di Romano Maria Levante
Trenta fotografie di un artista giapponese, Kozo Yano, accompagnate da altrettante poesie di un poeta lussemburghese di ascendenza italiana, André Simoncini, esposte nella mostra “Dio si nasconde” dal 23 gennaio al 10 febbraio 2018 alla galleria della Biblioteca Angelica a Roma, riaprono tematiche su cui ci si interroga da sempre: il rapporto dell’uomo con la natura e la presenza del divino, il rapporto tra arte e poesia nell’ispirazione e nella rappresentazione visiva. La mostra, che ha il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, dell’ambasciata del Lussemburgo e dell‘Istituto Giapponese di Cultura, è organizzata dalla Cooperativa Sociale Apriti Sesamo con la collaborazione dell’Associazione Culturale Convivium-Lussemburgo. Curatrici Stefania Severi e Maria Luisa Caldognetto, a quest’ultima si deve la traduzione poetica delle liriche di André Simoncini riportate a lato delle rispettive immagini nell’originale francese e nella traducione italiana, e in italiano nel catalogo di “Galleria Simoncini Editore” di fronte alla fotografia asbbinata. “A latere” della mostra, il 25 gennaio alle ore 17 la lettura scenica di queste lirichedell’attrice Chiara Pavoni con proiezione delle immagini fotografiche di Kozo Yano, e il 27 gennaio alle ore 10,30 l’incontro sul tema “Quando la poesia attraversa le frontiere – Itinerari incrociati tra Italia e Lussemburgo” con i poeti André Simoncini ed Elio Pecora che presenta la rivista internazionale “Poeti e Poesia”, dove di recente sono state pubblicate liriche di Simoncini tradotte dalla Caldonetto.
Il rapporto dell’uomo con la natura
Il primo tema ha un’infinità di angoli di visuale e di risvolti, ovviamente in campo filosofico e teologico, ma anche a livello artistico, dall’idealizzazione classicista all’ “en plein air” degli impressionisti, al realismo dissacrante; per la fotografia, dal naturalismo di Salgado agli esotismi e il misticismo di Nomachi, alla fissazione dell’istante sempre mutevole da parte di Mc Curry. In ogni caso, per la fotografia d’arte, palcoscenico è il mondo nei suoi recessi estremi che vengono ricercati e portati alla luce come tesori che meritano di essere scoperti e fatti conoscere.
Anche in questo caso l’artista fotografo ha girato il mondo, le 30 immagini sono state riprese in Francia, precisamente in Bretagna, e in Giappone, in Arizona, nello Utah e in California in America, in Patagonia in Argentina, nel Chili. Ma con una particolarità fondamentale, sono immagini di rocce dalle più diverse conformazioni, nonché di sedimenti e strati geologici, senza tracce di vita vegetale, animale né umana, ma con aspetto antropomorfo.
Una natura pietrificata, dunque, quella che circonda il visitatore della mostra nella galleria della Biblioteca Angelica, collocazione ideale pensando all”Arcadia, come ha tenuto a precisare la curatrice Stefania Severi. Pietrificata e apparentemente impenetrabile senza le presenze vive e vitali del mondo vegetale, animale e umano che possono evocare in qualche modo il divino. Forse per questo il titolo che è stato dato è “Dio si nasconde”, mentre nelle rocce antropomorfe si sente la vicinanza dell’uomo.
E’ nata spontanea la domanda all’artista come mai la sua indagine fotografica sulla natura si è limitata alle rocce pur declinate nelle forme più inusitate ed evocative della vicenda umana. Ci ha risposto che lui fotografa la natura in tutte le sue manifestazioni, la scelta operata per la mostra è collegata all’abbinamento con la poesia.
Il rapporto tra l’artista e il poeta
La risposta fa entrare nell’altra tematica che abbiamo anticipato, il rapporto tra artisti e poeti in merito alle opere dei primi collegate in qualche modo alle poesie dei secondi. Anche in questo campo abbiamo un pluralità di situazioni in cui gli artisti, in particolare i pittori, si sono ispirati a componimenti poetici, a partire dalle raffigurazioni della Divina Commedia, dalle più antiche e prestigiose di Botticelli a quelle di Rodin e, per citare pittori attuali da noi conosciuti direttamente, l’Inferno di Roberta Comi e le tre Cantiche di Gianni Testa, in gran parte inedite. Ma si è trattato di libera ispirazione alla massima opera poetica, non interscambio di stimoli. Per questo pensiamo al Cenacolo dannunziano di Francavilla, con gli stimoli reciproci tra il pittore De Michetti, lo scultore Marbella e il poeta D’Annunzio che hanno portato ad opere collegate tra loro; e pensiamo, anche qui per conoscenza diretta, al pittore attuale Vincenzo Maugeri che si è ispirato ai versi del poeta Italo Benedetti in una vera simbiosi artistica.
Per i due protagonisti della mostra la situazione è ancora diversa, più che di simbiosi si tratta di abbinamento, fotografie e poesie sono nate indipendentemente le une dalle altre, poi sono state abbinate. Ma non è riduttivo tutto questo, perché le modalità in cui si è svolta l’operazione lasciano pensare. Anche qui sono i protagonisti che ne hanno parlato rispondendo a due domande spontanee: come mai solo rocce e non altre manifestazioni della natura e come si è proceduto all’abbinamento?
Il poeta André Simoncini è titolare di una delle più prestigiose gallerie d’arte del Lussemburgo, è anche editore, mentre la poesia è una passione coltivata con risultati di eccellenza, è autore di raccolte poetiche in francese, anche illustrate da artisti. L’incontro con il fotografo-artista è stato dovuto all’attività di gallerista, Kozo Yano dal 1979 vive in Francia, anche lui svolge diverse attività, è stato designer e direttore artistico in agenzie di comunicazione e design, negli anni ’90 è entrato nel mondo della fotografia, ha esposto in mostre in Francia e Giappone in Lussemburgo e Italia.
Ebbene, nell’incontro tra il fotografo e il gallerista, è bastato che il secondo guardasse l’immagine di una grande roccia antropomorfa ripresa in una terra lontana perché scattasse in lui come una molla l’identificazione con una propria poesia sulla vicenda umana; è l’inizio di un processo inarrestabile, e sono sempre le rocce che vengono collegate alle poesie, forse perché le loro forme danno il senso di trascendenza del “Dio nascosto” e creano un’atmosfera metafisica.Non resta che vedere questi abbinamenti premettendo che già a un primo sguardo le poesie sono apparse icastiche, molto adatte a rendere con la brevità sferzante delle loro espressioni essenziali quanto le immagini scarne mostrano nella loro evidenza materiale, in un bilinguismo nobilitato dalla magistrale traduzione dal francese di Maria Luisa Caldonetto, curatrice della mostra con la Severi.
Spigolando tra i versi abbinati alle immagini
La chiave poetica della mostra è nella poesia iniziale, sganciata dagli abbinamenti cui sono sottoposte invece le altre poesie: è la composizione più lunga e nella quale si parla di Dio, un “Dio sconosciuto ” rivelato da un “soffio ventoso”, mentre l’attesa è come una “spada tagliente”. E l”uomo ” che osa credere all’elevazione/ senza lotta impari” è condannato a una “veglia petrosa”, le pietre diventano protagoniste nel “vuoto disincantato/ dove le tenebre si scavano / di mille cecità”. In questo vuoto oscuro “i segreti del mondo vi si rintanano/ sotto strati geologici / dall’armatura feroce/ dove il silenzio non è da fine regno”, e “le montagne riverberano il silenzio”.
Un “silenzio smemorato/ senza passato né futuro/ ostaggio del proprio respiro” recita la poesia che accompagna un’immagine quasi in dissolvenza, due rocce affiancate nel buio.
Mentre quando “una spaccatura/ frantuma il vuoto”, avviene che “il silenzio/ esala un rantolo/ nel profondo dell’abisso/ la sua eco infinita gli ha dato il cambio”, questa volta la spaccatura della roccia è notevole, e due fessure profonde come occhi danno il senso dell’umanità sofferente.
Avviene anche che possa “tacere il silenzio”, è una roccia ancora più antropomorfa, fino a configurare il profilo di un volto massiccio, è una “rassicurante deriva/ vitale dismisura/ di un’apnea consenziente” in “questo annegare intenzionale/ che infrange l’onda portante”.
Un’altra deriva, questa volta una “deriva immateriale/ scivolamento inebriante/ come un diritto/ alla vertigine feroce/ un ultimo sguardo puntato/ sulla cima che scolora”, la roccia fotografata è come un viso affilato su un busto proteso in avanti, è la “giustizia deturpata/ che sublima il dolore”, al punto da trovarsi “finalmente in simbiosi/ con l’eternità”.
Non è solo il dolore la porta dell’eterno, anche la “dolcezza/ del sospiro placato/ che argina lo smarrimento/ con le mani che trascolorano” può essere una “cavità ricettacolo/ di una transitoria eternità”, quella che “ieri ancora a caccia di stelle/il vecchio danzatore” forse sente di aver raggiunto mentre “stringe sul letto dell’offerta/ le palpebre orfane per sempre”, quasi si percepiscono nella roccia con una cavità oculare e fattezze umane.
Le “palpebre sbarrate” vengono forzate “dal pesante dominio del sembrare”, c’è l’esortazione “arginiamo l’opacità/ misuriamo a tentoni/ la cerebrale dismisura/ per tendere/ verso gli orizzonti interiori/ che uniscono la specie umana”, la grande roccia, in cui si percepisce un naso e un occhio, sembra assorta in una riflessione ammonitrice.
“Gli occhi stravolti/ intrappolati/ scrutano le rovine/ dalle asperità minacciose/ che fanno a pezzi il sole”, recita la poesia, la roccia imponente ha una fessura al posto degli occhi, forse chiusi nel sonno per “la notte incombente”.
Ma è solo metaforica, diventa la fine del giorno con una roccia che evoca un profilo di volto da ombre cinesi: “La notte divora gli ultimi contorni/ ombre sfuggenti/ già raggiunte dall’alba nascente/che avanza”. Nel ciclo naturale “per appostarsi al prossimo declino/ annunciatore dell’ineluttabile ascesa/ che a sua volta dovrà debellare”.
E ancora: “La notte seppellisce il lutto/ per partorire all’aurora; in un sottile gioco di ruoli/ una rinascita”, la roccia fa pensare a un cavallo addormentato, simbolo di libertà, del resto la poesia termina con le parole “per meritare la libertà/ per celebrare l’assenza”.
Siamo sempre immersi nel tempo, lo “scorrere del tempo/ che nelle lunghe sere/ obbliga l’uomo/ riconciliato infine/ con la sua nudità a patteggiare con il logoramento”, qui l’antropomorfismo della roccia è addirittura inquietante.
Una faglia rocciosa con i segni dell’erosione provocata dai venti fotografa, è il caso di dire, l’espressione poetica: “Tra fuga e conquista/si cela l’incompiuto/ eroso dal logorio del tempo/ ghermito dall’ultimo respiro/ che le labbra hanno appena colto”. Il parallelismo è evidente: “Resta il vento cosmico/ a spazzare via l’ultima traccia/ che perpetuerà per sempre la sua genesi/ in questo universo placenta”.
Questa volta sono “le rughe erose/ da un travaglio millenario” come mostra la fotografia della roccia. Il vento e il tempo insieme nella poesia con un’immagine fotografica di erosione rocciosa particolarmente delicata, sembra la velatura artistica di un volto, se quello della “Nike di Samotracia” ci fosse pervenuto ci piace pensarlo così. “Nelle profondità/ la verità si emargina/ spinta nella cavità/ della fuga del tempo/spiando i venti contrari”. In questa prospettiva “tutte le parole/ tutti i gesti/ tutti i fremiti/ convergono”.Altrettanto velato il viso scolpito nella roccia, la poesia ha un protagonista in volo, ma non c’è la sua immagine, pur disponibile nella ricchissima raccolta naturalistica del fotografo, il dialogo avviene sempre con la pietra alla quale l’arte fotografica riesce a dare vita e calore: “Battiti d’ali rallentati/ di questo uccello in fin di vita/ costretto a un movimento circolare./ Spicca un’ultima volta il volo/ punta verso il sole al tramonto/lasciandoci per sempre./ Senza mai morire”.
Ma anche questo volo termina, la roccia diviene un becco puntato in alto: “”Un uccello stanco/ abbozza il volo della deriva/ schianta pesantemente il corpo/ sui visceri che fuoriescono/ dal gigante che sanguina/ il becco puntato verso l’orizzonte”.
Non solo il vento, anche la luce si coniuga con il tempo: “Tempo inesorabile/ che scava lo specchio/ nel margine stretto/ della luce/ che sfuma” e, nella fotografia, fa della roccia il profilo di un volto.
E allora “l’ultimo respiro si compie”, un concetto già espresso ma che ora si coniuga con qualcosa di estremo, mentre l’immagine della roccia torna antropomorfa, in un’espressione rassegnata: “Acquiescenza tacita/ alla condanna a morte delle derive/ per segnalare il percorso/ forgiare il passo/ verso l’ultimo sorpasso”.
Sempre l’antropomorfismo nell’immagine, ancora la rassegnazione nella poesia: “La morte s’iscrive/ nell’ordine materiale/ che associa il respiro/ all’assenza./ Una leggera brezza condiscendente e funebre/ accompagna la simbiosi/ con l’irrimediabile asfissia”.
Altrettanto nichilista sembra il passaggio “dalle nostre catena/ dai nostri sogni” all’ “orizzonte crematorio/ in questo cratere d’oltretomba/ otturato da qualche palata/ d’irrisori oblii”, la parete rocciosa è percorsa da un’ombra che sembra la scavi evocando il cratere d’oltretomba.
Si va oltre nella visione pessimista, che si materializza in una roccia che più antropomorfa non potrebbe essere, il profilo del volto è impressionante: “Le ombre popolano ancora/ questo gelo crematorio/ più terribile del fuoco/ fiutando un sopravvivere probabile/ nel covo caldo della disperazione”. E la vanità, “intrappolata nella propria solitudine, cade nell’Anonima imboscata”.
Il pessimismo prosegue: “La carne sanguina/ l’odio si coagula/ al punto di essere roccia”, e la fotografia lo visualizza in un conglomerato informe. “Si disgrega il cervello/ si sclerotizza la mente/ al punto d’esser deserto”; per concludere: “Libertà perdute/ l’uomo muore/ malato di non esser morto”.
Non tutto è percepibile, la grande roccia antropomorfa, un viso con le labbra sottili, sembra una sfinge: “Tomba afona/ del libro che non sarà mai scritto/ dell’alfabeto/ sepolto per sempre/ nel cuore del non detto”. E poi c’è il mistero: “Indovinare attraverso le falangi/ l’ordine interno della materia./ Unica via/ per penetrare l’inespugnabile segreto”, la roccia questa volta ha la forma di un corpo, l’unica con un antropomorfismo non limitato al volto.
Un profilo roccioso invece indefinito è accompagnato da queste parole: “Quantità d’uomini/ così poche tracce/ altrettante maschere./ Menzogna muta/ dalla coscienza sorda”.
Ecco un’altra roccia sospesa, la sagoma si staglia all’orizzonte. in equilibrio tra forze che spingono in direzioni opposte: “L’infinita vertigine/ ha preso in contropiede/ la fuga del tempo../ Prima di schiantarsi/questo corpo sarà finito/ in un’assenza di gravità inebriante/ signore dell’ultima caduta”.
Ma c’è anche la ripresa volitiva: “L’odore dell’incenso genera la vita/ il sangue coagulato diviene/ terra fertile/ che se ne infischia della spada e del tempo”, la roccia una “insondabile faglia dalle incrinature discrete/ abisso di odi e di passioni”.
In un’altra immagine la roccia sembra inserita nella vegetazione, si percepisce la base di un albero dietro di essa, la poesia parla di “veleno della morte provocata” e si conclude con le parole: “Che fondano le rocce/ per le nostre grida ebbre/ di libertà spente/ di speranze crollate”.
L”ultima fotografia in fondo al salone rappresenta un albero contorto come un “bonsai” sull’orizzonte sconfinato, non si vedono rocce, non crediamo ai nostri occhi. E la poesia? “Le foglie morte/ ebbri aquiloni/ fanno l’ultimo viaggio/ volteggiando in turbine/ dalla corona alle radici”. Solo cronaca della defogliazione autunnale? No: “Ora/ la tomba dell’oscurità/ può sigillare il gelo/ dei sensi/ tra passato e futuro”.
Si parla di futuro, dunque, e quest’immagine apre la prospettiva di una serie imperniata sulla natura vegetale dopo tante rocce declinate nelle loro conformazioni antropomorfe più suggestive. Lo abbiamo chiesto all’artista, non ha escluso nulla, e al poeta, ci ha parlato della sua viva attenzione all’uomo nelle diverse fasi della vita. Abbiamo visto che nei suoi versi, dietro l’immedesimazione e l’identificazione nelle rocce, peraltro quasi sempre antropomorfe, c’è sempre l’uomo con i suoi misteri. Ma è una marcia di avvicinamento, cominciando dalla realtà naturale più lontana potranno esservi altri passaggi, dalle conformazioni rocciose al mondo vegetale e animale, fino all’umanità nella sua grande varietà territoriale e temporale.
Ricordiamo che Salgado ha fotografato aborigeni che sembrano vivere nella preistoria, Nomachi ha esplorato la spiritualità riuscendo a fotografarla, Mc Curry le più diverse manifestazioni umane, in ogni continente, si pensi alla “Afghana Girl”, icona del ‘900. Per Kozo Yano e André Simoncini il campo per delle nuove sfide è quanto mai aperto e stimolante.
Info
Galleria della Biblioteca Angelica, via di Sant’Agostino 11, Roma. Dal martedì al giovedì, ore 10,00-18,30 con l’intervallo di un’ora 13,30-14,30; venerdì e sabato ore 10,100-13,30. Ingresso gratuito. Catalogo “Dio si nasconde”, Gallerie Simoncini Editore, Lussemburgo, gennaio 2018, pp. 72, formato 20 x 25, nel Catalogo le fotografie e le poesie di André Simoncini, tradotte in italiano sono riportate in pagine poste a fronte, in mostra le poesie sono esposte nello stesso riquadro a lato della rispettiva fotografia,vin francese e nella traduzione italiana.. Cfr. i nostri articoli: per il binomio artista-poeta, precisamente il pittore Vincenzo Maugeri e il poeta Italo Benedetti, in questo sito 30 giugno 2013, in cultura.inabruzzo.it 2 articoli sempre su “Il pittore e il poeta” citati il 22 e 24 giugno 2010, sito non più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti in un altro sito; sugli artisti ispirati alla Divina Commedia di Dante Alighieri, in questo sito su Gianni Testa 31 gennaio 2016, 14 marzo 2015, 14 settembre 2014, su Rodin e Roberta Comi 20 febbraio 2013; per i fotografi della natura, in questo sito su Nomachi 17 marzo 2014 e su Salgado 2 giugno 2013; su Steve McCurry, in fotografia.guidaconsumatore.it 3 articoli, due il 7 gennaio e uno il 17 febbraio 2012.
Foto
Le immagini di apertura e chiusura sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nella galleria della Biblioteca Angelica, si ringraziano fotografo-artista, poeta e curatrice per la loro disponbilità. Tutte le riproduzioni delle fotografie esposte sono tratte dal Catalogo risultando di cattiva qualità quelle scattate, per i riflessi delle luci, si ringraziano gli organizzatori, con i titolari dei diritti, in particolare il fotografo-artista, per l’opportunità offerta. Sono tutte senza titolo, si indicano le località e l’anno in cui sono state riprese: In apertura,l’autore delle fotografie Kozo Iano dinanzi alla foto scattata ad El Chaltén, Patagonia Argentina 2012; seguono, Sedona, Arizona America 2009, Le Granite Rose, Bretagna Francia 2011; poi, Antelope Canyon, Arizona America 2009, e Cambria, California America 2009; inoltre, Ile de Brèhat, Bretagna Francia 2011, e Le Granite Rose, Bretagna Francia 2011; ancora, Chile Chico, Cile 2012, e Zion National Park, Utah America 2012; prosegue, Krong Siem Reap, Cambogia 2013, e Goblin Valley, Utah America 2012; infine, Le Granite Rose, Bretagna Francia 2011, e Moah, Utah America 2012; in chiusura, il fotografo-artista Kazo Iano e il poeta André Simoncini, tra loro la curatrice Stefania Severi.