Hiroshige, 1. Il maestro della pioggia, della foschia e della neve, alle Scuderie

di Romano Maria di Levante

La mostra “Hiroshige. Visioni dal Giappone”, espone dal 1° marzo al 29 luglio 2018 alle Scuderie del Quirinale  230 opere tra xilografie policrome e dipinti su rotolo di Utagawa Hiroshige che danno del Giappone, nelle  bellezze paesaggistiche e in altre raffigurazioni, un’immagine suggestiva in cui la modernità si fonde con la tradizione. Prosegue idealmente le iniziative del 2016 per il 150° anniversario dei rapporti bilaterali Italia- Giappone,  con  il patrocinio dell’Agenzia per  gli Affari Culturali del Giappone, dell’Ambasciata del Giappone in Italia e dell’Università degli Studi di Milano. Realizzata da Ales S.p.A, presidente e A.D. Mario De Simoni,  eda MondoMostre Skira, con la collaborazione del Musum of Fine Arts di Boston. La mostra è a cura di Rossella Menegazzo – che ha curato anche il catalogo Skira – con Sarah E. Thompson, e ha tenuto uno dei due incontri all’Istituto Giapponese di Cultura, sulla “Natura calma di Hiroshige” il 13 aprile, preceduto da un incontro il 16 marzo con il Consigliere dell’Agenzia per gli Affari culturali del Giappone Kmamoto Tatsuya sull’ “Architettura in epoca Edo”. Una serie di “Laboratori e attività culturali” e appositi “Laboratori per le scuole” completano il  programma. Dal 21 settembre al 3 febbraio 2019, la mostrava a Bologna,  al Museo Civico Archeologico.

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Dopo la  mostra di Hokusai all’Ara Pacis, quella di Hiroshige alle Scuderie del Quirinale, una staffetta prestigiosa dei due massimi artisti del paesaggio giapponese in due tra le più importanti sedi espositive romane, quasi un passaggio di  testimone. Considerando poi che quasi in contemporanea, al Vittoriano c’è Monet e al Chiostro del Bramante c’è Turner, a Roma è stato calato un vero poker d’assi  dei sommi paesaggisti collegati tra loro da fili non certo invisibili, considerando i rapporti tra i giapponesi e l’influsso su Monet esercitato da loro e da Turner.

Il celebre “ponte giapponese” sullo “stagno delle ninfee” di Monet è di diretta derivazione dal “ponte a tamburo” del santuario di  Hiroshige, e anche Degas con le ballerine e Tolouse-Lautrec con le grafiche ne furono influenzati, Ma soprattutto lo fu Van Gogh, che non solo ne parla in molte lettere al fratello Theo in termini elogiativi, sostenendo l’esigenza di raccogliere le stampe giapponesi e farne una mostra, ma fa copie fedeli di opere di Hiroshige, come il “Susino fiorito” ripreso dal “Giardino dei susini”, con  il primissimo piano dei rami dell’albero, il “Ponte sotto la pioggia” ripreso  da “Acquazzone ad Atake”, il “Paesaggio marino” dalla “Veduta dei gorghi di Naruto ad Awa”; mentre nel “Ritratto di père Tanguy”  sullo sfondo ci sono varie stampe di Hiroshige.

L’artista, nato alle soglie dell’800, è della generazione successiva ad Hokusai, nato nel 1760, ma è vissuto soltanto 60 anni mentre Hokusai 90 anni; sono scomparsi rispettivamente nel 1958 il più giovane e nel 1950 l’altro che ha dipinto  fino all’ultimo, per cui per parecchi anni le loro vite artistiche si sono sovrapposte non solo in termini cronologici mas anche realizzativi per la coincidenza dei soggetti rappresentati e del contesto storico, della tecnica e delle forme espressive.

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Il contesto storico  e socioeconomico

Il soggetto è stato soprattutto il paesaggio giapponese, cui si sono aggiunti per entrambi dei temi minori, legati a tradizioni particolari. E non si è trattato di visioni estemporanee, quanto di intere serie riferite a località ben precise, per di più poste su itinerari altrettanto precisi, in particolare le vie di comunicazione dell’antica capitale Kyoto con Edo, l’odierna Tokyo, il centro dei commerci e degli affari, attrazione per visitatori mossi dalle motivazioni più varie, in particolare la Via Tokaido.

Lo sviluppo esplosivo di questa nuova capitale, oltre a questi fattori di natura economica, era spinto anche da un elemento legato a quanto di più arcaico ci possa essere, il potere imperiale e la struttura  della società giapponese con 260 feudi.  Per esercitare il necessario controllo sui signori feudali delle province, l’imperatore li chiamava periodicamente a Edo per una “residenza alternativa” prolungata, con il loro seguito molto numeroso, per cui le due principali  arterie erano sempre animate, anche perché questo rappresentava un potente elemento di richiamo per flussi di visitatori.  Pure i pellegrinaggi verso i  luoghi di culto shintoisti e buddhisti erano in auge sin  dalla fine del 1700,

Tutto  ciò alimentava una “cultura del viaggio” sempre più diffusa, che divenne presto anche di tipo turistico, con l’emergere di una borghesia che disponeva di risorse economiche crescenti e quando era libera dai pressanti impegni di lavoro voleva soddisfare i propri desideri di evasione, per cui visitare i luoghi più attraenti era uno dei bisogni più sentiti.

A catena, questo fece moltiplicare i punti di ristoro e di sosta nelle località maggiormente investite da questi flussi, poste lungo la direttrice  di collegamento tra le due capitali: due erano le principali arterie, una sulla costa, più agevole  e più frequentata, l’altra nell’interno tra i monti.

La catena non finisce qui, questo movimento che anima la società giapponese e ha diretti riflessi sull’economia e sul territorio. si trasmette anche all’arte per la volontà dei viaggiatori – quale che fosse il motivo del viaggio – di mantenere un ricordo dei luoghi visitati portando con sé le relative immagini in modo che restassero non soltanto impresse negli occhi  e nella memoria, ma fissate su apposite stampe, la cui disponibilità serviva anche a coloro che non potevano visitare i luoghi ma volevano conoscere le meraviglie descritte da chi li aveva visti.

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Queste stampe venivano vendute in primo luogo nelle botteghe degli editori, e a questo riguardo citiamo una circostanza illuminante sulle difficoltà e le prospettive di una simile operazione. La serie di Hiroshige sulle “Vedute famose della capitale orientale” pubblicata dopo il 1932 ebbe un diffusione e un successo molto maggiore di quello della precedente serie di Hokusai  del 1831-32, anche perché, a differenza del precedente, che si trovava nel centro cittadino,  il negozio dell’editore Kikakudo di Hiroshige era ubicato in un punto di passaggio obbligato per i visitatori della capitale che li acquistavano come ricordo al pari dei “souvenir” odierni..  

L’Ukiyo-e, con  i multipli a stampa

Si sviluppa così  la diffusione dell’Ukiyo-e, i multipli a stampa nei quali eccelse Hiroshige come il predecessore Hokusai, che ebbero ovviamente una produzione anche di pittura tradizionale su rotolo, ma con l’Ukiyo-e poterono diffondere la loro produzione su una scala molto vasta.

La precedente mostra di Hokusai ci aveva già fatto conoscere questa speciale tecnica, nella mostra di Hiroshige  un video ha mostrato le diverse fasi della produzione di tali stampe: l’opera dell’artista è  la prima fase cui segue l’incisione su legno dei contorni dell’opera da lui preparata che sovrapposta alla tavola crea la falsariga per l’incisore; poi interviene l’inchiostratura con diverse matrici, una per ogni colore cosicché ciascun “multiplo” viene ad avere sfumature diverse quasi come opera unica. All’editore  il coordinamento delle varie fasi, dopo la scelta dell’artista. Di tutte queste fasi la presentazione visiva, con tutti i particolari, dallo scalpello che scava i solchi nel legno seguendo un verso ben preciso, all’inchiostrazione con i pigmenti cromatici sulle matrici strofinando in modo magistrale per regolarne l’intensità, ai cuscinetti e a tutto il resto.  

Venivano commissionate intere serie, come abbiamo visto per Hokusai, che rappresentavano i luoghi più suggestivi, altrettante “stazioni di posta” sul percorso tra le due capitali; altre serie riguardavano diverse visioni di una località o un ambiente speciale, come il vulcano Fuji ed Edo.

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Non sempre le località raffigurate venivano viste veramente dall’artista e si trattava di raffigurazioni dal vero, spesso si ispirava a guide di viaggio, anche se affermava di averne avuto una visione diretta, come abbiamo visto anche in Hokusai.

D’altra parte, basarsi su una rappresentazione e non sulla realtà, non contraddiceva la concezione artistica giapponese mutuata dai maestri cinesi, incentrata sul verosimile rispetto al vero come modo di trascendere il reale per l’ideale.

Hiroshige e Hokusai

Hiroshige in tal modo riesce a dare una visione poetica della natura, con la peculiarità di considerarla in comunione con i fenomeni atmosferici e con elementi derivanti dalla presenza dell’uomo: è chiamato il “pittore della pioggia” e “della neve” per questo motivo, inoltre nelle sue opere appare spesso l’elemento umano non a sé stante, ma funzionale alla natura rappresentata.

E’ più soffuso e delicato di Hokusai che mette maggiore forza rappresentativa in una sorta di visione eroica della natura, anche se, naturalmente, non mancano opere nelle quali si vede chiaramente l’influenza del predecessore, una di queste è quella ispirata alla “grande onda”.

Vediamo in Hiroshige poche opere dedicate alla beltà femminile, un tema che Hokusai non mancò di coltivare, anche se in misura inferiore rispetto ad Eisen, del quale nella sua mostra all’Ara Pacis è stata presentata una galleria straordinaria di “geishe” ed altre bellezze, riprese con sontuosi kimono in stanze sulle cui pareti spicca un quadretto o una finestra con la panoramica ambientale.  

Un ‘ultima notazione per definire sommariamente l’espressione artistica di Hiroshige:  la straordinaria modernità delle sue inquadrature, di taglio cinematografico  con primissimi piani di elementi secondari, come una staccionata o un ramo, e il soggetto principale, il paesaggio, in secondo piano, per lo più animato da un’umanità che vi sembra connaturata senza distinguersi  ma facendone parte integralmente nella fusione cosmica che incorpora anche i fattori metereologici. 

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In queste inquadrature appaiono evidenti gli influssi occidentali, assorbiti nella scuola di Toyohiro, in particolare per il senso della prospettiva di tipo geometrico e il chiaroscuro; questo si esprime o mediante un  punto centrale come fuoco su cui convergono le direttrici della composizione in senso prospettico, o con la graduazione cromatica mediante tonalità appropriate date dal chiaroscuro.

Dai  primi ritratti di attori teatrali al  paesaggio

Hiroshige fu avviato presto sulla strada dell’arte, nato nel 1797 iniziò nel 1806 a studiare pittura classica e tra il 1810 e il 1811 entrò nello studio  di Utagawa Toyohiro dove era destinato ai ritratti di  attori di teatro kaakuki e ritratti femminili, nonché a illustrazioni di poesie umoristiche.  Scomparso il maestro nel 1828, poté invece dedicarsi al paesaggio e prese il nome con cui è universalmente conosciuto., altro suo soggetto  minore i fiori e gli uccelli dipinti su rotolo. 

A 35 anni la scelta dell’arte in via esclusiva: pur discendendo da una famiglia di samurai, per la quale aveva ereditato dal padre Ando Gen il mestiere di ufficiale dei pompieri, nel 1832 lo cede ad Ando Nakajiro, suo fratello o figlio, rinunciando al suo rango di funzionario dell’amministrazione dello “shogun”.

Ecco come maturò tale decisione:  aveva fatto  parte della delegazione itinerante verso Edo,  disegnando  una serie di appunti grafici, li mostrò  a due editori, Takenouchi Magohachi e Tsuruya Kiemon i quali ne pubblicarono insieme 11 fogli, altri 44 li pubblicò  il primo editore con il marchio di Hoeido.  

Nacque così  la serie “Tra le cinquantatre stazioni di posta del Tokaido”, il principale itinerario sulla costa tra Kyoto ed Edo, ripubblicata nel 1834 in 2 album dall’editore Yomo Ryusui. L’immediato successo ottenuto è ancora più rilevante, considerando che questa serie entrò in competizione con le “Trentasei vedute del monte Fuji” con cui il grande Hokusai aveva toccato il vertice nell’arte dell’ “Ukiyo-e”. Seguì nel 1837 la serie “Sessantanove stazioni di posta del Kisokaido”,  l’altro itinerario all’interno, iniziata da Eisen e da lui completata con maggiore successo rispetto all’altro artista. Ricordiamo anche la serie, dello stesso 1832, “Tra le ventotto visioni della luna”, in formato verticale, la cui peculiarità è che solo due “visioni” hanno visto la stampa, “La luna attraverso le foglie d’acero” e “Luna crescente”, le altre restano come opere singole, in tutte la raffinatezza cromatica con la luce diffusa crea un’atmosfera suggestiva. 

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Le sue vicende familiari: nel 1839 muore la  prima moglie, dopo sei anni, nel 1845,il figlio, che lo porta ad  adottare, secondo la consuetudine, l’allievo  Shigenobu, che prese il nome di Hiroshige II; nel 1847 si risposa con Oyasu, di una famiglia do contadini, gli dà la serenità necessaria per la sua arte, espressione di uno stato d’animo in comunione con la natura e i suoi elementi. Sono anni di intensa attività, tra il 1843  e il 1847 realizza le “Illustrazioni delle storie dei tempi antichi“e nel 1848 “La vendetta dei fratelli Soga”, collabora  con artisti quali Utagawa Kunisada e Utagawa Kuniyoshi, è la volta della serie “Cinquantatre stazioni  del Tokaido in coppia” e dei “Famosi ristoranti della capitale orientale”, fino alle “Cento vedute celebri di Edo” tra il 1856 e il 1858, e alla serie “Trentasei vedute del monte Fuji“, il tema prediletto da Hokusai, stampato dopo la sua morte nel 1858.

Ebbe degli eredi diretti, Hiroshige II cui si aggiunse Hiroshige III, che  seguirono le sue orme nel dipingere paesaggi seguendo il suo stile ma senza esprimere una propria personalità.

L’arte di Hiroshige

Abbiamo accennato alle peculiarità dell’arte di Hiroshige, ora vogliamo approfondire la visione fornita, e ci sembra che la migliore sintesi è data dal titolo della monografia scritta nel 1801 da Mary McNeil Fenollosa, consorte del grande collezionista Ernst Fenollosa, “Hiroshige, l’artista della Foschia, Neve e Pioggia”, che coglie la caratteristica saliente.

Lo attestano alcuni titoli della serie principale,  “Tra le cinquantatre stazioni di posta del Tokaido”,  che insieme alla stazione rappresentata  recano la sottolineatura, “Nebbia mattutina”, “Scroscio improvviso”, “Neve di sera”. per la predominanza degli agenti atmosferici  nella composizione come espressione di qualcosa di molto profondo: la visione cosmica della quale gli elementi paesaggistici dominanti sono vivificati, per così dire, dall’intervento della natura con i suoi fattori climatici e meteorologici, e dell’uomo con le modifiche che anche lui apporta.  

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Fattori naturali molto variabili, come lo sono nella realtà, che agiscono quasi fosse uno spettacolo teatrale insieme agli altri protagonisti, il sole o la luna, il cielo con le sue nuvole, le rocce o i fiori, il mare o la campagna; e soprattutto l’uomo con la presenza diretta o con le sue realizzazioni, in particolare ponti e costruzioni, che si integrano nell’ambiente naturale, nei suoi aspetti paesaggistici e meteorologici,  quasi fossero della stessa sostanza, partecipi dello stesso destino comune.

Gli stessi primi piani dal  taglio fotografico, anzi cinematografico, delle composizioni paesaggistiche evidenziano l’importanza di elementi secondari, siano essi naturali o artificiali, come un albero o una staccionata, o umani, come figure in movimento, nel vivacizzare la scena, che non ha la piattezza impersonale delle cartoline ma fissa un attimo  cui contribuiscono natura ed uomo come agenti attivi che determinano l’atmosfera caratteristica del luogo. In questo risiede il sentimento poetico che pervade la composizione.   

Non va considerata una superficiale scelta scenica o stilistica, ma il riflesso del suo profondo spirito religioso, dato che la religione più autenticamente giapponese, lo shintoismo, considera la natura e l’uomo,  con la stessa divinità, espressioni di un principio che  pervade le diverse manifestazioni  senza perdere la sua forza unificante e la sua energia vitale.

Aver portato questa concezione  filosofica, nella sua complessità,  nelle stampe largamente diffuse,  è uno dei meriti straordinari che vanno riconosciuti a questo artista: trasmette un messaggio religioso non attraverso l’arte sacra, come in Occidente, ma con un’arte prettamente popolare  che fa del paesaggio il palcoscenico per la realtà e per la trascendenza.

La misura di questa operazione si trova nella vastità dell’opera di Hiroshige, pubblicò più di 5.000 stampe, ciascuna riprodotta in migliaia di copie, fino a 20.000 per le più richieste dal mercato, multipli “personalizzati” con varie sfumature cromatiche nella tecnica dell'”Ukiyo-e”; e illustrò  120 libri. Sul  mercato le stampe erano accessibili a tutte le classi sociali per il basso costo, le illustrazioni sui libri portavano il messaggio estetico-filosofico-religioso ai livelli più istruiti.

Questa  crescente diffusione delle stampe aveva alla base la nuova “cultura del viaggio” sempre più sentita nel paese  dovuta, come si è accennato,  al continuo intensificarsi dei viaggi, dai pellegrinaggi religiosi agli spostamenti istituzionali per le “residenze alternative”, dai traffici e commerci di un’economia in sviluppo agli spostamenti turistici visti come compensazione di un’attività lavorativa quanto mai intensa.  

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Entrando ancora di più nelle sue composizioni, si nota l’estrema cura dei dettagli, le figure umane spesso sono molto piccole e mai al centro della scena, ripresa lateralmente e seguendo la diagonale,  in modo da non sovrastare la raffigurazione ma da integrarsi perfettamente nell’insieme. L’artista cerca di rendere l’animazione dei luoghi, lo si vede nella rappresentazione delle locande che accolgono i viaggiatori, con lampade accese e scene anche esilaranti degli avventori; sui ponti, tra le opere dell’uomo più rappresentate,  spesso c’è animazione,  sono  un simbolo di unione tra sponde opposte,  un altro messaggio.

Nelle scene corali dei cortei di dignitari verso la “residenza alternativa”, a volte riprese su ponti,  c’è  la modernità del “reportage”, quasi fosse il “paparazzo” che immortala la scena. Delle volte è ripresa dall’alto, quasi planando sopra al paesaggio.

Va precisato che non tutte le opere destinate alla stampa Ukiyo-e hanno trovato questo sbocco, in particolare molte dedicate alla beltà femminile sono rimaste come bozzetti preparatori; questa circostanza fa ripensare all’analoga constatazione fatta su Turner, per il quale la gran parte degli acquerelli e “gouache” è incompiuta e  deve anche a questo il fascino indefinibile.

Ci sono pure bozzetti tradotti in stampe con delle varianti apportate successivamente, anche per effetto dei contatti dell’artista con incisore e  stampatore, i quali non avevano un ruolo meramente esecutivo, e non solo nell’inchiostrazione differenziata che faceva dei multipli opere “uniche”.

Naturalmente, l’arte di Hiroshige si è espressa oltre che nella forma popolare dei “multipli” a stampa dell’Ukiyo-e – peraltro modernissima, avendo a mente le attuali “serigrafie” di ogni tipo –  anche nei dipinti non di serie, con l’inchiostro e i colori applicati nei rotoli tradizionali, di stampo cinese, sulla carta o sulla seta.

Il supporto non dipinto fa da contrappunto all’immagine delineata con leggerezza per rendere l’atmosfera in modo soffuso, diversamente dalla drammaticità  che è invece la caratteristica di Hokusai. E non si esprime solo nel paesaggio, pur di gran lunga prevalente, ma anche in immagini di fiori e uccelli sia nel loro contesto ambientale, sia isolandoli con una precisione da manuale scientifico.

Premesso quanto sopra sull’arte di Hirishige, è il momento di vedere praticamente come tutto questo si esprima ai livelli di eccellenza  nelle opere esposte in mostra, ne parleremo prossimamente.  

Info

Scuderie del Quirinale,via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì,  ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-22,30, ingresso consentito  fino a un’ora dalla chiusura. Ingresso e audioguida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per under 26, insegnanti, gruppi, forze dell’ordine, invalidi parziali, euro 2 per under 18, guide, tessera ICOM, dipendenti MiBAC, gratuito per under 6, invalidi totali. Tel.  06.81100256. www.scuderie.it. Catalogo “Hiroshige. Visioni dal Giappone”, a cura di Rossella Menegazzo,  Skira 2018, pp. 290, formato  28,5 x 24,5, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I due articoli successivi sulla mostra usciranno, in questo sito, il  19 giugno e  5 luglio p.v.,  con altre 10 immagini ciascuno.  Cfr. inoltre i nostri articoli, in questo sito, su Hokusai  2, 8, 27 dicembre 2017,  su Monet 9 gennaio 2018,  sull’arte giapponese,“Giappone, la spiritualità buddhista nelle sculture liignee alle Scuderie del Quirinale”  24 agosto 2016, e “Giappone, 70 anni di pittura e decori ‘nihonga’ alla Gnam”  25 aprile 2013.  

Foto

Le immagini sono state in parte fornite dall’organizzazione, in parte tratte dal Catalogo, si ringrazia Ales S.p.A. e l’Editore,  con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, “Ohashi. Acquazzone ad Atake” 1857;  seguono, “Monti e fiumi lungo la strada Kiso” 1857, e “Kameido. L’area antistante il santuario Tenjin” 1856; poi,”Yokkaichi: fiume Mie anche conosciuto come il Primo Tokaido o il Grande Tokaido” 1822-34, e “Pappagallo su un ramo di pino” 1830-35; quindi, “Peonie” 1853, e “Genji dell’Est [Capitolo 12]. Il Giardino innevato” 1854; inoltre, “Oiso. Pioggia delle lacrime di Tora [del ventottesimo giorno del quinto mese] 1833-34, e “Minowa, Kanasugi, MIkawashima” 1857; in chiusura, “Awa. I gorghi di Naruto” 1855.

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