Ricordo di Ennio Calabria, 2. L’essere e il fatto nel trentennio 1958-1988, a Palazzo Cipolla

Continua il nostro ricordo di Ennio Calabria, l’artista scomparso il 1° marzo 2024, lo celebriamo pubblicando di nuovo il secondo dei 3 articoli sulla sua mostra antologica di fine 2018-inizi 2019 a Palazzo Cipolla, uscito il 4 gennaio 2019, dedicato alle opere del periodo 1958-88 Il !° aprile scorso, il giorno del trigesimo della sua scomparsa, abbiamo ripubblicato il primo articolo uscito il 31 dicembre 2018, nel quale si entra nel suo mondo filosofico-artictico incentrato sul “tempo dell’essere”. Il prossimo 7 aprile ripubblicheremo il terzo e ultimo articolo uscito il 10 gennaio 2019 sulle opere dell’ultima faee fino al 2018, anno della mostra..

Pubblicato dawp_3640431 Gennaio 4, 2019

di Romano Maria Levante

La mostra a Palazzo Ciipolla, nel Corso di Roma, “Ennio Calabria, verso il  tempo dell’essere. Opere 1958-2018” , aperta dal  20 novembre  2018  al  27 gennaio  2019, espone  80  opere, in maggioranza di grandi dimensioni – alcune realizzate per l’occasione nel 2018 – incentrate sull’essere umano  nel succedersi sempre più veloce di eventi. L’antologica è promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presieduta da Emmanuele F. M. Emanuele, organizzata da “Poema” con “Archivi Calabria”, supporto tecnico di “Civita mostre”, curata da Gabriele Simongini, come il catalogo bilingue, italiano-inglese, della Silvana Editoriale. Riportiamo le impressioni dalla visita alla prima parte dell’itinerario artistico, tra il 1958 e il 1988, successivamente seguirà il resoconto dell’ultima fase, dal 1989 al 2018.

La locandina della mostra

 Abbiamo già sottolineato i motivi alla base della mostra e il suo valore speciale, cercando poi di penetrare nel mondo dell’artista, non solo pittorico ma anche filosofico, per  la profondità delle sue riflessioni che non hanno nulla di ideologico, nonostante come cittadino sia politicamente e socialmente schierato, ma molto di ideale, riguardando l’essere umano in un mondo attraversato dall’incessante cambiamento prodotto dalla  tecnologia sempre più dominante.  

Calabria mette in guardia dinanzi al rischio incombente della perdita di ogni riferimento ai valori sotto la spinta del contingente e del conveniente che porta ad agire nell’immediato soltanto seguendo l’intuizione,  in una soggettività che sembra essere l’antitesi del pensiero condiviso con cui si forma la coscienza collettiva.

Dinanzi a questa  involuzione che fa temere per il futuro dell’essere umano – impossibilitato per la velocità della vita ad avvalersi del patrimonio di conoscenze, e quindi di valori, accumulato nella storia – si affida a una speranza basata su una constatazione:  l’individuo resta pur sempre l’unico dotato di autonomia di pensiero e di coscienza, per cui la sua diventa una “soggettività complessa”  da cui si possa “ripartire” prendendo atto della discontinuità che richiede nuovi codici interpretativi.  

E l’artista?  Così si definisce lui stesso: “Un testimone che, per propria genericità, è un testimone sociale, un testimone interessato alla dimensione umana compromessa dentro le vicissitudini della storia”. Per poi precisare: “La pittura per me è sintesi testimoniale di movimenti strutturali della personalità psichica contemporanea”. 

Ida Mitrano  apre la sua accurata ricognizione del percorso dell’artista – cui faremo ampio riferimento -collegandone  le opere all’evoluzione nel sessantennio, con queste parole: “Uno studio sull’opera di Ennio Calabria non può prescindere dalla complessità del rapporto vita-pittura che lo caratterizza come artista, né dalla sua visione della realtà, né dai mutamenti sociali del nostro tempo. In tal senso, pensiero-vita-pittura è un corpus unico, inscindibile. Così come il pittore, l’uomo, l’intellettuale sono espressione unica di un’identità corale, nel tempo lungo attraversato”. 

“La giuria”, 1959

Il “tempo lungo” dell’artista

Di questo “tempo lungo” possiamo dare qualche flash attraverso il percorso dell’artista che ne interpreta  i motivi più pressanti, in una evoluzione stilistica e di contenuti con la stella polare dell’essere umano, sempre  al centro della sua ricerca pittorica, come del suo pensiero profondo.

C’è qualcosa di molto significativo negli anni della formazione, il trasferimento dalla natia Tripoli a Roma, con il conseguente spaesamento,  e la morte del padre,  con la ricerca di evasione nel sogno – il “desiderio di volare”- la vocazione per l’arte con il premio a 14 anni a un concorso per ragazzi, il liceo artistico  e la frequentazione dello studio del docente dell’Accademia Belle Arti  Lorenzo Michele Gigiotti, nonché del Mattatoio romano con il cupo spettacolo del macello degli animali  fino all’incontro con il pittore Paolo Ganna, cui deve la prima personale nella Galleria “La Feluca” di Roma , l’8 novembre 1958, a 21 anni.  

E’  attratto da Goya,Cézanne e Picasso per “l’attenzione verso la costruzione della forma, verso la pittura in quanto essa stessa contenuto e non puro mezzo di rappresentazione”.  In Picasso vede “un livello molto alto di assimilazione, di interiorizzazione dell’esperienza cezanniana. Picasso ha rappresentato per me una forma di semplificazione”.

Incontra i critici e gli artisti del momento, tra cui Renato Guttuso, che  lo definì “un giovane di talento  che merita di essere nostro amico” e vedendo i suoi quadri esclamò: “Questo ragazzo ha uno stile innato”. Lo racconta lui stesso in una conversazione con Marco Bussagli, nella quale aggiunge: “Renato mi sosteneva, ma poi questo sostegno è venuto meno”.

Nella fase iniziale, precisa, “non dipingevo i contenuti, ma le forme”;  lo faceva con segni e macchie di colore senza riconoscersi nelle avanguardie informali anzi – ha ricordato in una intervista del 2007 –  “sono apparso, e forse l’interesse che c’è stato è per questo, come il pittore  che riusciva a dare in qual momento una risposta  in qualche modo competitiva all’egemonia totale dell’astrattismo, senza dimenticare il forte equivoco che si era creato intorno al neorealismo”. 

“La città che scende”, 1963 

L’interesse per i contenuti, relativi all’essere umano e alla realtà in cui vive, diventa presto preminente, a questo sacrifica anche il lancio in America dopo il successo della mostra del 1958 presso gli americani che acquistarono tutti i quadri esposti a quotazioni alte, poi ridimensionate per il suo rifiuto di rinunciare all’arte sociale. Dice, invece, con chiarezza e decisione l’anno dopo: “Non si potrà sfuggire alle istanze realistiche che  la vita stessa d’oggi pone… Non si può sfuggire a una precisa responsabilità artistica: dipingere la natura avendo una lucida coscienza storica dell’epoca”. La natura non è un’astrazione “fuori del tempo e dello spazio sociali. Perché il proprio polso batta sul ritmo del nostro tempo è necessario un rapporto con l’uomo e la società”. 

Ma non aderisce alle posizioni ideologiche del neorealismo imposte alla militanza politica nella sinistra, in cui comunque si riconosce, è alla ricerca di “un rapporto organico con la vita e con la storia”, non  vuole raccontare i suoi personali “isterismi, ma ciò che di più oggettivo sono capace di scoprire nei legami con la vita. Voglio farmi, per come posso, interprete del mondo che ribolle, che si modifica”. 

Siamo nel 1960, ha 23 anni,  spiega ulteriormente il suo pensiero nel  1061:  “Quando dico che la pittura è precisazione delle idee intendo dire che essa è ‘conoscenza autonoma’ della realtà”. Autonomia, quindi, ma non solo, perchè aggiunge: “Per essere ancora più preciso, intendo dire che agli artisti non si può attribuire la funzione di illustratori di una realtà già nota e scoperta da altri. Anche la pittura può portare alla scoperta della realtà. Che ai pittori per combattere la battaglia di classe, si deve chiedere prima di tutto di essere buoni pittori, di fare bene il loro mestiere”.  Nulla di precostituito e di improvvisato, l’opposto della visione strumentale oltre che smplicistica dell’arte come mezzo  di lotta politica. 

La pittura  come verifica e non strumento dell’ideologia, dal 1961 al 1968

Con la costituzione, nel 1961, del gruppo “Il pro e il contro”  si pone in contrasto con i gruppi astrattisti e con i neorealisti che allineavano in qualche modo l’arte ai dettami ideologici se non politici, l’impegno è di esplorare la realtà sul piano esistenziale senza  contenuti ideologici precostituiti. Anzi, ritiene “indispensabile con la stessa pittura  verificare la mia ideologia”, e questo mediante  il rifiuto della mera imitazione della realtà per scoprirne gli aspetti  nascosti e non conosciuti.

“Ingrao”, 1966

 Ricordando il contesto estremamente politicizzato che faceva preferire “alla realtà la visione ideologica della realtà”, la Mitrano commenta: “Ma non è il caso di Calabria che, negli anni delle grandi battaglie sociali e culturali, vive la complessità delle cose e scandaglia la realtà in cerca della vita. Non gli interessa ciò che è acquisito ma ciò che è da ricercare, non ciò che è dato, ma ciò che è inedito”. Quindi nessuna denuncia precostituita,  ma per usare le parole di Del Guercio, “una pittura che sia totalmente immersa nella contemporaneità e che, al tempo stesso proietti la contemporaneità  dentro un denso spessore di storia futura consapevole del passato”, in modo che non sia cronaca contingente dominata dall’intuizione, ma rifletta il “pensiero profondo”  sull’essere umano nei suoi rapporti con un mondo in incessante trasformazione.

A Roma, già l’anno dopo l’esordio, nel 1959,  espone alla VIII Quadriennale Nazionale d’Arte, poi nel 1960 alla Galleria “L’Obelisco”, nel 1963  alla Galleria “Il Fante di Spade”, organizza il suo gruppo “Il pro e il contro” che chiuderà nel 1964, l’anno in cui espone  dei ritratti alla Biennale d’Arte Internazionale di Venezia: vediamo  “Stalin”, dall’espressione ambigua e sfuggente, ben lontana sia dalle raffigurazioni apologetiche della sinistra ideologica sia da quelle di segno opposto.

Di questi primi anni la mostra presenta”Imponderabile nel circo”1958,  “I motociclisti (La strada)” e “La giuria”, 1959, “La città che scende” e “Un’Annunciazione del nostro tempo” 1963.  Si nota una spiccata autonomia, oltre che dalle ideologie, anche dalle avanguardie e da correnti predeterminate, pur se sono evidenti influssi, in particolare dal futurismo:  “La città che scende” viene accostata a “La città che sale” di Boccioni del 2010, una “citazione” non solo nel titolo. 

Però i suoi modi sono  personalissimi ed ha  motivazioni antitetiche, non c’è in lui il compiacimento dei futuristi per il progresso – portatore del movimento e della velocità che sono al centro delle loro opere all’insegna del dinamismo – al contrario pensa che l’evoluzione tecnologica comprima l’essere e la persona. Lo  si vede in questi dipinti con la figura umana abbozzata,  tranne la nitida raffigurazione della “Giuria” e dell’”Annunciazione”, nell’affollamento oscuro di quest’ultima, presago della tragica fine del Cristo, c’è il presente, passato e futuro. E’ un modo inedito rispetto alle rappresentazioni consuete, che definisce così: “Una pittura che rimetta tutto in discussione; la realtà e le forme per esprimerla e che diventi, scaturendo dalla sua stessa interna logica (di forma, di colore, di ritmo compositivo) pensiero, filosofia, scienza”. 

“L’edile e la luna (Luna lontana n. 1)”, 1965-66

Nel  1964, come accennato, si chiude  “Il pro e il contro” perché dinanzi ai cambiamenti  il gruppo si sfalda,  Calabria si sente isolato nell’ambiente artistico romano e  si ritiene “scomunicato” da Guttuso per non essersi allineato all’arte militante.  Ma non demorde dalla sua ferma posizione, proprio in quell’anno scrive che la pittura deve essere “forza autonoma, non subordinata all’ideologia”.

Il suo impegno artistico e intellettuale viene stimolato dai mutamenti economici e sociali dovuti soprattutto all’evoluzione tecnologica sempre più accelerata, per cui il rapporto arte-tecnologia diviene centrale. Contro le tendenze in atto – con la Pop Art in crescita dopo  il premio a Rauschenberg alla Biennale di Venezia – per lui è l’arte che deve “servirsi di tutti i contributi possibili, strumentalizzando il linguaggio tecnologico”, senza farsene condizionare, in modo da collegare “la realtà odierna  e la sfera vitale delle passioni e dei miti popolari”.

L’essere umano resta al centro della sua attenzione, ma ora viene collegato al paesaggio urbano, e c’è molto interesse alla condizione del lavoratore, nella chiave della testimonianza dei problemi inerenti la realtà contemporanea: cioè il “fatto” cui si rivolge la sua arte non in termini cronachistici ma di segni esemplari della condizione umana da esplorare nei suoi valori e significati profondi.  Nel momento in cui viene meno una visione comune, osserva la Mitrano, “la pittura risponderà sempre più alla necessità di  testimoniare il tempo presente, facendo dell’esperienza creativa un processo conoscitivo capace di generare cultura”, in modo da avere una visione lungimirante. 

Tutto ciò considerando l’impatto sempre più forte e persuasivo dell’immagine, anche pubblicitaria, amplificata dalla scena mediatica: “Fatto, questo  – si legge nei suoi “Scritti personali” del 1966 -67 –  di grande importanza per l’ipotesi di una figurazione capace di condensare in sé un momento di certezza; senza rimandi a un ‘poi ideologico’, calarsi nella reale temperatura  delle passioni delle masse, evitando modelli precostituiti”. Ribadisce l’autonomia, ma non sembra asettico, tutt’altro.   

Tre  opere molto diverse nel 1965, “Quando viene l’estate” presenta una  scena aperta e solare con forme  indistinte che nella loro morbida chiarezza danno il senso della vacanza distensiva; invece in “Funerali di Togliatti”  la scena è opprimente, con le figure scure di Amendola e Ingrao a prefigurare  gli scontri politici futuri, l’unica luce è nelle teste e nelle mani che si affollano confuse in primo piano evocando il dolore della classe operaia; precede di sette anni la spettacolare opera di Guttuso, che invece è infiammata dal rosso delle bandiere,  con i fiori che incorniciano il volto di Togliatti, la folla di teste delineate in modo netto, pur nel grigiore senza colori, con riconoscibili i volti dei grandi del comunismo – da Lenin presente più volte, a Stalin, a Gramsci – insieme ai dirigenti uniti nell’ultimo saluto al leader scomparso.  “Ingrao”  è un ritratto nel 1961, di impronta picassiana.  Nel  “Ricordo lucano”, del 1965, tagliato in due parti, bianca e nera,  si affaccia un’immagine inquietante; mentre  il ben diverso “Un vespaio”/ , 1967, mostra una figura anch’essa  inquietante perché emerge da un grande  nido di vespe, è il volto con la caratteristica barbetta di Ho Chi Min, vincitore della guerra in Corea.

Frammenti a parete”, 1978

Dal ’68  al ’74, dalla contestazione alla CGIL

Nell’itinerario dell’artista siamo al 1968, si impegna nel cercare di capire le ragioni della crisi del sistema e le istanze della  contestazione studentesca, poi anche operaia, sempre nella sua visione di calarsi nella realtà senza posizioni precostituite. La sua azione pubblica è diretta, è attivo in manifestazioni di appoggio  alla contestazione  fino all’elezione di sedi di dissenso rispetto a quelle ufficiali,  l’Accademia delle Belle Arti  rispetto alla Biennale di Venezia, le Giornate del cinema rispetto alla Mostra del cinema.  Inoltre  interviene nei dibattiti e negli incontri, come quello sulla situazione delle arti figurative e sulla Biennale di Venezia dal titolo eloquente: “Una nuova Biennale, contestazioni e proposte”. 

Renato  Guttuso aiutò a dipingere  un “tazebao” gli studenti universitari su loro richiesta sebbene appartenesse agli aborriti docenti, ma non lo ritenevano un “barone”, e cercò di  rimuovere l’avversione del Partito comunista scrivendo ad Amendola che poteva spiegare le loro ragioni; inoltre dipinse l’abbraccio tra due giovani “sessantottini” che rompeva un tabù borghese.

Del 1968 sono esposti due ritratti a personaggi emblematici, “Mao pianeta” e “Ipotesi per un monumento equestre a Che Guevara”, in entrambi le figure sono interpretate nell’immaginario collettivo di vaste masse,  il primo con il volto aperto in un sorriso che si allarga in più piani, come per moltiplicarsi, il secondo visto più come totem che come monumento.  Realizza anche un murale per la Casa del popolo nel quartiere romano di Pietralata; nell’anno successivo tiene una mostra personale alla Galleria “La Nuova Pesa”, sempre a Roma, cogliendo l’occasione, anche rispetto alla critica, di  affermare con forza l’esigenza che la pittura ritrovi la propria funzione nella vita reale, per non essere confinata in un museo.

Antonello Trombadori si espresse così: “Calabria non ha avuto bisogno di attendere il crollo dell’informale e il revival tecnologico oggi in atto,  per riproporre con vigore  l’alternativa che l’arte nuova o sarà il frutto di una rivoluzione figurativa o non sarà”. Con questo straordinario  riconoscimento: “Egli su questa strada ha camminato fin dai suoi esordi e la sua capacità d’inventore di immagini è divorata da questa passione”. 

“I giovani”, 1979

Nella ricerca sull’essere umano immerso nella realtà lo interessa sempre più la condizione operaia, nel 1969 incontra i lavoratori del Tiburtino III, predispone grandi sagome dipinte per la Festa dell’Unità nel quartiere,  sarà la base per creare nel 1971  un Centro di produzione e organizzazione culturale, l’ “Alzaia”, che organizzerà mostre collettive di grafica socialmente impegnata. Analoga partecipazione alle Feste dell’Unità a Firenze nel 1970 e nel quartiere Flaminio a Roma nel 1972; nel 1970 aveva partecipato alla  mostra di Arezzo dal titolo eloquente: “Arte contro 1945-70, dal realismo alla contestazione”. Il suo impegno culturale prosegue senza sosta, con l’obiettivo di penetrare nelle comunità mediante strutture di quartiere, collettivi interdisciplinari e altre forme come i manifesti per gli eventi che coinvolgono vaste masse, quindi rappresentano un efficace strumento di comunicazione con le forze che muovono la società: nascono così i Manifesti per la CGIL e i Manifesti per il Tribunale Russell, esposti nella mostra in una suggestiva sfilata nel corridoio che unisce due sale con i grandi dipinti spettacolari; sono secchi, netti e schematici. L’evoluzione della sua arte – pur nella continuità di fondo della visione dell’essere nella realtà – è continua, nella opere esposte alla mostra personale del  1971  alla Galleria “La Nuova Pesa”  appaiono sempre più gli operai, in specie gli edili, negli scenari urbani.  Non si tratta di denuncia politica di sopraffazioni –  come in Guttuso – ma di esplorazione della nuova condizione personale e umana dinanzi ai mutamenti della realtà e quindi della vita. “L’edile e la luna (Luna lontana  n. 1)” 1971, esposto in mostra, presenta l’operaio abbattuto e oppresso, ma con una striscia luminosa verso l’alto che  sembra prefigurare una strada in ascesa per la liberazione sulle ali di un sogno.

Altre due opere del 1972, “Edile a Tiburtino” e “Un edile”, non esposte, sono pervase di umanità,  le impalcature, osserva la Mitriano, “sono la sua prigione, ma anche la sua forza, il suo contenuto  umano, etico, politico nel momento in cui acquisisce coscienza storica”. E aggiunge: “Su quelle impalcature suda, rischia, ma  è ancora capace di sognare, di sperare, di essere uomo”. E’ il tema della Biennale Nazionale d’Arte a Milano a cui partecipa nel 1971, “Situazione dell’uomo: contraddizioni a confronto”, sulle nuove tecnologie rispetto alle comunicazioni di massa; nell’anno realizza “Gandhi”, che vediamo esposto, una sorta di ectoplasma carismatico che domina dall’alto un magma  in movimento, la società indiana che ha scosso dopo un’immobilità millenaria. 

Ancora nel 1972, oltre alle opere sugli edili cui abbiamo accennato,  ne realizza altre ispirate al conflitto vietnamita che mobilitava  manifestazioni di protesta della sinistra e dei pacifisti in Italia e nel mondo.  Sono esposte “Lontano dal Vietnam” e “Vittoria del Vietnam in Occidente”  in cui, a differenza  delle opere  finora considerate, per lo più dal cromatismo tenue e sfumato,  vi è una forte dominante rossa e rosa su fondo nero, con  immagini sfuggenti  in squarci chiari e bianchi; fanno eccezione rispetto alla sua costante distanza dagli eventi al centro della polemica politica.  

“Caffè Florian”, 1981

Tra il 1971 e 1974 è impegnato in altre 5 mostre promuovendo la centralità dell’arte figurativa anche se, lo ripetiamo, la sua interpretazione è personalissima, la forma evanescente e aggrovigliata, deformata così da perdere la riconoscibilità che è nella sua mente. Le mostre si svolgono a Napoli e Siena, Anagni e Milano, nonché alla X Quadriennale di Roma  del 1972, i titoli evocano l’aspetto innovativo: “Aspetti della nuova figurazione” e “Ricerche figurative”, “Nuove ricerche della realtà” e “Nuove ricerche d’immagine”, fino a “Presenze e tendenze nella giovane arte”. Nel 1973 realizza una installazione per la mostra a Gualdo Tadino, “Immaginazione e potere. Pittura, scultura e design in una esperienza di gruppo”, con televisori e ombrelli, questi ultimi dal significato allusivo al bisogno di protezione, li  ritroviamo nell’opera esposta dell’aprile 2018. 

Dal 1974 al 1988, il rinnovamento artistico 

Abbiamo  accennato prima ai suoi  manifesti per la CGIL, ebbene a questa sua presenza nel sindacato c’è un seguito:  nel 1974 entra nel consiglio direttivo della Biennale di Venezia proprio in rappresentanza della CGIL, vi resterà fino al 1978, si impegna per il rinnovamento dell’arte coinvolgendo le forze operaie e perciò partecipa solo alle mostre collettive, tornando a una mostra personale a Bologna solo nel 1978, ripetuta nei due anni seguenti in altre sei città, tra cui Roma. E’ l’ultimo impegno diretto in campo sociale e, indirettamente, politico.

La situazione cambia ancora e lui si interroga sugli effetti che può avere nella pittura il profondo mutamento in atto,  la conclusione sembra essere un allontanamento dai temi politicamente impegnati per concentrarsi ancora di più sulla condizione umana, sempre partendo dalla realtà.

Osserva la Mitrano: “Certamente Venezia, città visionaria e decadente, dalle atmosfere misteriose, dai luoghi fantasticamente sospesi tra realtà e sogno, deve aver suscitato in Calabria sensazioni, vissuti, emozioni, che non avevano ancora trovato sistemazione nella pittura”.  La  direttrice con cui ridefinisce  la sua pittura, peraltro già attenta alla condizione umana, è la revisione – sono le sue parole – delle “esperienze fatte con l’immersione nel politico, per riproporle di nuovo in uno sforzo più rigoroso di recupero del ‘sociale’ e del ‘psicologico’, per un ampliamento della funzione conoscitiva dell’opera”. Ciò vuol dire allontanarsi ancora di più dalle “certezze” dell’ideologia – che non ha mai abbracciato, a differenza dei neorealisti orientati  a sinistra come lui, del resto – per concentrarsi maggiormente nella ricerca della condizione umana anche nelle sue forme sociali.   

“Il traghetto per Palermo”, 1984

Sono esposti dipinti molto significativi che documentano questa evoluzione: “Frammenti a parete” e “Pantheon 1978, “I giovani” e “Da una città d’Italia”, 1979, accomunati da toni scuri e da forme indistinte, nel primo e nel terzo si percepiscono appena particolari di figure umane, il quarto merita un’attenzione particolare. Sono tutti di notevoli dimensioni, lunghi oltre 2 metri e alti tra 1 m e 1,70, ma l’ultimo li supera, 2,50 per 2,30; non è il motivo della sua rilevanza, quanto il significato che l’artista attribuisce ai sacchi di plastica  buttati alla rinfusa riprodotti nel dipinto dopo averli visti nella realtà in una strada di periferia: “Ho avuto la sensazione che quella plastica nera nascondesse grandi verità, ma troppo pericolose. Ho pensato che la gente, la sera mettesse dentro quei sacchi l’immaginazione e la creatività, tanto pericolose e dannose ad un soporifero e passivo adattamento alla spietata e vuota  routine del quotidiano”. 

Negli anni ’80 è intensa la sua partecipazione a mostre, nel 1981 la collettiva “Linee della ricerca artistica 1960-80” al Palazzo Esposizioni di Roma e le  personali  al centro Mexico-Italia Adriano Olivetti e a Città del Messico, nel 1982 in Finlandia e a Roma, nel 1984 a Roma alla Galleria “La Gradiva” e a New York, nel 1985 a Milano, nel  1986 alla XI Quadriennale Nazionale d’Arte di  Roma,  nel 1987 sempre a Roma a Castel  Sant’Angelo,  nel 1988 di nuovo a “La Gradiva”.

Di questo periodo di intenso rinnovamento artistico sono esposte 5 opere: la piccola “Caffè Florian” 1981, e  “La luce del mare” 1984, accomunate dall’oscurità e da immagini evocative; due opere del 1985, “Il traghetto per Palermo” e “Un gioco nel vento”, accomunate da un cromatismo chiaro, con figure riconoscibili, nel primo le auto, nel secondo le due donne e i fogli; il quinto, “La città dentro” 1987, addirittura 2 m per 4 m, con forme che rappresentano forze contrapposte.  Claudio Crescentini: pone il dipinto  “all’apice” della sua ricerca in quella fase: “Un nuovo  manifesto programmatico di Calabria, una nuova – diversa – prospettiva emergente dell’artista verso il prossimo decennio nel momento in cui si vanno sintetizzando temi e comportamenti pittorici sempre più personali e comunque coerenti con i tre precedenti decenni di sviluppo creativo dell’artista”.

Prossimamente parleremo dei tre decenni successivi, fino al momento attuale. 

“La città dentro”, 1987

 Info 

Palazzo Cipolla, Via del Corso 320, Roma. Tutti i giorni, escluso il lunedì, ore 10,00-20,00, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 7, ridotto euro 5 per gli under 26 e over 65, forze dell’ordine e militari, studenti universitari e giornalisti, convenzionati, gratuito under 6 anni, disabili con accompagnatore, membri ICOM e guide turistiche.  Tel. 06.2261260. Il primo articolo sulla mostra è uscito, in questo sito, il 31 dicembre 2018, il terzo e ultimo articolo uscirà il 10 gennaio 2019, con 11 immagini ciascuno. Per quanto citato nel servizio  cfr. i nostri articoli, in questo sito: per Renato Guttuso, “Guttuso rivoluzionario”  14, 26, 30 luglio 2018, “Guttuso innamorato”   16 ottobre 2017, “Guttuso religioso”  27 settembre, 2 e 4 ottobre  2016, “Guttuso antologico”  16 e 30 gennaio 2013; per “Picasso”  5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, “Cèzanne”  24, 31 dicembre 2013, il “Padiglione Italia Regione Lazio” 8 e 9 ottobre 2013; per i”Futuristi”  7 marzo 2018, sui singoli artisti, “Thayaht” 27 febbraio 2018, “Marchi” 24 novembre 2017, “Tato” 19 febbraio 2015, “Dottori” 2 marzo 2014, “Erba” 1° dicembre 2013, “Marinetti” 2 marzo 2013; per “Deineka” 26 novembre, 1 e 16 dicembre 2012, “Franco Angeli” 31 luglio 2013; per la Pop Art e le altre avanguardie americane“Guggenheim” 23  e 27 novembre, 11 dicembre 2012; per gli “Astrattisti italiani”, 5 e 6 novembre 2012; in abruzzo.cultura.it, per i “Realismi socialisti”  3 articoli il 31 dicembre 2011, per gli “Irripetibili anni ’60”, 3 articoli il 28 luglio 2011,  per il “Futurismo”  30 aprile, 1° settembre e 2 dicembre 2009, per “Picasso” 4 febbraio 2009  (il sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su questo sito).    

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Cipolla alla presentazione della mostra, si ringrazia la Fondazione Terzo Pilastro -Internazionale, con gli organizzatori e i titolari  dei diritti, in particolare l’artista, per l’opportunità offerta. Le 10 foto dei  dipinti  di Ennio Calabria coprono i primi 30 anni del  sessantennio 1958-2018. In apertura, la locandina della mostra; seguono, “La giuria” 1959, e “La città che scende” 1963; poi , “Ingrao” 1966, e  “L’edile e la luna (Luna lontana n. 1)” 1965-66 ; quindi, “Frammenti a parete” 1978,  e “I giovani” 1979; inoltre, “Caffè Florian” 1981, e  “Il traghetto per Palermo” 1984; infine,  “La città dentro” 1987 e, in chiusura,  i Ritratti, “Ipotesi per  un monumento equestre a Che Guevara” 1968, a sin –“Gandhi”, a dx.” 

Ritratti, “Ipotesi per  un monumento equestre a Che Guevara”, 1968, a sin –“Gandhi”, a dx

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