Alessio Deli, la “magìa silenziosa” delle “Korai”, a Palazzo Valentini

di  Romano Maria Levante

Nella Sala della Pace di Palazzo Valentini, a Roma, dal 24 marzo al 3 aprile 2019,  la mostra “Korai, incipit memoria”, di Alessio Deli,  7 opere scultoree  molto delicate con un materiale insolito per l’autore, gesso e resina, anche se non mancano componenti con il materiale grezzo a  lui consueto, piombo e ferro. La mostra, con il patrocinio  della Città metropolitana di Roma Capitale, che ha sede a Palazzo Valentini, presentata dall’Associazione culturale Tonino Guerra,  è a cura di Michele von Buren  di RVB Arts, a cui si deve l’allestimento. Il giorno dell’inaugurazione, all’atmosfera creata dalle  “Korai” esposte si è aggiunto il suono evocativo  dell’arpa con un effetto quanto mai suggestivo. Catalogo delle “Edizioni Tored”,  con un contributo di Carmelo Occhipinti e presentazioni di Michele von Buren e Renato Mammuccari.   

“Donna della Melagrana”, 2018

 La  “magia silenziosa” delle “Korai” 

Magia silenziosa”, due parole  che esprimono meglio di un lungo commento la suggestione che si prova dinanzi alle “Korai”  di Alessio Deli, e non solo; perché prima delle “Korai” abbiamo avuto “Odusia” e “Warrior”, “Es” e  “Summer”, “e guardandole ci siamo sempre interrogati sull’emozione provata, chiedendoci da dove veniva. Le due parole sono di Michele von Buren, la curatrice dell’esposizione che abbiamo visto ospitare l’artista nelle sue mostre dal 2012, senza mai lasciarlo, tanto che le sue opere sono presenti nella galleria RVB Arts anche quando ci sono altre personali, è la loro casa.  

Ma se la “magia silenziosa” aleggiava anche con le opere precedenti appena citate, con le “Korai” esposte a Palazzo Valentini l’emozione suscitata è ancora maggiore. Forse perché  nella saletta in cui sono collocate sembrano attendere il visitatore per accoglierlo nel loro gineceo, pudiche e discrete, quasi timorose; mentre le due Statue virili, cui si aggiungono Marc’Aurelio e anche Afrodite  nel vasto cortile su cui si affaccia la saletta,  sembrano spavalde nella loro imponenza, per questo il visitatore prova tenerezza per loro destinate a restare sole nelle ore di chiusura con vicini così prepotenti.   

“Donna della Melagrana”, 2018, particolare del volto  

Quindi, un effetto coerente con la loro natura, le opere sono collocate nella giusta dimensione; se poi  si visitano le “Domus” romane nel sottosuolo del Palazzo con la ricostruzione visuale di Paco Lanciano  e il commento evocativo di Piero Angela, l’incanto si arricchisce di altre suggestioni. 

Dal “recupero della materia” al “recupero della memoria”

Un ritorno all’antico di un artista  non ancora quarantenne, già molto sperimentato, che compie un’ulteriore evoluzione  nel suo percorso artistico,  passando dal “recupero della materia” al “recupero della memoria”. Perché le opere precedenti erano realizzate utilizzando materiali di risulta presi dalle discariche con un impegno pervicace nel ridare vita a ciò che era rifiutato dalla società dei consumi come ormai inservibile, inutile. C’è stata  un’idea, e forse un’ideologia, alla base della sua ricerca di cose da salvare, alle quali ha restituito la vita che avevano perduto, facendo rinascere ciò che era buttato,  abbandonato, respinto;  ma le ha fatte assurgere a una dignità artistica tale da nobilitarle quando erano scartate, rottamate, e dunque distrutte.  

Kore # 1″, 2017-18, a dx la suonatrice di cetra all’inaugurazione    

Ci si deve soffermare su questa sua ricerca, carica di significati profondi,  per capire il diverso, ma coerente  percorso  seguito dall’ispirazione che ha portato  alle Korai. Per le opere precedenti, la sua visita alle discariche nasceva da un’idea artistica che aveva in mente e per la quale voleva trovare i materiali di risulta adeguati; una volta individuati li districava dal  groviglio in cui spesso erano imprigionati, quasi  che liberasse l’opera, che aveva chiara in mente, dal materiale superfluo, in senso michelangiolesco; ma  quando gli abbiamo detto questo ci ha risposto che non arriva a tanto. Altre volte l’ispirazione nasce dalla vista di particolari forme dei rottami per cui utilizzandoli crea un’opera non concepita prima: non solo i materiali dismessi  e degradati sono riportati alla luce e alla vita, ma diventano essi stessi una forza creatrice, uno stimolo artistico.   

Il pensiero va a due artisti che utilizzano anch’essi materiale di recupero, ma cemergono notevoli differenze con Deli. Il libico Wak Wak, di cui ricordiamo la mostra al Vittoriano del 2013, si è servito dei residuati bellici della guerra in Libia, oggetti usati per dare la morte reimpiegati in immagini di pace, come animali, o in composizioni di denuncia della guerra. L’artista russa. americana di adozione, Louise Nevelson, che ha esposto  nello stesso 2013 alla Fondazione Roma,  più semplicemente utilizza materiali lignei dismessi, raccolti nelle strade e assemblati in  composizioni anche spettacolari, l’intento è essenzialmente estetico pur restando il valore salvifico del recupero.  

Kore # 1″, 2017-18, particolare del volto   

In Deli – la cui “personale” alla galleria RVB Arts c’è stata nel 2013, in significativa coincidenza con le due mostre appena citate –  troviamo qualcosa di peculiare, considerando i materiali recuperati nelle  discariche “espressione dell’uomo contemporaneo, delle sue abitudini, dei suoi sogni, dei suoi viaggi”. Così  questi materiali per la mano artistica, e anche di alto artigianato di Deli, sono diventati testimonianze della realtà odierna.   

Nelle opere precedenti  prevaleva il “recupero della materia”, ora  il “recupero della memoria”, un itinerario artistico che culmina, al momento attuale,  nel mondo tenero e suggestivo delle “Korai”.  

Il “recupero della materia” ci ha dato sculture delle  dimensioni e tipologie delle “Korai”. Statue a grandezza naturale, come “Saul“, 2007,  “Exodus”   e “Summer”, 2010,  “Odusia” ed “Es”,  2012, “Big Warrior” e “Muse”, 2013,  fino a “Iron Age”, 2014-15, installazione di 3 elementi scultorei, uomo, donna e bambino, che prelude in qualche misura al gruppo ugualmente coordinato delle “Korai”; nel quale, oltre a 4 statue naturali,  ci sono anche 2  busti e 1 tondo, al pari di “Warrior”, 2011, e “Ulixes”, 2012,  troviamo i volti anche in “Mirror”, come allo specchio  Ci sono altri temi nella sua produzione scultorea, ne citiamo solo alcuni, dai “Seagull” ai “Machine Gun”, cioè dai gabbiani ai mitra realizzati ironicamente con serrature e altri componenti inoffensivi, dal “ReCycle” , la bicicletta assemblata simbolo altrettanto ironico del suo “riciclaggio” artistico, fino alle piante come “Tree”, “Agave”, e “Urban Forest”; e poi i disegni, molti dei quali preparatori di opere scultoree, e  quadri materici che segnano il passaggio tra la pittura e la sua “scultura magmatica”, come l’ha definita Maria Luisa Perilli. 

Kore # 2″, 2018  

Ma poi l’evoluzione artistica di Deli lo ha portato  a creare una figura femminile, avvolta nel suo lungo peplo di acciaio, non più con l’asprezza delle precedenti ma con una levigatezza che esprime una gentilezza  e una grazia nuova, si direbbe rinascimentale.  Questa statua, “Donna della ruggine”, realizzata nel 2016 – dopo “Summer” e “Warrior” e prima delle “Korai”  – postain un angolo raccolto della galleria RVB Arts,  ha accompagnato le ultime mostre  di altri artisti con una presenza discreta e  suggestiva. Ne siamo stati colpiti, non sapevamo ancora che era antesignana delle “Korai”, con le quali l’artista entra in una dimensione nuova, anche se in continuità con i richiami precedenti sempre classici, ma più duri e aspri.

Sulle “Korai” abbiamo anche una serie di simulazioni fotografiche dell’ambientazione in una fabbrica dismessa, al Museo Ara Pacis e al MAXXI, tre luoghi apaprentemente alternativi scelti dall’artista per studiare i vari tipi di collocazione, in tutti e tre  si inseriscono perfettamente, nel rapporto antico-mondo contemporaneo che gli sta sempre a cuore.   

In queste ultime opere è marginale il materiale di risulta, ora  limitato alle vesti mentre nelle opere precedenti investiva l’intera figura; ma non rinuncia ad inserirlo in contrasto con la levigatezza della resina e del gesso perché, lo dice lui stesso, va nelle discariche  “alla ricerca di una bellezza particolare… quella del tempo” con questo intento:  “Testimoniare l’esistenza dell’uomo nel suo passaggio sulla terra. Procedere in questa direzione significa per me la riscoperta di un  archetipo”.    

“Clipeate # 1”,   2018-19

Alla base di tutto c’è la classicità,  che troviamo nella sua formazione, dagli  studi all’Accademia di Belle Arti di Carrara, il tempio della scultura, dove si è diplomato con il massimo dei voti, e ha  vinto due concorsi di scultura poco più che ventenne; e in una adesione ideale fortemente sentita.  

Le “palpebre abbassate” nel pudore virginale delle “Korai”  

Ed ora siamo tornati  al cospetto delle “Korai”, alla loro “magia silenziosa”, per ripetere le due parole che  interpretano la suggestione che si prova alla loro vista, ancora più intensa di quella suscitata dalle  eroine cui ha dato vita  in precedenza, sensazione cui cerchiamo di dare una risposta. 

Ci aiutano a trovarla  le parole di Carmelo Occhipinti che oltre ad analizzare con gli strumenti del critico d’arte le opere di Deli, ne ha descritto anche la genesi raccontando con dovizia di particolari la visita nella “fucina di Vulcano” – l'”officina” romana in un pittoresco seminterrato dalla volta a botte vicino al Gasometro, l’impianto che ha ritratto in quadricromie del 2014 – nella quale vengono creaste  e forgiate.  Ebbene, il critico ricorda che “Kore in greco antico si diceva la fanciulla vergine”; mentre “oggi gli storici dell’arte chiamano Kore la figura stante di  giovane donna, di provenienza votiva o funeraria,  generalmente di epoca greca arcaica”; quindi, aggiungiamo, non necessariamente  “fanciulla vergine”. Lo si vede dalla statuaria greca antica, le “Korai” hanno volti aperti e decisi, spesso sorridenti, diversi da quelli delle “Korai” di Deli.  

“Kore #  3”, 2018     

E’  una precisazione che ci sembra fondamentale per interpretare le opere esposte, fa capire che  nel suo “incipit memoria” l’artista abbia voluto risalire alle origini prime  della “Kore”, cioè alla “fanciulla  vergine” opportunamente evocata da Occhipinti. come  definizione archetipa.  Ed è proprio  al pudore virginale che rimandano quelle palpebre abbassate, mentre  le Korai nell’accezione odierna degli storici dell’arte di normali  giovinette non hanno simile pudore.  Il “recupero della memoria” porta anche a questo, saltare  le fasi successive per tornare alla radice. 

Il critico riferisce che l’ispirazione delle palpebre abbassate  è venuta a Deli essendogli “capitata per caso una riproduzione della testa addormentata della ‘Nobildonna’ del Laurana  la quale – non disse proprio così  ma il senso era questo – dovette di soprassalto ridestarglisi  tra le mani…”. Proseguiamo nella citazione osservando però che  l’immagine “spalancando per un attimo quelle sue tenere palpebre abbassate  e suggerendogli con la forza di uno sguardo l’idea definitiva delle Korai”, sembra annullare o almeno contrastare quella precedente nella quale, a  nostro avviso, si può trovare  il motivo ispiratore colto da Deli: le tenere “palpebre abbassate” nel pudore virginale. Non è lo sguardo della Nobildonna che crediamo lo abbia  colpito, l'”eureka” forse è venuto dalle “palpebre abbassate”, è stato questo il messaggio ricevuto dalla visione dell’opera di Laurana, che certamente non poteva venire da una Nobildonna ma da una sollecitazione visiva nella  ricerca della memoria.  


“Kore # 3”, 2018, particolare del volto    

D‘altra parte,  per rendere il pudore della “fanciulla vergine” di cui alla definizione archetipa di “Korai” richiamata dal critico, la Nobildonna di per sè, in via di principio sarebbe il riferimento meno indicato, per quanto di vissuto, autorevole e matronale c’è nella sua immagine, come attestano secoli di arte, in particolare di pittura; il Laurana, in effetti, ne ha ingentilito il volto, sia nel busto dell’anonima Nobildonna del Bode Museum di Berlino, sia in quelli delle Principesse aragonesi, ispirandosi presumibilmente a figure classiche se non a Madonne quattrocentesche pittoriche, come le Madonne “lattanti”. dove si trovano espressioni così tenere  e pudiche,  mentre le nobildonne sono ben diversamente effigiate. 

Quindi, da semplici cronisti, non  crediamo che Deli abbia voluto fare “un omaggio a Laurana”, né che la sua sia una “citazione”, intesa come “appropriazione “,  dando all’immagine “un’altra vita pur continuando  a vivere la vita precedente “. E, sempre senza pretese di critici ma  dalla parte del visitatore, non ci sentiamo di vedere le “Korai” di Deli come “la ‘citazione’ che si replica due, tre, quattro e più volte” e tanto meno di associarle,  anche se per escludere l’accostamento, ai multipli di Warhol; come non crediamo in “Laurana entrato nelle Korai di Deli”:  una Nobildonna addormentata non può entrare nel pudore delle fanciulle vergini, quale che sia l’apparenza esteriore. Se mai nelle”Korai” di Deli è entrato il riflesso di un filone pittorico rinascimentale e classico, non riconducibile alle nobildonne ma alle Madonne e e alle figure mitiche tenere e dolci, evocate – questo , sì, lo crediamo – dalla vista delle “palpebre abbassate” della riproduzione del Laurana. 

“Kore # 4”, 2018-19     

Ci vengono in mente al riguardo le parole usate da Michele Ainis, il costituzionalista osservatore appassionato e raffinato interprete di eventi artistici e culturali, che in altra circostanza ha espresso con molta chiarezza un concetto incontestabile:  “Nell’arte, come nella cultura in genere, non c’è mai nulla del tutto nuovo: siamo tutti nani sulle spalle dei giganti. Ciascuno, tuttavia, vi aggiunge un elemento, una variante, un’interpretazione. E quest’ultima diventa atto creativo”.     

Il “recupero della memoria” è anche questo, se riferito a una memoria condivisa nei secoli, piuttosto che a un’opera ben precisa di tutt’altro tema, quasi ci trovassimo dinanzi a dei “d’aprés”, cosa che non ci sembra assolutamente. Come non ci sembrano espressioni ripetute, il pudore virginale delle “palpebre abbassate”nelle “Korai” di Deli è lo stesso, ma l’artista riesce a differenziarne le espressioni con varianti  sottili quanto evidenti della loro innocenza, come variano i vestimenti; le braccia, quando non mutile, sono distese come nelle “Korai” classiche, a parte il busto  della “Donna della Melagrana”. 

Per questo la “magia silenziosa”  che emanano le 7 immagini si manifesta in una coralità che non è ripetizione, ma espressione identitaria delle “Korai” nell’accezione archetipa, opportunamente evocata dal critico, di “fanciulle vergini”, e non semplici giovinette.  


“Kore # 4”, 2018-19, particolare del volto  

“Incipit memoria” nelle “Korai”   

Il recupero  “ab initio”, insito nel titolo della mostra,  “incipit memoria”,  implica la trasposizione nella realtà odierna, di qui  le vesti anche a maniche corte, ben diverse dalle tuniche classiche delle “Korai” greche,  ma in carattere con la freschezza delle fanciulle raffigurate.  La purezze virginale di ieri portata  al tempo attuale, in una innocenza pudica e timorosa, oggi forse sparita, ma proprio per questo il suo recupero è significativo anche al di là dell’aspetto artistico, sotto il profilo umano. 

Maria  Luisa Perilli, nel catalogo di una mostra di Deli del 2012, trovava nelle sue opere l'”occasione di riscatto dell’essere, possibilità di ricrearsi incessantemente, di recuperare quella spiritualità del ‘tempo e del mestiere di vivere’ usurpata, offesa dal relativismo dilagante dell’odierna società”. E’ straordinario come queste parole,  riferite ai materiali e ai processi utilizzati per il “recupero della materia” , aderiscano perfettamente al “recupero della memoria”  delle nuove  “Korai”, che con le loro “palpebre abbassate” nel pudore virginale trasmettono l’innocenza e la spiritualità oggi offese se non perdute.    

“Donna del Damascato # 2”, 2018

Gli  abiti moderni , con la loro leggerezza giovanile – anche se utilizza piombo e ferro, nel residuo “recupero della materia”,  ma non lo dimostrano – non configgono con  i volti, tutt’altro, sono più in carattere che se fossero  gli improbabili chitoni o pepli  che vestivano le “Korai” antiche; ai piedi vediamo la melagrana, simbolo di abbondanza, fertilità, buona fortuna, nella “Kore # 4” delle cinte a terra, come fossero legami da cui liberarsi; le braccia distese come nelle “Korai” classiche, alcune dal viso eroso o  mutile di un braccio, destro o sinistro, in una completa identificazione con il repsrto antico.

Anche a questo riguardo troviamo una anticipazione, nel commento di  Viviana Quattrini alla mostra di Deli dell’aprile 2013:“Oscillando tra soluzioni nuove e ritorni alla tradizione, Deli elabora un’originale ricerca di nessi tra scultura e ambiente. Panneggi di lamiera corrosa dalla ruggine si modellano intorno a figure di resina che godono di quella naturale grazia che diventa elemento umanizzante”. Era riferita a  “Big Warrior”, si attaglia  alle attuali “Korai” in merito alle vesti di piombo patinato rispetto ai volti di resina e gesso, volti levigati rispetto alla figura frammentata.     

“Donna del Damascato # 2”, 2018, particolare del volto      

Su tali contrapposizioni si sofferma Luisa Grigoletto nel presentare la mostra: “Nella tensione tra questi due poli si sviluppa un rapporto dinamico tra il contemporaneo e il ritorno alla statuaria classica – se non arcaica. In questo viaggio a ritroso, che parte dal presente e affonda le sue radici negli archetipi della tradizione – passando dagli artisti italiani  del dopoguerra, come Arturo Marini e Marino Marini, fino a esponenti del Rinascimento come Luca della Robbia – Deli recupera anche un’arte altra, considerata spesso minore, come quella devozionale, dove  la manualità dell’artista riveste un ruolo fondamentale”.  E,  aggiungiamo noi, l’arte devozionale delle celebri Madonne, riferendoci ai “giganti” evocati da Michele Ains.  “Nascono così – commentava sempre la Quattrini nel 2013 – opere che esprimono allo stesso tempo fragilità e forza interiore”, come le “Korai” e non solo le “Summer” e “Warrior” cui allora si riferiva. 

Dalle “Korai” ai miti ovidiani, le vie infinite della classicità  

A parte le valutazioni critiche sopra riportate, che testimoniano di una continuità di fondo nel passaggio dal “recupero della materia” al “recupero della memoria”, ciò che abbiamo osservato fin qui con l’occhio del cronista  vicino al visitatore  – al di fuori di ogni presunzione critica del tutto assente, lo ribadiamo  – vuol essere la premessa ad una associazione di idee che ci sentiamo di esprimere.    

“Donna della ruggine”, 2016 

La recente mostra alle Scuderie del Quirinale per ilBimillenario di Ovidio ha evocato i suoi miti immortali – eroi e divinità nelle loro gesta e nei loro amori –  nelle interpretazioni artistiche, dall’epoca classica a quella rinascimentale, fino al ‘700 e ‘800.  Mancano versioni moderne che ne recuperino il fascino mitico in chiave contemporanea.  Sono miti anche vicini – si pensi a Narciso, a Piramo e Tisbe, i “Romeo e Giulietta” dell’antichità – quindi si prestano anche loro a un  “recupero della memoria” che ha visto Deli cimentarsi con le “Korai”. Perché fermarsi e prendere le “Korai” come punto di arrivo,  anche se  segnano per ora  il culmine dell’evoluzione che abbiamo sottolineato? E non farne un  nuovo inizio per un “recupero della memoria”  ancora più ricco ed evocativo? Gli spunti sono molteplici, la mostra  su Ovidio li ha riproposti copiosamente.   

Le “Korai” possono essere viste come l’ “incipit” di una memoria che può essere declinata ulteriormente, riferendosi all’inesauribile giacimento culturale del mondo classico.  Non è né un suggerimento, che non ci sentiremmo di avanzare, né tanto meno un invito, ci mancherebbe! Ci sembra solo una prospettiva interessante, un’ipotesi possibile e forse praticabile.  

“Donna della ruggine”, 2016, particolare del volto

Questo perché, come osserva ora  Luisa Grigoletto, in Deli dal confronto tra diversi elementi  “emerge forte una certa idea di identità culturale, tutta imperniata sulla continuità e sulla permanenza della memoria, che va letteralmente a dare forma alla figura contemporanea, nonostante l’azione corrosiva del tempo sulla materia umana”.  Scriveva Francesco Negri Arnoldi nel 2015: “Lo si potrebbe definire un artista moderno dal cuore antico, Alessio Deli è infatti al tempo stesso fedele interprete della decadente civiltà del suo tempo ed evocatore trasognato dell’epoca antica… Da qui l’originalità del suo prodotto artistico, che lega tra loro forme e tematiche apparentemente incoerenti, ma perfettamente coincidenti nella sua visione poetica. Così come quando profila amati volti femminili  che rievocano metope classiche e teste clipeate… Attualità e passato,, ma insieme natura e artificio nel gioco della simultaneità  adottato da Alessio Deli…”.  E  osservava Maria Laura Perilli nel 2012:”L’operazione estetica di Deli vuole riconsegnare all’essere umano la responsabilità ed il piacere della riflessione, dell’ascolto di se stesso e la capacità di percepire che l’uomo non è un ente gettato nell’esistenza, ma per volere di un’armonia sacrale, divina, è progettato per l’esistenza”.  

Una convergenza di giudizi critici sull’artista, che  ha indicato così la sua stella polare: “La ricerca di una bellezza particolare… quella del tempo”,  con l’intento di “testimoniare l’esistenza dell’uomo nel suo passaggio sulla terra. Procedere in questa direzione significa per me la riscoperta di un  archetipo”. E ha precisato come  lo traduca nell’espressione artistica:  “La nascita di un linguaggio, di uno stile, di una moda ha sempre alla base il recupero e la comprensione del passato.”  

Non c’è che da proseguire su questa strada ormai tracciata,  è  il nostro auspicio e  il nostro augurio.   


“Big Warrior”, 2013 

Info

Palazzo Valentini, Sala della Pace, Via IV Novembre, 119/A, ore 10-19, Ingresso gratuito info. Cataloghi: Alessio Deli. “Korai. Incipit memoria”,  con un contributo di Carmelo Occhipinti, presentazioni di Michele von Buren e Renato Mammuccari, Edizioni Tored, marzo 2019, pp. 54 , formato  21 x 30;  “Alessio Deli”, Edizioni Tored, maggio 2015, pp. 40, formato 21 x 30; “Odusia. Sculture e disegni di Alessio Deli”,  a cura di Maria Laura Perilli,Centro Convegni S Agostino, 2012, pp.48, formato 21 x 21; dai Cataloghi sono tratte alcune citazioni del testo, altre dalle note di presentazione delle mostre di RVB Arts. Cfr, in questo sito, per le precedenti mostre organizzate, come quella attuale, dalla galleria  RVB Arts,  i nostri 18 articoli alle date seguenti:  nel 2017 il 3 gennaio, nel  2016 il 26 ottobre, 31 maggio e 23 gennaio, nel 2015 il 25 dicembre, 9 novembre, 26 giugno e 3 aprile,  nel 2014 il 17, 27 giugno e 14 marzo, nel 2013  il 5 novembre, 5 luglio e 21 giugno, 26 aprile e  27 febbraio; nel 2012 il 10 dicembre e 21 novembre. Di questi, in  5 articoli si commentano le opere di Alessio Deli,  4 su mostre collettive il 26 ottobre 2016, 5 luglio 2013, 10 dicembre e 21 novembre 2012, uno sulla mostra personale, il 26 aprile 2013 con il titolo “Accessible Art. Il Re Cycle scultoreo  di Alessio Deli”; per le mostre e gli artisti citati nel testo, sul Bimillenario di “Ovidio”, i 3 articoli  il 1°, 6 e 11 gennaio 2019, ciascuno con 13 immagini, “Warhol”  il 15 e 22 settembre 2014,  “Louise Nevelson”  il  25 maggio 2013, “Wak Wak” il  27 gennaio 2013; in cultura.inabruzzo.it , sulle “domus romane” citate, il nostro articolo “Palazzo Valentini, tra i ruderi la luce”, 3 dicembre 2009  (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).  

Foto

Le immagini  sono state riprese da Romano Maria Levante, si ringrazia Michele von Buren, con i titolari dei diritti, in particolare l’artista, per l’opportunità offerta: le prime 12 immagini delle “Korai” riprese a Palazzo Valentini, Sala della Pace, all’inaugurazione della mostra, le ultime 4  riprese nella galleria RVB Arts. di cui le 2 finali alla  “personale” del 2013. In apertura,  “Donna della Melagrana”, 2018, seguita dal  particolare del volto; poi, “Kore # 1″, 2017-18, con a dx la suonatrice di cetra all’inaugurazione, seguita dal particolare del volto;  quindi,”Kore # 2″, 2018, seguita da  “Clipeate # 1″, 2018-19; inoltre, “Kore # 3”, 2018, seguita dal particolare del volto;  ancora,  “Kore # 4″, 2018-19,  seguita dal particolare del volto;  infine, “Donna della ruggine”, 2016, seguita dal particolare del volto; in chiusura, “Big Warrior”, 2013, seguita da “Warrior”, 2011, quasi un’anticipazione del volto di “Big Warrior”.   

“Warrior”, 2011, quasi un’anticipazione del volto di “Big Warrior”