Annalia Amedeo, porcellane artistiche nelle “Sinestesie” alla “Casina delle Civette”

di Romano Maria Levante

Nella mostra “Annalia Amedeo. Sinestesie. Natura. Storia. Arte”, alla “Casina delle Civette” nella Villa Torlonia, a Roma,  sono esposte, dal 21 ottobre 2017 al 21 gennaio 2018, circa 30 opere di porcellana  realizzate dall’artista negli ultimi cinque anni, e raccolte nel segno delle “sinestesie”, percezioni sensoriali in sequenza misteriosa. Promossa dall’Assessorato alla crescita culturale di Roma Capitale e presentata dal Centro Studi per la Storia della Ceramica Meridionale diretto da Guido Donatone, è a cura di Elena Paloscia la quale ha curato anche il Catalogo che contiene saggi suoi,  di Donatone e  della Massafra, responsabile del Museo.

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E’ la terza mostra che seguiamo alla “Casina delle Civette”, all’interno del  parco di Villa Torlonia, e siamo sempre presi dallo stupore di come le opere esposte si inseriscano in un ambiente così particolare al punto che sembrano far parte dell’arredamento. Eppure si è trattato di opere molto diverse, dalle civette in tutte le varianti possibili ai “putti” scultorei di Wal ed ora alle porcellane di Annalia Amedeo. Il clima liberty della palazzina si presta alla vera e propria incorporazione delle opere presentate, per cui sembra difficile poterle rimuovere al termine della mostra, quasi come se si asportasse un qualcosa entrato a far parte intimamente di un contesto così particolare. C’è anche maestria nella scelta degli artisti espositori, e di questo va dato atto alla direzione del Museo.

La responsabile Maria Grazia Massafra, per la mostra attuale, ne parla espressamente, riferendosi alle porcellane della Amedeo: “La forza onirica e visionaria delle sue creazioni è la stessa che anima il decorativismo naturalistico della Casina delle Civette e il linguaggio simbolico dello stile floreale”. E lo spiega così: “La linea serpentina e filiforme della decorazione Liberty vivifica, con il ritmo della danza e della musica, le forme che l’artista aggrega secondo schemi di natura organica”. Con questo effetto: “Le sue opere creano suggestioni fantastiche, il cui significato simbolico viene accresciuto dall’assenza del colore che lascia liberi di immaginare senza l’illusione della mimesi”.

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La porcellana nel processo creativo dell’artista

Prima di penetrare nei contenuti delle opere con i relativi significati simbolici, una premessa sul materiale in cui sono realizzate, con le parole di Guido Donatone, Direttore del Centro studi per la storia della porcellana meridionale, che rievoca come dal composto di quarzo e feldspato dell’antica Cina, nel ‘700 si sia giunti alla porcellana aggiungendo il bianco caolino: “Il composto si trasformò in magma duro, compatto marmo pario; non si scalfiva neanche con la punta di diamante. Il segreto passò, poi, a Capodimonte”.

L’artista, nata a Napoli, evidentemente è stata colpita anche dai reperti di porcellana che vi sono stati rinvenuti, “forse  archetipi inconsci delle avvolgenti sculture” da lei realizzate con un processo creativo prima, produttivo poi, così descritto:  “Le dita della scultrice trasmettono leggere vibrazioni sensoriali. Animano un arcano impasto  materico: è il mezzo espressivo da lei privilegiato, destinato col fuoco ad alta temperatura a divenire porcellana dopo aver assunto nelle sue mani forme intricate, tormentate, plastico-cromatiche”.

In tal modo, prosegue Donatone, “la ceramista Amedeo ha interiorizzato la porcellana. Si è avvalsa della precedente  esperienza di restauratrice per  impadronirsi magistralmente  delle tecniche di fabbricazione: ha impiegato il gres, le terre refrattarie, ma il medium privilegiato è la porcellana lavorata in strati sottilissimi”. Il risultato, sotto il profilo materico, è  suggestivo: A volte le opere restano prive di cristallina: in niveo bisquit. Oppure candide, perfette porcellane invetriate, spesso solo screziate con verde ossido di rame, e impreziosite all’esterno con venature di fili di rame e ottone: leggere, fluttuanti, librate installazioni. Per alcune sculture, invece, impiega in seconda cottura sali metallici di ferro e cobalto con esiti cromatici di delicato, serico, vellutato tessuto”.

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Queste parole, nelle quali  si sente l’amore per un materiale così particolare come la porcellana che accomuna l’artista e lo studioso, rivelano il ricamo materico ideale per esprimere contenuti così delicati come quelli che animano la produzione della Amedeo. Si va dalla Natura,  alla Storia all’Arte –  titoli delle 3 parti della mostra – senza soluzione di continuità, come approfondimento di un’introspezione sempre più intima e raccolta, che cerca all’esterno le forme per esprimersi.

Le “sinestesie” sensoriali nel processo creativo,

L’introspezione è definita “sinestesie” perché se ne possa percepire l’iter movimentato: si tratta, infatti, di una sequenza sensoriale tra percezioni successive, anche molto ravvicinate fino ad essere contemporanee, che possono risultare in contrasto tra loro, come lo sono le diverse sensazioni che dà la porcellana, di delicatezza e morbidezza da un lato, di durezza e asprezza dall’altro.

La curatrice Elena Paloscia spiega così il percorso, pur istintivo, della nascita delle creazioni dell’artista: “E’ il flusso di un discorso dalla sequenza non necessariamente univoca perché nei processi interiori che sottendono il suo lavoro spesso alcune intuizioni hanno bisogno di tempo per palesarsi, altre invece si manifestano repentinamente, mentre su altre ancora è necessario riflettere, talvolta tornare”.  Uno “slittamento percettivo” che si esprime anche nei temi prescelti e nei contenuti.  Essi, infatti, “sono classici, talvolta ancestrali, fino a sfiorare la dimensione astratta, ma ci appaiono contemporanei nella struttura sintattica con cui l’artista articola il racconto”.  

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 Tutto chiaro e semplice, dunque? Non è così, se la Massafra osserva: “Tutte le sue opere hanno una densità simbolica ambivalente: nella luce primaverile si percepisce un’ombra minacciosa, nel volto solare della divinità rigeneratrice si intuisce la presenza minacciosa e notturna dell’oscurità”. E se “le misteriose presenze femminili hanno capigliature sinuose” non è soltanto un fatto estetico ma “rinviano all’archetipo mitico della medusa” dove la chioma evoca “apparizione, visione, mistero”.Mentre la stessa  Paloscia avverte: “E’ un fare arte personale e fuori dagli schemi, con uno sviluppo che può essere raccontato e spiegato, ma i cui esiti non saranno mai compresi fino in fondo”.  

Ed è con questa consapevolezza che ci accingiamo a passare in rassegna le opere esposte, nelle tre parti, Natura, Storia e Arte,   in cui – sono sempre parole della curatrice – “diventano protagonisti la foglia, il fiore, la coppa, il fossile e la maschera, declinati secondo un sentire intimo, espressione di un percorso lento, di trasformazione, che ricalca i tempi dell’esistenza stessa”.

In effetti, le immagini evocano memorie remote e insieme presenti, dalle foglie ai fiori declinati in modo suggestivo, alle conformazioni fossili molto particolari fino alla classicità anch’essa rivista in modo sorprendente. Ambivalenza anche qui, le opere vengono presentate come qualcosa di nuovo, anzi d’antico, e viceversa. Lo vedremo citandole tutte ad una ad una.

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 La natura e la storia: viluppi, strati e cavità con richiami ancestrali 

Si nota una  perfezione stilistica e una grazia espressiva che vanno oltre la pura forma per investire il contenuto che l’artista vuol dare alle sue creazioni. E’ la ricerca di qualcosa di più profondo oltre l’apparenza esteriore, dalle foglie alle coppe la cui cavità viene esplorata aprendola a un’osservazione ansiosa di rivelarne gli intimi recessi. Forse per questo viene citata la massima di Baudelaire: “La Natura è un tempio dove incerte parole  mormorano pilastri che sono vivi, una foresta di simboli che l’uomo attraversa nei raggi dei suoi sguardi familiari”.

C’è tutto in queste parole, la sacralità che incute rispetto e i pilastri vivi nella candida porcellana, la foresta di simboli che riporta alle origini di tutto,  gli sguardi familiari che cercano di penetrare.

In apertura della parte dedicata alla “Natura”, “Leaves installation”, 2013-15 presenta  le foglie nelle loro larghe volute non appesantite dalla solidità della porcellana, mentre l’installazione del 2014 dallo stesso titolo le mostra distese su un supporto marrone di tipo arboreo, in uno dei contrasti cromatici che rompono la sostanziale monocromia dell’insieme.

Con “Root kinesis“, 2015, si cerca di penetrare nelle radici, è un viluppo di strati leggerissimi che nell’anno successivo ritroviamo con un’indoratura marroncina di sali metallici in “Tracce sensibili”. Sono viluppi che si elevano verso l’alto, mentre in precedenza erano stati creati più in orizzontale in “Bind”, 2014 e “Oblations”, entrambi a coppie.

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L’installazione “Verso”, 2017, va oltre la naturale espressione vegetale, è costituita da una molteplicità di elementi diversi tra loro per minime varianti, in una sequenza creativa in cui la foglia subisce un processo di mutazione che la fa diventare corolla e fiore in un crescendo che coinvolge l’osservatore nella visione d’insieme e nel contempo nell’osservazione di dettaglio.

Finora si è trattato di porcellana candida,  a parte l’indoratura marroncina delle “Tracce sensibili” e della “Leaves installation” del 2014 e qualche leggera striatura in altre. Ma con “Blue-seed”, 2016,  sul candore della coppa sottostante si calano delicate conformazioni in celeste tenue,  più invasive delle piccole presenze celesti nelle bianche cavità di “Le foglie dentro # 1 e 2”, 2015. “Forme organiche”, 2015, mostra l’analoga cavità senza altre aggiunte.

Cavità candide  anche nelle prime opere che citiamo della parte dedicata alla “Storia”, al contrario di “Blue.seed”  sono le piccole coppe cave ad essere appoggiate su un supporto che evoca la sezione degli alberi  da cui si ricava l’età secondo il numero dei cerchi, forse per questo è marroncino. E’ come un richiamo alle origini della vita,  immagini ancestrali  che danno il titolo alla serie.

In  “Memoria fossile # 3” e “# 4”  il supporto richiama proprio la sezione dell’albero, mentre  in “Memoria fossile # 2”, tutte del 2017, il supporto è ancora un disco marrone ma non vi sono poggiate le due cavità, perché sono al centro di una sorta di irradiazione progressiva, riteniamo del senso della vita. Richiamo ancora più evidente in “Memoria fossile # 1”, 2016, dove al centro dell’irradiazione c’è qualcosa di diverso e di più allusivo che solo “uova dischiuse”.  in “Memoria fossile # 5“,  2017 le “uova dischiuse” si sono moltiplicate, il supporto  resta un sottile disco marrone.   

E’ il processo vitale della trasformazione legata all’esistenza che in “Madreforma # 1” e “# 2”, 2017,  assume aspetti diversi, ancora cavità ma ora percorse dai “cerchi della vita” oppure forme chiuse segnate nello stesso modo.

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L’arte, la Venere classica in trasmutazioni simboliche

Fin qui la genialità dell’artista ha  innestato il senso della vita nelle conformazioni floreali unite a memorie arboree e riferimenti ancestrali, lo abbiamo visto declinato in “natura” e “storia”. Nessuno shock né spiazzamento per l’osservatore, ma stimolo a penetrare i significati reconditi.

Questo stimolo è ancora più pressante dinanzi alle opere della serie dedicata all’“Arte” perché vi si aggiunge lo shock e lo spiazzamento. Né altro potrebbe esserci dinanzi alla perfezione del volto della classica Venere capitolina deturpato, sfregiato e  quasi aggredito, la sua bellezza brutalmente violata. E usare tale  avverbio avendo parlato finora di perfezione e delicatezza stilistica è tutto dire.Non ci basta ricordare l’avvertimento della curatrice che siamo “fuori dagli schemi”, per cui pur trovando le spiegazioni dell’itinerario artistico i suoi “esiti non saranno mai compresi fino in fondo”, a prima vista non comprendiamo nulla di tale profanazione. Ma basta approfondire la materia per entrare, sia pure con maggiore difficoltà che per le altre opere, nell’ambivalenza e nel simbolismo, qui particolarmente complesso.  All’evidente riferimento classico a Venere, dea della bellezza, si aggiungono rinvii anche ad Euridice  e  a Dafne; in più a un racconto di Primo Levi che ha  ispirato un ciclo di 4 immagini di Venere molto particolari. Perché tutte le opere della serie dedicata all'”Arte”  presentano il la testa scultorea di Venere dal bellissimo viso variamente “aggredito” soprattutto da foglie che arrivano a tappare la bocca e gli occhi, o a posarsi sul viso.

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Il rinvio ad Euridice è motivato dalla leggenda secondo cui lasciava una scia di foglie perché la trovassero salvandola dall’Ade; quello a Dafne perché, per sottrarsi alle insidie di Apollo mutando i sui capelli in figlie ondulate chiamava a soccorso le divinità fluviali che la proteggevano. Ecco perché le foglie sul viso di Venere, che non è vuol essere un reperto museale nè un’immagine meramente estetica, ma un qualcosa di vivo dal carattere fortemente simbolico! Il ciclo “Come tu mi vuoi”, 2015,  presenta 5 immagini del viso scultoreo di Venere, su cui si posano delle foglie, in bocca o negli occhi, o sulle guance; in “Come tu mi vuoi # 4”  è coperta interamente la parte superiore del volto come da una maschera.

Un racconto di Primo Levi ha ispirato l’artista nell’opera “Angelica farfalla”, 2017, altre 4 immagini del viso di Venere in parte coperto da foglie;  il racconto ha lo stesso titolo e si è ispirato a sua volta al Purgatorio allorché Dante parla della trasformazione in creatura superiore, da larva a farfalla od angelo; però la mutazione nel racconto di Levi è mostruosa  nascendo dalla mente criminale nazista e si conclude  con una catarsi liberatoria della popolazione tedesca. “Allo stesso modo – commenta la Paloscia –  Annalia Amedeo  su quella maschera universale proietta emblematicamente la possibilità per l’essere umano di giungere ad un nuovo stato di coscienza  attraverso  una temporanea morte simbolica cui segue la rinascita”. 

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La farfalla era simbolo dell’anima, nasce dal bruco e  dopo un breve vita può rinascere. “Di questo straziante e bellissimo percorso l’artista lascia traccia  e lo fa con il suo lessico consueto che muta però nelle scelte cromatiche e nella finitura della superficie, che  a tratti perde la sua preziosità diventando scabra proprio come un percorso verso una nuova carnalità”.

Guardiamo i 4 volti, soprattutto nell’ “Angelica farfalla # 2”, come osserva Donatone, “sul divino, candido viso della dea germogliano tracce impure, foglie accecanti, invasive, taglienti. Segni proclamati dell’immagine della donna violata’, privata della sua integrità”; nel “#1” e “# 4″, il viso è integro ma sono tappati da foglie e altro rispettivamente l’occhio destro e il sinistro; nella “#  3”  il viso invece è libero da ogni intrusione, un fiore è nei capelli con le labbra e le gote leggermente arrossate come per un ritorno al calore della vita.La trasformazione così si perfeziona,  il contenuto di spiritualità e il senso della vita, che nelle cavità rimanda addirittura all’origine genitale, approda alla liberazione e alla rinascita, la statua prende colore, si libera anche delle foglie e delle farfalle, Venere diventa Eva la progenitrice. In questa visione si supera lo shock per il bellissimo viso deturpato che nella quarta opera del ciclo torna a risplendere nella sua perfezione  pur con una certa mestizia nel capo leggermente reclinato.

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“Qualche volta il nostro angelo migliore depone le uova”, sono le parole di Ada Merini richiamate per la parte dedicata alla “Storia”. Le “uova dischiuse” le abbiamo viste rappresentate, ora troviamo le parole di Dante per la  parte dedicata all’ “Arte”: “Non v’accorgete voi che noi siam vermi/ nati a  formar l’angelica farfalla, che vola a la giustizia senza schermi?”  Abbiamo visto anche l’angelica farfalla, Venere-Eva che l’artista ha fatto uscire dai Musei capitolini per darle vita; e anche se qualche foglia si è fissata sui suoi occhi e ne ha offuscato il viso, è stato momentaneo, dal bruco alla farfalla , dalle cavità genitali e dalle “uova dischiuse” la vita è entrata nelle gote di Venere-Eva.

E’ il miracolo dell’arte, dell’arte di Annalia Amedeo,  l’ambiente  particolare ed evocativo della “Casina delle Civette”  fa pensare alle sue opere  come a gioielli finemente incastonati.

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Info

Museo di Villa Torlonia, Casina delle Civette, Via Nomentana 70, Roma. Da martedì a domenica ore 9,00-19,00, la biglietteria chiude 45 minuti prima. Ingresso alla Casina delle Civette intero euro 5,00, ridotto euro 4,00, per i residenti a Roma Capitale  1 euro in meno e ingresso gratuito la prima domenica del mese. Info 060608, 347.8285211. www.annalia-amedeo.it. Catalogo  “Annalia Amedeo. Sinestesie. Natura, storia, arte”  a cura di Elena Paloscia,  Editore Guida, Napoli, ottobre 2017, pp. 92,  formato 22 x 22. Dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo.  Per la precedente mostra collettiva alla Casina delle Civette, cfr. il nostro articolo, in questo sito,  “Civette, un’intrigante ‘civetteria’ alla ‘Casina’ di Villa Torlonia”,  15 marzo 2017.

Info 

Le immagini sono tratte dal Catalogo essendo risultate di cattiva qualità  le fotografie scattate alla presentazione della mostra, si  ringrazia l’organizzazione, con i titolari dei diritti, in particolare l’artista, per l’opportunità offerta.  In apertura, Angeliche farfalle # 1″, 2017;  seguono, Tracce sensibili”, 2015, e “Verso”. 2017; poi,  “Oblations”, 2015, e “Forme organiche”, 2015; quindi, “Le foglie dentro# 1!, 2015, e “Blu -seed”, 2016; inoltre,“Memoria fossile # 1”, 2016, e “Memoria fossile 2”, 2017; infine, “Memoria fossile # 5”, 2017, e “Angeliche farfalle # 4”, 2017; in chiusura, “Come tu mi vuoi”, 2015.

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