Pizzi Cannella, e 12 artisti per il futuro alla Galleria Mucciaccia

di Romano Maria Levante

Nelle due sedi espositive della Galleria Mucciaccia a Roma, due mostre di arte contemporanea, “Pizzi Cannella – En plein air” dal 25 ottobre 2019 all’11 gennaio 2020, a cura della Galleria con l’Archivio Pizzi Cannella editore del Catalogo a cura di Vanessa Crescenzi;  “12 Artists of Tomorrow” dal 25 ottobre al 30 novembre 2019 a cura di Cesare Biasini Selvaggi, che ha curato anche il Catalogo di Carlo Cambi Editore. 

Pizzi Cannella, Opera evocativa dei lampadari ispiratori di San Pietroburgo;

La veste senza volto di Pizzi Cannella

Pizzi Cannella è un artista romano formatosi dal 1975 al corso di pittura di Alberto Ziveri all’Accademia Belle  Arti di Roma, e al corso di Filosofia all’Università La Sapienza, abbinando così al lato artistico quello filosofico.  Ha dato vita alla Scuola di San Lorenzo con gli artisti  Ceccobelli, Dessì e Gallo, Nunzio e Marco Tirelli nel 1982, anno della prima personale  alla galleria “L’Attico” di Fabio Sargentini, con la quale collabora ancora; negli anni  successivi espone a Berlino e a  Basilea in una galleria con la quale collabora fino al 2002. Seguono molte mostre personali in Italia e all’estero, in particolare a Parigi e Saint Etienne, Londra e San Pietroburgo, e nell’ex Jugoslavia con una mostra itinerante.  Si trovano sue opere in  collezioni pubbliche e private a Milano e Torino, Bologna e Roma, Vienna, Tolone e Villingen-Schwenningen, San Pietroburgo e Pechino. Notorietà e prestigiosi riconoscimenti alla sua caratura artistica.

Pizzi Cannella, “Bianco d’argento e bianco di Spagna”, 2019

Franco Rella ne definisce così i contenuti: “I quadri di Pizzi Cannella raccontano tutti una storia, o meglio un capitolo di storia che si intrama  e che si dipana aprendo più di un dilemma. Una storia di ricerca, di esplorazione, di viaggio”. In questo  ambito si pongono i 9 quadri esposti che presentano un’evoluzione  molto significativa: “Siamo di fronte a un nuovo capitolo  che narra l’attraversamento dell’ombra, quando in opere del passato talvolta la luce sembrava illuminare non la cosa ma le tenebre stesse”. E prosegue: “Siamo ora di fronte al tentativo di riconquistare la luce, e con la luce abbiamo anche la riconquista dei colori del mondo, come fossero colori mai visti prima”.  Con questa conclusione: “E poi, alla fine, la conquista del bianco, che forse è al di là sia dell’ombra che della luce, che di fatto – come scrive lo stesso Pizzi Cannella – nel suo eccesso di ombra, è invisibilità”. Si sente la formazione filosofica dell’artista in quest’affermazione, che porta Rella a commentare: “Si apre un nuovo capitolo,  si apre una nuova strada, un nuovo itinerario che deve essere ancora esplorato, su cui è necessario interrogarsi”.

Pizzi Cannella, “Eterno giorno“, 2019

Di qui l’importanza di questa mostra, che presenta opere nate da esperienze dirette da cui trae origine la svolta, se così si può chiamare.  L’artista ricorda di essere stato folgorato dalla luminosità abbagliante dei grandi lampadari alla mostra di San Pietroburgo  che “sembrava splendessero proprio per  rendere manifesta, per rendere visibili l’oscurità e la notte”; i caravaggeschi lo ricercavano nella pittura “a lume di notte”,  con la fioca luce delle candele o delle lanterne e le ombre circostanti sia nei temi religiosi e mitici sia in quelli profani, taverne e allegre brigate. Nel mito di Orfeo, in cui spesso l’artista è stato identificato,  viene vista la fonte della “contiguità tra la luce  e la tenebra, come del resto tra la vita e la morte”.

Pizzi Cannella, “L’oro”, 2019

Nei 9 quadri del nuovo corso di Pizzi Cannella, tutti del 2019, di grande formato, cm 200 per 155,    sentiamo aleggiare il mito di Orfeo, con la ricerca di Euridice nell’Ade  per ritrovarla e poi perderla  di nuovo essendosi voltato a guardarla. Infatti vediamo un’immagine che torna persistente come se la memoria non volesse abbandonarla,   cerca di sfuggire e viene ripresa ogni volta, ma è il volto che viene a mancare in questo  novello mito di Orfeo in cui di volta in volta intervengono nuovi particolari a contorno della veste sempre al centro della composizione in ognuno dei quadri,  in 7 è bianca.

Pizzi Cannella, “Bagno turco”, 2019

La  veste,  che emerge da sfondi di un cromatismo variegato – con dominante arancio e verde, rosso e oro – è corredata da oggetti che di volta in volta ne marcano il momento e il significato evocativo.  “Una sorta di ansia redentiva sembra animarlo – osserva ancora Rella – e spingerlo negli anfratti della memoria, per riportare alla luce schegge, frammenti di cose  che lì si sono perdute”,  e  danno il titolo alle opere:  “Corallo” e  “Le perle”, “Marina o madreperla” e “Bagno turco”. Altri titoli derivano dall’aspetto evocato, “Esterno giorno”  e “Ombra cinese”, o dalla dominate cromatica, “L’oro”, “Verde ,verde, verde”, “Bianco d’argento, bianco di Spagna”.

Pizzi Cannella,“Verde, verde, verde”, 2019

 Rella  – che ha definito “una storia per immagini”  questa serie di opere realizzate nel corso del 2019 in tempi ristretti –  cerca di dare ad esse una sequenza, come capitoli di un racconto che procede nella ricerca del bianco e culmina  con le vesti “Bianco d’argento” ed “Esterno giorno”.  A noi sembra che in queste due opere, insieme a “L’oro”, al bianco che invece trionfa nelle altre si sovrappongano una sorta di quadrettatura nel primo, un oscuramento nel secondo, l’indoratura nel terso. 

Pizzi Cannella, “Marina o madreperla”, 2019

Potrebbe anche partire da qui per mettere a fuoco via via i reperti della memoria, nei quali la veste recupera il suo biancore, con i contorni o gli oggetti che ne fissano il momento, come le mattonelle del Bagno turco”,  il prato delVerde verde verde”  e l’accavallarsi  di “Marina o madreperla , l’Ombra cinese” con i vasi  e la spilla di “Corallo” appuntata alla veste, fino alle Perle” che per noi rappresenta il culmine del viaggio nella memoria, attraverso i luoghi evocati per fissarsi al termine  sulle collane che adornano  il “decolletè”. Ma qui un’ombra nera oscura la metà superiore della veste, come se la vicinanza al volto abbia creato l’oscurità impenetrabile.  Il viso è dunque irraggiungibile, tra i frammenti della memoria manca l’elemento centrale.

Pizzi Cannella,“Ombra cinese”, 2019

Sempre secondo Relle l’artista è alla ricerca di un “altrove”,  non cerca di restaurare ciò che è avvenuto, come il viandante delle “Partenze” di Kafka  che alla domanda di dove andasse rispose “Via di qui, questa è la mia meta”.   E’ lo “spazio di mezzo” tra la luce  e il buio, dove il colore  irrompe finché  non sprofonda nell’oscurità o viene sopraffatto dall’eccesso di luce. “Questo spazio di mezzo è la patria di Pizzi Cannella, . Qui si disegnano le mappe non euclidee dei suoi viaggi spirituali. Qui abitano le figure che sono nelle sue opere, insieme alle cose che queste figure portano con sé; che gli consegnano, o che lui offre  a loro,  come un bene augurale perché possano stare, possano con lui abitare questo spazio”. 

Pizzi Cannella,“Corallo”, 2019

La figura dei 9 nuovi dipinti è la veste bianca senza volto, con le cose che porta con sé,  come se voglia  allontanarsi dai ricordi delle figure femminili che la indossavano,  dimenticando i corpi e soprattutto i volti,  come per esorcizzare il passato, mentre si aggrappa ai ricordi rimasti vivi  nella memoria espressi negli oggetti e nei luoghi. Il critico ne parla così: “Lui intravvede dentro di sé i volti delle donne che hanno abitato  i suoi dipinti, che abitano tutti e nove  i dipinti di questa nuova sequenza, ma che non vediamo.  E avanza una serie di ipotesi:  “Forse sente pronunciare anche i loro nomi.  Probabilmente intuisce a chi appartengano gli oggetti  che via via ha fatto emergere e portato alla luce”. Poi pone questi interrogativi: “Dove ha sentito questi nomi? Dove ha visto quei volti?  Quando sarà possibile comunicarli?”.

Pizzi Cannella, “La perla”, 2019

Pensiamo non ci siano risposte, perché sono “cose che ormai appartengono al tempo perduto”, restano i frammenti che aiutano a ricordare ciò che non può più turbare; il resto al quale invece potrebbe essere associata qualche inquietudine non si intravede neppure in dissolvenza, è addirittura cancellato.

Tutto questo si manifesta in modo ancora più evidente nell’inattesa prosecuzione, sempre per immagini, dell’intrigante storia,  con  altre 3 opere, sempre del 2019 e  delle stesse dimensioni di quelle  già commentate, con “Nottambulo” nel titolo,  l’oscurità laddove nei precedenti 9 dipinti c’era stato il trionfo del bianco,  con la luce, anche fortemente cromatica, vittoriosa sul buio.  Ma “lux se ipsam et tenebras manifestat”, secondo Spinoza, ed è giunto il momento di “manifestare” le tenebre, e non soltanto gli oggetti e gli ambienti evocati, che in parte restano o vengono sostituiti.

Pizzi Cannella, “Nottambulo”, 2019

In “Nottambulo”  è come se la collana, che ci è apparsa il culmine della storia evocata nei 9 dipinti, avesse sparso e moltiplicato le sue perle e anche la macchia oscura  che abbiamo sottolineato facendo perdere ogni forma alla metà superiore della veste bianca; fino a incontrare un’ondata di bianco dov’è scritto il titolo,  espressione visiva della lotta del buio con la luce.  Il buio  invade l’intero dipinto in “Nottambulo, le stelle”, ma ci sono una ventina di punti luminosi che spiccano, di cui 6 nella veste di cui si intuiscono appena i contorni di un nero di poco più chiaro.

Pizzi Cannella, “Nottambulo, le stelle”, 2019

Finché in “Nottambulo, l’oro”   è la preziosa doratura a sconfiggere il buio e riportare la veste nella sua immagine evocativa, “l’oro sembra crepitare  e screziarsi nella veste per poi spargersi in lame luminose  in tutta la superficie”, l’oro che diventa luce.  Al culmine riappare una collana, non in 4 fili neri come nel citato  “Le perle”, ma d’oro,  ben definita nei suoi dettagli; non c’è il volto sopra il “decolleté”,  bensì un  pendaglio commentato così da Relle: “C’è un punto in cui il nottambulo trova nella notte un punto luminoso, forse più luminoso delle stelle. E’ il gioiello che pende da una collana anch’essa d’oro. Un gioiello, una goccia d’oro trasparente”. 

Pizzi Cannella, “Nottambuli, l’oro”, 2019

E’ questo il termine del viaggio suggestivo che abbiamo compiuto con le 12 opere dell’artista, “un viaggio prodigioso, che affonda nel passato, da cui cerca di strappare  e quindi di salvare cose e immagini e che di lì  si spinge sempre più lontano”. Con questa prospettiva: “Alla ricerca di una verità che gli oggetti salvati dall’oblio sembrano promettere, come se la speranza di luce che essi racchiudono in sé illuminasse anche i sentieri della notte verso quell’altrove in cui forse possiamo trovare ciò che ci permetterà di andare ancora più avanti”. 

Alle parole del critico aggiungiamo l’evocazione del mito di Orfeo con cui abbiamo iniziato,  ripensando ai volti cancellati dall’oblio che invece salva gli oggetti. “Dieci ragazze per me” cantava Lucio Battisti, qui avremmo anche l’undicesima, con la collana e pendaglio d’oro.  Attendiamo che l’artista ce la riveli.

Pizzi Cannella, Un’altra immagine evocativa

Le avanguardie nei “12   Artists of  Tomorrow”

Dall’assoluto protagonista pittorico-filosofico, l’artista affermato e intrigante  Pizzi Cannella,  si passa, nell’altra sede espositiva della Galleria ad altri  soggetti, con un protagonista diverso, il critico  Cesare Biasini Selvaggi che a metà del 2019 aveva curato in questa stessa sede la mostra “Aftermodernism” sui due artisti americani Busby e Samson. Questa volta dà conto della sua ricerca dei nuovi talenti nel nostro paese, quasi in parallelo a quella dei curatori della 17^ Quadriennale di Roma.  Sono stati individuati “222 artisti emergenti su cui investire. Selezionati dai più prestigiosi curatori, critici, giornalisti e gallerie d’arte” per un lavoro editoriale  curato per Exibart nel 2018-19. Rappresentati i vari generi,  non solo pittura  e scultura, fotografia e ceramica, ma anche installazione e tessitura, nei  loro linguaggi molto diversi ed eterogenei. 

Dario Agrimi, “Ascesa”, 2012

Il 5% di loro espone nella mostra che – spiega Biasini Selvaggi – “attraverso gli artisti invitati, intende presentare un segmento della linea emergente dell’arte contemporanea italiana, tuttavia sufficiente a dare un’idea  della complessità del mondo odierno, della molteplicità delle  pratiche nell’arte”. Sono artisti formatisi nelle Accademie d’Arte italiane, ma con importanti esperienze all’estero.

 Le tematiche sono quelle più attuali, anche in questo caso, come nella 16^ Quadriennale dell’ottobre  2016 – non si conoscono ancora i temi di quella dell’ottobre 2020  – trovano posto le visioni,  a volte politicizzate,  dei dibattiti in corso. Non potrebbe essere altrimenti trattandosi di globalizzazione e migrazione,  sviluppo e ambiente, tecnologia e persona umana, informazione, cultura e forme di controllo,  tempo e memoria, fino alla più esplicita critica politica e istituzionale.

Giulio Alvigini, “Take me to the Venice Biennale and Fuck me
in the Italian Pavilion”, 2019

Intento della  mostra è  “fondare nuove piattaforme di incontro, tornare dalla community alle comunità”  offrendo “una visione concreta dello stato di fatto delle cose, della multi-individualità di andature teoretiche e tematiche della ricerca più giovane”. Biasini Selvaggi precisa che si tratta in parte di “artisti in erba”, in parte  con “alle spalle già un cursus honorum di tutto rispetto” , tutti “meritevoli di investimento, da considerarsi prima di tutto di natura culturale”.  E questo “per una forma di mecenatismo verso quei talenti che spesso devono arrangiarsi da soli”. La sua è anche una denuncia verso la disattenzione  nei riguardi degli artisti giovani, perché più problematici e imprevedibili,  mentre occorre  “accostarsi con fermezza, anche con durezza. Ma in maniera costruttiva. E personale. Frequentandoli. Accompagnandoli”.

Nicole Voltan, “Survive the future: “Tiangong-2, Skylab, MIR”, 2019

Lo faremo anche noi accompagnati a nostra volta dalle note del curatore che per ogni artista fornisce  un breve ritratto e per ogni opera esposta una sintetica nota critica. Iniziativa importante perché  spesso la sfiducia nelle avanguardie giovanili dipende  dalla difficoltà di comprendere e interpretare  i tanti eccessi dell’arte contemporanea – come la banana con lo scotch di Cattelan – che qui  non vediamo,  anche se l’inventiva e l’originalità, spesso sorprendente, non mancano.

E’  spiazzante la prima opera che accoglie all’ingresso: una figura maschile vestita di scuro in acrobatica quanto improbabile posizione obliqua a 45 gradi su un tappeto persiano, sembra viva pur nella sua immobilità, è definita “fotografia tridimensionale”, ma è una sorta di statua di materiali vari.  Autore  Dario Agriminato ad Atri nel 1980, opera a Trani  in diverse forme espressive, comprese pittura e scultura, fotografia  e video, oltre a installazioni come quella esposta  con la quale porta avanti la sperimentazione “nei termini della simulazione iperrealista  e degli effetti di realtà”. E’ iperrealista la figura in bilico, sembra vera quanto irreale nella sua collocazione. Le sue opere sono “di forte valenza concettuale, caratterizzate da  un deciso sarcasmo”, qui si esprime nel titolo “Ascesa”, quando sembra invece che stia per cadere data la posizione: è un messaggio volitivo sulla capacità di elevarsi a dispetto di ogni apparenza, e, nel contempo, un’espressione di arte concettuale: “Perché le cose, molto spesso, non sono ciò che sembrano”.

Canemorto, “Congo Mixtape”, 2019

Altrettanto spiazzante ma priva di qualsiasi effetto coinvolgente,  anzi  per noi deteriore,  l’opera di Glulio Alvicini, nato a  Tortona nel 1995, lavora a Torino,  è giovanissimo  e presenta un drappo  granata con la scritta  “Take me to Venice Biennale and Fuck me in the Italian Pavillon”, 2019,   appeso alla finestra  sopra l’ingresso della Galleria Mucciaccia con  visibile  all’interno la figura obliqua dell’”Ascesa” di Agrimi.  Biasini Selvaggi  considera la  scritta una reazione al dannoso isolamento dell’arte giovanile entro i confini nazionali,  “un invito sfrontato e provocatorio, uno slogan beffardo che sintetizza una necessità: ritagliarsi un nuovo protagonismo nel palcoscenico mondiale, partendo proprio da quella kermesse internazionale che – anticipando tutti – nel 1895 abbiamo avuto modo di inventare”.  Il problema esiste,  ricordiamo le iniziative per promuovere la nostra arte contemporanea all’estero della “Quadriennale di Roma” – con i bandi semestrali del  programma “ Q-Internationale” – e del MiBACT. Ma non è con questa forma espressiva che ci sembra possa venire un contributo positivo, crediamo avvenga tutt’altro.

Roberto Alfano, “Obsessive Thoughts”, 2014

Un tessuto è utilizzato anche da Nicole Voltan, veneta del 1984 che vive e lavora a Roma, in “Le costellazioni sotterranee”, 2019, su tre strati di fodera Bemberg  vi sono  tracciati  per esprimere  l’elevarsi verso l’alto alla ricerca di un orizzonte sereno,  lo ricolleghiamo  alla ”Ascesa” di Agrimi, anche se l’ottica non è personale ma collettiva,  il soggetto non è l’individuo ma la società. Che vive tra il “mondo di sotto, sotterraneo antro labirintico” delle metropolitane cittadine, e il “mondo di sopra  celato nell’oscurità delle stelle”.  Un concettualismo,  peraltro, non percepibile, di qui l’importanza di fornire le chiavi interpretative lasciando poi libero il giudizio dell’osservatore. Ben diversi gli acrilici su tela “Survive the Future”, 2019,  tre veicoli spaziali nei loro dettagli figurativi.

Su tessuti cuciti a mano la pittura spray dal forte cromatismo di Canemorto, un trio milanese non meglio identificato fondato nel 2017,  operante  a livello europeo anche nell’arte di strada, oltre che in quella ufficiale; nell’opera esposta intitolata “Congo Mixtape”,  2019,   “l’intervento pittorico è volontariamente   ridotto al minimo perché  il dialogo  e il contrasto tra le cromie e le decorazioni dei tessuti sono l’elemento portante  di questa serie di opere”.  In quella esposta una sorta di viso velato  appena abbozzato si staglia sui motivi ornamentali di due tessuti sovrapposti.

Laurina Paperina, “Burning 80’s”, 2019, al centro

La pittura  in tecnica mista su tela  la troviamo in due opere,  la prima di Roberto Alfano, da Lodi dove è nato nel 1981 a Milano, impegnato nel  “laboratorio artistico-esperienziale definito ‘Arte Contemporanea Generativa”  che utilizza “tecniche  e linguaggi interdipendenti” volte “alla rivelazione di bisogni e alla generazione di autonomie”.  E’ intitolata “Cacciatore di stelle,   2019, radicalmente diversa nel soggetto  pur assonante e nella forma espressiva  dalle “Costellazioni sotterranee” della Voltan, qui vediamo una figura centrale e oggetti nella dimensione esistenziale in un cromatismo violento e contrastato:  “L’opera è dedicata all’ambizione, analizzata attraverso la dicotomia di questo sentimento egocentrico e distruttivo, o benefico e costruttivo”.  In “Strane creature stanno per dissolversi alla fonte della vita”  il contrasto tra spiritualità e brutalità della vita, in “Obsessive Thoughts”  le ossessioni dell’esistenza, con la gloria e la quotidianità, sono del 2014.

Diego Cibelli, “Generosity Generation”, 2018

Nella seconda opera pittorica su tela irrompe uno spirito apparentemente ludico, l’artista è Laura Paperina, di Rovereto,  del 1980, vive e lavora anche a a Duckland.  “Burning 80’s”,  2019,  è il titolo dell’intera composizione e anche dell’immagine centrale  circondata da 13 quadretti  sui piccoli personaggi infantili, con una grande figura centrale dal volto rosa, lunghe orecchie e una bocca larga. Si tratta di “una realtà parallela al mondo in cui viviamo, popolato da falsi miti e leggende, dove eroi e antieroi del nostro tempo sono rivisitati in maniera ironica, e a tratti, dissacrante”.   Tutti  “rubati alla cultura popolare, decontestualizzati dai loro mondi di appartenenza, e senza il fine di un racconto”,; nell’immagine centrale “un affollato scenario apocalittico si fonde con si fonde con l’iconografia pop  e la satira sociale”.

Francesco Pacelli, “The anachronism of the species makes us very fragile”, 2018

Dalla pittura alla scultura, in varie modalità espressive. Diego Cibelli, napoletano del   1987, che vive e lavora anche a Berlino, nell’opera esposta, Generosity Generation , 2018, presenta  30  vasi con monete e 6 sgabelli, in ceramica, da lui utilizzata anche per marcarne la provenienza territoriale in modo che “la costruzione di questo senso di appartenenza generi  a sua volta diversi stili di vita”.  Un video contestualizza l’opera,  con la storia di un gruppo di ragazzi australiani laureati che – nel bar di Berlino dove lavorano – decorano, come nella “latte art”, i cappuccini dei clienti e con le mance si finanziano per poter dipingere i vasi  in ceramica; speculari degli artisti “bohemienne” che davano i quadri in cambio di cibo e bevande.

Molto diversa la “scultura”  in vari materiali – resina e ferro, gesso e tela, cellulosa e acrilico – di Francesco Pacelli,  nato  a Perugia nel 1988, vive e lavora a Milano. Nel  suo “The anachronism of the species makesus very fragile”,  2018,  “una struttura dalle sembianze biologiche viene alterata, intrecciandosi geneticamente con una propaggine luminosa dall’atteggiamento sinuoso, quasi fosse il frutto di una sperimentazione  bio-tecnologica  di un potenziale mondo futuro o di una realtà parallela”.  In questo modo l’autore evoca  il contrasto tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale: “i processi che si stanno innescando grazie a questo istinto sperimentale e creativo in grado di atterrare in maniera così dirompente lo scenario in cui l’umanità è immersa”. Le parole di Biasini Selvaggi sono ancora più illuminanti del solito sul contenuto e significato altrimenti indecifrabile.

Matteo Negri, “Questa costruzione l’ha fatta mia figlia di 5 anni” , 2018

Accostiamo liberamente  alla scultura le 4 costruzioni tipo “Lego”,  con strisce colorate sul supporto,  di Matteo Negri, di San Donato Milanese, 1982, un sobborgo di Milano, città in cui vive e lavora, interessato al “ruolo percettivo della superficie e del colore”, in relazione “alla geometria, al fenomeno della variabilità cromatica e della riflessione a specchio “. I titoli, “Overheat please rebbot”,  “Lookalike ” 2017,  “L’architettura come rivoluzione”, 2018, sono indecifrabili, a meno di usare come criterio interpretativo l’involontaria  “confessione”  nel  titolo  della 4^ opera, ”Questa costruzione l’ha fatta mia figlia a 5 anni” , 2018. Diciamo involontaria perché poi afferma di aver impiegato “dispositivi stranianti in grado di alterare l’ordinaria percezione dei volumi e piani. Grazie  a tale modalità l’opera cessa di essere una forma fissa e assoluta una relazione con il contesto e con lo stesso osservatore che, in qualche modo, la contaminano in un gioco di continui rimandi visivi”. Continuiamo a preferire l’interpretazione che viene dall’”involontaria” confessione del titolo, di matrice  freudiana, non ci convince quella che sembra una tardiva ritrattazione….. 

Viola Pantano, “Una giovane donna, anni 17, un’isola, il KSC,
uno space shuttle: l’Atlantis”, 2017

E siamo, infine, alle opere fotografiche, stampe su carta  ben definite nei soggetti raffigurati. Viola Pantano,  Alatri, 1987, vive e lavora anche a Roma, con le sue “Chamber”, 2014  – vediamo esposte la 1th, 2nd, 5th –  “ama esaltare, quasi in maniera ossessiva, diverse connotazioni sociali della quotidianità”, offrendo “una realtà totalmente trasfigurata” che però all’artista  non risulta alterata perché “anche i nostri sogni hanno un loro posto nella realtà e, fondendo tutto ciò, nasce un immaginario che è il suo”.  In ogni “chamber”  senza soffitto, che evoca “il cielo sopra le nostre teste”  nella vista dall’alto si scoprono improbabili interni  con due giovani che giocano con il calcetto oppure si divincolano tra bolle, piatti e berretti che volano tutt’intorno. Ma non c’è la suggestione del  “cielo in una stanza” della canzone di Paoli, bensì un clima surreale. Come in “Una giovane donna, anni 17, un’isola, il KSC, uno space shuttle: l’Atlantis”, 2017,  si distingue solo la persona a braccia larghe al centro di un prato con piccoli grumi di nuvole  che ruotano  nell’aria.

Francesco Levy,”Azimuths of Celestial Bodies”, 2016

Le altre due stampe fotografiche evocano la memoria, autori i due artisti più giovani della mostra.  Memoria personale e familiare in “Azimuth of Celestial Bodies”, 2016, una serie di Francesco Levy, nato nel 1990 a Livorno, dove vive  e lavora: in una stampa vediamo un mappamondo luminoso sul  tavolo con tovaglia variopinta e sfondo oscuro; nell’altra si va all’aperto, un uomo  in pantaloni e camicia bianca e un tappeto in spalla che ne nasconde la testa con dietro una  folta vegetazione, dall’archivio personale di immagini e ricordi “una storia più narrativa che filologica”. Memoria collettiva  in “Errante”, 2015, di Dario Picariello,  nato nel 1991 ad Avellino, vive e lavora a Milano,  lo spazio è un “luogo-palcoscenico sul quale rappresentare un’azione. L’azione altro non è che l’evocazione della storia di quel luogo” basata su una ricerca antropologica.  Si vede in “# 3 (La muta)”,   e in “# 10” della serie, in ciascuno una figura femminile bendata, con diversi oggetti simbolici, tra passato e presente, un’idea “sospesa tra tradizione  e innovazione,  fissità e variazione”; ed è significativo che il più giovane artista si ponga su questo crinale.

Al termine della visita alla mostra, fonte di tante sorprese con qualche sconcerto, possiamo concordare con Biasini Selvaggi: “Peraltro, l’immersione nel mondo della ricerca emergente, più che mai in un territorio nazionale storicamente versatile come il nostro, è sempre entusiasmante”.

Dario Picariello, “Errante (La muta) # 3”, 2015

Info

Galleria Mucciaccia, Largo della Fontanella Borghese 89, Roma. Da  lunedì a sabato, ore  10.00 – 19.30; domenica chiuso. Tel. 06 69923801, segreteria@galleriamucciaccia.it| www.galleriamucciaccia.com. ingresso gratuito. Cataloghi: “Pizzi Cannella, En Plein Air 2019″, a cura di Vanessa Crescenzi, Archivio Pizzi Cannella, ottobre 2019, pp. 64, formato 29 x 25; “!2 Artists for Tomorrow”, a cura di Cesare Biasini Selvaggi, Carlo Cambi Editore, ottobre 2019, pp. 64, formato 20,50 x 21,50. Dai Cataloghi sono tratte le citazioni del testo. Sulle mostre citate, cfr. i nostri articoli: in questo sito sulla “Quadriennale di Roma “ 13 marzo 2020, e sulla mostra “Aftermodernism” 26 giugno 2019; in www.arteculturaoggi.com sulla “16^ Quadriennale di Roma ” 16 giugno, 24, 27 ottobre, 1°, 29 novembre 2016.

Photo

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Galleria Mucciaccia alla presentazione delle due mostre, meno le n. 2, 3 della prima mostra e le n. 2, 8, 9 della seconda mostra, tratte dai Cataloghi, si ringraziano la Direzione della Galleria e gli Editori, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Le prime 14 immagini sono opere di Pizzi Cannella; le successive 13 immagini opere dei “12 Artists for Tomorrow”. In apertura, Pizzi Cannella, Opera evocativa dei lampadari ispiratori di San Pietroburgo; seguono, tutte del 2919, “Bianco d’argento e bianco di Spagna” e “Eterno giorno”; poi, “L’oro” e “Bagno turco”; quindi, “Verde, verde, verde” e “Marina o madreperla”; inoltre, “Ombra cinese” e “Corallo”; ancora, “La perla” e “Nottambulo”, continua “Nottambulo, le stelle”, e “Nottambuli, l’oro”, chiude la nostra galleria di Pizzi Cannella un’altra immagine evocativa. La nostra galleria dei “12 Artists for Tomorrow” si apre con Dario Agrimi, “Ascesa” 2012; seguono, Giulio Alvigini, “Take me to the Venice Biennale and Fuck me in the Italian Pavilion” 2019, e Nicole Voltan, “Survive the future: “Tiangong-2, Skylab, MIR” 2019; poi, Canemorto, “Congo Mixtape” 2019, e Roberto Alfano, “Obsessive Thoughts” 2014; quindi, Laurina Paperina, “Burning 80’s” 2019 al centro, e Diego Cibelli, “Generosity Generation” 2018; inoltre, Francesco Pacelli, “The anachronism of the species makes us very fragile” 2018, e Matteo Negri, “Questa costruzione l’ha fatta mia figlia di 5 anni” 2018; ancora, Viola Pantano, “Una giovane donna, anni 17, un’isola, il KSC, uno space shuttle: l’Atlantis” 2017; infine, Francesco Levy,”Azimuths of Celestial Bodies” 2016, e Dario Picariello, “Errante (La muta) # 3” 2015; in chiusura, nuova immagine di “Ascesi” di Agrimi, nella parete a sin. “Errante (La muta) # 3” di Picariello, a dx “Survive the future: Tiongong-2” di Voltan.

Nuova immagine di “Ascesi” di Agrim, nella parete a sin.
“Errante (La muta) # 3” di Picariello, a dx “Survive the future: Tiongong-2” di Voltan

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