Auschwitz-Birkenau, 1. Il calvario degli italiani deportati, alla Casina dei Vailati

Il bacio di Papa Francesco al braccio sinistro con il tatuaggio di Silvia Maksymowicz, polacca di origine bielorusse, deportata ad Auschwitz all’età di 3 anni con la madre, nell’udienza generale del 26 maggio 2021 in Vaticano, ha riportato tutti alla tragedia della Shoah. Silvia si è salvata ma non ha più trovato la mamma, è stata adottata, e quando l’ha ritrovata da adulta non ha lasciato la famiglia che l’aveva cresciuta, in una somma di sentimenti filiali. Porta tre regali al Papa, per “memoria” un fazzoletto con la P di Polonia, “per preghiera” un rosario con il ricordo del papa polaccoper “speranza” un dipinto con la madre sul cupo binario di Auschwitz-Birkenau. Apriamo così il nostro racconto della mostra che rievoca la via crucis degli italiani in quei luoghi di disumanità e di morte, come in un film in cui le immagini – fotografie reali e disegni angosciosi – sono più eloquenti delle parole.

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Papa Francesco bacia il tatuaggio di Auschwitz sul braccio di Silvia Maksymowicz, 26 maggio 2021

di Romano Maria Levante

La mostra “Dall’Italia ad Auschwitz”, inaugurata nel “giorno della memoria” il  27 gennaio 2021 a cura della Fondazione Museo della Shoah, che l’ha realizzata nel cuore del quartiere romano intorno al Portico d’Ottavia, la Casina dei Vailati, rievoca la deportazione degli italiani esponendo documenti e livide  immagini del lager, e anche moltissime fotografie nei momenti felici dei nostri connazionali deportati spesso in festosi gruppi di famiglia con l’accurata ricostruzione delle loro biografie. Non si tratta, dunque, della rievocazione impersonale di una tragedia, ne viene fuori una storia, personale e collettiva, quanto mai toccante. Curatori della mostra, come di quelle precedenti, e del Catalogo di Gangemi Editore,Sara Berger e Marcello Pezzetti.

Birkenau, Binario 3, a dx, treno con ungheresi, binario 2, a sin. treno già “ripulito”, maggio 1944

Il meritorio ciclo di mostre documentarie sulla inenarrabile tragedia epocale della Shoah  nella sua nuova tappa  analizza con la consueta accuratezza il tremendo itinerario “Dall’Italia ad Auschwitz”, esponendo i  risultati dell’approfondita ricerca che ne è alla base. E lo fa senza esprimere la forte  indignazione, anzi l’esecrazione e la rivolta dinanzi a tale orrendo crimine contro l’umanità con le parole di fuoco che meriterebbe, ma presentando i fatti nella loro evidenza con una documentazione  sconvolgente.

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Auschwitz,, Foto aerea,15^ US Army Air Force, 13 settembre 1944

Sono esposte le fotografie da album di famiglia dei singoli e di interi gruppi familiari non sopravvissuti, come quelle riprese nel lager e reperite per la mostra, fino a una ricca serie di disegni di sopravvissuti che riescono a sopperire all’assenza di immagini d’epoca, alcuni utilizzati come prove nei processi contro gli aguzzini, e ai ricordi  che fanno rivivere le terribili condizioni di vita dei deportati con le angosce di chi ne conosceva il tragico destino e le ingenue attese di chi ne era inconsapevole fuorviato dalla mistificante messa in scena.

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Tarnow, Cracovia, Primo treno con 758 deportati polacchi per Auschwitz, 14 giugno 1940

Dieci sono i temi e momenti  – che corrispondono ad altrettante sezioni nell’allestimento espositivo –  su cui si richiama l’attenzione del visitatore della mostra e del lettore dell’istruttivo Catalogo, a partire dalla descrizione del “Kl Auschwitz”, del quale si ricostruiscono le diverse fasi di un’utilizzazione sempre più criminale.

Il sistema “concentrazionario” Auschwitz-Birkenau

Si inizia con la 1^ parte di una storia che si dipana come un film dalla “suspence” crescente, “Il complesso di Auschwitz-Birkenau”, l’infernale sistema “concentrazionario” formato dal blocco iniziale e dall’aggiunta successiva di un campo di dimensioni molto maggiori e di tanti “sottocampi”.

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Wladyslaw Siwek, KL Auschwitz. Un treno di deportati all’arrivo, 1940, disegno a tempera

“KL Auschwitz” è la prosecuzione e l’acme della vicenda dei lager tedeschi, “luoghi di detenzione” appositi realizzati dal 1933 per internarvi gli oppositori politici del nazismo, poi estesi a diverse categorie di “asociali”, in una prima fase senza alcun riferimento agli ebrei. Tali lager, alcuni tristemente noti quanto  Auschwitz – come Dacau, Mathausen, Buchenwald – e   i 3 “campi principali” Sachsenhausen, Flossenbug e Ravensbruck, sono entrati in funzione tra il 1933 e il 1939 in una escalation che li fa aggiungere via via mentre il numero di internati “normali”, che il 1° settembre 1939 era di 21.400, era più che raddoppiato in 53.000 a fine 1940.

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Auschwitz, Arrivo di prigioneri di guerra sovietici, autunno 1941

Questo in Germania, poi con l’occupazione della Polonia e l‘intento di “germanizzarla”  vi  furono realizzati campi di internamento, Auschwitz  fu il secondo, aperto il 27 aprile 1940 come campo base, “Stammlager”, ai confini dell’Alta Slesia annessa al Reich. L’intento era di internarvi i membri della resistenza, un mese e mezzo dopo ne arrivarono 728, tra cui alcune diecine di ebrei; in totale,  i non ebrei polacchi internati saranno 150.000, metà non sopravvisse, e 25.000 saranno i prigionieri non ebrei da altri paesi, soprattutto prigionieri di guerra sovietici.  Il campo assumerà varie funzioni nel tempo, di solo transito e di concentramento, lavoro all’interno o smistamento verso aziende,  fino a che la funzione principale diventerà di esecuzione e sterminio.

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Wladyslaw Siwek, Scavo delle fondamenta del blocco 15,1948, disegno a tempera

Nella primavera del 1941 con l’ “Aktion 14f13” prende avvio il criminale progetto di eliminare gli “inabili al lavoro” , l’attuazione inizia ad Auschwitz a luglio con 575 eliminati mediante il gas a Sonnesein perché nel campo non c’erano ancora le camere a gas realizzate a settembre per eliminare, in base al nuovo ”Aktion 14f14”, i prigionieri di guerra sovietici, erano 15.000.  Il complesso “Auschwitz I – Stammlager”  fu potenziato notevolmente aggiungendo al “campo base “ iniziale il campo molto più vasto “Auschwitz II – Birkenau”,  in una prima fase destinato ai prigionieri di guerra sovietici – vi sarà spostata la sezione femminile attivata nella primavera del 1942 – e “Auschwitz III –  Buna Monowitz”,  campo di lavoro per l’industria chimica IG Farben.

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Auschwitz, L’interno del campo,1944

Viene presentata la visione aerea, con nuove mappe assonometriche dell’architetto Peter Siebers, dalle 70 baracche circa del lager originario si passa alle 350 baracche che abbiamo contato nella pianta di Birkenau. Ci sono anche fotografie delle baracche e immagini di deportati, unite a disegni di internati realizzati anni dopo, con una visione  resa lucida dalla memoria di ciò che non si può dimenticare, e lascia l’angoscia nel cuore.

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Birkenau, Foto aerea ,15^ US Army Air Force, 31 maggio 1944

Con “Auschwitz- Birkenau. Lo sterminio sistematico” si comincia a delineare la Shoah: il grande campo di Birkenau fu destinato all’eliminazione degli ebrei appena i prigionieri di guerra sovietici, per i quali era stato progettato nel settembre 1941, furono portati a lavorare nella grande industria. Il 20 gennaio 1942  a Berlino, precisamente a Wannsee, si pianifica la sorte degli ebrei d’Europa, e Auschwitz viene scelta per l’ubicazione  strategica, con il nodo ferroviario e il notevole ampliamento in costruzione; due fattorie di contadini sono adibite a camere a gas (Bunker I e II), con sepoltura e cremazione.

Wladyslaw Siwek, KL Auschwitz, vigilia di Natale 1940, dipinto a olio su tela

Nei mesi successivi gli ebrei vengono deportati a Birkenau da Slovacchia  e  Francia iniziando a marzo, da Polonia e Reich a  maggio, dall’Olanda a luglio, da Belgio e Croazia ad agosto, da Theresiendstat a ottobre, dalla Norvegia a dicembre; anche le strutture di internamento ed eliminazione di altre località sono attivate. Nel 1943 inizia lo “sterminio sistematico” in quattro giganteschi complessi con spogliatoi, camere a gas, e forni crematori, “Krematorium” da II a V, mentre arrivano a Birkenau ebrei dalla Grecia e dall’Italia; inoltre più  di 23 mila rom e sinti soprattutto dal Reich, vengono raccolti  in un settore speciale e messi a morte.

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Birkenau, Costruzione della Komandantur, 1944

Nell’anno che precede la fine della guerra, il 1944, si ha l’arrivo degli ebrei dall’Ungheria nella “Ungarn-Aktion” e da altre parti d’Europa, l’organizzatore è Adolf Eichman. Tranne gli ebrei dei ghetti polacchi, gli altri credono di andare in campi di lavoro, non pensano allo sterminio. La contabilità di Birkenau è agghiacciante: 1.110.000 internati, dei quali 850.000 uccisi, un’ecatombe! Le immagini iniziali della mostra documentano il campo, con piante, ricostruzioni e fotografie di alcuni momenti.

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Birkenau, Bahnrampe, selezione all’arrivo degli ebrei ungheresi, primavera-estate 1944

La deportazione degli italiani

Ed ecco l’umanità calpestata e sfregiata nella 2^ parte, La deportazione ebraica e politica dall’Italia ad Auschwitz-Birkenau – I trasporti”: dai luoghi delle retate e del carcere per gli arrestati, ai convogli per le deportazioni fino alla destinazione; oltre alle notizie,  una galleria fotografica degli album di famiglia delle vittime nei momenti lieti, quando nessuno poteva pensare che degli innocenti fossero vittime della deportazione fino alla spietata eliminazion, spesso all’arrivo da un viaggio disastroso, follia nella follia.

Famiglia Gavijon, Roma: da sin., Susanna, Salvatore, la madre Rea Pardo , il padre Sabino, in prima fila, Leone,. Elia, Marco Mordo, unico sopravvissuto ulimo a destra David non deportato, Trieste, 1939

”La deportazione degli ebrei” italiani con l’intervento della nostra polizia inizia sei anni dopo le leggi razziali del 1938  alle quali seguì, nel 1940, l’internamento e non la deportazione, anzi nelle terre di occupazione le nostre autorità proteggevano gli ebrei non consegnandoli ai tedeschi. Era la polizia tedesca che faceva le retate, come quella del 16 ottobre 1943 a Roma; in Friuli-Venezia Giulia continuerà così, gli arrestati passeranno dal carcere di Trieste al campo di transito della Risiera di San Sabba, e di lì in treno ad Auschwitz, con gli ebrei viaggiavano i deportati “politici”, uomini e donne.

Elio Morpurgo, Udine, 1858-1944, senatore dal 1920, ucciso ad Auschvitz aprile 1944

Dopo l’istituzione della Repubblica di Salò –  seguita alla liberazione di Mussolini che era stato arrestato dal re Vittorio Emanuele III e tenuto prigioniero sul Gran Sasso e all’armistizio dell’8 settembre 1943 – la situazione degli ebrei in Italia cambiò radicalmente sulla spinta criminale dei tedeschi occupanti, non più alleati e anche vendicativi: l’Ordinanza del  30 novembre 1943  incaricò la polizia italiana di arrestare gli ebrei, portati prima nei campi provinciali e nelle carceri locali, e di lì  al campo di Fossoli nei pressi di Carpi  in provincia di Modena. La gestione di Fossoli passò ai tedeschi che organizzarono le deportazioni da febbraio ad agosto 1944, quando fu chiuso e la raccolta e il transito furono trasferiti al nuovo campo di Bolzano-Gries.

Famiglia Bondi, Roma: da sin., Benedetto, il padre Leone, Fiorella, Giuseppe, la madre Virginia Piperno,, 1939, deportati il 16 ottobre 1943 con altri 3 figli Elena, Anna, Umberto da 4 ad 11 anni, tutti uccisi all’arrivo a Birkenau il 23 ottobre

Sul viaggio in treno nei carri-bestiame,  Pio Angelo Rigo, catturato in uno scontro con i partigiani il 7 marzo 1944, vissuto fino a 89 anni, in “Il triangolo di Gliwice” così descrive il trasferimento da Auschwitz a Buchenwald dove sarà liberato tre mesi dopo nell’aprile 1945: “Stretti come acciughe, nei momenti di sbandamento dei carri, quelli che  erano al centro, stanchi e deboli, cadevano a terra senza riuscire a rialzarsi, rimanevano soffocati sotto i compagni”.

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Birkenau, Bahnrampe, selezione all’arrivo degli ebrei ungheresi, prim.- estate 1944, 2^ foto

Ecco la tragica contabilità: dall’Italia furono deportati ad Auschwitz 6.500 ebrei, “di questi 5.578 non fanno ritorno” è la cronaca secca quanto impietosa, sono sopravvissuti soltanto 922.  La retata con deportazione del 16 ottobre 1943 a Roma segnò lo spartiacque perché la “razzia” riguardò non solo gli uomini ma anche le donne e i bambini. Caduta così la maschera ai nazisti,  gli ebrei italiani cercarono rifugio soprattutto nei conventi e negli ospedali: ci furono anche dei delatori, ma molti privati li nascosero rischiando, altri ebrei espatriarono soprattutto in Svizzera o entrarono nella Resistenza. Ricordiamo che tra le forze di liberazione c’era anche una brigata ebraica.

Club Maccabi, Rodi: 3° da sin. Yosef Alcana, pres.idente, tutti deportati e uccisi ad Auschwitz, 1944

Abbiamo già accennato ai “politici” che seguirono la sorte degli ebrei, “La deportazione dei politici” è la successiva stazione della via crucis evocata dalla mostra. Il numero dei  “politici” italiani nel mirino si è moltiplicato dopo l’armistizio dell’8 settembre con l’occupazione dell’alleato divenuto nemico, e l’opposizione agli occupanti in tante forme fino alla resistenza armata. Venivano arrestati dalla polizia tedesca i renitenti alla leva e quelli ritenuti pericolosi per le azioni ostili svolte o che si sospettava svolgessero in modo clandestino, in un clima reso incandescente dagli scioperi operai e dalle varie forme di boicottaggio da parte della popolazione civile, fino alla resistenza armata dei partigiani sempre più numerosi per non cedere ai diktat dell’occupante.

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Famiglia Hasson, Rodi: Nissim con moglie Rachele e figli Fany. Bellina, Fortunata. Haim , solo Bellina sopravvive ad Auschwitz

Di qui le ricorrenti retate e gli arresti spesso per motivi banali come il non rispetto del coprifuoco, o più seri come la borsanera, che comunque non giustificavano il fatto di chiamarli “politici”. Per tutti, in modo indiscriminato, l’arresto e un primo passaggio nelle carceri locali, a disposizione anche della polizia tedesca; poi, almeno una parte nei campi di transito di Fossoli, Bolzano, Risiera di San Sabba per la deportazione nei lager, Auschwitz e gli altri, come i già citati Buchenwald, Dachau, Mathausen. Furono un centinaio i trasporti ferroviari dall’Italia verso quelle destinazioni di sofferenza e di morte.

Guido Passigli con la moglie Virgina Coen, Roma, deportati
il 16 ottobre 1943, “selezionati” e uccisi all’arrivo ad Auschwitz

Si ricorda la deportazione ad Auschwitz come “politici” di 1.000 donne del Friuli-Venezia Giulia, croate e slave impegnate nella resistenza e di 40 donne scioperanti in Lombardia; 52 uomini giunti da aprile a luglio 1944 e 169  nel dicembre 1944 come “lavoratori specializzati” per smantellare il campo, venivano da altri lager. I deportati italiani “politici” non ebrei sono stati 1.300, donne e uomini, 281 non sono tornati, quota ben minore degli ebrei destinati all’eliminazione totale.

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Birkenau, Bahnrampe, selezione all’arrivo degli ebrei ungheresi, prim.-estate 1944, 3^ foto

Nella mostra questo viene documentato in una galleria di volti, figure e gruppi familiari felici – ne abbiamo contato almeno un centinaio – con struggenti lettere, e con le carte dell’ottusa burocrazia nazista, elenchi su elenchi, registrazioni, veri e o propri editti: un contrappunto raggelante tra l’umanità di quei volti sorridenti, di quelle figure dignitose, di quei gruppi uniti nell’affetto, e la bieca disumanità dei nazisti.

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Famiglia Mustacchi, Trieste: Daniele, la moglie Allegra Belleli, i figli Salomone, Rachele, Marco,
Rachele è l’unica sopravvissuta ad Auschwitz

Lo sterminio degli ebrei italiani deportati

Ma è solo la premessa, dopo l’inquadramento sul lager e le deportazioni, già il titolo della 3^ parte, “Auschwitz-Birkenau. Lo sterminio degli ebrei deportati dall’Italia”, evoca l’orrore.

“La ‘selezione iniziale’ . La tragica scelta di chi viene ucciso all’arrivo”  è la fase che segue  quella già descritta dei “trasporti”, all’orrore si aggiunge l’incredulità tanto è infame: dopo il lungo e tormentato viaggio nei carri-bestiame accatastati oltre il limite della sopportazione umana, avveniva  l’eliminazione immediata di quelli ritenuti non utilizzabili nel lavoro coatto: e ne venivano eliminati i due terzi! Con l’aggravante che coloro i quali superavano la “selezione”, se ebrei, sarebbero stati eliminati quando non più utili per il lavoro, così le mamme e i bambini, i deboli e quelli ritenuti troppo anziani, anche se avevano superato solo i 40-45 anni.

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Famiglia Sonnino, Roma, Ida con i figli Samuel Sandro e Mara Cesira, deportati il 16 ottobre 1943, “selezionati” e uccisi all’arrivo a Birkenau con il piccolo Mario, 2 anni, non in foto

Questa folle “selezione” si è svolta per due anni – dalla primavera del 1942 a quella del 1944 –  su una banchina a 800 metri  dal campo di Birkenau: nella follia burocratica aggiunta a quella criminale, veniva definita dai medici, che rinnegavano platealmente il giuramento di Ippocrate,  “servizio sulla Rampa”, la “Judenrampe”; poi, con l’intensificarsi delle deportazioni, fu prolungata la linea ferroviaria per svolgere la selezione all’interno nella nuova “Bahnrampe”. Gli oltre 1.000 ebrei della retata a Roma del 16 ottobre 1943 giunsero il 23 ottobre  e furono “selezionati” sulla “Judenrampe” dal medico tristemente noto, Josef Mengele, e da altri operatori e guardie; sulla “Bahnrampe” il primo trasporto dall’Italia approdò il 23 maggio proveniente da Fossoli.

Famiglia Szòrényi, Fiume: Adolfo con la moglie Vittoria Pick, e i figli Alessandro, Daisy, le figlie da sin. Lea, Arianna, Rosetta, deportati da Risiera di San Saba il 25 giugno 1944, tutti uccisi ad Auschwitz

Gli internati ebrei venivano impiegati anche nei compiti complementari all’infame selezione, dall’ordine e la pulizia della rampa e dei vagoni alla collocazione degli oggetti personali nella “Kanada”, il settore a questo dedicato. Aumentarono da 150 a 700 con l’arrivo degli ebrei ungheresi, tra loro c’erano sei italiani tra cui Nedo Fiano, che sopravvisse, è scomparso nel 2020 a 95 anni. Ci fu anche un arrivo di deportati ebrei dalla Città del Vaticano, “ricevuti” addirittura dal comandante del campo, Rudolf Hoss, per uno sfregio al Papa? La “selezione” era drammatica perché i due terzi degli ebrei deportati venivano eliminati all’arrivo, così per gli italiani fino ad aprile  1944 quando tale percentuale di morte scende, si fa per dire, al 70%  e poi al 60%.

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M.M. (firma), Brrkenau, “Selezione” ebrei deportati sulla Judnramp, 1942-44, disegno a matita-pastello

Dalla “Jundenrampe”, dove si “selezionava” fino alla primavera del 1944, gli ebrei da “eliminare” erano portati sui camion nei luoghi di sterminio; in seguito, dalla “Bahnrampe” dovevano percorrere a piedi un paio di chilometri. Pure a piedi si muovevano quelli  da avviare al lavoro, per raggiungere i luoghi dove venivano immatricolati, le “Saune”, poi li portavano negli alloggi soprattutto a Birkenau. Trattamento ben diverso per i “non ebrei”, i “politici” e i provenienti da altri lager, che non subivano nessuna selezione; e per i “misti”, non di “pura razza ebraica”, o con un matrimonio “misto”, che invece di  essere eliminati, come gli ebrei, se  anziani deboli e bambini, sono accolti nel campo.

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Birkenau, Un Kommando di donne nell'”Effectenlager Kanada II, agosto 1944

Deportati con gli stessi treni e negli stessi vagoni degli ebrei, ma non sono veri ebrei! Le fotografie sulla “selezione” all’arrivo di treni sono impressionanti, così  i volti sorridenti di quelli “selezionati” per la morte,  bambini e donne felici nelle foto dell’album di famiglia scattate e raccolte prima del diluvio….

Dalla “selezione” mortale a “Lo sterminio di massa degli ebrei nelle camere a gas”, il dramma raggiunge l’acme, l’emozione nel rievocarlo il diapason. Le immagini esposte sono agghiaccianti, come i disegni  dei sopravvissuti, con i corpi nudi di donne e bambini nello spogliatoio prima della camera a gas,  e i corpi sempre nudi da Giudizio universale nel “Krematorium” con la fossa comune. Le fotografie  del “Krematorium” e del “Bunker” hanno un sapore sinistro, mentre quelle delle donne ebree ungheresi riprese nel cortile dell’edificio di morte con le teste coperte di panno nero, nella loro serietà e dignità di moriture, sono la nobile espressione di una toccante umanità.  

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Auschwitz, Lavori pr l’edificio dell’immatricolazione dei deportati, inverno 1943-44

I 4 “Krematorium”, con i numeri romani da II  a V, avevano un aspetto esteriore inoffensivo, se così si può definire, il II e III in mattoni rossi , il IV  e V addirittura situato in un bosco di betulle dove gli ebrei da eliminare, inconsapevoli, venivano invitati a “rilassarsi”, per poi “entrare in doccia” riposati, senza sapere che li aspettava il riposo della morte. Neppure all’interno degli edifici si  potevano vedere le installazioni mortali.

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Birkenau, Krematorium IV, a sin. le camere a gas, a dx i forni, aprile 1943

C’erano differenze tra un edificio e l’altro, ma per tutti si può dire che entravano in un grande spogliatoio, addirittura con appendiabiti numerati, una sorta di beffa, nel III e IV venivano fatti spogliare anche nel bosco; poi andavano in locali vastissimi, la “Gaskammer” con le false docce, nel II e III in un salone che poteva contenere 1.500 persone, nel III e IV in tre sale per 1.200 persone; nell’atrio del II e III un montacarichi nascosto  da una tenda per portare i cadaveri al piano superiore, quando il numero  era tanto elevato da superare la possibilità di smaltimento dei corpi nel “Krematorium”, si bruciavano in fosse all’aperto.

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Jam Komski, “Fucilazione”, 1941

Il gas “Zyclon B”, acido cianidrico che si sprigiona con i cristalli all’aria e provoca la morte respirato a 27°, era immesso dal tetto in colonne con le griglie mascherate come fossero colonne portanti. Nel II  e III, 5 forni  a 3 muffole con un camino alto 20 metri; nel IV e V 2 serie di forni a 5 muffole con due camini alti 17 metri.  

Tra maggio e giugno 1944, per l’alto numero di arrivi e relative eliminazioni, fu riattivata la camera a gas del  “Bunker 2”, originariamente una fattoria, quindi anch’essa dall’aspetto inoffensivo.  Gli internati ebrei del “SonderKommando” provvedevano ai cadaveri e alla manutenzione del complesso, erano quasi 900 nell’estate 1944 di cui 5 italiani, Nicolò Sagi, due fratelli Venezia, due fratelli Gabba loro cugini, nel gennaio 1945 riescono a entrare tra gli internati portati a Mathausen, sono liberati nel maggio 1945 e vanno negli Stati Uniti.

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Birkenau, Ebree ungheresi con bambini verso le camere a gas, dietro c’è il Krematorium. maggio 1944

“Lo smistamento dei beni e il saccheggio delle vittime” è un corollario apparentemente scontato, povera cosa rispetto alle camere a gas, invece anche con l’evidenza visiva accresce quell’orrore.  C’è una conferma della burocrazia maniacale dei nazisti nell’accanimento classificatorio e ordinatorio di quanto era “confiscato” appartenendo alle vittime, di entità rilevante dato il loro grande  numero, sebbene potessero portare la minima parte di effetti personali nella deportazione; con relativa immonda speculazione economica su tali beni.

Vi erano dedicati settori appositi,  gli “Effectenlager” – suona come i lager degli… effetti personali –  definiti “Kanada”, il primo di 7 baracche ad Auschwitz I, il secondo di 30 baracche a Birkenau, sinistramente ubicato a fianco del “Krematorium” IV. E una serie di disposizioni ben precise sull’uso della “refurtiva dei ladri”, la demenziale oltre che criminale ultima offesa alle vittime.

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David Olère, Lo spogliatoio del Krematorium III, nude prima della camera a gas, 1946

Alle operazioni di censimento, classificazione, sistemazione e stoccaggio delle povere cose negli “Effektenlager” erano adibiti 1.000 internati tra cui sono stati identificati 12 italiani,  Nedo Fiano e due nomi  ben noti  nel commercio a Roma, Di Veroli e Calò, oltre a due donne, Ida e Stella Macheria.

Ma quali erano questi beni  così copiosi da richiedere un’apposita organizzazione per gestirli? Dalle valigie e dagli zaini alla biancheria di tutti i tipi compresi i piumini, dagli articoli di abbigliamento, come vestiti, pantaloni e scarpe, fino alle pellicce, ad altri oggetti personali, come pettini e occhiali, ombrelli e sciarpe, penne e rasoi, gioielli e orologi, quelli d’oro finivano alle SS. Venivano prelevati dai cadaveri i denti d’oro, destinati alla Reichsbank; dalle rasature delle donne i loro capelli.  C’erano precise quotazioni in una specie di mercato clandestino opera delle SS, 3 marchi per i pantaloni maschili, 6 marchi per una coperta di lana. Nell’imminenza dell’arrivo delle truppe russe questi depositi furono bruciati come altre prove dello sterminio, ma si salvò molto materiale: feriscono le immagini delle molte migliaia di scarpe, anche da bambino.

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Enrico Morpurgo, dopo la liberazione: nato nel 1891, deportato nell’agosto 1944

Ed ecco il ricordo di Ida Macheria, deportata con la sorella Stella da Trieste nel dicembre 1943, poi trasferita  a Ravensbuk, liberate entrambe dopo l’evacuazione: “Il Kommando era composto da trecento ragazze, avevamo tutte il fazzoletto rosso. I capannoni di legno erano pieni zeppi  di roba, montagne, c’erano le grazie di Dio. C’era un capannone solo di coperte, di piumoni, uno di scarpe, uno di valigie, di portafogli, di fotografie. C’erano anche le carrozzelle degli invalidi, gli occhiali, sì, tutto ammucchiato. C’era una grande organizzazione. Su dei tavoli bisognava piegarli e sistemarli: si facevano pacchetti da dieci, venti camicie, venti vestiti, venti blusette, venti gonne,  e poi si legavano con lo spaghetto perché partivano per la Germania. Arrivavano anche gli stracci, soprattutto per i trasporti dai ghetti. Allora quelli erano per i lager. Noi andavamo anche  a prendere la roba ai treni”.

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David Olère, Gli uccisi nelle camere a gas immessi nei forni del Krematorium III, 1945

Qualcosa di maniacale appare evidente in questa cura nel conservare e classificare la “roba” dei deportati destinati all’eliminazione nella follia criminale della “soluzione finale”; e qualcosa di inumano nel plateale  rovesciamento di ogni principio e di ogni valore in quella che in una mostra precedente sulla Shoah a Roma fu chiamata “l’infamia tedesca”.

Primo Levi: “Meditate che questo è stato”

Vediamo esposta la carta d’identità di Primo Levi, e una cartolina postale che riuscì a  mandare all’amica Bianca  Guidetti Serra il  23 febbraio 1944, dalla stazione di Bolzano durante il viaggio della deportazione – c’è scritto “Impostare, per favore” quindi fu affidata a qualcuno di nascosto durante la sosta – a firma “Primo, Vanda,  Luciana”, si tratta di Vanda  Maestro e Luciana Nissin deportate con lui. Al termine del nostro percorso nella mostra riporteremo lo struggente racconto della Nissin, con altri toccanti ricordi. 

David Olère, “SS supervisionano la morte col gas, bunker 2”, 1960-80

Avendo citato Primo Levi, ecco  la dedica che apre il suo libro più celebre, “Se questo è un uomo”: “Voi che vivete sicuri/ Nelle vostre tiepide case/ Voi che trovate tornando a sera/ Il cibo caldo e visi amici:/ Considerate se questo è un uomo/ Che lavora nel fango/ Che non conosce pace/ Che lotta per mezzo pane/ Che muore per un sì o per un no/ Considerate se questa è una donna/ Senza capelli e senza nome/ Senza più forza di ricordare/ Vuoti gli occhi e freddo il grembo./ Meditate che questo è stato:/ Vi comando queste parole./ Scolpitele nel vostro cuore/ Stando in casa andando per via,/ Coricandovi alzandovi,/ Ripetetele ai vostri figli”.

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Auschwitz-Birkenau, Occhiali degli ebrei deportati e uccisi, trovati dai sovietici, 1945

Riportiamo anche le parole ammonitrici della Prefazione: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ‘ogni straniero è nemico’. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente, si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager”.

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Arianna Szorenyi, La morte a Birkenau, 1948, disegno della bambina nell’orfanotrofio

Tutto è stato documentato meritoriamente dalla Fondazione della Shoah nel lungo ciclo di mostre degli ultimi anni con la minuziosa ricostruzione dei fatti, rievocati con assoluto rigore. Anche questa volta l’ammonimento finale emerge dal racconto secco ed essenziale  che lascia parlare l’evidenza con la forza incontestabile della realtà: al valore storico si unisce l’importanza sul piano educativo e formativo per le giovani generazioni che non potrebbero immaginare come possa determinarsi una simile infamia, incredibile eppure putroppo vera.

A presto la parte “Ad Auschwitz-Birkenau. Vita e lavoro”, con  i ricordi dei deportati sopravvissuti che hanno rievocato la loro terribile esperienza. “All’Inferno e ritorno” per pochi di loro, per gli altri il martirio che assume la luce fulgida dell’eroismo nel nome dell’umanità ferita  a morte.    

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David Olère, Capelli tagliati e denti d’oro asportati nella camera a gas del Krematorium III, 1946

Info

Casina dei Vailati, della Fondazione Museo della Shoah, Via del Portico d’Ottavia, 29. Da domenica a giovedì ore 10-17, venerdì ore 10-13, sabato chiuso. Ingresso gratuito. Tel. 06.68139598. Catalogo “Dall’Italia ad Auschwitz” di Sara Beger e Marcello Pezzetti, Gangemi Editore International, gennaio 2021, pp. 256, formato 17 x 24; dal Catalogo sono tratte le citazioni e notizie del testo. Cfr. i nostri precedenti articoli: nel sito www.arteculturaoggi.com sulle mostre alla Casina dei Vailati il 28 ottobre, 2 novembre e 19 aprile 2017, al Vittoriano il 24  novembre 2013, 5 giugno 2014, 1° febbraio 2016; in cultura.inabruzzo.it, sulla cultura ebraica 22 agosto 2009 (l’ultimo sito non è più raggiungibile, gli articoli – disponibili – saranno trasferiti su altro sito.

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Alfred Kantor, Cadaveri scaricati nella fossa comune, Deggendorf 1045

Foto

Le immagini, tranne quella in apertura, sono tratte dal Catalogo, si ringrazia l’Editore, la Fondazione Museo della Shoah che ce lo ha cortesemente fornito, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Per lo più si sono alternate immagini d’epoca del Lager con i disegni dei sopravvissuti, in un film dell’orrore, seguendo l’ordine di citazione nel testo delle varie fasi. In apertura, Papa Francesco bacia il tatuaggio di Auschwitz sul braccio di Silvia Maksymowicz, 26 maggio 2021; seguono, Binario 3, a dx, treno con deportati unheresi, binario 2, a sin. treno già “ripulito” maggio 1944, e Auschwitz, foto aerea, 15^ US Army Air Force, 15 settembre 1944; poi, Tarnow, Cracovia, Primo treno con 758 deportati polacchi per Auschwitz, 14 giugno 1940, e Wladyslaw Siwek, KL Auschwitz. Un treno di deportati all’arrivo, 1940, disegno a tempera; quindi, Auschwitz, Arrivo di prigioneri di guerra sovietici, autunno 1941, e Wladyslaw Siwek, Scavo delle fondamenta del blocco 15,1948, disegno a tempera; inoltre, Auschwitz, L’interno del campo 1944, e Birkenau, Foto aerea, 15^ US Army Air Force, 31 maggio 1944; ancora, Wladyslaw Siwek, KL Auschwitz, vigilia di Natale 1940, dipinto a olio su tela, e Birkenau, Costruzione della Komandantur 1944; continua, Birkenau, Bahnrampe, selezione all’arrivo degli ebrei ungheresi, primavera-estate 1944, e Famiglia Gavijon, Roma: da sin., Susanna, Salvatore, la madre Rea Pardo , il padre Sabino, in prima fila, Leone, Elia, Marco Mordo, unico sopravvissuto ulimo a destra David non deportato, Trieste 1939; prosegue, Elio Morpurgo, Udine, 1858-1944, senatore dal 1920, ucciso ad Auschvitz aprile 1944, e Famiglia Bondi, Roma: da sin., Benedetto, il padre Leone, Fiorella, Giuseppe, la madre Virginia Piperno, 1939, deportati il 16 ottobre 1943 con altri 3 figli Elena, Anna, Umberto da 4 ad 11 anni , tutti uccisi all’arrivo a Birkenau il 23 ottobre; poi, Birkenau, Bahnrampe, selezione all’arrivo degli ebrei ungheresi, prim.-estate 1944, 2^ foto, e Club Maccabi, Rodi: 3° da sin. Yosef Alcana, presidente, tutti deportati e uccisi ad Auschwitz, 1944; quindi, Famiglia Hasson, Rodi: Nissim con moglie Rachele e figli Fany. Bellina, Fortunata. Haim , solo Bellina sopravvive ad Auschwitz, e Guido Passigli con la moglie Virgina Coen, Roma, deportati il 16 ottobre 1943, “selezionati” e uccisi all’arrivo ad Auschwitz; inoltre, Birkenau, Bahnrampe, selezione all’arrivo degli ebrei ungheresi, prim.-estate 1944, 3^ foto, e Famiglia Mustacchi, Trieste: Daniele, la moglie Allegra Belleli, i figli Salomone, Rachele, Marco, Rachele è l’unica sopravvissuta ad Auschwitz; ancora, Famiglia Sonnino, Roma, Ida con i figli Samuel Sandro e Mara Cesira, deportati il 16 ottobre 1943, “selezionati” e uccisi all’arrivo a Birkenau con il piccolo Mario, 2 anni, non in foto, e Famiglia Szòrényi, Fiume: Adolfo con la moglie Vittoria Pick, e i figli Alessandro, Daisy, le figlie da sin. Lea, Arianna, Rosetta, deportati da Risiera di San Sabba il 25 giugno 1944, tutti uccisi ad Auschwitz; continua, M.M. (firma), Brrkenau, “selezione” ebrei deportati sulla Judnramp 1942-44, disegno a matita-pastello, e Birkenau, Un Kommando di donne nell'”Effectenlager Kanada II, agosto 1944; prosegue, Auschwitz, Lavori per l’edificio dell’immatricolazione dei deportati, inverno 1943-44, e Birkenau, Krematorium IV, a sin. le camere a gas, a dx i forni, aprile 1943; poi, Jam Komski, “Fucilazione” 1941, e Birkenau, Ebree ungheresi con bambini verso le camere a gas, dietro c’è il Krematorium, maggio 1944; quindi, David Olère, Lo spogliatoio del Krematorium III, nude prima della camera a gas 1946, ed Enrico Morpurgo, dopo la liberazione: nato nel 1891, deportato nell’agosto 1944; inoltre, David Olère, Gli uccisi nelle camere a gas immessi nei forni del Krematorium III 1945, e “SS supervisionano la morte col gas, bunker 2” 1960-80; ancora, Auschwitz-Birkenau, Occhiali degli ebrei deportati e uccisi, trovati dai sovietici 1945, e Arianna Szorenyi, La morte a Birkenau 1948, disegno della bambina nell’orfanotrofio; continua, David Olère, Capelli tagliati e denti d’oro asportati nella camera a gas del Krematorium III 1946, e Alfred Kantor, Cadaveri scaricati nella fossa comune, Deggendorf 1945; in chiusura, David Olère, Le fasi dell’elinimazione, dall’attesa, alla morte in camera a gas, all’asportazione di capelli e denti d’oro, 1960-80, in alto a dx l’autore, inerito nel”Sonderkommando”, con il proprio numero di matricola, mentre scarica i morti in una bolgia infernale.

David Olère, Le fasi dell’elinimazione, dall’attesa, alla morte in camera a gas, all’asportazione di capelli e denti d’oro, 1960-80, in alto a dx l’autore,
inserito nel “Sonderkommando”, con il proprio numero di matricola, mentre scarica i morti in una bolgia infernale

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3 commenti

  1. Con questo primo servizio su Auschwitz, Romano Maria Levante inizia con il bacio di Papa Francesco al braccio di Silvia, la polacca, di solo tre anni, deportata con la madre ritrovata solo da adulta, dopo essere stata adottata.
    Si apre, così, un racconto che rievoca luoghi di disumanità e di morte, evidenziati da foto reali e disegni angosciosi di parole con ka rievocazione di una tragedia.
    Le tante foto ed anche i disegni forniscono elementi di giudizio terrificanti che sono schiaffi per il sentimento umano, che ne resta sconvolto e lontanissimo da una religiosità insufficiente a combatterla,
    Una umanità colpita e distrutta nelle retate, negli arresti, per le vittime della deportazione, qualcosa di incomprensibile nei modi e nell’operare senza alcun segnale del minimo rispetto della persona.
    Lo sterminio degli ebrei costretti a muoversi a piedi per essere avviati al lavoro, portati in alloggi, accolti nei campi, sono immagini agghiaccianti di donne e bambini nudi, negli spogliatoi delle camere a gas e quando erano tanti venivano bruciati e gettati in fosse all’aperto, ultima offesa per le vittime, che nei disegni risultavano eliminati con soluzione finale di follia criminale e di tanti altri toccanti azioni.
    Il tutto descritto nel rispetto della verità, quella che colpisce orribilmente, che si cercava di dimenticare, senza riuscirci, perché fotografata o disegnata da arrivare al cuore per essere un vero massacro di esseri umani, impotenti a reagire ma, sicuramente, stanchi, deboli, sfiniti dalla continua sofferenza.
    La guerra è dolore, perché trova la morte ma, lo sterminio è disumano e descriverlo provoca angoscia, anche se diventa parte del passato, che deve essere conosciuto.

    1. Francesco come sempre è riuscito a cogliere l’essenza della rievocazione, che nelle fotografie e nei disegni compone un “film dell’orrore” più efficace delle parole che peraltro la mostra limita all’essenziale con una documentazione incontrovertibile. Si riesce così a immaginare l’inimmaginabile, perchè i disegni dei deportati sanno esprimere l’inesprimibile, in un calvario che Francesco riassume efficacemente. Per le vittime restano impresse le immagini dei carretti con i corpi che richiamano quelle della pestilenza manzoniana, ma questa non è una pandemia, è un massacro umano perchè opera dell’uomo e inumano per la sua scellerata follia omicida e stragista. Che arriva ai viaggi della morte per giorni e giorni ammassati sui carri bestiame di vecchi e bambini destinati ad essere “eliminati” nella camere a gas all’arrivo nella “selezione” già preordinata in un massacro il cui ricordo è sconvolgente. Anche per i sopravvissuti – a parte l’odissea successiva descritta da Primo Levi in “La tregua” – la via crucis è stata inenarrabile: i loro ricordi allucinati, in qualche caso tradotti in disegni, ne danno testimonianza. Per non dimenticare ciò che andrebbe cancellato dalla storia umana e invece va ricordato come monito perenne, un altro inconcepibile ossimoro nato da un genocidio che supera ogni pur apocalittica ossessione.

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