“Sul mare”, il film di D’Alatri: a Ventotene un’emozione “senza fine…”

di Romano Maria Levante

da cultura.inabruzzo.it – 24 luglio 2010

La scomparsa del regista Alessandro D’Alatri annunciata ieri, all’età di 68 anni, mi ha fatto ripensare alla magica serata a Ventotene nel luglio 2010 quando vidi il suo film “Sul mare”, che aveva ultimato da poco e presentava insieme all’autrice del libro cui si era ispirato ai presenti nell’isola in cui era ambientato. Mi trovavo a Ventotene raggiunta sulla barca del caro amico Ciro Soria per l’annuale Palio sul mare di Sant’Anna della vicina Ischia come nel 2009. Al viaggio del 2009 dedicai un articolo ripubblicato il 21 aprile scorso per il Trigesimo della scomparsa dell’amico Ciro, che ha preceduto di un mese e mezzo quella del regista che associo al suo ricordo; del resto a Ciro piaceva essere sempre, qunado poteva, “sul mare”, al timone della sua barca, di nome “Luna”. Non ho mai recensito film, nè questa è un’eccezione, non è una critica cinematografica ma il racconto di una serata così emozionante che l’articolo lo scrissi alle 2 di notte tornato in barca, subito dopo la fine della proiezione all’una. Del resto, anche per D’Alatri è stato qualcosa di speciale, non solo per la sede dove aveva girato il film, ma perchè il film veniva da sei anni di assenza dal cinema e, possiamo dirlo ora, fu seguito da altri sette anni di assenza. Ed ebbe per quel film nel 2010 il premio “Alabarda d’oro”!

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Il regista Alessandro D’Alatri e il manifesto del suo film “Sul mare”

Isola di Ventotene, è la calda serata di venerdì 23 luglio 2010, la piazzetta affacciata sul porticciolo brulica di locali e villeggianti. Sarà proiettato un film girato nell’isola, pensiamo ad uno dei soliti documentari, ma ci incuriosisce la presentazione con il regista, l’attore protagonista e l’autrice del libro dal quale è stata tratta la storia. “Sul mare” il titolo del film, quanto di più adatto per una serata come questa. Immaginiamo qualcosa di molto leggero, promozionale e al più vacanziero.

Ci troviamo qui quasi per caso, uno scalo, per così dire, nell’avvicinamento ad Ischia dove ci attende la “Festa a mare agli scogli di Sant’Anna”, alla quale il 18 agosto 2009 dedicammo un ampio servizio su http://www.abruzzocultura.it/.: raccontammo il viaggio nella barca “Luna” dell’amico Ciro Soria e la manifestazione, con le dichiarazioni strappate a volo a Lina Sastri e Giampiero Mughini, in tribuna tra i Vip.

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Lo abbiamo fatto anche quest’anno, siamo tornati invitati di nuovo da Ciro sulla sua barca, e abbiamo visto la novità, “sirena” della festa sul mare è la bella italiana Paola Saluzzi. Il resoconto della gara dei carri nel Palio marinaro 2010 ha preceduto questo del film, è stato pubblicato il 3 agosto scorso sulla presente rivista.

Ma Ventotene non può considerarsi uno scalo, ci fermiamo tre giorni, per poi tornarci, nell’isola del vento dai nobili ascendenti romani come testimoniano i resti a Punta Eolo di Villa Giulia, della figlia di Cesare, l’acquedotto e l’antichissimo porto, nonché i ruderi degli insediamenti millenari e i reperti soprattutto marini del piccolo ma rappresentativo “Museo archeologico”; oltre alla vicina isola di Santo Stefano con l’antico penitenzirio . A tutti questi luoghiu abbiamo dedicato un articolo. Per di più abbiamo la fortuna di partecipare ad un evento cinematografico inatteso che ricorderemo a lungo.

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La presentazione da parte dei protagonisti: “Sul mare”

La presentazione è sobria e stimolante, parla anche l’assessora comunale alla cultura, poche parole brillanti, senza la pedanteria dell’ufficialità; il conduttore è di qualità, riesce a creare l’atmosfera giusta con tono sommesso, nulla di quanto propinano in queste circostanze gli imbonitori di turno. Sentiamo la sincerità nelle parole del regista Alessandro D’Alatri, non è esordiente, al suo attivo i noti “Casomai” e “Commediasexi” ma per lui – lo ha detto esplicitamente – è stato “un nuovo inizio, un rimettersi in gioco” stimolato dal romanzo “In bilico sul mare” (edizioni e/o, Roma 2009) di Anna Pavignano, la bionda scrittrice che dal palco ne racconta la genesi.

Un film girato con pochi mezzi ma con tanta passione: una macchina da presa digitale da ottomila euro, senza gruppi elettrogeni né luci artificiali, le riprese sono avvenute in diretta in due mesi nei quali l’isola con il suo mare è diventata una seconda pelle, in una simbiosi creativa con la popolazione che ha assecondato il lavoro della troupe. La stessa Pavignano, che ha scritto la riduzione e sceneggiatura a quattro mani con il regista, ha rivelato che alla prima visione del film non ha pensato che era la sua storia e la sua sceneggiatura ma è stata presa dal modo con cui il regista è riuscito a trasfigurarla rendendone la profondità di contenuti e l’intensità di accenti.

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Ha colpito in modo particolare il protagonista, Dario Castiglio, un giovane che studia da attore e non ha mancato la grande occasione, il regista lo ha scelto, l’isola lo ha adottato e nel ritornarci per la prima volta si commuove al punto da incontrare difficoltà ad andare avanti nel saluto. E’ giusto che sulle sue parole sincere si chiuda la presentazione e scenda il buio in una platea all’aperto affollatissima. Rimasta tale fino alla fine, all’una di notte che anche d’estate è sempre un’ora tarda. La stanchezza e il sonno non si avvertivano, la platea nel piazzale sopra la baia ha applaudito con calore il film “Sul mare”, presa dall’emozione di una storia intensa in uno scenario incomparabile.

L’isola, il cuore di una storia di solitudine

Si spengono le luci, è calata la notte, si ripete la magia del cinema mai dimenticata nonostante l’overdose di film in televisione, la partecipazione personale e insieme collettiva ha un suo fascino tutto speciale. Dopo il marchio storico della Warner Bros si è subito proiettati nell’isola vista dal motoscafo che si avvicina sempre più veloce, divorando le onde e insieme i nomi che si susseguono rapidi. Così irrompe quello che possiamo definire il cuore della storia, l’isola accompagna il protagonista con la sua logica e le sue regole inesorabili, potrebbe avere qualunque altro nome o essere l’isola senza nome, ma non l’“isola che non c’è”.

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Perché l’isola c’è con la sua storia passata e il suo presente che non la dimentica, la libreria “Ultima spiaggia” nella piazza principale espone in bella mostra il “Manifesto di Ventotene” di Altiero Spinelli con Ernesto Rossi, ma non solo: una vera “isola” libraria accoglie all’ingresso con una sorta di “opera omnia” degli illustri confinati e imprigionati a Santo Stefano – da Spinelli a Pertini, da Amendola a Di Vittorio-– più molti libri sul lungo confino fascista che fu di ben 16 anni per Spinelli e sul carcere, del quale troviamo, appena uscito datato luglio 2010, il libro di Luigi Settembrini “L’ergastolo di Santo Stefano” edito dalla stessa “Ultima spiaggia” che nel 2009 ha pubblicato “Memorie di un ex terrorista” di Giuseppe Mariani, l’anarchico rinchiuso nel carcere; c’è un grosso libro anche su Gaetano Bresci, l’uccisore di Umberto I, recluso e poi “suicidato”.

E’ un modo encomiabile di trasmettere la storia locale che è anche nazionale e rendere onore alle privazioni subite mantenendone la memoria attraverso gli scritti. Lo fa anche un piccolo monumento con sbarre simboliche di una reclusione della libertà di pensiero non annullata dal fascismo dato che – si legge nella lapide – “cospirativamente autogovernandosi condussero la loro vita di sacrificio e di studio preparandosi alla lotta per un’Italia rinnovata nella libertà” e produssero il “Manifesto” ricordato dal regista D’Alatri con le parole: “Qui a Ventotene è nata l’Europa”. E’ rievocato anche il confino nell’isola del sindacalista Giuseppe Di Vittorio.

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Nella piazzetta adiacente, il monumento alle vittime dell’affondamento da parte inglese nel luglio ’43 nelle acque di Ventotene del postale Santa Lucia che collegava Napoli alle isole: 61 civili sacrificati nella convulsa fase finale del regime e della guerra dove si confondono buoni e cattivi.

La vicina isola di Santo Stefano è dominata dal penitenziario chiuso da tempo dove fu imprigionato Sandro Pertini: il grande edificio a ferro di cavallo con l’ora d’aria tra le alte mura del cortile intercluso e le finestre delle celle poste in alto in modo che i reclusi non potessero vedere il mare; chissà se l’umanizzazione odierna ammetterebbe una simile privazione, anche se vedere il mare sarebbe stato un supplizio di Tantalo, ci riferiamo a tutti gli ergastolani non solo ai “politici”.

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Da “Sapore di mare” di Vanzina a “Sul mare” di D’Alatri

A queste associazioni di idee alla fine della proiezione se ne sovrapporrà un’altra: a Ventotene è nato una modo più meditato di raccontare il mare e i giovani, la vacanza e il lavoro; non lo ha detto il regista che ha citato la nascita dell’Europa, lo diciamo noi catturati dalla storia e dai personaggi. Soltanto al termine abbiamo fatto delle comparazioni, la tensione che percorre il film non lascia spazio ad altri pensieri. Riaccese le luci sono tornate alla mente le immagini dei film di Vanzina, i celebri “Sapore di mare”: anche lì il mare, anche lì i giovani, anche lì gli amori estivi com’erano allora. Anche lì c’è tutto. O niente?

Ci sembrava tutto quando li vedemmo, ci sembra niente ripensandoci ora alla luce – nell’autentico significato del termine – del film di D’Alatri. O almeno niente di quello che c’è in profondità, nel conscio e nell’inconscio sotto la superficie patinata del sole e del mare in una prospettiva speciale. Vanzina puntava la macchina da presa sulla superficie patinata, D’Alatri la fa penetrare nei recessi più nascosti, con un’operazione di grande maestria, partendo proprio da quella superficie.

Tutto il film è percorso dalle immagini di Ventotene, ma non come segno di liberazione, bensì come prigione dorata che intrappola il giovane isolano in una condizione di privilegio e discriminazione insieme. Un confinato anche lui che ne gode fino a quando non ne diventa consapevole; mantiene la libertà di Spinelli nel concepire il “Manifesto di Ventotene” ma lo sconta nell’urto impietoso con la realtà.

Sul mare” va visto e rivisto, e l’uscita in settembre del Dvd ci fa pregustare una “moviola” nel 52 pollici del televisore domestico; anche se il fascino della visione collettiva nell’affollata piazzetta di Ventotene aperta sulla baia ci resterà impresso. Mai lo avevamo pensato per i pur godibili “Sapore di mare” sebbene fossero rivolti alla nostra generazione che ci si rispecchiava perfettamente.

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Forse perché questa era l’“isola che non c’è” mentre D’Alatri ce la fa toccare con mano facendoci calare come degli speleologi negli anfratti dell’inconscio che diventa coscienza e autocoscienza. Ci viene da definirlo l’anti Vanzina non come contrapposizione ma come l’altra faccia dell’estate e dei giovani, come Ventotene è altro rispetto a Rimini e alla Versiglia; D’Alatri ha fatto scoprire l’altra faccia della luna, che si aggiunge a quella nota e non la sostituisce né tanto meno la nega, però reca in sé il valore aggiunto e il fascino inedito e suggestivo che hanno le grandi scoperte.

La duplicità isolana

Dunque, la duplicità isolana: privilegio e discriminazione , comunicazione e isolamento. Si comunica con un turismo senza confini, nell’appuntamento stagionale di sempre quando nascono e si disfano amori passeggeri, in una tela di Penelope che può ricevere strappi profondi, e quando una tela si lacera definitivamente può essere impossibile il rammendo dell’intero tessuto.

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Mentre si comunica, nello stesso tempo si è isolati nella condizione isolana dove il turismo da strumento di apertura può diventare anche forma di sottile discriminazione: caratteristica di ogni località vacanziera, sfiorata anche nei film di Vanzina, che qui si somma al complesso tipico dell’isolamento, rotto soltanto dall’arrivo degli aliscafi e degli altri traghetti dalla terraferma.

L’invocazione canora che ci torna in mente, “per quest’anno/ non cambiare/ stessa spiaggia/ stesso mare”, dava il segno della ricerca di una precaria continuità nell’effimero, il film ne è la visione poetica con le improvvise ricomparse alternate alle altrettanto inattese sparizioni; in più una sorprendente aggiunta su cui meditare, lo sguardo sul “dopo”, il “lato invernale” del materasso.

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Così il protagonista definisce il suo “fuori stagione”, la prosecuzione annuale della breve “stagione” nell’isola. E qui con pochi tratti di rara intensità, quando si rompe l’isolamento con il lavoro invernale nei cantieri edili del continente, ci si imbatte in altre più drammatiche forme di isolamento, il lavoro nero e l’immigrazione di colore che possono arrivare fino alla tragedia.

Come è nata e si sviluppa la storia

E’ arduo inserire questi temi così duri nel clima vacanziero, pur se esplorato in profondità, ma il regista c’è riuscito con leggerezza unita a intensità. Parte del merito va alla scrittrice Pavignano autrice del romanzo e coautrice di riduzione e sceneggiatura con il regista al quale vanno la magia delle immagini e l’azione scenica, il ritmo narrativo e le sequenze cinematografiche.

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Nella presentazione, anzi, l’autrice ha detto che la sua idea iniziale era scrivere un libro sulle “morti bianche”, e lo ha ambientato a Ventotene dopo un casuale giro dell’isola sulla barca di un giovane locale con il lavoro invernale in nero nei cantieri della terraferma dove allignano gli infortuni sul lavoro anche mortali in un’edilizia spesso di rapina senza le prescritte misure di sicurezza.

Il canovaccio è stato offerto dalla realtà, è bastato riempirlo dei particolari narrativi con la fantasia: come nella commedia dell’arte, aggiungiamo noi, con la differenza che qui aveva tra le mani un personaggio vero, in una storia esemplare e peculiare. E’ nato in questo modo Salvatore, e come in “Centochiodi” di Ermanno Olmi l’intenso viso del protagonista contornato dalla barba alla Nazzareno era una metafora religiosa, così qui dietro quel nome forse c’è qualcosa di simile: “sul mare” e poi ancora di più “dentro” il mare dove il bianco riconquista il suo vero valore simbolico.

Ne parleremo al termine pur senza rivelare la trama del film, come hanno fatto saggiamente nella presentazione, evitiamo chi lo fa al punto da interrompere la lettura delle recensioni quando entrano nella trama. Qui il compito è facilitato: più che una trama di vicende intrecciate è una trama dell’anima che viene allo scoperto, e di questo ci piace parlare.

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Il giovane protagonista Salvatore-Dario Castiglio

E’ tutto nella freschezza giovanile e nella spontaneità del protagonista, sembra preso dalla realtà, non diciamo dalla strada, dovremmo dire dal mare tanto è calato in esso nel corpo e nello spirito. Mentre studia da attore e si ritrova protagonista: un sogno che si avvera, e lo dice espressamente nell’emozione per il ritorno all’isola che lo ha adottato e lanciato in questa bella interpretazione.

L’anima è racchiusa in un corpo da esposizione, tale è nella scena in cui Salvatore viene fotografato disteso come la “Maya” di Goya alla guisa di un’attrazione isolana per le turiste, una sorta di turismo sessuale alla rovescia con i ragazzi barcaioli locali nelle vesti di prede. “Preferisco lui che ha il tendalino più grosso”, dice una di loro con fare allusivo; mentre due si fanno spargere la crema sulla schiena insieme (“hai due mani, non è vero?”), ed è solo l’inizio, poi dissolvenza; una posizione privilegiata da scontare amaramente allorché la prospettiva cambia e si ricerca l’amore.

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La calamita della bellezza, della natura e della persona è l’ingrediente costante della storia nella quale emerge l’altra bellezza: quella di un’anima imprigionata nel cliché vacanziero e nella morsa invernale mentre cerca la propria libertà fino all’epilogo. Del quale diciamo solo che sorprenderà per le vette espressive raggiunte con una semplicità unita ad una notevole profondità di ispirazione.

Vi abbiamo trovato il senso di liberazione del finale di “Papillon”, ci siamo permessi di dirlo al regista al quale è piaciuta la nostra associazione di idee, non ci aveva pensato ma la condivide. E non ci riferiamo al “maledetti bastardi, sono ancora vivo!”, che in questi giorni leggiamo come didascalia ad una copertina con il volto di Roberto Saviano, bensì al mare liberatorio con le sue acque profonde, in un lavacro dell’anima, quasi una Resurrezione. E se viene dopo la caduta nell’abisso fa pensare al binomio inscindibile della Cristianità: la Crocifissione e la Resurrezione.

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Le abbiamo sentite evocate entrambe nel film, che si snoda tra i due estremi sui quali si dividono cattolici e protestanti: i cattolici sottolineano il primo aspetto, con il sacrificio e la morte, i secondi l’altro aspetto, con la resurrezione e la vita, ne avevamo parlato nella mattinata con il compagno di barca Aldo Visco, di religione valdese. Con questa associazione di idee non vogliamo portare fuori strada, il film è quanto mai terreno, l’ambiente è un “set” per il corpo prima che una palestra per l’anima: il corpo preso dalle occasioni d’amore e di evasione, l’anima stretta nel groviglio di contraddizioni.

Colonizzazione virtuale da spirito nordista

In questo quadro esistenziale fa capolinea certa disinvoltura “nordista” da colonizzazione virtuale, nei comportamenti del principale personaggio dopo il protagonista, Martina, intensa e non solo vacanziera, sincera e reticente al tempo stesso, essa pure stretta dal viluppo socio-antropologico.

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La reazione a chi le ha mancato di rispetto, nella sua violenza – “lo hai quasi ammazzato!” – esprime qualcosa di più di un normale rifiuto e del sacrosanto diritto a voler scegliere; torna tranquilla solo quando l’altro isolano che la rintraccia, il nostro Salvatore, resta al suo posto di barcaiolo, sarà lei a portarlo alla sua altezza di turista in cerca di emozioni, a prendere l’iniziativa pur se non è la solita cacciatrice vacanziera ma ha un animo sensibile alla gentilezza e al rispetto che prevale sul resto.

Poi nella vicenda sarà la potenza maieutica dell’isola a far esplodere le contraddizioni, a rendere il “non ti dimenticherò…” una rivelazione bruciante peggiore di un abbandono, la conferma di ciò che il segreto svelato dal telefonino spiato faceva percepire; ma occorreva l’interpretazione autentica a quel “anche se non…” lasciato in sospeso. E la sospensione di parole porta a quella dell’anima.

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Una eco, sempre nelle nostre libere associazioni di idee, di “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, tematiche diversissime ma un Nord e un Sud in comune, lì la barca dell’agiatezza, qui l’“Erasmus” dell’istruzione, e un’isola anch’essa in comune pur se diversamente raggiunta e raggiungibile. Lì l’isolamento assoluto anche fisico che avvicina fino all’annullamento delle differenze, qui l’isolamento relativo che accosta anch’esso ma mantiene le distanze di fondo.

Sono i due volti dell’isolamento, del corpo e dell’anima, che convergono nel rivelare complessità interiori in ambedue i versanti di una reciproca sincerità che allontana allorché vorrebbe avvicinare. Nulla di vacanziero bensì di profondamente umano. Che va poi ad intrecciarsi con il “fuori stagione” dandogli una piega inattesa sullo sfondo dell’altra discriminazione che sul lavoro impatta i drammatici problemi dell’integrazione e dello sfruttamento sul lavoro fino allea “morti bianche”.

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Leggerezza e diapason nell’epilogo ispirato

Anche qui la leggerezza del regista e dell’autrice raggiunge livelli da sottolineare, quando il protagonista si chiede perché il “lavoro nero” deve dar luogo alle “morti bianche”, un ossimoro, e cerca un colore più adatto per definirle scartando ad uno ad uno i colori principali finché resta un innocuo “morti marroncine”. Leggerezza che nel finale tocca il diapason dell’ispirazione superiore.

Cosa dire ancora se non confessare che questo nostro scritto non va considerato una critica cinematografica voluta? Non vuole esserlo perché è stato uno sfogo dell’anima, scritto la sera stessa della proiezione, alle due di notte, nella barca “sul mare”: sullo stesso mare di Ventotene, senza altra sollecitazione che la spinta interiore. E’ vero che il cronista è sempre in servizio, ma nella circostanza non c’era altro motivo, è stata la carica emotiva “sul mare”, in quanto mare dell’anima.

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Attendiamo il Dvd, ripetiamo, per centellinarlo alla moviola, anche considerando le bellezze dell’isola solo sfiorate che vanno riscoperte. Intanto possiamo dire che quando vorremo lasciarci cullare da una musica “sul mare” non ci risuonerà nelle orecchie e nell’anima il “sapore di sale”, la sigla dei film di Vanzina della nostra generazione, ma “senza fine” che chiude il film di D’Alatri.

Entrambi hanno posto come sigla un Gino Paoli diverso nell’intensità e nel colore. In “Senza fine” il poeta della canzone dà il tocco finale a un film che solo un poeta del cinema poteva concepire: perché tale riteniamo vada considerato il regista Alessandro D’Alatri dopo il film “Sul mare”.

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Alessandro D’Alatri con il premio “Alabarda d’oro” per “Sul mare”

Photo

Sono state inserite nuove immagini in questa ripubblicazione, essendo andate perdute quelle originali nel passaggio dal sito iniziale chiuso a quello attuale. Sono intervallate immagini del film “Sul mare” e immagini di Ventotene dove l’azione si svolge, tratte dai siti web di cui si ringraziano i titolari. Si precisa che l’inserimento delle immagini è a puro titolo illustrativo senza alcun intento economico, commerciale o pubblicitario, e qualora non fosse gradita la pubblicazione di alcune di esse saranno eliminate prontamente su semplice segnalazione. I siti da cui sono state tratte le immagini verranno presto indicati nell’ordine di inserimento.