Anselmo, l’arte e la natura all’Accademia di San Luca

di Romano Maria Levante

Per celebrare il conferimento del Premio Presidente della Repubblica 2016 per la Scultura,  la mostra “Giovanni Anselmo. Entrare nell’opera” espone dal 13 novembre 2019 al 31 gennaio 2020 all’Accademia Nazionale di San Luca – che lo ha segnalato per il premio nel suo turno con le Accademie dei Lincei e di Santa Cecilia – in un percorso disegnato dall’artista curatore,  27  opere  da lui scelte, create dal 1967 al 2019.  Catalogo dell’Accademia Nazionale di San Luca con saggi di Francesco Moschini e Jean-Christophe Amman,  Gabriele Guercio e Ilaria Bernardi, Maddalena Disch e  Marcella Beccaria.

“Entrare nell’opera” , 1971

La  retrospettiva testimonia un itinerario artistico di oltre mezzo secolo prestigioso a livello nazionale e internazionale, con migliaia di mostre e le opere nelle più importanti collezioni pubbliche  e private in Italia e all’estero.  Va ricordato che nel 1990  gli fu conferito il Leone d’oro alla Biennale di Venezia.

E’  un successo indiscusso che si identifica con  l’affermazione dell’Arte povera di cui è  stato un esponente di punta dopo una sorta di folgorazione, a metà degli anni ’60, allorché cominciò a utilizzare i materiali divenuti poi abituali e lasciò la pittura nella quale si era affacciato mentre lavorava da grafico in uno studio pubblicitario. Nel 1967  due  mostre  collettive a Torino e una a Genova, “Arte povera. Collage 1”, e nel 1968 già espone a Dusseldorf e New York, acquisendo fama internazionale, e con lui l’Arte povera. Non si è formato nelle scuole d’arte, per questo dall’inizio non ha seguito percorsi predefiniti, ma una propria strada segnata dal suo istinto mosso da uno spirito animato da intuizioni geniali e sentimenti profondi.

“Infinito” , 1970

Proprio la profondità dei motivi ispiratori rende particolarmente complessa la ricognizione sui significati delle sue opere, che devono essere decifrati con la chiave interpretativa della loro genesi, accuratamente ricostruita dagli studiosi ai quali faremo diretto riferimento. Pertanto la citazione delle opere sarà preceduta di volta in volta dalle motivazioni  del tutto inconsuete per un artista e intrise di  concetti  che dalla filosofia approdano perfno alla cosmologia passando per la fisica. 

L’artista, nell’allestimento che ha realizzato, ha seguito una linea coerente con la propria  impostazione inserendo le opere nella molteplicità degli spazi dell’Accademia in modo da ottenere la massima aderenza. Il  percorso inizia dalle sale a pianterreno e  dal giardino con lo statuario portico d’ingresso  del  Borromini, sale  lungo la rampa elicoidale anch’essa  utilizzata,  fino al piano superiore dove tra le tante pitture e sculture della storica galleria si scoprono  le ultime opere significative esposte.

Particolare del lato in alto della prima,  I di INFINITO” 6 ottobre 1975

L’infinito 

Il momento iniziale e nel contempo risolutore, da cui nasce l’Anselmo dell’Arte povera, è la folgorazione, per così dire,  all’alba del 16 agosto 1965, sulla vetta del vulcano Stromboli,  allorché “prova la vivida, benché sfuggente sensazione  che la propria ombra, dissoltasi nell’aria, fosse inclinata verso l’infinito”, in una convergenza di  fattori, dalla posizione del sole e della persona, dalla qualità della luce ai fumi del cratere. Lo racconta  Gabriele Guercio in un corposo saggio intitolato “La garanzia dell’inesistente” nel quale, partendo dall’”epifania dello Stronboli” scava nei motivi ispiratori dell’artista, con il “Tutto” come affermazione del reciproco, il  nulla.

“Una simile esperienza percettiva si rivela carica di conseguenze. Indica all’artista che la sua presenza non è costretta entro confini prestabiliti  una volta e per sempre, che il sé e l’altro-da-sé  si co-appartengono in  un’unità impermanente ma nondimeno intuibile”.  Ne deriva la percezione di un’energia che attraversa  le diverse dimensioni, l’umano e il cosmico, il noto e l’ignoto.

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Interferenza nella gravitazione universale” , 1969, uno di 20

Ne dà testimonianza il ritratto fotografico di quel momento al quale dà il titolo rivelatore  dell’orientamento che ne scaturisce: “La mia ombra verso l’infinito dalla cima dello Stromboli durante l’alba del 16 agosto 1965”. Si vede la sua figura posta nel “crocevia dei quattro elementi”, su  un declivio dietro il quale si apre “l’al di là”nel contrasto tra le linee nette dell’immagine e  la percezione di qualcosa che le supera e diventa indefinibile.  Lui stesso ha affermato: “All’improvviso la mia persona mi apparve, piccolissima rispetto alla distanza che c’è tra il Sole e la Terra”. Una constatazione cosmologica, che approfondirà in seguito, come vedremo, con altre fotografie rivelatrici.

Secondo Guercio, inoltre, “in quell’alba del 16 agosto 1965, anche se involontariamente, i rispettivi campi dell’artistico e del non artistico si trovano intrecciati, laddove quest’ultimo corrisponde al paesaggio della natura che si manifesta nella sua incontenibile potenza”. A questo contribuisce l’”immagine di montagna”, associata al pensiero “della totalità e dell’infinito” nelle “altitudini supreme e rarefatte”,  che ha colpito tanti letterati e artisti come Turner  con l’ impressionante immagine del Vesuvio in eruzione. In questo modo  si evoca il rapporto tra l’artista  e la forza della natura, l’artistico e  il non-artistico compresenti, la coesistenza di stati finiti e infiniti, “la mobilità della frontiera tra  il misurabile e l’incommensurabile, tra il noto  e l’ignoto”.

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Dove le stelle si avvicinano di una spanna il più”, 2001-19

E’ intitolata “Infinito”, 1970, una fotografia del cielo azzurro  scattata con la messa a fuoco sull’infinito.  Ad essa fu poi aggiunta una diapositiva con la scritta “Infinito” che, nella stessa messa a fuoco appena citata,  dava una proiezione bianca e confusa. L’ambivalenza  tra “infinito” e “finito”  in un lingotto di piombo con quest’ultima scritta, è così commentata da  Jean Christophe Amman  nel suo saggio illustrativo di tutte le opere: “L’uso del piombo sottolinea il FINITO, lo rende pesante, definitivo, lo lega al suo posto, fa sì che l’elemento complementare assente risulti ancora più intensamente come una privazione, come mancanza di una parte essenziale”.

Anche nell’infinito viene evidenziato un altro aspetto centrale di cui diremo in seguito.  Vediamo 6  piccoli pannelli con campitura nera e sotto un pannello grigio con la scritta  che dà alle opere il titolo  “Particolare…”  seguito dalla specifica “… del lato in alto della prima, seconda, terza   I di INFINITO”  in quelle del 1975 e 1979, e “…  del lato orizzontale sinistro in alto nella seconda N di INFINITO”  in quella del 1975,   “… della circonferenza maggiore della O di INFINITO”   in quella del 1960, in tutte è indicato il giorno preciso.  Si tratta di  un  “particolare visibile e misurabile” del concetto di infinito  che cerca di declinare in forma “finita”.

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“Mentre la terra si orienta” , 1967

Un altro momento fotografico ispirato all’infinito, dopo quello  rivelatore sullo Stromboli, è  di quattro anni dopo, nel 1969,  diversa l’ora,  l’ambiente e la stagione:  pomeriggio, campagna  e inverno invece di alba, montagna ed estate. L’artista nei dintorni di Torino  fotografa il sole al tramonto in una sequenza scandita da  una ventina di passi tra l’una  e l’altra delle 20 fotografie scattate intitolate “Interferenza nella gravitazione universale” .

“Volevo seguire il sole – sono le sue parole – L’idea era quella di avere un movimento autonomo rispetto a quello delle Terra e delle  stelle, di interferire attraverso questa mia piccola traiettoria  con l’incessante moto dell’universo”.  Il suo intento è di trovare una prova  alla  concezione sull’energia espressa nelle azioni umane: “Io, il mondo, le cose, la vita, siamo delle situazioni di energia e il punto  è proprio di non cristallizzare tali situazioni, bensì di mantenerle aperte  e vive in funzione del nostro vivere”. 

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Mentre oltremare appare verso sud-est”, 1967-79-20

Secondo Marcella Beccaria la prova è stata fornita, diremmo missione compiuta:  “L’opera documenta in maniera inequivocabile  il movimento dell’artista in direzione opposta alla rotazione terrestre, il suo agire infinitesimale, eppure reale, contro lo scorrere inesorabile del tempo”. Guardiamo la sequenza delle 20 fotografie nello scalone elicoidale dell’Accademia, hanno differenze impercettibili l’una dall’altra, ma in evidenza tra la prima e l’ultima, il sole si abbassa, gli alberi si ingrandiscono. “Quella piccola camminata – si sarà trattato di un centinaio di metri – è un’azione specifica, è la manifestazione di un’energia in atto diretta da una precisa volontà umana”. E stando al titolo della sequenza fotografica, il risultato non è da poco.

Vediamo anche un’altra sequenza nel porticato con delle statue e il giardino, un serie di blocchi rettangolari a terra con il titolo “Dove le stelle si avvicinano di una spanna il più”,  2001-19, un percorso questa volta di pochi metri non fotografico ma materiale in un’analoga  ricerca cosmologica.  Molto diverso “Mentre la terra si orienta”, 1967, della terra posta sul pavimento con al centro un ago magnetico. Anche in “Mentre oltremare appare verso sud-est”, 1967-79-2016, c’è l’ago magnetico,  questa volta con due pietre in piedi sul lato sottile, una colorata di azzurro oltremare. Colore che ritroviamo in “Verso oltremare”, 1984, una grande pietra a forma triangolare con la punta in alto che tocca un quadratino con quel colore; e in “Grigi che si alleggeriscono verso oltremare”, 1982-86,  con 5 coppie di  pietre fissate alla parete  da cavetti e la placca oltremare.       

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“Verso oltremare”, 1984

Il tutto

Collegato all’infinito entra in campo un concetto, al quale Guercio dedica un’ampia dissertazione, il “Tutto”. Si parte da un’evidenza, 7 opere dell’artista del 1971 in cui la parola non solo viene ripetuta, ma è divisa in due o tre parti: “Tut-to” o “tu-t-to. Non è una  bizzarria, data l’importanza fondamentale che gli viene attribuita, come al “Primordio” di Cagli, è un messaggio criptico così decifrato dallo studioso: “Benché siano formate da elementi che si compongono tra loro, la divisione e i vuoti tra le lettere  rendono indecidibile se e in che misura tale composizione possa dirsi esaustiva  o non ci sia un residuo, una parte occulta o sconosciuta”. Sono proiettate su oggetti e, nota Amman, “indicando tutto non si indica niente, vale a dire l’equivalenza diventa onnipresente”. La coesistenza degli opposti sempre presente nell’artista. 

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Grigi che si alleggeriscono verso oltremare”, 1982-86

Siamo di nuovo alla compresenza e insieme alla dicotomia, tesi e antitesi, dopo la rivelazione dell’ombra che porta all’“Infinito”, qui il “Tutto” nel suo frazionamento sillabico porta all’”area incognita evocata dallo scarto incalcolabile”, per cui l’esclusione fa parte della parte visibile.  Nello spazio tra la cesura delle sillabe “quel vuoto diviene interpretabile come l’attestazione di un’assenza,  di un puro nulla”.  Ma non basta: “Di più. Essendo incolmabile,  può paradossalmente significare il vero aspetto della pienezza”. Sono considerazioni che a prima vista lasciano sconcertati, e non solo noi, se lo studioso  commenta: “Il che provoca disorientamento: si è portati a riflettere su come la cosiddetta totalità con la quale ci si vorrebbe confrontare o nella quale ci si sente inclusi appaia non solo insatura, ma colma di fratture  e lacune”.

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“Invisibile”, 1970-1998-2007, nell’angolo “Verso oltremare”

E’ un aspetto  che si riscontra nella Natura e nella Storia, e averne la percezione è istruttivo anche per la vita  quotidiana. Si acquisisce la consapevolezza  della propria “malferma collocazione nel mondo” e  che esiste un “quid” indistinguibile ma presente dal quale viene stimolato il pensiero alla ricerca di  quello che  ne potrà derivare, per cui “allo stress dell’esperienza di disadattamento può seguire la catarsi”.  Con questa più vasta prospettiva: “Luce e ombra, visto e non visto, qui e altrove, finito e infinito, assumono così dei valori attinenti non solo alla percezione sensoriale  ma anche al campo sovra sensoriale del pensiero”. 

E’ un contesto in cui si colloca l’antinomia Visibile-Invisibile espressa nell’opera esposta  “Invisibile”, 1970-1998-2007. un blocco di granito con l’iscrizione opposta “Visibile”. La stessa scritta appare quando si intercetta il fascio di luce di un proiettore facendo da schermo, in assenza non c’è alcuna scritta, ma l’invisibile. Così l’artista ne spiega l’intento: “Ho voluto creare un’opera invisibile. Se voglio, però, verificare l’invisibile, ciò è possibile solo mediante il visibile. Se voglio materializzare l’invisibile, questo diventa immediatamente visibile. L’invisibile è quel visibile che non si può vedere”.  Come il Tutto a garanzia dell’inesistente, del Nulla. 

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 “Particolare” su pietra, 1972-2019

In tale prospettiva Anselmo testimonia, con le discontinuità delle  sue opere, come “l’arte introduca nel mondo l’ipotesi che l’inesistente rappresenti il garante dell’esistente e della inspiegabilità del fatto che esista qualcosa anziché nulla”.

Il particolare

Abbiamo visto che il “Tutto” nasce da una scritta, ebbene ce n’e un’altra anch’essa significativa, che indica una parte del “Tutto”,  è la parola “Particolare”.   Il “particolare” viene individuato anche nelle opere sull’ “Infinito”  prima citate, e  figura come scritta intercettata dal visitatore che attraversa il fascio di luce dell’apposito  proiettore. Risale al 1972,  l’anno dopo il “Tutto”  nelle sue divisioni sillabiche, ugualmente con la proiezione della scritta, ne vediamo un’espressione nelle proiezioni  intitolate “Particolare”,   1972-2019, su una pietra e in un angolo della stanza, su una parete e su un braccio; ci sono state in passato anche proiezioni multiple con i paesaggi.

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“Particolare”, proiettato su angolo, 1972-2019

Ecco come lo spiega Maddalena Disch nella nota dedicata a questo aspetto molto significativo: “Particolare non si esaurisce nei suoi componenti materiali, né si risolve nel linguaggio immateriale della parola proiettata. Funziona piuttosto come  un atto di individuazione, che di volta in volta riconosce un punto nello spazio nella sua qualità di ‘particolare’ (nel senso del sostantivo’), in sé unico e ‘particolare’ (nell’accezione aggettivale del termine)”.

La studiosa precisa: “Nello stesso tempo, questa puntuale azione di identificazione rinvia, per deduzione logica, a un tutto più vasto in cui quel  particolare, in quanto tale, è inscritto”. Infatti la parete su cui è proiettato è parte della stanza che a sua volta è componente dell’edificio, parte del quartiere, della città, della nazione. “In altri termini, la focalizzazione che qui-e-ora distingue un preciso particolare lo accerta anche come parte integrante di un ipotetico tutto”.  

“Particolare”, proiettato su parete, 1972-2019

Troviamo  molto interessante l’ulteriore qualificazione che viene fornita: “Noi, le cose, lo spazio tutt’intorno siamo fatti di particelle  e nel contempo siamo particelle di uno spazio incommensurabilmente più esteso, afferrabile soltanto attraverso il mezzo di misura dei suoi particolari”.  Riconduce oltre che al tutto, all’infinito nella sua configurazione cosmologica raffrontata alla limitatezza umana, come affermato dallo stesso artista nel 1972, alla nascita del  “Particolare”: “Ho fatto sovente dei lavori che partono da idee che sono di volta in volta  il tempo in senso lato, o l’infinito, o l’invisibile, o il tutto, forse semplicemente perché sono un terrestre  e cioè limitato nel tempo, nello spazio, nel particolare”. 

Osserva la Disch: “Particolare, tutto, infinito, visibile e invisibile sono concetti che guidano e organizzano la nostra percezione delle cose, del mondo e dell’universo”. Ed ecco come: “Strumenti di orientamento e parametri di riferimento, indicano il grado di misurabilità e di visibilità, così come il rapporto che ci lega allo spazio-tempo cui apparteniamo”.

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“Particolare”, proiettato su braccio, 1972-2019

A queste immagine e a questi concetti leghiamo un’altra espressione dell’artista, la mano aperta con il dito che indica qualcosa di lontano, si dice comunemente che non si deve guardare il dito che indica la luna, qui vediamo  l’opera intitolata “Il panorama con mano che lo indica”, è del  1982, dieci anni dopo il “Particolare”, la mano con il dito proteso è disegnata  su un pannello di carta alla parete, a terra una pietra rettangolare.

Ilaria Bernardi nella nota specificamente dedicata al tema, afferma: “In Panorama, salendo sulla pietra,  compiamo un’esperienza che in qualche modo ricorda quella fatta da Anselmo sul vulcano di Stromboli nel 1965 quando,  da una posizione ancora più elevata rispetto all’orizzonte, constatò come la sua ombra fosse rivolta verso l’alto”. 

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“Il panorama con mano che lo indica”, 1982

E  la associa all’immagine “monstre” “Entrare nell’opera” in cui l’artista si è  ripreso in bianco e nero all’interno di uno spazio vastissimo dove è corso nel punto prestabilito dopo averlo messo a fuoco con l’autoscatto  della macchina fotografica, e questo nel 1971, l’anno del “Tutto”; ne è nato un gigantesco pannello su tela di cm 290 x 500 nel quale la minuscola figura umana al centro è quanto mai eloquente.  In entrambe le opere  la vastità  rispetto alla limitatezza: “E’ solo grazie alla constatazione dell’infinità del tutto (invisibile) rispetto alla sua parte (visibile)  che percepiamo di essere, sia pure limitati, nel tempo e nello spazio”, constatando l’”infiniya energia insita nel Cosmo”.

La pietra e non solo

Abbiamo già incontrato la pietra in una serie di opere nelle quali, però, era soprattutto funzionale a un messaggio prevalente sulla sua materialità. E’ giunto il momento di considerare le opere in cui la pietra è protagonista anche della “gravitazione universale” prima evocata con  il servizio fotografico torinese. 

“Respiro”, 1969

Partiamo ugualmente da una fotografia di Mussat Sartor del 1970  citata da Gabriele Guercio a proposito della “ricognizione bifocale”: in essa l’artista guarda in alto una sua opera  del 1969, una  grossa pietra appesa a un gancio con un cavo  d’acciaio che la avvolge. Lo studioso è incerto su cosa ci sia nel suo sguardo, “da reverenza e scrutinio a timore e incredulità”, trattandosi di un masso di 75 chili che, come l’ombra sullo Stromboli,  va verso l’alto e non verso il basso; un’altra “Interferenza sulla gravitazione universale” dopo quella fotografica.

E osserva: “La pietra costituisce un suggestivo equilibrio di dato  e di creato. Decisiva per la riuscita del bilanciamento è la caratteristica presa del nodo scorsoio. Grazie a essa, quanto più forte è la spinta  esercitata sul cavo dal peso del blocco pietroso tanto più salda è la stretta con la quale il nodo la trattiene al gancio nel muro”.  In altri termini: “Il nodo e il gancio fissano il masso  a mezz’aria sfruttando e riorientando  esattamente quella forza di gravità che altrimenti provocherebbe la sua caduta al suolo”. Con queste  considerazioni, che confermano quanto detto in precedenza sulla compresenza degli opposti, “ci si rende conto che proprio perché  interviene nel dato di natura dimostrando che non è mai acquisito una volta e per sempre – la forza di gravità è utilizzabile per un fine opposto alla caduta dei corpi – il composto di pietra, laccio e gancio genera un mondo autosufficiente eppure concomitante a quello naturale”.

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“Torsiome”, 1968

E’   la premessa di un’interpretazione al centro della quale c’è l’equilibrio tra il peso della pietra e la presa del nodo – cioè tra l’elemento naturale  e l’interferenza umana – “difficilmente comprensibile se ci si attenesse  ai criteri di intelligibilità prima della comparsa della pietra-opera”. L’’intervento creativo ha determinato le condizioni per cui ciò che sembrava impossibile o inesistente esiste ed è realizzato, “la pietra-opera è in grado di  mostrare simultaneamente la faccia  latente  e quella manifesta: la regola e l’eccezione, la forza di gravità e la sua riconversione, la tensione e la quiete, il limite e l’illimitato”. La forza dell’arte resa plasticamente dalle parole di Guercio.

Ma  l’artista non fa leva soltanto sulla pesantezza della pietra, la associa anche a materiali leggeri. Francesco  Moschini opere come   “nel  gruppo di tele che sostengono due macigni o quando della lattuga viene legata tra due pietre, forse la sua opera più nota, dove la fragilità viva di una pianta verde viene a  configurarsi in una simbiosi fra forza dirompente e vitalità esuberante”,  nel ripetersi in modalità sempre diverse ma con risultati assonanti, di forze contrapposte.

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“Per un’incisione di indefinite migliaia di anni”, 1969

Non c’è quest’opera, ma ne vediamo una in cui è espressa la stessa antinomia compresente tra fragilità e durezza, è “Respiro”,  1969, due barre di ferro a sezione tonda, lunghe 350 cm, separate da una spugna, che fanno le veci delle due pietre e della lattuga. La fragile spugna “respira” e impedisce alle due pesanti sbarre di collidere quando si dilatano con il caldo; è  il principio applicato nelle rotaie.  Commenta Amman: “Quello che Anselmo mostra in quest’opera è la forza dell’impercettibile, che resta comunque, nei suoi effetti chiaramente registrabile”.  In altri termini: “Un processo invisibile  si può constatare solamente per via dei suoi effetti visibili”, pertanto “l’invisibile si misura col visibile”, e lo abbiamo visto anche con le proiezioni della parola intercettate dal visitatore.

“Senza titolo”, 1967

Dell’anno precedente  il ferro ruotato a forza intorno a strati fissati al muro con un anello del più morbido fustagno e bloccato alla parete nell’opera intitolata  “Torsione”,  1968, in un accumulo di energiache lo studioso definisce così: “E’ forza compressa come immagine e come realtà ferro insieme a fustagno  fissati al muro in “Torsione”

 La durezza del ferro è in un’altra opera dello stesso 1969  intitolata  “Per un’incisione di indefinite migliaia di anni”,  un  grosso tubo di 188 cm. diametro 12 cm, alleggerita dalla scritta sulla parete riportata nel titolo: eloquente  o dal grasso che lo ricopre per preservarlo dalla ruggine e  renderlo indistruttibile nel tempo, come afferma l’artista: “L’opera somiglia a un disegno che altri continueranno. E’ un lavoro che si autocontinuerà, un’opera volta contro la morte, contro il tempo determinato, delimitato dall’uomo”.http://www.arteculturaoggi.it/2020/05/05/gina-lollobrigida-2-fotografa-al-palazzo-delle-esposizioni-di-roma/http://www.arteculturaoggi.it/2020/05/05/gina-lollobrigida-2-fotografa-al-palazzo-delle-esposizioni-di-roma/

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Il colore mentre solleva la pietra
la pietra mentre solleva il colore”, 1988-90

Concludiamo  la galleria con due opere lontane nel tempo – distano 20 anni circa – di analoga impostazione. “Senza titolo”, 1967, con il tondino di ferro a U che avvolge al centro una lastra di perpex, 2 m per 1 m,  sostenuto dalla tensione del perpex che esprime energia. E  “Il colore mentre solleva la pietra la pietra mentre solleva il colore”, 1988-90. Anche qui c’è una linea al centro tra due superfici, non è più il perpex ma la pietra, e la linea è un cavo d’acciaio in tensione con il colore che viene reso protagonista.

Ma protagonista è comunque l’arte, che  Guercio vede così: “Se artistico e non artistico, sensibile e sovrasensibile, sono intrecciati tra loro è perché nascono insieme”. E conclude: “La pratica artistica costruisce la natura in quanto alterità  o non artistico senza presumerla come preesistente all’atto creativo, bensì come l’altra faccia di un costrutto bipolare  che vede entrambi definirsi vicendevolmente”.

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“Lato destro”, 1970

Un “ritratto” finale

Ci congediamo da Anselmo con un ritratto giovanile del suo volto intitolata “Lato destro” , 1970, non in mostra: sembra una semplice fotografia con il particolare della scritta sul collo che le ha dato il titolo, e la specifica “con negativo voltato”. Non si tratta di una stravaganza, l’indicazione del lato esprime il modo speculare e non coincidente con cui ci vediamo noi e gli altri, per cui, osserva Amman, “nessuno può vedere se stesso come lo vede l’altro”; a meno di rovesciare, come ha fatto per la fotografia che lo rtrae, per cui “il vero lato destro, da lui contrassegnato, corrisponde al lato destro, visto da me come spettatore”.

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Uno scorcio della Galleria scultorea

Con questo effetto, nel quale tornano si riflettono le antinomie e gli opposti compresenti nella sua opera: “Attraverso la sempklicissima esperienza dell’artista viene tematizzato e specificato un costante processo trasformativo (l’abitudine visiva), processo che solo in certi precisi casi è ripercorribile da un altro e che comprende non solo le abitudini visive ma anche quelle conoscitive”. Non solo, quindi, fenomeni naturali oggetto di osservazione scientifica, ma anche aspetti profondi di natura psicologica e mentale di ordine filosofico.

Ancora una volta sperimenta su se stesso con il mezzo fotografico, come per l’illuminazione iniziale dell'”infinito” sul vulcano di Stromboli cinque anni prima di questo ritratto e il percorso “gravitazionale” nella sequenza fotografica di Torino l’anno precedente; il tutto poi tradotto nella sua arte fatta di materiali poveri e naturali associati in modo inusitato e sempre allusivo, un’arte autentica, pur difficile da decifrare.

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Bertel Thorvaldsen, “Le tre Grazie”, 1842

In mezzo secolo di attività artistica ha messo in pratica l’assioma secondo cui l’arte assume una connotazione insolita  e primaria anche rispetto alle forze della natura,  con le sue opere nelle quali la compresenza degli opposti ha portato prove eclatanti di fenomeni impercettibili o imperscrutabili. Un’arte, dunque,  dominante  e rivelatrice non specchio della natura ma indipendente nella sua creatività. Quindi indipendente anche da qualunque percorso prefissato, ma, aggiungiamo, indagatrice e ammonitrice.

L’Accademia con questa mostra, come con le altre di arte contemporanea, fornisce una dimostrazione evidente della latitudine sconfinata della creazione artistica che può trovarvi un posto privilegiato anche se, come per Anselmo, lontana anni luce dalle forme classiche rappresentate nella sua ricca galleria con tanti autentici capolavori, 300 sculture e 1500 pitture. Per visitare un’installazione visiva di Anselmo si percorre questa straordinaria galleria, dopo la scalinata nella quale si è accompagnati dalle 20 fotografie torinesi della sua “Interferenza nella gravitazione universale”; all’uscita, una sensazione indefinibile nella quale ciò che è percepibile nel turbine emotivo è la grandezza dell’arte in tutte le sue più autentiche manifestazioni.

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Un gruppo di dipinti

Info

Accademia Nazionale di San Luca, Roma, Palazzo Carpegna in Piazza Accademia di San Luca. Catalogo “Giovanni Anselmo. Entrare nell’opera”, Accademia Nazionale di San Luca, ottobre 2019, pp. 256, formato 19 x 25 cm; dal catalogo sono tratte le citazioni del testo. Per gli artisti citati, cfr. i nostri articoli:  in questo sito, su  Cagli 5, 7, 9 dicembre 2019; in www.arteculturaoggi.com su Turner 17 giugno, 4, 7 luglio 2018.

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Le immagini sono stare riprese da Romano Maria Levante nell’Accademia di San Luca all’inaugurazione della mostra, meno le n. 3, 6, 12-14, 16, 19, 21 tratte dal Catalogo, si ringrazia la Direzione e l’Editore, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta; sono inserite in ordine di citazione nel testo. Le prime 21 immagini sono tutte opere di Anselmo; le ultime 4 riguardano la Collezione artistica dell’Accademia, 2 per la scultura, 2 per la pittura. In apertura, “Entrare nell’opera” 1971; seguono, “Infinito” 1970, e “Particolare del lato in alto della prima,  I di INFINITO” 6 ottobre 1975; poi, “Interferenza nella gravitazione universale” 1969, uno di 20, e “Dove le stelle si avvicinano di una spanna il più” 2001-19; quindi, “Mentre la terra si orienta” 1967, e “Mentre oltremare appare verso sud-est” 1967-79-2016; inoltre, “Verso oltremare” 1984, e “Grigi che si alleggeriscono verso oltremare” 1982-86; ancora, “Invisibile”, 1970-1998-2007, nell’angolo “Verso oltremare”, e  “Particolare” su pietra; continua, “Particolare” proiettato su angolo, su parete, e su braccio, 1972-2019; prosegue, “Il panorama con mano che lo indica”  1982; poi,“Respiro” 1969, e “Torsione” 1968; quindi, “Per un’incisione di indefinite migliaia di anni” 1969 e “Senza titolo” 1967, infine, per Anselmo, “Il colore mentre solleva la pietra la pietra mentre solleva il colore” 1988-90 ,  e “Lato destro” 1970. Seguono, per la collezione dell’Accademia di San Luca, uno scorcio della Galleria scultorea e Bertel Thorvaldsen, “Le tre Grazie” 1842, espressivo delle 300 sculture; poi un gruppo di dipinti e, in chiusura, Guido Reni, “La fortuna con la corona in mano” 1637, espressivo dei 1500 dipinti.

Guido Reni, “La fortuna con la corona in mano”, 1637

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