Valdés, 1. Il tempo e la materia nei “d’aprés” della memoria, al Palazzo Cipolla

di Romano Maria Levante

Manolo Valdés, “Rheina Mariana”, 1997

La mostra “Manolo Valdés. Le orme del tempo” espone a Palazzo Cipolla circa 70 opere dell’artista spagnolo, tra grandi dipinti e sculture. Il periodo di apertura previsto inizialmente dal 17 ottobre 2020 al 10 gennaio 2021 è stato prorogato per la pandemia, che l’ha costretta  – come  la contemporanea “17^ Quadriennale d’Arte” –  alla chiusura 2 settimane dopo l’apertura e a uno “stop and go” con l’estensione  fino all’11 luglio 2021  Promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presidente Emmanuele F. M. Emanuele,  realizzata da Poema, amministratore  unico Giovanni Le Rose, con Contini Galleria d’Arte, presidente Stefano Contini,  e il supporto tecnico di “Comediarting”, amministratore unico Francesca Silvestri e di  Arthemisia, presidente Iole Siena, E’ a cura di Gabriele Simongini, come il Catalogo  bilingue di Manfredi Edizioni.

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“Ribera como pretexto”, 1988

La presentazione del presidente  Emanuele

La mostra di Manolo Valdés  si pone come tutte le altre manifestazioni culturali, e non solo,  nel bel mezzo della pandemia. Ma ciò che le dà un significato speciale è il collegamento che  il presidente dell’organismo promotore, Emmanuele F. M. Emanuele,  fa tra questi eventi a ciò che avviene nel paese, non soltanto come doverosa attenzione ma come impegno personale “in un momento storico qual è quello attuale, afflitto dall’emergenza sanitaria e dalla conseguente grave crisi economica e sociale che ha colpito il nostro mondo”; a tali emergenze, aggiunge,“oltre che con interventi significativi di sostegno umanitario verso i più bisognosi, mi prodigo per dare  risposta anche attraverso l’arte  e la cultura”. Il  Premio Montale, conferitogli  nel 2019 come ”uomo dal multiforme ingegno”, poeta e intellettuale, docente e  giurista,  manager e imprenditore, è appunto il prestigioso  riconoscimento “alle innumerevoli attività sociali, economiche, culturali e artistiche da lui gemmate nei Paesi del sud Italia e del bacino del Mediterraneo” con costanza e dedizione.

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“Francesco d’Este”, 1991

  Emanuele  ribadisce il suo ben noto pensiero secondo cui arte e cultura sono “gli unici veri asset del nostro paese, in grado di contribuire ad alleviare la penosa condizione esistenziale in cui si trovano i nostri concittadini”. Il nesso tra problemi umanitari ed economico-sociali da un lato e l’arte  e la cultura come asset fondamentali dall’altro viene declinato oltre che nell’impostazione teorica,  in pratica dato il suo impegno diretto in questi campi. Ricordiamo ancora quando intervenne in ritardo alla presentazione della mostra di Ennio Calabria per i suoi impegni umanitari, e lo stesso accadde nel febbraio dello scorso anno alla maratona poetica “Ritratti di poesia” nell’Auditorium della Conciliazione. Un esempio  il suo, di come l’arte e la cultura possano dare una spinta in più anche per ritrovare quello scatto d’orgoglio che ha sempre fatto risorgere il nostro Paese nelle emergenze, per entrare in sinergia con le iniziative umanitarie, in un  nobile mecenatismo artistico e benefico.

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“Yvette IV”, 2004

In merito all’artista, sottolinea  “l’attitudine ad attingere in maniera del tutto trasparente  e naturale al repertorio artistico del passato per riproporlo in chiave contemporanea”, e in questo trova conferma alla propria  convinzione  “che l’arte è un fluire ininterrotto, un dialogo costante tra i grandi di ieri e di oggi”. Infatti  “l’opera di Valdés è in questo senso  una revisione continua del passato, un mosaico che si compone di centinaia di tessere, una rappresentazione  che nasce dall’accumulazione e dall’appropriazione di tante  altre immagini saldamente entrate nella nostra cultura visiva,  di reminiscenze di tutte le civiltà e di tutti i tempi”. Tutto ciò “lo rende un artista  a tutto tondo, perfetto interprete del nostro tempo e della nostra società”.

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“Retrato sobre fondo verde”, 2012

Il  tempo come “forza latente” e il “correlativo” nella materia-memoria

Dopo aver inquadrato con le parole dell’ideatore e promotore della mostra il suo valore nel momento attuale e il suo significato più alto, entriamo nello specifico per poter passare poi alla galleria espositiva a ragion veduta sul piano dei contenuti e della forma stilistica prescelta. Iniziamo dalle parole dell’artista: “Noi costruiamo su ciò che la storia dell’arte ha messo nelle nostre mani”, cui fa eco  Wind: “Il passato  non viene distrutto dal presente, ma sopravvive in esso come forza latente”.   Storia, passato  e presente,  viene evocata l’azione penetrante del tempo  in un modo del tutto insolito, come è insolito ciò che ne scaturisce nell’opera artistica di Valdés.

“Retrato de una joven”, 1992

Il curatore Gabriele Simongini – che ha curato a dicembre 2018  la mostra di Ennio Calabria “Verso il tempo dell’essere –  torna con “la forma del  tempo”. Definisce Valdés “il giocoliere del tempo lineare disintegrato  e poi trasformato in opere dalla natura ibrida , essendo nuove ed antiche senza soluzione di continuità”,  Nella direzione tracciata da Walter Benjamin: “Il passato esiste ed è al lavoro  appassionatamente nelle cose, in tutte le cose, talvolta come lutto e fantasma che non smette di perseguitarci nel presente”.

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“Retrato en blanco y royo” , 1988

Questo nella vita, e anche nell’arte, “perché in fondo l’arte, la grande arte è sempre contemporanea”.Simongini cita Bergson che  afferma: “La durata è l’incessante progredire del passato che intacca l’avvenire e che, progredendo, si accresce. E poiché si accresce continuamente, il passato  si conserva indefinitamente… l’accumularsi del passato su se stesso continua senza tregua. In realtà il passato si conserva da se stesso, automaticamente.  Esso ci segue, tutt’intero, in ogni momento”.  Parole che sorprendono per il termine “progredire” solitamente riferito al presente proiettato nel futuro, mentre Bergson lo riserva in modo motivato al passato. 

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“Rostro tricolor sobre fondo gris”,2006

Dopo aver posto  queste basi di natura filosofica, il curatore osserva: “Il pittore e scultore spagnolo risponde elegantemente alla tirannia di un sistema dell’arte  basato sul pregiudizio del ‘nuovo ad ogni costo’ dimostrando che il ‘nuovo’ ha radici  originarie  e non banalmente originali”. Ed ecco come: “Con le sue opere egli ha creato una sorta di Macchina artistica del Tempo, capace di ‘tornare’nel passato e di modificarlo, facendo nascere un altro universo e realizzando per via intuitiva un sorprendente parallelismo con la teoria scientifica post-relativistica … che ipotizza due frecce del tempo, una rivolta  verso il futuro e una indirizzata verso il passato”.

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“Matisse como pretexto con blanco”, 2018

Valdés segue entrambe le frecce, una  nella individuazione del “passato” da recuperare attraverso le opere che fa rivivere trasformate,  l’altra nell’orientamento al futuro con la scelta dei materiali e di una forma espressiva necessariamente modificata. Lo dice sottolineando che nel recuperare artisti del passato ci mette la sua arte com’è nel presente, non potrebbe concepire una propria opera riferita a un artista del passato senza considerare il tempo intercorso, che porta a inevitabili cambiamenti. “Dipingere è continuare a sommare, ad accumulare, tutto si mescola”. D’altra parte i “nani sulle spalle dei giganti” non c’erano soltanto nel Medioevo, l’aforisma vale sempre.

“Desnudo azul”,1995

Ed ecco come Simongini parla della “Macchina artistica del Tempo” creata dall’artista: “Valdés cambia profondamente, di volta in volta, l’uso stesso della materia e delle materie, ovvero l’essenza stessa dell’esistenza dell’opera nella processualità  che  l’ha generata”. Lo fa In questo modo: “Nelle stratificazioni a palinsesto che, in particolare nelle opere degli  anni ottanta e della prima metà dei novanta, cancellano i volti e le identità delle figure tratte dalla storia dell’arte, la materia diventa il correlativo oggettivo del tempo e della memoria con il suo accumularsi ininterrotto di ricordi”. E’  la “materia-memoria”di Bergson che Valdés collega all’arte vista nel corso della sua storia “in un circuito spiazzante ma colmo d’intensità. Potremmo dire, forzando un po’ la mano, che nelle sue opere memoria e storia dell’arte si materializzano, letteralmente”. D’altra parte lo stesso Valdés afferma: “Io devo creare qualcosa  in cui i materiali sono dominanti, il soggetto è un pretesto”. Materializzazione versus idealizzazione!

“Hommage a Matisse”,1995

Perché questo avvenga  le sue opere così concepite non sono i “d’aprés” che conosciamo in molti artisti nei quali, a parte l’impronta dell’artista che si è ispirato, si conserva sostanzialmente l’identità  delle opere originarie. Ricordiamo De Chirico, che senza stravolgere l’originale lasciava il proprio segno  nei “d’aprés” che Federico Zeri ha definito “monumenti insigni” e “veri e propri capolavori”. Sono stati un punto fermo e un motivo costante della sua rivisitazione del passato, tanto che  prima della  morte aveva iniziato a ri-dipingere il “Tondo Doni” dalla “Sacra Famiglia” di Michelangelo, per un nuovo “d’aprés” dopo quello della fase iniziale della sua vita artistica. Valdés fa delle trasposizioni di genere, da pittura a scultura, con la “materializzazione”, diventa “homo faber”: sarto nei materiali tessili, falegname nelle opere lignee, fabbro in quelle in bronzo. E questo sin dall’inizio, come De Chirico, da quando aveva vent’anni e iniziava il suo itinerario tra i grandi artisti, soprattutto spagnoli, nei suoi “d’aprés” altamente innovativi, spesso divenuti strumento di denuncia  della dittatura franchista.

“Cafetera bla sobre fondo negro”, 1994

Ma oggi, nel dilagare del digitale con i suoi riflessi  anche nell’arte, l’attrazione esercitata dalle sue opere così fortemente “materiche” – nelle quali sembra vi sia  l’imperfezione che  invita  a toccarle –  fa dire al curatore: “Oggi nell’accelerazione del virtuale, in un mondo piatto,  levigato  e  digitale,  le opere di Valdés permettono invece  di esercitare l’esperienza della materia nella sua imperfezione vitale  e la loro fisicità diventa una risposta forte  alla pervasiva smaterializzazione”. Una fisicità che nelle opere più recenti si apre alla “velocità percettiva dei nostri tempi” mediante inserimento nella tela di pezzi di specchio per rendere con i loro riflessi, il senso della frantumazione del mondo d’oggi, ricondotta a unità  con le linee “spesse e pur saettanti” che li collegano. “Ancora una volta ecco emergere lo scambio di ruoli  fra realtà ed illusione”.

“Two grey cones”, 2006

 Valdés, vita e arte

Ma chi è Valdés, come è maturata un’arte così personale e insolita?  Dalla sua biografia se ne segue il percorso, in un ’impegno inesausto  in campo artistico, particolarmente intenso  nel periodo più tormentato della sua e nostra epoca. Nato a Valencia l’8 marzo 1942, dopo aver frequentato per due anni l’Accademia di Belle Arti,  si dedica totalmente alla pittura, ha soltanto 17 anni. Nel 1962, a 19 anni, presenta all’Esposizione Nazionale di Belle Arti l’opera “Barca”, figurativa nel tema e informale nel materiale, e sono subito evidenti i suoi riferimenti ai grandi artisti spagnoli, in primis Velasquez,  poi Picasso e altri.

“Vasijas griegas III”,1995

E’ molto attivo nel portare avanti le tematiche che gli stanno a cuore nel mondo artistico spagnolo: concorre da giovanissimo a fondare gruppi di artisti con visioni innovative: nel 1964, a 21 anni,  il gruppo “Estampa Popular” che usa anche lo strumento pubblicitario e resta in vita solo un anno;  ma lui non si ferma, nel 1965, dopo aver partecipato con successo al XVI Salone della Giovane Pittura di Parigi, eccolo nel  gruppo “Equipo Crònica”, aperto alla Pop Art e a tematiche nuove, con Solbes e Toledo, che lo lascia  presto;  continua a lavorare con Solbes fino alla sua morte  nel 1981.

“Heya”, 1995

 Ottiene il Premio Nazionale delle Arti Plastiche nel 1983 e la Medaglia d’Oro al Festival Internazionale di Arti Plastiche di Baghdad nel 1986.  Due anni dopo si trasferisce a New York dove nel 1992 apre un grande studio per concentrarsi sulla scultura. Dopo aver rappresentato la Spagna, insieme a Ferrer, alla Biennale di Venezia del 1999, nel 2000 torna nel suo paese, ma continua ad alternare i suoi soggiorni tra Madrid,  dove realizza delle sculture per l’aeroporto internazionale, e New York. Si tengono retrospettive nel 2002  al Guggenheim Museum di Bilbao, e nel 2006  al Museo Reina Sofia;  e tante esposizioni, a Pechino e a San Pietroburgo nel 2008,  a Locarno nel 2019, e ora nel 2020-21 a Roma. Oltre alle sue opere nei grandi  musei, da Parigi a New York, .da Madrid a Berlino, sue sculture sono installate in modo stabile nell’arredo urbano delle  prime tre città ora citate, e di Valencia, Montecarlo e Pietrasanta.

“Lydia”, 2006

Impressionante la sua vitalità a livello internazionale, dal 1965 ad oggi: abbiamo contato un numero impressionante di mostre, personali e collettive, oltre 700, di cui circa  140 negli ultimi 10 anni (50 personali e 90 collettive), 235 tra il 2000  e il 2010 (65 personali e 170 collettive) e oltre 360   nei 35 anni precedenti (165 personali e 200 collettive). La mostra attuale  con le 70 opere esposte è al culmine di un percorso che è riduttivo qualificare come sbalorditivo.  Tanto più se consideriamo la presenza in una ottantina di collezioni pubbliche e una bibliografia con una cinquantina di testi a lui dedicati.  Una ventina i premi e riconoscimenti, il primo del 1965 è italiano, del Comune di Biella.

Vasijas griegas madera”, 1998

La  visione dell’arte nelle sue parole

Lasciamo la parola a  lui stesso per qualificarne  l’itinerario artistico: “Noi costruiamo ciò che la storia dell’arte ha messo nelle nostre mani”, afferma solennemente. Ma poi aggiunge: “essa per me è una magnifica scusa per raccontare altro, per fare un discorso più ampio sulla vita umana”. Così  la pensa senza  fare alcuna concessione alle smanie iconoclaste:  “L’arte di ogni epoca ha sempre elementi del passato, si sussegue ed è una somma permanente”.

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Infanta Margarita”, 1993

Per questo non si deve avere la presunzione  delle avanguardie innovatrici che credono di rifondare l’arte al passo dei tempi cancellando il passato: “Ci sono artisti che  credono che annulleranno  tutto ciò che li precede con la loro opera, ma può darsi che ciò che ci precede annulli tutti noi, tutto è mescolato, niente ha messo fine a niente”. Ma lui, salendo sulle spalle dei giganti del passato, come Velasquez, e andando anche oltre nella classicità, si è posto di certo in una prospettiva che va oltre il tempo.

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“Reina Mariana”, 1992

Il  suo orientamento è chiaro:  “Mi sono abituato a guardare il mondo attraverso  gli occhi della cultura”. E i suoi riferimenti ben precisi: “Per farla breve, osservo, apprezzo, e provo simpatia per una mela dipinta da Cézanne. Mi piace il cielo se assomiglia a un Friedrich e amo i girasoli grazie a Van Gogh”.  Ma va ben oltre: “Osservando un dipinto di Raffaello,  posso dichiarare ‘in questo caso l’artista non ha corso  alcun rischio, perché sapeva come andava fatto, e così è stato”.. E, paragonandosi ai cantanti lirici con i temi di repertorio aggiunge: “M piace affrontare il lavoro con  consapevolezza, sicuro del risultato che voglio ottenere”.

Infanta Margarita”, 2000

 Eccolo  sulle scelte personali: “Amo dire che sono un artista di repertorio, come quei cantanti lirici a cui piace interpretare determinate opere perché le cantano meglio. Le immagini sulle quali torno non si esauriscono mai”. Infatti ne vedremo multipli ripetuti in modo appassionato con varianti. Così ne parla l’artista:”La mia scultura ha molto della mia pittura, mi interessa la matericità”. E spiega:  “Negli ultimi anni la scultura ha assunto un ruolo sempre più importante all’interno della mia produzione. Molte volte nasce da un’idea che ho già  dipinto in precedenza. Altre, accade il contrario. Una scultura può ispirarmi un quadro e viceversa un quadro può trasformarsi in scultura”.  Opera così: “Fatto il volume, percorro topograficamente la superficie, per vedere una piccola macchia, un buco, così come non uso mai una tela bianca, non  sono neanche capace di prendere un blocco e tirarne fuori la scultura. Non potrei pormi davanti a un blocco asettico”.

Caballero”, 2005

Più in generale, ecco cosa dice  sull’evoluzione dell’arte  nel valorizzarne la sedimentazione nel tempo con la modernità: “Dal  XVII secolo ad oggi sono successe molte cose e quelle cose si rispecchiano anche nei miei quadri”. Con una confessione che è un omaggio alla modernità da parte di chi si ispira ai maestri del passato: “Sicuramente non potrei fare una testa che nel Seicento fu dipinta a grandezza naturale e farla diventare alta due metri senza che il Pop mi avesse insegnato a farlo. Con il Pop ho imparato che quelle grandi scale avevano un impatto ma anche altri mi hanno insegnato altre cose”.

“Dama a caballo”, 2014

Altre sue osservazioni sempre su un piano generale, pur  con riflessi personali: “Penso che l’idea di un museo immaginario adottata da diversi artisti sia molto bella”. E  precisa così la sua idea:  “Il mio sarebbe sicuramente molto vario e dal punto di vista di uno storico dell’arte, estremamente incoerente”. Il perché è presto detto: “Nascerebbe dall’arbitrarietà e dagli impulsi emotivi. Mi piacciono nello stesso modo i capolavori della storia dell’arte e le opere che si possono incontrare nei corridoi di un museo”. D’altra parte ha confidato: “I musei, la strada, le immagini in generale, forniscono il materiale per le mie opere”. 

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“Mariposas azules, 2016

Non manca una riflessione su chi osserva e valuta le sue opere: “Non c’è niente che mi renda più felice che sentire diverse interpretazioni della mia arte. E’ bello che ognuno legga un’opera a modo suo e che ne tragga  conclusioni diverse e variegate”. Come il libro dello scrittore, così il dipinto o la scultura dell’artista non sono più di chi li ha creati ma di chi ne diventa osservatore e interprete secondo la propria sensibilità e la propria libera valutazione, la pluralità dei giudizi è un valore.

E con la sua osservazione che introduce alla visita virtuale della mostra,  terminiamo queste note introduttive su un artista così speciale. Prossimamente visiteremo la galleria delle sue opere.

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Juno”, 2013

Info

Museo di Palazzo Cipolla, via del Corso 320, Roma.  Dal lunedì al venerdì, ore 10-20 (la biglietteria chiude un’ora prima) sabato e domenica chiuso. Ingresso euro 6,00, ridotti euro 3,00 (under 26 e over 65 anni, studenti, forze dell’ordine, giornalisti, apposite convenzioni), gratuito under 6 anni e diversamente abili acompagnati. Tel. 06.9762559 fondazione@fondazioneterzopilastrointernazionale.it Catalogo “Manolo Valdés. Le forme del tempo”, a cura di Gabriele Simongini, Manfredi Edizioni, ottobre 2020, pp. 192, formato 24 x 29, bilingue italiano-inglese;  dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il secondo articolo sulla mostra uscirà in questo sito domani 18 aprile 2021. Per gli artisti e le altre citazioni del testo cfr. i nostri articoli: in questo sito, sulla 17^Quadriennale d’Arte 1, 2, 3, 4, 5 marzo 2021, Ritratti di Poesia 12 marzo 2020, De Chirico   settembre 2019, il  3, 5, 7, 9, 11, 13, 15 – 18, 20, 22 –  25, 27, 29;  in www.arteculturaoggi.com, Premio Montale a Emanuele 14, 20 aprile 2019, Ennio  Calabria 31 dicembre 2018, 4, 10 gennaio 2019,  Picasso 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018,  De Chirico 17, 21 dicembre 2016, 1° marzo 2015, 20, 26  giugno, 1° luglio 2013, Cezanne 24, 31 dicembre 2013; in cultur.,inabruzzo,it,  Van Gogh 17, 18 febbraio 2011, De Chirico 8, 10, 11 luglio 2010, 27 agosto, 23 settembre, 22 dicembre (sui d’aprés) 2009, Picasso  4 febbraio 2009; De Chirico in “Metafisica” e “Metaphysical Art” a stampa, n. 11/13 del 2013. L’ultimo sito “on line” citato non è più raggiungibile, gli articoli, che sono a disposizione, saranno trasferiti su altro sito. 

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“Alambres II”, 2016

 

Foto

Le immagini, tutte delle opere di Valdés a parte quella di chiusura con l’artista fotografato nel suo atelier, sono tratte dal Catalogo, si ringrazia l’Editore con i titolari dei diritti nonché la Fondazione Terzo Pilastro Internazionale che lo ha cortesemente fornito. E’ inserita una selezione di 25 opere delle 6 tappe della galleria espositiva, non citate in questo articolo di inquadramento generale, ma nel secondo articolo nel quale sono inserite altre 25 opere delle stesse tappe artistiche. In apertura, Manolo Valdés, “Rheina Mariana” 1997; seguono, “Ribera como pretexto” 1988, e “Francesco d’Este” 1991; poi, “Yvette IV” 2004, e “Retrato sobre fondo verde” 2012; quindi, “Retrato de una joven” 1992, e “Retrato en blanco y royo” 1988; inoltre, “Rostro tricolor sobre fondo gris” 2006, e “Matisse como pretexto con blanco” 2018; ancora, “Desnudo azul” 1995, e “Hommage a Matisse” 1995; continua, “Cafetera bla sobre fondo negro” 1994, e “Two grey cones” 2006; prosegue, “Vasijas griegas III” 1995, e “Heya” 1995; poi, “Lydia” 2006, e “Vasijas griegas madera” 1998; quindi, “Infanta Margarita” 1993, e “Reina Mariana” 1992; inoltre, “Infanta Margarita” 2000, e “Caballero” 2005; ancora, “Dama a caballo” 2014, e “Mariposas azules 2016; infine, “Juno” 2013, e “Alambres II” 2016; in chiusura, l’artista Manolo Valdés nel suo atelier.

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L’artista Manolo Valdés nel suo atelier.

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