Marchi, tra futurismo, classicismo e razionalismo, alla Galleria Russo

di Romano Maria Levante

La mostra “Virgilio Marchi ‘Futur-classico-razionale. Opere dal 1910 al 1950”, espone  alla Galleria Russo di Roma dal 15 novembre al  7 dicembre 1917, un’ampia selezione di progetti architettonici, teatrali e non solo, con valore artistico per la qualità dell’autore, impegnato anche nel dare veste teorica alle proprie realizzazioni pratiche inserendosi attivamente nel dibattito tra le varie correnti: il futurismo che cercava il movimento, il classicismo la sobrietà, il razionalismo l’ordine. La mostra è a cura di Elena Pontiggia che ha  curato anche il catalogo di “Manfredi Editore”.

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La Galleria Russo prosegue nella  meritoria iniziativa di valorizzare gli artisti che hanno dato vita alla grande stagione del futurismo, la corrente artistica del ‘900 tipicamente italiana. Dopo Marinetti e Depero, Erba e Tato ecco Virgilio Macchi, una novità  trattandosi di architettura e scenografia, quindi attiene alle costruzioni e al teatro, dopo la pittura, la scultura e il design.

E’ un scoperta  interessante, che non è limitata al futurismo, e già sarebbe molto, ma si estende al classicismo e al razionalismo, i tre stili con i quali si è misurata  la sua attività progettuale, insieme al simbolismo e,  nella  fase giovanile, all’interesse per la secessione contro gli accademismi.

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Architettura e arte, il futurismo nell’architettura

Un artista precoce,  nato nel 1905, che già nel 1913, a 18 anni,  tenne a Livorno una mostra dei suoi progetti di edifici, in uno dei quali si riscontrano influssi secessionisti. A 21 anni conosce Balla e aderisce al movimento futurista  diventando, dopo la scomparsa di D’Elia,  uno dei maggiori esponenti  dell’architettura futurista , a 23 anni nella conferenza “L’arte è una vibrazione”  espone in modo organico la sua impostazione di architetto-pittore che cura l’espressività dei progetti insieme al cromatismo.

“Rivendichiamo l’architettura all’arte – scrisse nel 1919– accostiamola ai lirici,pittori, musicisti, poeti scultori… tutto  è architettura, poesia, musica danza, quando la materia si dimentichi in virtù di una lirica pura”, Pertanto, “è dunque l’architetto l’uomo versatile in tutti gli infiniti rami  dell’attività estetica”, per concludere: “Chi si cristallizza nella sola attività muraria  è incompleto, non basta all’architettura”, naturalmente si tratta dell’architettura futurusta.

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“Per Marchi non è l’architettura a essere arte, ma l’arte a essere architettura”, osserva la curatrice Elena Pontiggia nell’ambito di un’accurata ricostruzione del percorso dell’artista. E lo spiega così: “Non esiste architettura che non possa essere anche quadro e statua,  e che non possa avere valori espressivi prima che funzionali. Anche la costruzione, dunque, può e deve essere lirica cioè rappresentare gli stati d’animo dell’uomo. Oltre che lirica deve essere drammatica nel senso etimologico del termine: cioè dinamica, perché dramma significa azione e non c’è azione senza movimento”.

Il “movimento”, parola d’ordine del futurismo,  diventa anche requisito delle costruzioni,  per loro natura assolutamente statiche, anzi immobili, quindi nell’impossibilità di qualunque espressione.  Sembrerebbe un ossimoro di impossibile traduzione pratica, ma Marchi  individua la lacuna nel fatto che, mentre  nelle costruzioni  ci sono “tutte le possibili combinazioni di verticalità e orizzontalità, l’architettura non ha ancora sfruttato del tutto l’obliquità, l’eccentricità, la policentricità e l’infinità delle curve messe in valore dalle meccaniche”,  altra parola evocativa del futurismo. 

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Il rimedio si trova proprio in questi elementi geometrici non sfruttati  nei quali risiedono le forze che spingono “all’agitazione nello spazio”, quindi al movimento, il requisito mancante che nella concezione futurista è l’elemento vitale. E in materiali non appesantiti dalla “volgarità della materia”, ma nobili, come il vetro, per utopistiche e irrealizzabili cattedrali di cristallo. Le  strutture trasparente e soprattutto curve di Marchi nella “Città futurista” si contrappongono non solo a quelle opache e rigide della tradizione, ma anche al panorama di case e fabbriche bocconiano  

Il dipinto del pittore-architetto “Motivo plastico. Generatore”, 1919, esemplifica “le infinite direzioni, dinamismi e movimenti che le moderne strutture abitative possono intraprendere”.  Viene ricordato che si interesò anche dell’arte astratta, pur senza praticarla, consederandola “esteriorizzazione dello stato d’animo, dell’emozione sincera che ci viene trasmessa  dalla potenza delel cose e dei fenomeni”.

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Ma si devono a lui anche progetti avveniristici  ideati senza possibilità realizzative  con strutture oblique e aggettanti,  con piramidi e pinnacoli, come “Ricerca di volumi”, 1919, inseriti in città altrettanto irreali che come ottovolanti ruotano mentre sono percorse da vortici di volte ovoidali  e attraversate da mezzi di trasporto come proiettili. Esprimono “una vitalità febbrile”, la gioia di vivere dinamicamente in un perenne  movimento creativo .

Un’architettura non imprigionata da strutture immobili, ma espansiva ed elastica, provvista della “libera sensibilità meccanica”  di cui, secondo Marchi, è precursore il poeta Walt Whitman – quello dell'”Attimo fuggente”, sia detto per inciso –  fautore della poesia liberata dalla rima e dell’energia universale del cosmo.

Il  concetto della costruzione come stato d’animo è sviscerato nel suo libro“Architettura futurista”, 1924, che è stato preceduto da “Classicità futurista”, 1923,.secondo la quale “lo stile è disciplina”, quindi occorre la forza centripeta della classicità, mentre l’ortodossia futurista  postula lo “stile del movimento” per il quale occorre la forza centrifuga della libera creatività. La classicità e la disciplina non vanno bene a Marinetti e Prampolini, il disordine anarchico non va bene a Marchi, così concordano di usare un “linguaggio stilato”.

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Nel “Convegno sul paesaggio” organizzato da Marinetti nel 1922, fece un intervenne anche Marchi, e lo pubblicò nel 1924 in “Architettura futurista” insieme a dei disegni su Capri e sulla villa che  aveva progettato per Marinetti e la moglie, come vedremo, in stile mediterraneo,  non futurista.  Mentre lo stile futurista dominava nel disegno del 1924 “Terrazza della città superiore” con una Roma avveniristica in cui sulle terrazze atterrano piccoli aerei a servizio della città, la verticalità squadrata dei grattacieli è bilanciata dalla rotondità delle cupole e da strutture d’avanguardia. 

Antonella Greco pone l’interrogativo “se sia ancora futurista il di/segno di Marchi  in quella prospettiva di Roma con le terrazze aeroporto”, e dà questa risposta: ” Sicuramente lo è nel senso di una solida utopia modernista ancorata alla città reale, ma non più espressa nel linguaggio e nella gioiosa e ironica provocazione delle visioni precedenti”,come nella “Ricerca di volumi” del 1919.

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E questo perché “nell’aporia dell’architettura futurista continua a pesare la visione lirica, la libertà irresponsabile, lo scollamento tra la visionarietà del progetto e la possibilità di realizzarlo”. Tutto ciò ne segna il superamento, come avviene per le utopie rispetto alla realtà, nel segno di un razionalismo, oltre che di un classicismo, fino a un certo punto sempre respinto a parole. Però quella di Marchi resterà comunque “un’architettura dinamica, emotiva e non neutrale, in una parola ‘scenografica’”, conclude la Grco, e la scenografia teatrale e cinematografica sarà l’altro grande filone del suo impegno di architetto-artista.   

Dal  futurismo al classicismo e razionalismo

E’ evidente come Marchi si stia allontanando dalle impostazioni utopistiche  incentrate sulle linee oblique e sul movimento dinamico di concezione futurista che propugnavano l’abbandono della  verticalità e orizzontalità tradizionali. delle costruzioni.  Non è, tuttavia, per un “ritorno all’ordine” e all’immobilità architettonica;,conserva gli elementi dinamici dati da torrioni e corpi ellissoidali, diagonali e cilindrici, lo vediamo nel Progetto per il Palazzo del Littorio”, 1934,con dei corpi tondeggianti  insieme a pareti rettangolari, e nel “Progetto del cinema Fenaroli  a Lanciano“, 1936, con le larghe volute architettoniche.

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Si accosta al versante classicista nella sobrietà, non torna alle colonne classiche, anche se  il “Fondale del  Palazzo di Giustizia”  è impostato come il Partenone su colonne divaricate. E’ un’eccezione,  il passato è  solo un riferimento, nella facciata del” Teatro lirico comunale di Siena, con una cuspide a trabeazione come nei templi, nel “Progetto di chiesa” con dei corpi  a raggiera e nel “Teatro all’aperto”  con forme palladiane.

Non è più futurista ortodosso, dunque,  e neppure neoclassico, è diventato razionalista?   La risposta è negativa  sebbene abbia mostrato interesse per la  Mostra dell’Architettura Razionale tenutasi nel 1928 a Roma, nel  Palazzo delle Esposizioni e consideri questa tendenza una filiazione del futurismo. Ma per lui nel razionalismo “sono lontane le fonti dell’ispirazione e della fantasia” , com’è implicito nel termine, “tutto è così fermo e rigido”, e le costruzioni in quello stile hanno un nudo “aspetto di scatola”.  Però  c’è un’ampia serie di suoi  progetti vicini al razionalismo, ma anche in questo caso con temperamenti e attenuazioni dello stile.

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La presenza nei  diversi progetti di  elementi dei tre diversi stili senza l’adesione alla rigorosa ortodossia di nessuno dei tre,  si riscontra non solo perle costruzioni, cui abbiamo accennato, ma anche per le scenografie teatrali.  Per il “Moro di Venezia”, 1930, a elementi classici si uniscono quelli futuristi  quali  poliedri, piramide, sfera, come nel “Boris Godunov”  in un clima espressionista di intrigo e mistero.

“In realtà, precisa la Pontiggia, la definizione che più si attaglia a tutto il suo lavoro e alla sua personalità di artista , al di là dei singoli esiti, è quella una  e trina che lui stesso conia: ‘futur-classico-razionale”. E conclude: “Un super ossimoro, verrebbe da dire, una contraddizione in termini” citando poi le parole di Gentilucci  “In arte non esistono contraddizioni. Quello che i logici chiamano contraddizione, per un artista è ricchezza di senso e di forme. E’, insomma , libertà”.

Quella libertà che Marchi chiedeva anche per il  poeta, il quale deve uscire dalla gabbia della rima e procedere  liberamente fuori da ogni schema, e rivendicava per l’ architetto liberato dalla  gabbia delle strutture verticali e orizzontali  per dare viva espressione a  progetti dinamici.

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Le scenografie per teatro e cinema

Marchi oltre che architetto è stato pittore, e scenografo teatrale e cinematografico,  la mostra espone oltre alle opere già citate, delle sue incisioni, come “Cattedrale”,  1920, con il senso del dinamismo plastico, e “Donna fra i flutti”, 1921, illustrazione per il poema “L’immortalità di Francesco Flora”, il celebre critico letterario,  di ispirazione secessionista, un’incisione  espressionista con lo stato d’animo bocconiano.

A mezza strada tra la figurazione e il progetto architettonico le scenografie per gli spettacoli a  teatro nelle quali è stato impegnato soprattutto per il sodalizio con Gian Antonio Bragaglia, iniziato nel 1922, quando aveva 17 anni, con le illustrazioni del  Bollettino quindicinale della Fondazione della casa d’Arte Bragaglia e del Teatro sperimentale alle Terme Romane di via degli Avignonesi,  che diventerà il Teatro degli indipendenti, come per altri teatri romani ai quali fornisce i disegni per scenografie, costumi e architetture.

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Cominciamo con le “Scenografie teatrali” per la loro importanza nel percorso dell’artista, che ha lavorato quasi l’intera vita per il teatro. E ha dato ai costumi, come facevano le avanguardie, una funzione ben più ampia di quella della mera vestizione legata alla trama, suscitando attraverso la loro foggia spesso deformata, effetti speciali anche in chiave psicologica.

In quegli stessi anni, precisamente il decennio 1915-25,  anche Picasso era impegnato intensamente nella scenografie e nei costumi teatrali, nei quali trasferiva la forza stilistica cubista, lo abbiamo visto nella recente mostra a Roma. 

Vediamo innanzitutto una scena marina  per “L’Oceano” di Andreyeff, 1929, segue una  serie  del 1930, 3 di “Boris Godunov”  per l”Arena  di Verona,    due interni rustici e il terzo con delle volte,  e 2 di “Otello”; uno scorcio monumentale di Venezia e l’ingresso della nave a Cipro;  nell’anno precedente, 1929,  2 costumi  dell’“Italiana in Algeri” per la tourné a Parigi. Nel 1932,  la scenografia per “Valoria” di Massimo Bontempelli al Teatro Valle, 3 disegni con architetture classiche pencolanti, e poi negli anni ‘30, la “Camera Maria”  con il letto, un’ampia vetrata e il tetto spiovente. Nel 1940,  il prospetto esterno della porta di Troia per “Elena” di Euripide, e un interno  monumentale cupo, mentre negli anni ’40 la scena del trono per “Amleto”di Shakespeare,  aulica e solenne, ben diversa da quella di avanguardia che aveva realizzato per la stessa tragedia con il teatro sperimentale di Bragaglia. Seguono disegni scenografici per “Amore materno” di Strindberg al Teatro Valle e  “All’uscita” di Luigi Pirandello per il Teatro d’Arte di Roma con il quale ebbe la più lunga collaborazione tra artista e teatro. 

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Sono esposte anche 4 “Scenografie cinematografiche”, una in esterno del 1930, 2 del 1940 e una del 1950 tutte in interno, l’ultima per “Francesco Giullare di Dio” di Roberto Rossellini , che comprovano la longevità dell’attività scenografica anche per il cinema. Sono piccoli scampoli di un’attività che lo ha visto impegnati in 70 film, con registi famosi.

Architetture teatrali e religiose

Torniamo al teatro per citare le “Architetture teatrali” progettate da Marchi:  vediamo esposto il progetto del “Teatro Lirico Comunale di Siena” , 1931, in 3 prospettive frontali e laterali che mostrano una serie di corpi sovrapposti dietro una facciata con trabeazione classica ma senza colonne,  e il progetto dell'”Istituto del Teatro Drammatico Nazionale di Roma”,  1933, quello del “Teatro all’aperto (Teatro Puccini, Viareggio)” , 1941, in  5 diverse visioni prospettiche e del “Teatro Odeon” , 1946, in prospettiva frontale e laterale, dalla caratteristica facciata rotonda.

Un’altra architettura per adunate di pubblico è “L’architettura religiosa”, abbiamo già citato il “Progetto per chiesa”, 1930, particolarmente significativo per i corpi  a raggiera,  sono esposte  3 prospettive, frontale, dal  viale e dal giardino, dello stesso anno il disegno di una “Cappella“, 1930, quasi un tempio classico; vediamo anche  il progetto di una “Chiesa a Borgo Pasubio”, 1934,  in stile littorio come l’architettura degli edifici pubblici negli insediamenti creati all’epoca delle bonifiche delle locali paludi pontine.  Molto particolare l’ “Ipotetico mausoleo per la famiglia dei marchesi Paulucci di Caboli, Forlì”, 1931, in stile razionalista.

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Le architetture istituzionali e per edifici pubblici

Dell'”Architettura di Stato e razionalista”  fa parte il “Progetto per il mausoleo a Costanzo Ciano”, 1939, in 3 visioni prospettiche, ispirato alla sagoma del Mas  con i gradini che richiamano la scia dell’imbarcazione. Poi vediamo il già citato progetto presentato al “Concorso per il Palazzo del Littorio a Roma”, 1934, in 4 prospetti, la struttura cuneiforme con 5 torri cilindriche per armonizzarsi con le imponenti vestigia circostanti, la Basilica di Massenzio e nientemeno che il Colosseo.  Invece il progetto per l’ “Esposizione Universale di Roma”, 1938, in 3  disegni prospettici,  presenta forme lineari e squadrate, quasi metafisiche. Con il progetto del “Laboratorio razionalista per Ufficiali di Collaudo al Polverificio di Segni”, 1932, in 10 prospetti che lo presentano da ogni angolazione, l’architetto si cimenta con lo stile razionalista, mirando alla funzionalità e di valorizzando i materiali in una struttura “priva di banalità nella ripetizione dei corpi rigidi e speculari”..  

I  progetti esposti  per “Edifici di pubblica utilità”,  oltre allo “Studio per edificio pubblico”, anni ’30,  e allo “Studio per restauro edificio a Roma”, 1926, quanto mai spettacolari, riguardano le tipologie più diverse: si va dallo “Stand per Fiera del libro di Firenze”, 1934, al “Progetto per la sede di ‘Grandi vini italiani’“, 1935-39; dal “Progetto per un negozio di abbigliamento” al “Parco divertimenti Lido”, il primo della serie, del 1920, con 4 prospetti.. In tutti la sua inventiva  nella varietà delle soluzioni, senza nessuna ripetizione, si può apprezzare l’evoluzione nel tempo. 

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I  progetti per villini

Anche i progetti dei “Villini” mostrano l’evoluzione,  si passa dalle reminiscenze medievali della “Villa castello Baldoni a Formia”, 1910-20 con la torre asimmetrica, e  del “Belvedere d’Arcinazzo”, anni ’10, un torrione anche qui, alla trabeazione della “Villa De Voronowska”a Roma, anni ’20 , e ai diversissimi “Studi di edificio per proprietà Parodi-Delfino” con l’andamento sinuoso di stile “Caprese. Vediamo anche  progetti per la “Villa Parodi-Delfino ad Arcinazzo” 1925, e per la “Villa Parodi-Delfino a Roma (dei tre orologi)”, 1927, in vari prospetti, come per la “Villa Piccirilli” che spicca per lo schizzo panoramico d’insieme e per lo spettacolare “Ingresso sulla via Tiburtina”  tra cipressi, pini e il moro di cinta sagomato.

Vogliamo concludere con il progetto per il “Villino Cappa-Marinetti”, 1927, in 3 prospetti,  è ispirato allo stile dei vecchi caseggiati meridionali che riflette la sua ricerca di classicità , prima dell’irruzione del razionalismo.

Che questo stile composto venga applicato per l’abitazione del promotore del Futurismo, invece delle architetture oblique e delle altre trovate rivoluzionarie per dare movimento e  rompere l’immobilità delle strutture verticali e orizzontali, è particolarmente significativo.

Si tratta del ripiegamento visto in generale per l’architettura futurista rispetto alla realtà, che però nulla toglie all’entusiasmo e alla forza con cui l’utopia avveniristica è stata coltivata. Anche questa verifica, possibile in pratica  guardando i tanti progetti esposti delle diverse tipologie e pensando alle enunciazioni teoriche, è un prezioso risultato della mostra, che apre a riflessioni più generali sul sogno nell’arte e sul risveglio nella vita seguendo l’appassionante evoluzione di Virgilio Marchi.

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Info

Galleria Russo, via Alibert 20. Lunedì ore 16,30-19,30, da martedì a sabato ore 10,00-19,30, domenica  chiuso. Ingresso gratuito. http://www.galleriarusso.com, tel. 06.6789949 – 06.69920692. Catalogo“Virgilio Marchi, Futur-classico-razionale” Opere dal 1910 al 1950″ , Manfredi Edizioni, novembre 2017, pp. 210, formato  23 x 23,a cura di Elena Pontiggia, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo.  Cfr. i  nostri articoli per mostre precedenti sui futuristi: in questo sito, per mostre nella Galleria Russo, “Dottori”  2 marzo 2014, e “Chez Marinetti”   2 marzo 2013,  in “cultura.inabruzzo.it” nel 2009 su “La mostra del Futurismo a Roma”  il 30 aprile, “A Giulianova un ferragosto futurista”  il 1° settembre, “Futurismo presente” il 2 dicembre..

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante all’inaugurazione della mostra nella Galleria Russo, si ringrazia la direzione della galleria con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta.  In apertura, “Esposizione Universale di Roma Soluzione B” 1938; seguono, “Laboratorio razionalista per Ufficiali di Collaudo al Polverificio di Segni. Prospetto B” 1932, e “Studio per restauro edificio a Roma” 192;6; poi, “Teatro Lirico Comunale di Siena”1931, e “Istituto del Teatro Drammatico Nazionale di Roma” 1933; quindi, due visioni del “Progetto per chiesa” 1930, la.” Prospettiva dal viale”  e la “Prospettiva della cappella dal 2° giardino”; inoltre, due visioni del  “Teatro Lirico Comunale di Siena” 1931, “laterale” e “frontale”; ancora, “Belvedere d’Arcinazzo” anni ’10, e “Villa Piccirilli. Schizzo d’insieme” 1940; prosegue, altre due visioni di “Villa Piccirilli, l'”Ingresso sulla via Tiberina”  e lo “”Schizzo ingresso posteriore” 1940; infine, “Progetto per negozio di abbigliamento ‘Massimi & Di Rienzo Mode’” 1940, e “Scenografia per ‘Boris Godunov. Stagione teatrale 1930. Arena di Verona, Atto I, scena 3^” 1930;; in conclusione, “Scenografia teatro. Camera Maria” anni ’30; in chiusura, “Scenografia per ‘Amleto’. Scena del trono” anni ’40..

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