Picasso, 3. Dal teatro alla monumentalità classica, alle Scuderie del Quirinale

di Romano Maria Levante

Si conclude, con il resto della storia artistica del decennio 1915-25, la nostra visita alla mostra   “Picasso. Tra Cubismo e Classicismo 1915-25”, che si svolge alle Scuderie del Quirinale, dal 22 settembre 2017 al 21 gennaio 2018  con 100  tra dipinti, disegni e gouaches e un ricca documentazione di fotografie  e lettere-cartoline inerente il  viaggio in Italia che compì nel 1917,  in preparazione delle scene e costumi del balletto “Parade”, di cui è esposto anche il monumentale “Sipario” a Palazzo Barberini. Mostra prodotta da Ales  S. p. A, Arte Lavoro e Servizi, la società “in house” del MiBACT di cui è Presidente e A,D. Mario De Simoni, e MondoMostre Skira, con le Gallerie Nazionali di Arte Antica, e il sostegno eccezionale del Musée national Picasso-Paris,  curata da Olivier Berggrruen con Annunciata von Liechtenstein, allestimento di Annabelle Selldorf,. Catalogo di Skira, Scuderie del Quirinale, Musée national Picasso-Paris.

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Abbiamo dedicato le prime due parti del nostro resoconto della visita alle motivazioni, ai contenuti e ai riflessi del viaggio in Italia di Picasso del febbraio-aprile 1917 per raggiungere la “troupe”  dei Balletti russi di Djagilev  a Roma, poi a Napoli, in modo da poter preparare in contatto con loro scene e costumi del balletto  “Parade” presentato per la prima volta a Parigi il 18 maggio 1017,  e il 10  novembre a Barcellona; quindi a questo balletto, nella sua genesi e nella sua preparazione tormentata e insieme esaltante per il fervore creativo dei protagonisti. La mostra si sofferma in modo particolare su di esso, data la sua importanza anche simbolica nel segnare la contaminazione e il sincretismo tra diverse arti, nonché la compresenza di diversi stili nella produzione artistica di Picasso di tale periodo con la rivalutazione del classicismo legato alla tradizione insieme al “cubismo sintetico” delle avanguardie di cui Picasso era antesignano e tra i maggiori esponenti.

Nonostante i riflettori siano puntati su “Parade”, è stata una delle tante “performance” teatrali dell’artista legato all’impresario russo Djagilev che operava con una propria compagnia indipendente dopo lo scioglimento di quella ufficiale. Abbiamo accennato anche alle altre, ora parliamo in  particolare di “Pulcinella”, musiche di  Stravisnskij, e di “Mercure”, fino  all’epilogo.

 “Pulcinella” con Stravinskji e gli ultimi balletti

Il 1919 è anche l’anno in cui alla fine dell’estate inizia la preparazione del balletto “Pulcinella”, con le musiche di Stravinskji con il quale aveva visitato Napoli preso dagli spettacoli da commedia dell’arte nelle variopinte strade cittadine nei c’era questa maschera napoletana che, però, non era piaciuta al compositore il quale lo aveva definito “un lestofante ubriacone” aggiungendo: “Ogni suo gesto, e probabilmente ogni sua parola, se mai l’avessi capita era oscena”. Il bozzetto di Picasso per il “Costume di Pulcinella” che vediamo esposto presenta una figura notevolmente rigonfia, a differenza della fotografia di Massine che lo indossa con la sua corporatura snella, la maschera nera in viso. C’è anche un bozzetto con “Prudenza”, una fanciulla danzante, snella e leggiadra.

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Nonostante la scarsa comprensione iniziale dell’umanità giocosa di Pulcinella, e sebbene avesse scarsa simpatia per le musiche settecentesche di Pergolesi che avrebbe dovuto arrangiare e orchestrare secondo l’impostazione data da Djagilev, Stravinskji era affascinato dalla forma d’arte popolare nella quale trovava valori universali e motivi di attrazione al pari di Picasso, fino ad avere con lui le “affinità elettive” sottolineate dal curatore Olivier Breggruen: “A parte l’amicizia, Picasso e Stravinskji avevano molto in comune: il rapporto non facile con il modernismo aggressivo di dadaisti e futuristi, il rifiuto dell’espressionismo, l’utilizzo di forme d’arte popolari, la scarsa simpatia per i movimenti artistici organizzati, e soprattutto la somiglianza delle rispettive concezioni artistiche. Entrambi avevano un retroterra simbolista… e le loro tendenze moderniste erano per così dire temperate  da un influsso classicizzante. Entrambi si sentivano a disagio rispetto al tentativo dell’avanguardia di tagliare ogni legame con le tradizioni storiche. A differenza di dadaisti e futuristi, il loro lavoro cercava l’ispirazione nel passato”.

Di tutto ciò troveremo conferma, per quanto riguarda Picasso,  anche nelle sue opere non legate alle rappresentazioni teatrali. Per ora proseguiamo nella rievocazione del balletto su “Pulcinella” ricordandone la gestazione tormentata, con Djagilev che rifiutò per due volte la scena proposta da Picasso nella quale veniva trasformata in teatro con quinte e palchi la vista di Napoli e del Vesuvio, finché l’artista la inquadrò come sfondo di una caratteristica strada cittadina. In mostra è presentato il bozzetto in cui tra le quinte teatrali a sipario aperto spiccano due grandi edifici quasi metafisici con in alto la luna piena su un cielo nero. 

L’esito fu notevole, dal punto di vista spettacolare e artistico, lo ricorda il curatore: “I costumi di Picasso creavano uno spassoso contrasto con lo scenario cubista, mostrando la sua interpretazione moderna del classicismo. Comunque, come osservò in seguito Stravinskji, era ‘una di quelle produzioni in cui tutto trova un’armonia, in cui tutti gli elementi – soggetto, musica, danza e ambientazione artistica- formano un tutto coerente e omogeneo'”.

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“Pulcinella” fu rappresentato il 15  maggio 1920 all’Opera di Parigi ed esattamente un anno dopo, il 17 maggio 1921, sempre a Parigi, al Theatre de la Gaité-Lyrique, andò in scena il balletto “Cuadro flamenco”, anch’esso della compagnia di Djagilev, rappresentato al Prince’s Theatre di Londra due settimane dopo. Le scene furono ricavate, su indicazione dell’impresario, dai disegni predisposti da Picasso per “Pulcinella”, ma scartati. Dopo “Pulcinella” non lavorerà più con Stravinskji.

Nel 1922 nuovo dissenso con Djagilev che rifiuta il soggetto da lui individuato per il fondale dello spettacolo “L’Aprés-midi d’un faune”, poi l’anno si conclude con la scenografia, da lui curata, dell’Antigone”di Sofocle, opera in cui lavorò con Jean Cocteau, il suo mentore in “Parade”.

Nel triennio conclusivo del periodo considerato dalla mostra, lo vediamo impegnato a dipingere scene, costumi e sipario del balletto “Mercure”presentato a Parigi al “Teatro dei Campi Elisi” il 15 giugno 1924 con un’accoglienza da parte del pubblico altrettanto contrastata che per “Parade”. Di questo balletto sono esposte 8 immagini fotografiche di una serie di momenti, “La notte della tenerezza” e “La danza della tenerezza”, “I segni” e “Mercurio che uccide Apollo per poi rianimarlo”, “La furia” e “Il bagno delle Tre Grazie”, “Festa a casa di Bacco” e “Il ratto di Proserpina”, nelle quali spicca la fantasia compositiva e la maestria di Picasso nel dare una veste cubista alla magia del mito che ben si presta a tali trasposizioni. Anche se sono tra le ultime sue opere teatrali non ci sembra mostrino alcuna stanchezza.

Intanto una sua opera di cui parleremo al termine, “Deux femme courant sur la plage (La course)” viene utilizzata con il suo consenso come modello per il sipario del balletto “Le Train Blu” messo in scena dai Balletti Russi il 20 giugno, sempre del 1924, nello stesso  teatro parigino.Il teatro nelle maschere Arlecchino e Pierrot e nei danzatori

Ma la sua partecipazione diretta non è stata l’unico modo con cui si è avvicinato al teatro. “E’ noto che Picasso – osserva Berggruen- amava ritrarsi in veste di Arlecchino: è un indizio della sua passione per il teatro, soprattutto nelle sue forme più umili e popolari, come il circo e il vaudeville. E’ anche una metafora della vulnerabilità dell’artista. Picasso si identificava con la folla girovaga di giocolieri e musicisti, e si dipingeva come Arlecchino già nel 1905 in ‘Au Lapin Agile'” Il tema di ‘Parade’ è quello di uno spettacolo che ricorda il popolare teatro di vaudeville.

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“L’artista può essere visto come un trickster, un burlone, e l’Arlecchino, con il suo costume variopinto e sfaccettato, funge da metafora della versatilità stilistica”, di cui abbiamo già parlato. Del resto era “servo di due padroni”, che per Picasso potrebbero essere  il cubismo e il classicismo, anche se non mancano incursioni in altri versanti come il puntillismo e il surrealismo.

In effetti, sono molti i dipinti con Arlecchino esposti in mostra, cui si aggiungono altre maschere a lui care come Pierrot. Ne abbiamo già citati due in apertura del nostro resoconto, posti all’inizio della galleria espositiva, parliamo ora degli altri della sezione apposita.

E’ del 1917 “Arlequin (Léonide Massine)” in cui ritrae il coreografo con il quale era impegnato in “Parade”, la testa reclinata con espressione pensierosa, il gomito destro appoggiato a una balaustra con il caratteristico berretto nella mano sinistra vicino a un tendaggio rosso aperto, in un costume con accennate le losanghe ma non variopinto, bensì sul celeste-verde e bianco. Mentre è seduto davanti a un tendaggio sempre rosso con a lato una colonna classica, il berretto nero in testa e il costume a losanghe questa volta variopinte “Arlequin avec guitare”, 1919, raffigurato mentre suona lo strumento con il viso sorridente.

Vediamo anche “Arlequin au mirror”, 1923, espressione attenta mentre guarda nel minuscolo specchietto che tiene nella mano destra, la sinistra verso la testa come per riavviare una ciocca di capelli o sistemare meglio il berretto. L’anno successivo dipinge “Paul en Arlequin”, il figlio Paolo con il caratteristico costume a losanghe diventate celesti e gialle. Tutti dipinti a olio su tela. in perfetto linguaggio figurativo senza la benché minima trasgressione.

Ma nel 1924 torna l’Arlecchino del 1917-18, in “cubismo sintetico” anche se con migliore identificazione antropomorfa, si tratta di “Arlequin musician”, su una poltrona verde con uno strumento a corde nelle mani, forse una chitarra, alla quale nello stesso anno dedica due acquerelli, sempre in stile cubista, intitolati “Guitar sur une table”.

Arlecchino non è sempre solo, è con Pierrot in due raffigurazioni entrambe intitolate “Pierrot et Arlequin”, ma molto diverse. Nel piccolo disegno a matita del 1918  il primo ha il flauto, il secondo la chitarra, l’uno accanto all’altro in piedi sono delineati in un perfetto figurativo;  l’altrettanto piccolo acquerello su carta del 1920 li ritrae invece in stile cubista molto addolcito perché chiaramente antropomorfo, anche se .con tutte le semplificazioni del caso. Ancora  più addolcito, aggiungiamo per inciso, il cubismo di un altro piccolo acquerello forse anch’esso legato al teatro, “Due femme conversant en pied, fond bicolore bleu et beige”, 1934, le due donne in conversazione sono antropomorfe anche se non figurative, è una sorta di terza via tra cubismo e classicismo che di tanto in tanto si fa strada.

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L’altra maschera si trova anch’essa da sola nei suoi quadri. Ecco “Pierrot”, 1918, un originale olio su carta che lo ritrae seduto con il caratteristico abito e il cappello, il gomito sinistro appoggiato a un tavolo con una tovaglia rossa su cui si trova un libriccino aperto su due pagine scritte; c’è anche un piccolo disegno dello stesso anno con il medesimo titolo, la maschera in piedi sembra stropicciarsi le mani, l’espressione sorridente. Infine abbiamo anche qui l’identificazione del figlio, ecco “Paul en Pierrot”, ritratto nel 1925, l’anno successivo di “Paul en Arlequin”, vestito bianco, maschera nera in mano, davanti a una ringhiera tra il rosso del pavimento e il nero del lato destro con il celeste nel lato sinistro, un figurativo in un contrasto cromatico magistrale.

Nel mondo del teatro ha anche ripreso in rapidi schizzi dei momenti particolari, come “Deux danseuses”, 1919, una composizione con le due figure delineate in equilibrio armonico, la loro forma arrotondata è confermata da “Danceuse”, 1919, con la ballerina in piedi, i gomiti già puntati; invece “Couple de danceurs II”, 1922, è fatta di secche linee schematiche che richiamano certo Matisse. In “Deux danseurs”, 1925, due ballerini sono ripresi in pose diverse, uno seduto a riposo appena delineato, l’altro che si esercita alla sbarra con segni molto marcati in un dinamismo coinvolgente. Invece in“Quattre danseurs”, 1925, i ballerini sono quasi avviluppati in un intreccio  da “Laocoonte”, delineati in modo calligrafico con forme michelangiolesche appena accennate.

Ci sembra di particolare interesse accostare le due raffigurazioni dello stesso soggetto in due anni successivi: “Saltimbanque accoudé”,un piccolo disegno del 1922 che mostra il saltimbanco seduto su una sedia, le gambe accavallate, la testa appoggiata al braccio destro sulla spalliera; mentre “Saltimbanque assis, le bras croisé”, 1923,  un grande olio su tela lo rappresenta sempre seduto ma senza piegare la testa .

“Les trois danseures”, 1925, chiude la mostra cronologicamente e logicamente essendo il canto del cigno, per così dire: le tre ballerine appaiono smagrite e la deformazione oltre che stilistica è anche metaforica, per Picasso la stagione di “pittore di teatro” si è proprio conclusa.

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I due versanti compresenti: il lato cubista

Ma non si conclude qui la nostra rievocazione del magico decennio 1915-25 cui è dedicata l’esposizione, perché mentre lasciamo Picasso “pittore di teatro” ritroviamo l’artista senza confini in due sue manifestazioni particolarmente significative, giustapposte e complementari al contempo: nelle nature morte di rigoroso stile cubista e nei dipinti classicisti di nudi e soggetti  vari. E’ un modo anche per noi di rientrare nella realtà quotidiana dopo il viaggio fantastico nel mondo del teatro iniziato con “Parade”, lo spettacolare “Sipario” a Palazzo Barberini e le altre opere citate.

Dopo quanto abbiamo detto in precedenza sul significato prevalente che dava agli oggetti, ci restano da commentare le sue 5 nature morte, facendo premettere una citazione di “Etudes”, 1920, l’olio su tela che appare un manifesto programmatico della compresenza di stili, diviso com’è in 3 riquadri con piccole composizioni in stile cubista indecifrabili cui se ne aggiungono 3 più piccoli, e 4 riquadri di impronta classicista con una coppia di persone, una testa e due mani in stile figurativo.

Accostiamo “Composition au verre et à la pipe”, 1917,  a “Mandoline sur un guèridon”, 1920, perché il bicchiere e la pipa da un lato e il mandolino dall’altro sono sfigurati e resi irriconoscibili dal cubismo esasperato con frammentazioni geometriche, come di sezioni ritagliate e piani sovrapposti; mentre le tre “Nature morte” dipinte a Saint Raphael nel 1919, anno intermedio tra i due appena citati, “A’ la guitare devant une fenétre”, “Sur une table devant un a fenètre” e “Devant une fenètre” esprimono l’impegno alla sintesi tra i dettami cubisti e i criteri classici, le componenti sono perfettamente riconoscibili con l’elemento comune della finestra sul mare. Non si può non ripensare alle parole della canzone “Fenesta che luciva”: “A Mergellina ce sta na fenesta…”, del resto era stato a Napoli due anni prima e aveva già cominciato  a lavorare per “Pulcinella” con Stravinskji, suo compagno nell’escursione napoletana.

Una attenuazione di stampo diverso del cubismo la troviamo in “Fillette au cerceau”, dello stesso  1919, pur con i frammenti ritagliati e le superfici sovrapposte del “cubismo sintetico” sono percettibili la figura della fanciulla e il cerchio che ha in mano, con volto e piedi visibili pur se molto schematizzati.

Questa figura umana di confine, per così dire, oltre ai festosi acquerelli e gouache, rende meno brusco il passaggio a quello che per noi è il culmine della mostra dopo tanta pittura teatrale e tanto cubismo: la reinvenzione del classico, quasi per reagire alle distruzioni fisiche e morali di una guerra sanguinosa – come è stata la prima Guerra mondiale – rifacendosi ai principi universali dell’arte classica, dall’architettura alla statuaria greca, semplice e solenne, per ripartire su basi ben più solide di quelle offerte dagli stili d’avanguardia, nati da impulsi transitori e spesso effimeri..

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L’approdo classicista

Nel suo ricorso alla classicità è ben visibile l’esperienza teatrale che stava vivendo. Silvia Loreti scrive: “Prima del 1917 Picasso considerava l’antichità classica come l’origine di una tradizione inpartitagli da studente e da lui sfidata con l’avanguardismo. La collaborazione con i Balletti Russi gli rivelò le potenzialità di un’alleanza tra l’iconoclasmo avanguardista e l’arte altamente accademica, codificata e aristocratica del balletto classico. Lavorando con musicisti e coreografi, le sue collaborazioni teatrali sovvertirono le teorie classiche dell’arte, che esortavano alla separazione tra le arti visive, la musica e la danza. In Italia, il paese di più lunga tradizione classica, Picasso prese coscienza, per parafrasare Rodin, della giovinezza dell’antichità”.

Ed è visibile anche la propria impronta stilistica, la monumentalità delle figure è accompagnata da una certa visione parodistica con gesti eccessivi e positure esagerate, quasi volesse segnare un certo distacco nel momento stesso dell’adesione per non cadere nell’accademismo, mentre non  tagliava i ponti con il cubismo, che continua ad essere la cifra stilistica di opere  contemporanee, come “Mandolin sur un guèridon” del 1920, oltre a “Fillette au cerceau” del 1919 sopra citate.

L’ispirazione classica porta ai nudi e alle teste che troviamo nella galleria espositiva di questa sezione. Vediamo alcuni disegni a matita su carta, per lo più di piccole dimensioni, e dei grandi dipinti a olio in una sorta di escalation spettacolare e artistica.

Tra i primi, il piccolo “Groupe de quatre baigneuses”, 1921, presenta le quattro bagnanti che conversano in una composizione dinamica delineandone i contorni con segno sottile, come il grande “Nu drapé assis dans un fauteil”, 1923, nel quale la figura femminile nuda seduta su una poltrona con il drappo in grembo appena delineata appare invece in posa statuaria. Nello stesso anno troviamo all’opposto “Deux nudes musiciens au Pan-flùte”, con forti chiaroscuri quasi che il flauto di Pan – che ha ispirato una grande tela come vedremo – meritasse la sottolineatura grafica; e, intermedi tra i due estremi citati,  “Baigneuse allongèe”, in parte chiaroscurata, e “Trois nus”,  1923, dei tre nudi due chiaroscurati, il primo solo delineato tranne la macchia scura dei capelli.

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“Nu debout”, 1922, è forse la più classicheggiante delle figure disegnate su carta, la donna nuda in piedi sembra una statua greca e le ombreggiature sono ben diverse da quelle sopra riscontrate, danno il senso del rilievo e della solennità. Ispirati direttamente alla statuaria classica appaiono anche le tre “Téte de femme”, 1921, rispettivamente pastello, carboncino su carta, olio su tela, un crescendo sempre più vicino all’originale classico che arriva alla testa riccioluta da divinità greca.

Le grandi gouache, sanguigne e pastello “Deux baigneuses“, 1920, “Trois femmes à la fontaine”, e “Nu assis s’essuyant le pied”, 1921, preparano il passaggio ai dipinti nei quali il ritorno al classico si manifesta in modo particolarmente spettacolare. Nel primo, che sembra un olio, c’è ancora la deformazione cubista pur se appena accennata, i corpi mostrano la compostezza classica, mentre gli altri due segnano il passaggio del Rubicone pure nelle ombreggiature che danno il rilievo statuario alle figure delle donne alla fontana e della donna nuda seduta che si asciuga il piede.

“Grande bagneuse”, 1921, potrebbe essere, in ben maggiori dimensioni – è un olio di 180 cm per 1 metro – e in altra posizione, la stessa donna nuda che abbiamo visto asciugarsi il piede e ora vediamo seduta su una poltrona con un drappo a righe; una classicità che troviamo attenuata in “Femme assise en chemise”, 1923, la donna è seduta in posa statuaria e indossa una camicia che diventa veste, ma in un tratto pittorico diverso dal precedente, con pennellate tratteggiate e quasi incerte, come per un ripensamento dell’artista.

Il clou classicista, il “flauto di Pan”  e “la corsa”

Non è così, si tratta forse di reminiscenze etrusche, perché nello stesso 1923 vediamo il clou classicista della mostra al culmine di questo periodo picassiano, “La flùte de Pan”,  la statuaria classica è ineccepibile, le ombreggiature in modo molto meno accentuato presentano comunque qualche segno delle pennellate riscontrate nell’opera precedente, ma sono reminiscenze meno pronunciate. A parte questo particolare, è un’opera cui sono state date diverse interpretazioni, anche autobiografiche e da gossip trovandovi allusioni personali, come ricorda la Loreti.

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Anche se soltanto a fine anni ’20 Picasso ebbe l’incarico di illustrare le “Metamorfosi” di Ovidio, dove è rievocato il mito del flauto di Pan, probabilmente lo conobbe dopo aver visto a Roma il gruppo “Apollo e Dafne” di Bernini che lo avvicinò al poeta latino. Ovidio racconta che il flauto fu costruito da Pan usando le canne in cui era stata trasformata la ninfa Siringa per sfuggire alle sue pressanti lusinghe. Vi si è vista la trasposizione del triangolo tra la coppia costituita dall’ereditiera americana Sara Murphy, e il marito Gerald, pittore, entrambi restauratori di Sipari per i Balletti Russi, con Picasso, loro ospite ad Antibes nell’estate del 1923. Le figure hanno un classicismo mitigato da reminiscenze di Cèzanne, “i loro tratti generici e teatrali e il freddo distacco li contraddistinguono come rappresentazioni di una moderna perdita d’identità, profondità, intimità e autenticità”. La Loreti conclude: “Non stupisce che ‘La Flùte de Pan’ possa essere – e sia stato – letto come emblematico di una fase nella carriera di Picasso e nella storia dell’avanguardia considerata come ‘un ritorno all’ordine’ antimodernista, di cui i due giovani rappresentano l’ideale umanistico dell’uomo occidentale che domina sulla natura”.

Il flauto come metafora della .chiamata collettiva alla riscossa nel segno della classicità invece che come espressione del “soddisfacimento solitario del frustrato desiderio sessuale del satiro”?

Restiamo con questo intrigante interrogativo, mentre registriamo il giudizio sui “giovani separati da un immobile e solido mare” che “appaiono congelati nel tempo”. Tutt’altra immagine quella dell’estate precedente trascorsa con la famiglia sulle spiagge della Bretagna, a Dinard, della gouache “Deux femmes courant sur la plage (La course)”, 1922: il mare non è solido e immobile, le giovani non sembrano congelate, tutt’altro, si muovono con leggerezza pur se i loro corpi hanno la pesantezza della statuaria classica, così  la loro corsa sulla spiaggia è sinonimo della “corsa”.

Forse anche della “corsa” di Picasso verso i tanti ulteriori traguardi della sua lunga  e luminosa vita d’artista che nel decennio 1915-25 ha avuto lo splendido slancio documentato meritoriamente alle Scuderie del Quirinale nella mostra che significativamente ha preso “La course” come testimonial.

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Info

Scuderie del Quirinale,via XXIV Maggio 16, Roma.. Da domenica a giovedì,  ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00.22,30, ingresso consentito  fino a un’ora dalla chiusura. Ingresso e audioguida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per under 26, insegnanti, forze dell’ordine, con invalidità), gratuito per under 18, disabili, guide, soci ICOM  e dipendenti MiBACT. Tel   06.81100256. www.scuderie.it. Catalogo “Picasso tra cubismo e Classicismo 1915-1925” a cura di Olivier Berggruen con Annunciata von Liechtenstein,  edito da Scuderie del Quirinale, Skira, Musée Picasso-Paris, 2016, pp. 256, formato 24 x 28,5,  dal catalogo sono tratte le citazioni del testo. I due articoli precedenti sulla mostra sono usciti, in questo sito, il  5 e 25 dicembre 2017, con altre 10 immagini ciascuno. Cfr. inoltre i nostri articoli: in questo sito per il cubismo 16 maggio 2013, Matisse 23 e 26 maggio 2014, Rodin 20 febbraio 2013, Cezanne 24 e 31 dicembre 2013; in cultura.inabruzzo.it per la mostra su Picasso del 2008-09 il 4 febbraio 2009 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).        .

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nelle Scuderie del Quirinale alla presentazione della mostra, si ringrazia la presidenza di Ales S.p.A.,  con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta.  In apertura, “La Flùte de Pan” [Il flauto di Pan] 1923; seguono, “Deux baigneuses” [Due bagnanti] 1920, e “Trois femmes à la fontaine” [Tre donne alla fontana] 1921; poi, “Grande bagneuse” [Grande bagnante] 1921, e “Nu debout” [Nudo in piedi] 1922; quindi, “Femme assise en chemise” [Donna seduta in camicia] 1923, e “Deux femmes conversant en pied, fond bicolore bleu et beige”  [Donne in conversazione, in piedi, su fondo blu e beige] 1924; inoltre, “Couple de danceurs III” [Coppia di ballerini] 1922, e “Arlequin musicien” [Arlecchino musicista] 1924; infine, “Les trois danseuses” [Le tre ballerine] 1925, e, in chiusura, “Etudes” [Studi] 1920. 

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