei gruppi e alle strumentalizzazioni (anche economiche) che essi fecero degli artisti.

Anche Massimiliano Fuksas è inizialmente scettico: “Ritengo che il ’68 sia la conclusione di un’epoca, non l’inizio di un’altra”.  E lo spiega: “L’immaginazione non ha affatto preso il potere nei successivi anni Settanta. L’immaginazione c’era, era parzialmente integrata e ognuno individualmente se l’è portata dietro. Ma il paese, nel suo insieme, non l’ha assorbita come un fatto sociale”.Per questo “come tutte le cose belle, il ’68 è durato poco”. E’ l’arte che non può venire meno:”L’arte è l’unica cosa necessaria nella vita dell’uomo, o meglio la creatività. Se togliamo la creatività, abbiamo tolto la spinta vitale, la forza per andare avanti”.  Né è venuta meno, tutt’altro: “C’è stato un contributo incredibile in quegli anni, da Beuys all’Arte Povera. Da quel momento si afferma quello che sembra un paradosso, ma è la verità: 5utti siamo artisti, la creazione appartiene a tutti.”. Conclude con un giudizio positivo: E questa è una vittoria del ‘68″.

Positivo  anche Achille Bonitoliva, che rievoca il “proprio” ’68 ricordando  il “dialogo continuo” tra artisti e critici, le riviste e le “mostre epocali”, con il passaggio “dall’astrazione alla figurazione, dal frammento alla narrazione”. E commenta: “Quindi io nel ’68 ho intravisto la ripresa di una libertà: l’arte contro la mercificazione, l’arte contro la poetica a segno unico”. Con questi aspetti: “Gli artisti in America, in Europa e anche in Italia, con Pistoletto, cominciano a svincolarsi dalla produzione organica di un’idea riconoscibile e a operare scelte diversificate che spiazzano il mercato, che spiacciano il collezionista, il gallerista, eccetera”. E sul piano artistico: “In ogni caso, se si parla ancora di ’68, questo si deve all’idea di smaterializzazione che porta al concettuale”. In questo modo: “Smaterializzare significa superare il prodotto, l’opera mercificata, significa sostituire il concetto all’oggetto. A Napoli  si direbbe ‘basta il pensiero'”. Per finire: “Ma tornando al ’68: è una fiammata intercontinentale, che produce rinnovamento da una parte, dall’altra anche risentimento… non credo che dal ’68 provenga una lezione a senso unico”.

Germano Celant ricorda “il fiorire contemporaneamente  di movimenti come la Land Art, la Body Art, l’Arte Povera, la Conceptual Art, la pittura riduttiva e neoespressivista. Tutto è possibile e l’arte ritrova l’onnipotenza di muoversi in tutti i territori, diventare filosofia e botanica, anatomia ed ecologia, senza perdere le sue prerogative tradizionali, quali la pittura e la scultura. Al tempo stesso i materiali che diventano disponibili sono infiniti”.  Con questa conseguenza: “la logica restrittiva che riduceva la Pop Art e la Minimal Art a potenzialità ridotte di un risultato definito, lascia posto all’immaginario totale, senza limiti fissati o definiti, là dove  la rappresentazione è evento totale”.Nel nuovo corso dell’arte “tutto è centrato  sul sentire, pertanto qualsiasi realtà che si pone allo sguardo o al tatto, al pensiero o all’olfatto appare colma di infinite modulazioni e articolazioni, sfaccettature e segreti, tanto da richiedere un approfondimento che non è rappresentativo, come poteva avvenire per la pittura e la scultura, ma osmotico, vale a dire in sintonia concreta con la sua mutevolezza”.  E gli artisti? “Non si sono nascosti nel fare convenzionale e tradizionale del dipingere e dello scolpire, per non restare occulti, ma hanno cercato di stendere tessiture con il mondo della natura e della tecnologia, del comportamento e della comunicazione industriale”. in modo ancora più esplicito: “Da questo momento, dunque, l’arte appare un enorme repertorio di esperienze, tutte equivalenti perché mediatrici della complessità del reale. All’interno di questo è il soggetto, non più l’oggetto a dare impronta alla comunicazione”. La conclusione sull’arte: “Non accetta più i limiti di una codificazione perché nel mondo l’essere umano si può permettere qualsiasi cosa, l’arte diventa pertanto un intermediario dove si possono incontrare o incrociare tutte le intensità e tutti gli impulsi, tutti i moti e tutte le azioni, tutte le idee e tutte le materie, tutti i colori e tutte le tecniche, tutti i linguaggi creativi”.ù

Concludiamo la nostra rassegna con le parole della curatrice Ester Coen. Cominciano con le forme artistiche tradizionali: “Da scavalcare sono i limiti della pittura, di una tradizione che non si smorza in un solo gesto. la pittura non è più il solo atto visivo dell’immagine. Dell’immagine permane il senso morale, la misura, una misura fisica e metaforica”. e ancora: “La scultura allora si reinventa, deduce dalle pure forme della natura i suoi stessi elementi compositivi , dà vita a modi di invenzione, nuove verità tautologiche all’interno del sistema visivo dove il reale si rigenera come forma dell’immaginario. Suggerisce altrove il senso di uno spazio prospettico attraverso materiali  o elementi estranei all’arte ma non alla storia  e al mito, nella misura tangibile dello stesso principio di rappresentazione…”. Più in generale vengono sottolineate “assonanze e corrispondenze stilistiche  di matrice diversa” In Europa e in America, che però “lanciano uno stesso messaggio di sovversione e vitalismo dove i limiti tra oggetto e visione vengono definitivamente spezzati. 1968: inizia una rivoluzione”, termine che vediamo finalmente proposto e non respinto. Con questo giudizio finale: “La miccia accesa nel 1968 brilla per una brevissima stagione e bruciando rischia di consumare le sue premesse… ma niente sarà più lo stesso malgrado i tentativi di restaurazione , la ventata di aria fresca rimarrà come una conquista in ogni campo”. Per concludere: “Una carica esplosiva di dimensioni incommensurabili che getterà i semi per rinnovate utopie e si diramerà con forza straordinaria nelle generazioni a venire”. Ed ecco come si manifesta in  una molteplicità di espressioni: “Nel minimalismo, nel concettuale, nell’arte povera, nella land art, nelle correnti artistiche che in quegli anni emergono fulminee e si propagano alla stessa velocità di onde nello spazio, pur nella diversità di metodi e progettualità, quello che si capta è un progresso collettivo per una rinascita purificatoria, catartica, nello spirito di una dilagante libertà di forme e di costumi”. 

Le opere in mostra a testimonianza del ‘68

Di  queste forme artistiche, e non solo, dà testimonianza la mostra con le circa 50 opere esposte, una galleria variegata per correnti e forme d’arte dell’arco di tempo 1965-70, ma soprattutto del 1968..

Tra le opere del 1968 alcune hanno un messaggio politico esplicito, i titoli descrivono l’immagine: così “Ritratto di Mao con Bandiera Rossa” di Franco Angeli, Planisfero politico” di Alighiero Boetti, di cui c’è anche “Per un uomo alienato”, e “Italia rovesciata” di Luciano Fabro, del quale è esposta pure l’opera “Tre modi di mettere le lenzuola”;  per altri versi, “Monument for V. Tatlin” di Dan Flavin, per un artista russo con la visione del bene dell’umanità, e “Morire di classe” di Carla Cerati,  una serie di foto sull’ospedale psichiatrico di Gorizia. Della stessa Cerati molte altre serie, da “Mondo Cocktail ‘Terrazza Martini'” a “Living Theatre ‘Paradise Now”.

Altre opere recano figure, tra due “dischi di luce” in “Cilindro” di Maurizio Mochetti, due figure  in piedi in attesa su una superficie a specchio in“I visitatori” di Michelangelo Pistoletto, del quale sono esposte anche 2 opere parallele del 1965 e 1966, “Specchio”, “Pozzo specchio” con l’aggiunta “Oggetti in meno”  e “Mica”. Luigi Ontani, con “Bestiario” del 1969, presenta oltre 50 posizioni, le più diverse e acrobatiche, della sua figura in tuta nera.

Di Giovanni Anselmo 3 opere molto diverse, quella intitolata “Direzione” mostra due ali aperte sul pavimento, le altre due instalalzioni di tipologia analoga sono “Senza Titolo”.  Sempre sul pavimento,  “Bachi da seta” di Pino Pascali, definito da Achille Bonitoliva “l’artista determinante degli anni Sessanta, che già scavalca l’Arte Povera”, di lui troviamo anche 2 opere precedenti, “1  MC di terra, 2 MC di terra”, 1967, effettivamente dei cubi di materia, e “Ricostruzione del dinosauro”, 1966, con gli anelli della colonna vertebrale allineati al suolo.  

Il critico definisce “epocali” le mostre di allora di Pascali e Jannis Kounellis, del primo abbiamo detto, del secondo sono esposte 3 opere “Bianco”, “Carboniera” e “Pali rosa”. Altre opere sul pavimento “Il mio letto così come deve essere” di Pier Paolo Calzolari e “Grass grows” di Hans Haackel,7 two part variations on 2 different kinds of cubes”. poi “Fermacarte (con un passo)” di Emilio Prini e “Clear, Square, Grass, Leaning” di Joseph Koauth”.

Di altri due artisti molto rappresentativi sono esposte “”Mile du Val d’Ognes” e “Autoritratto” di Giulio Paolini, e “Festa cinese” di Mario Schifano, di quest’ultimo  anche “Umano non umano”.

 Ci sono altre forme espressive, in  particolare video, del 1968 brevi come “Magnetic Scramble” di Toshio Matsunoto e “Wind” di Joan Jonas, “Touch Cinema”, di Valie Export e  “Beached”  di Lawrence Weiner, lunghi come “Assemblage” di Merce Cunningam & Richard Moore e “Self Obliteration” di Yayoi Kusama, “Plumb Line” di Carolee Schneemann e “Three Frames Studies” di Vito Acconci del 1969-70; dell’inizio degli anni ’70 “Row Flags” e “Three Dance” di Gordon Matta Clark, “Identifications” di  Gerry Schum, “Plumb Line” di Carolee Schneemann, 1968-71.e “Mono Lake ” di Robert Smithson. 1968-2004. .

Tra le opere precedenti il 1968, del 1963-64 di Diane Arbus, Teenage Couple on Hudson Street”, “Bishop Ethel Predonzan, By Sea”  e “Russian Midget Friends in a Living Room on 100th Street, NYC” edi Berbar Venet “Goudron”;  del 1965 “Ultima Cena” di Mario Ceroli, i 12 apostoli in sagome lignee identiche allineate; del 1966 “Living Sculpture” di Marisa Merz del 1966; del 1967, “Ragazza TV (o la ragazza della televisione)” di Giosetta Fioroni , “Tubo” di Eliseo Mattiacci e “Louis  Philippe to Miocene” di Gianfranco Baruchello.

Le opere successive al 1968 esposte in mostra, oltre quelle già indicate, sono: del 1968-70 “Palla di gomma (caduta da due metri) nell’attimo immediatamente precedente il rimbalzo”; del 1969 “J’ai jeté 4 dessins dans le torrent Chisone (Turin) destination mer” di Gina Pane e “Bondes” di Daniel Buren; del 1972, “Untitled” di Donald Judd;  del 1961-75“Calendar” di Walter De Maria, del 1976, “Stone Circle” di Richard Long.

L’assortimento è variegato, i diversi stili rappresentati, il ’68 ben coperto con il prevalente numero di opere di quell’anno. Non si può dire, tuttavia, che l’immagine del ’68 sia di tipo artistico, anche se le arti ne sono state investite, per come in esse si riflette la società e il costume, accelerando la liberazione di forme e generi già in atto.

Bene ha fatto dunque  la direzione ad affiancare alla ricognizione artistica quella socio-politica, con i testimoni dell’epoca nelle loro valutazioni di oggi; non solo, ma  li ha invitati a incontrare i visitatori nel “finissage” sulla gradinata della Galleria Nazionale; uno spettacolo nello spettacolo.

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