Oggi 25 aprile 2025 dovrebbero essere celebrati entrambi i valori che sentiamo evocati da questa giornata: la libertà riconquistata e lo spirito di sacrificio di chi ha donato la vita per restituircela. E a questo riguardo andrebbero ricordati non solo i nostri Partigiani – tutti, e non solo i comunisti come spesso avviene – ma anche e direi soprattutto i giovani di altri paesi che hanno dato la vita per liberare l’Italia.
L’omaggio riconoscente ai tanti giovani venuti da lontano, ai Caduti per la nostra liberazione
In questo 80° anniversario si dovrebbe rimediare alla colpevole omissione che ha sempre ignorato il loro sacrificio. E si dovrebbero commemorare tali giovani vite nei 42 Cimiteri di guerra, sparsi in tutt’Italia da Siracusa a Udine. Lo ha fatto Papa Francesco il 2 novembre 2017, quando ha reso omaggio nel più grande Cimitero di guerra, quello americano di Nettuno, a circa 8000 giovani americani ivi sepolti, in una sconfinata distesa di croci bianche. Sono 90.000 i giovani americani caduti nel nostro Paese, sepolti nei 42 cimiteri di guerra dopo essere approdati generosamente da oltre Atlantico negli sbarchi in Sicilia, ad Anzio a Salerno, per risalire la penisola liberandoci dopo sanguinosi combattimenti contro i tedeschi trincerati a Cassino. Anche loro venuti da lontano, ossia “dall’altro mondo”, come disse Bergoglio nel salutare la folla che lo applaudiva nuovo Papa.
Assumerebbe un altissimo valore simbolico associare la loro memoria a quella di Papa Francesco che volle onorarli con la sua dedizione a chi si sacrifica per gli altri, e lui lo ha fatto fino all’ultimo, nell’eroico triduo pasquale nel quale ha dato la vita. Mi sembra, però, che non se ne sente il bisogno, mentre sarebbe un dovere, stando alle misere polemiche che turbano questa giornata così evocativa Commemoriamoli noi oggi qui, in una sentita condivisione, esprimendo loro la nostra gratitudine imperitura come fece Papa Francesco.
Le solite polemiche al posto della “sobrietà”, nel pervicace tormentone dell'”antifascismo“
Sulle misere polemiche in atto mi sento di voler dire che l’invito alla “sobrietà”, contestato e irriso, poteva servire a evitare le solite strumentalizzazioni interessate. Invece si è tornati alla stucchevole richiesta alla presidente del Consiglio di dichiarare di essere “antifascista”, tanto pervicace che non sono bastate le sue affermazioni esplicite nel discorso programmatico per il suo governo del 25 ottobre 2022, e ripetute in tante occasioni. Sono ribadite nel comunicato odierno sul 25 aprile, nel quale riafferma “la centralità di quei valori democratici che il fascismo aveva negato e che da settantasette anni sono incisi nella nostra Costituzione repubblicana”. E prosegue: “Oggi rinnoviamo il nostro impegno affinché questa ricorrenza possa diventare sempre più un momento di concordia nazionale nel nome della libertà e della democrazia contro ogni forma di totalitarismo e di autoritarismo”. Non è bastato, con le mie orecchie ho sentito anche stamane in un talk show che lei deve affermare esattamente “sono antifascista”, ripetuto quattro volte in una insistenza ossessiva, non dico da chi per carità di patria. E’ una pretesa insensata che supera anche l’Inquisizione, quando si chiedeva l’abiura a proprie posizioni eretiche e non la non appartenenza a qualcosa di inesistente: perché il regime fascista si è dissolto il 25 luglio 1943. Chi si dichiara “antifascista” oggi non dice nulla, perchè professa di essere contro un qualcosa che non esiste da oltre 80 anni, troppo facile…. sarebbe analogo dire di essere antiborbonico oppure antinapoleonico, altri regimi nella storia del nostro paese. Il 25 aprile 1945, per esperienza personale lo sento come liberazione dalla occupazione nazista con rastrellamenti e oppressione, soprattutto liberazione dalla guerra.
Avevo 9 anni, ricordo benissimo queste paure, non del fascismo finito due anni prima della Liberazione, vivevo con la mia famiglia a Colonnella, al confine tra Abruzzo e Marche, non a Salò dove era rimasta la ridotta dei “repubblichini”, così li chiamavano, mentre il regime nel Paese era finalmente terminato da tempo. Evocarlo oggi ad 80 anni di distanza mi lascia esterrefatto, sentendo vivi i ricordi di allora.
E invocare tutto questo in nome della Costituzione definita “antifascista” è offendere, per ignoranza, superficialità o, peggio, faziosità, la Carta fondativa della nostra democrazia, i cui contenuti altamente democratici vanno contro tutte le oppressioni e discriminazioni, contro tutte le dittature e regimi autoritari, compreso ovviamente quello fascista e non solo, perciò giustamente nella Carta non viene nominato. E presidente dell’Assemblea costituente era Umberto Terracini, recluso e confinato per quasi vent’anni, dopo la più dura condanna del Tribunale speciale fascista, “vecchi fusti” mi viene di dire!
Questo perpetua la validità della Costituzione più bella del mondo, che va ben al di là della condanna sacrosanta del famigerato ventennio, al punto di limitarsi a citarlo soltanto nelle “Disposizioni transitorie e finali” con il “divieto di ricostituzione in qualsiasi forma del disciolto partito fascista”, e va sottolineato l’aggettivo “disciolto” cui la Corte costituzionale ha dato un particolare valore. Disposizione tassativa cui segue immediatamente la norma che limita a 5 anni il periodo di esclusione dalle cariche pubbliche dei gerarchi fascisti, e per i reati ci fu poi anche l’amnistia del ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, il che è tutto dire.
E oggi, dopo ottant’anni, si persiste in un “antifascismo” di facciata, che rivela una posizione ben lontana da quella della nostra Costituzione, all’insegna della libertà di pensiero senza limitazioni. Anzi, sono coloro che “esigono” la dichiarazione esplicita di essere “antifascista”, ad assumere posizioni che si avvicinano a quelle illiberali da loro a parole condannate; e, oltretutto, fanno “rivivere”, citandolo continuamente, il “fascismo” autodissolto il 25 luglio 1943, legittimando per di più gli sparuti nistalgici rimasti, novelli “terrapiattisti” …..
Cosa è stato il fascismo, con i tanti orrori, ma non solo, fino alla catastrofe
A parte il sacrosanto rifiuto di una imposizione “inquisitoria” perfino nel lessico da utilizzare, sopra criticata, si può essere refrattari a dichiararsi “antifascisti”perchè potrebbe voler dire anche di essere contro le positive innovazioni introdotte nel breve volgere di un ventennio, dalla Previdenza sociale all’assistenza alla maternità, dall’intervento dello Stato nel salvataggio delle imprese tradotto nell’IRI che ha continuato a svolgere un ruolo centrale nella nostra economia, alle bonifiche pontine, alle “new towns”, Aprilia e Littoria, oggi Latina.
Ricordare questi fatti deve rendere ancora più forte e categorica la condanna definitiva senza attenuanti a quanto di tragico ha portato il fascismo: prima con la violenza politica, dalle purghe ai dissidenti fino agli omicidi, da Matteotti a tanti altri, e la dittatura instaurata nella repressione di ogni libertà in una azione che definire antidemocratica è eufemistico, per il carcere e il confino agli oppositori politici, oltre all’asservimento delle istituzioni, con la soppressione del Parlamento e il divieto di ogni partito politico, ammesso solo quello fascista con i suoi strumenti repressivi; poi con il colonialismo, la guerra all’Etiopia, fino alla sciagurata alleanza con il delirante nazismo hitleriano che ha portato alle infami leggi razziali e alla catastrofe della disastrosa guerra mondiale con l’aggressione ad Albania e Grecia fino alla dissennata spedizione di Russia, con terribili lutti e devastanti sciagure per il nostro Paese.
Di fronte a queste inenarrabili nequizie, gli altri aspetti prima ricordati sono ben poca cosa, ma comunque esistono, anche se si annullano cancellati da tanti orrori.
Concordia nazionale in una festa collettiva nell’omaggio ai Caduti per la nostra Liberazione
Ma proprio per questo la Liberazione del 25 aprile 1945 deve essere festeggiata nella concordia nazionale, avendoci regalato il bene supremo della libertà e della democrazia, in una festa collettiva senza polemiche divisive né strumentalizzazioni interessate da parte di tutti, compresi i tanti riferimenti insensati all’attualità.
Mi sembra fuori luogo parlare di tutto ciò proprio nella giornata di oggi, ma sono i talk show, ripeto, che imperversano su un tema antistorico e irragionevole, con scontri verbali senza senso e senza costrutto. Torniamo al vero significato di questa giornata così evocativa, nel ricordo di una Liberazione da quanto di negativo incombeva sulle nostre vite, presente nei miei ricordi di bambino, prima della consapevolezza da adulto.
Un ricordo che evoca la gratitudine imperitura soprattutto a chi ha dato la vita per liberarci, non nella difesa di se stesso ma soltanto nella nostra difesa, venendo dall’altra parte dell’oceano. Lo ripeto, sono i Caduti sepolti nei 42 Cimiteri di guerra, ai quali ci sentiamo di dover rendere omaggio vicini idealmente all’omaggio che Papa Francesco fece loro nel giorno dei morti del 2017, come si è ricordato all’inizio. E’ come se passassimo tutti in raccoglimento tra la distesa di circa 8000 croci bianche del Cimitero di guerra americano di Nettuno come fece otto anni fa il grande Papa della Misericordia e della Speranza che onoreremo domani con viva gratitudine e struggente commozione nell’estremo saluto che lo accompagnerà alla sua ultima dimora per il riposo eterno.
Si conclude, con questo terzo articolo, la nostra immersione nella questione del “Manifesto di Ventotene”, di cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha citato alcuni brani nel suo intervento alla Camera del 22 marzo alla vigilia del Consiglio europeo suscitando un mare di polemiche. Nel primo articolo ci siamo soffermati sul dibattito parlamentare, e sulle polemiche, il secondo articolo è incentrato sulla grande figura di Altiero Spinelli che ha dedicato l’intera vita nelle istituzioni e fuori all’azione appassionata per la federazione europea, in questo terzo articolo concludiamo commentando alcune critiche oltremisura, con immagini evocative dell’insieme.
La “Corazzata Potemkin”, una metafora irrudente….
La contraddizione degli intransigenti censori di chi osa citare passaggi scomodi del “Manifesto”
Iniziamo tornando sui contenuti di tante accuse alla presidente Meloni, precisando ulteriormente in modo meglio documentato la scena da “reality” della domanda posta dalla giornalista di Mediaset al prof. Romano Prodi. Non ci stanchiamo di ripetere la domanda su come si può considerare “domanda tranello” chiedere al professore cosa pensa del passaggio sulla “proprietà privata” nel “Manifesto di Ventotene” che la giornalista si è limitata a leggere senza aggiungere una parola come neppure la Meloni aveva fatto, a parte la legittima, personale conclusione che quella – prefigurata nel passaggio letto testualmente come pochi altri passaggi senza avanzare critiche – non è di certo la sua Europa.
Il “Manifesto per un’Europa libera e unita”, divenuto “Manifesto di Ventotene”
Si critica tanto da sinistra la Meloni di evitare il confronto con la stampa per non dover rispondere a domande scomode, e non si accetta una domanda su cosa pensa del concetto di proprietà come viene vista dal “Manifesto”, tema di grande attualità proprio in quei giorni, non tirato dal cappello come il coniglio dei prestigiatori . E sentire cosa pensa di quella frase il non dimenticato leader di “Rifondazione comunista” e presidente del Parlamento in tempi lontani, Fausto Bertinotti,il quale fa capire che non era una domanda tranello, anzi una sorta di assist! Ma ne parleremo più avanti. Ora ci limitiamo a qualche considerazione legata alle critiche avanzate.
L’autore del “Manifesto”, con due confinati con lui, il comunista dissidente Altiero Spinelli
La “proprietà privata”, nel fascismo prima, nel “Manifesto” poi, infine nella Costituzione
Viene citata la nazionalizzazione dell’energia elettrica in Italia nel 1963, quale applicazione delle “pratiche socialiste” evocate nel “Manifesto” In realtà, se si vuol andare ben più indietro della nostra Costituzione, risalgono a precedenti anteriori al”Manifesto” le imprese pubbliche e le partecipazioni statali nell’azionariato di talune società a seguito di interventi di salvataggio: l’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale che ne è stata la madre, fu una creazione del fascismo nel 1933, 8 anni anni prima del “Manifesto”, e nel 1941 c’erano gli Stati Uniti d’America fonte di ispirazione ben più valida della Russia bolscevica, non accettata “in toto” neppure da Altiero Spinelli, espulso dal Partito comunista e per questo espulso dal PCI:
L’isola di Ventotene, del loro confino, un caseggiato
Il fascismo aveva un concetto della proprietà privata che appare non palesemente in contrasto con quello del “Manifesto”, se si può fare tale parallelo senza divenire bersaglio di insulti e persino di “oggetti contundenti” ….. e più avanti si vedrà a cosa ci riferiamo. Lo studioso Berto Ricci ha scritto: “La proprietà inviolabile non è affatto un principio dello stato fascista che ha dimostrato di saper colpire anche la proprietà in nome della Patria. La proprietà inviolabile è un dogma liberale e non fascista, inglese e non romano: da noi proprietario è solo depositario e non altro.“. E, più precisamente: “Il corporativismo elabora una terza via in cui la proprietà non viene né negata, né considerata come diritto fondamentale e inalienabile. Il fascismo accusa il liberalismo di avere una concezione sacrale della proprietà privata e si oppone ugualmente a quella comunista che mira alla totale soppressione dell’iniziativa individuale e alla statalizzazione completa dell’economia” Per concludere: “E’ nella subordinazione consapevole all’interesse della nazione che l’iniziativa privata trova la sua giustificazione, la sua norma, la sua disciplina. L’interesse privato è sempre subordinato all’interesse superiore delle produzione nazionale”.
Il coautore del “Manifesto”, il liberale Enesto Rossi
Sostituendo alle parole “patria” e “nazione” la parola “Europa” e relativi aggettivi, non sembra in contrasto con il passaggio “incriminato” del “Manifesto” in cui, ripetiamo, si legge: “La proprietà privata va abolita limitata estesa, caso per caso, non dogmaticanente in linea di principio”. E questo dopo aver affermato che non si accetta il principio dell’abolizione completa della proprietà privata come è avvenuto con la rivoluzione bolscevica nei regimi comunisti. Oggi non viene abolita più neppure in Cina, con il capitalismo economico che è stato innestato nella persistente dittatura comunista, né in Russia, dove la pur strategiche imprese energetiche sono state “privatizzate” regalandole agli oligarchi con la fine del collettivismo, dissoltasi l’Unione sovietica con quel che ne è seguito.
Forse anche per questo il prof. Prodi ha reagito vistosamente alla lettura del brano da parte della giornalista sbottando: “Ma che cavolo mi chiede? Ho mai scritto una roba del genere in vita mia?”E, alla risposta che è uno dei brani del “Manifesto” letto dalla presidente del Consiglio si è ancor più infervorato esclamando: “Ma lo so benissimo, signora, non sono mica un bambino…” cui si è accompagnata la tiratina di capelli seguita dall’evocazione delle condizioni in cui sono state scritte quelle parole, confino, dittatura fascista ecc. e il parallelo con un passo, prelevato dal Corano, sul quale non si può giudicare Maometto, di cui abbiamo parlato anche nel precedente articolo.
Isola di Ventotene, un’altra immagine
Le reazioni scomposte perchè si tocca un “libro sacro”, in parte sconfessato
E’ ben noto che, finita la guerra – scomparso il socialista Eugenio Colorni ucciso dai fascisti nel maggio 1944 mentre il liberale Ernesto Rossi approfondì questo suo pensiero politico fino al radicalismo, Altiero Spinelli, pur restando nell’orbita comunista – eletto nel Parlamento nazionale ed europeo come indipendente nelle liste del PCI – ridimensionò l’impostazione ideologica espressa sul “Manifesto”, impegnando per l’intera vita in una azione appassionata con il suo Movimento Federalista Europeo. Ma se le cose stano così – e ci sembra evidente – perché riproporre nella manifestazione “per l’Europa” a Piazza del Popolo, e poi nella seduta parlamentare volta a definire il mandato sull’Europa, proprio quel modello sconfessato, sbandierando l’intero documento e non limitandosi ad evocarne il titolo, “Manifesto per un’Europa libera e unita”.
L’autore della Prefazione al “Manifesto”, il socialista Eugenio Colorni
Ciò detto, se quella del “Manifesto” è una Europa in cui, terminato il confino, non si è riconosciuto neppure il suo principale autore, come si può lanciare l’accusa, spesso forsennata, che è stata una provocazione della Meloni dire che non vi si riconosce oggi, dopo 84 anni , neppure lei? Ma il “Manifesto” viene considerato paradossalmente un “testo sacro”, e questo spiega la reazione di Prodi, sempre tranquillo e pacato, forse anch’egli travolto da questa visione messianica. . E ai spiegano anche le parole di Bertinotti che richiedono un supplemento dopo la citazione che ne abbiamo fatto nell’articolo iniziale. Perché ci è tornato sopra nella trasmissione “L’aria che tira” su “La 7”, nella tarda mattinata del 25 marzo, in cui ha spiegato perché avrebbe tirato “un oggetto contundente” alla presidente Meloni, accettandone poi le conseguenze dell’espulsione dalla seduta del Parlamento, ne è stato presidente, quindi sa come vengono sanzionati tali comportamenti.. E qui si apre un nuovo capitolo, che va ben oltre il “Manifesto”, per assumere un significato più generale.
Isola di Ventotene, altri caseggiati
Bertinotti, la”trasgressione violenta” se si tocca il “testo sacro alla base della Costituzione”
Come abbiamo fatto per la replica in Parlamento della Meloni, per le affermazioni di Prodi, Benigni e altri nei due articoli precedenti, da cronisti riportiamo testualmente il nuovo intervento di Bertinotti con David Parenzo che ha riproposto il tema, mettendo allo scoperto nuovi motivi. Viene innanzitutto ripetuta la sua dichiarazione … incriminata sul fatto che avrebbe lanciato “un oggetto contundente contro la presidente del Consiglio” e sulla sua reazione dovuta all’’irruzione contro un atto considerato fino all’altro ieri da tutti fondativo”, spiegandola cosi: “Per questo mi condanno, ma … intanto ti tiro un libro”. Questo lo abbiamo già commentato, lo riportiamo per memoria. Ed ecco la nuova spiegazione, espressa con forte convinzione.
Ada Rossi, a sin,, e Ursula Hirschmann, a dx, con le sorelle Spinelli fecero uscire dall’isola il “Manifesto”
“Lo ripeterei cosi, ma chiunque ascolta adesso ne capisce il tono. Io sono sempre stato per una pratica non violenta. Anche nella pratica non violenta, ‘si parva licet…, da Ghandi a Pannella, c’è la trasgressione della regola a condizione che accetti di essere condannato per quella trasgressione; perciò io, non violento, faccio un’eccezione alla mia regola non violenta (sic!), .perché voglio significare una rottura che si è prodotta nel vivere civile del paese (sic!). Quindi a una trasgressione violenta che il potere fa, oppongo una trasgressione dal valore prevalentemente simbolico, ma per denunciare che tu hai superato una soglia comunemente accettabile, hai fatto una cosa incompatibile” (sic!) . Parenzo commenta che “allora la Meloni con quelle parole su Ventotene ha superato la soglia comunemente accettabile”. A questo punto Bertinotti ridimensiona il gesto violento che aveva evocato: “I critici che vengono da destra dovrebbero più di me conoscere il linguaggio del futurismo” “ Era un gesto marinettiano, futurista?” interloquisce Parenzo. “ Richiama la grammatica futurista” aggiunge lui. Parenzo: “Il suo era un gesto marinettiano”.
Altiero Spinelli, una intera vita nell’impegno instancabile e appassionato per il Fderalismo europeo
Bertinotti ripete “futurista”, sorridendo, poi continua seriamente: “Però, al di là di questo, penso che la presidente del Consiglio ha fatto una cosa che non avrebbe potuto fare (sic!); .non perché un testo, anche il testo sacro, non sia discutibile analiticamente, ma quello è il campo della critica analitica e della ricostruzione storica. Se tu lo assumi in politica devi sapere che stai intervenendo – posso dirlo proprio così perché la penso così – su un testo sacro (sic!) e i testi sacri richiedono da chi rappresenta una repubblica e un paese la stessa solennità “ (sic!). . Parenzo lo interrompe: “Conoscendola, quando parla di sacralità del testo, è come una bestemmia!” E lui: “ Esattamente così” (sic!). Parenzo insiste: “E’ come se lei da laico, ci stesse dicendo, ha bestemmiato!” . Bertinotti: “Ha bestemmiato!”. Parenzo incontentabile: “Ha bestemmiato il Signore”. E Bertinotti si avvita ancora di più in un pensiero quasi ossessivo: “ Ha bestemmiato nei confronti del fondamento della Repubblica, .perché si può discutere molto dei singoli testi, ma non c’è dubbio che quell’ispirazione fondamentale è alla base della Costituzione repubblicana. Compresa la cosa che la presidente del Consiglio cita come scandalosa, cioè la questione della proprietà, che sfido chiunque a non trovarla integralmente nella Costituzione repubblicana (sic!), e perfino negli atti di coloro che hanno fatto vivere il tema della proprietà”.
L’edificio del Parlamento europeo intitolato ad Altiero Spinelli
Parenzo sembra non crede a ciò che ha ascoltato ed esclama: “Quindi,. la proprietà privata così come l’abbiamo nella nostra Costituzione è simile….”, e Bertinotti:lo rassicura, ha capito bene: “E’ figlia proprio di quella impostazione. Altrimenti, come avrebbe potuto l’Italia del dopoguerra nazionalizzare l’industria elettrica, togliere la proprietà alle aziende produttrici di energia e portarla sul pubblico? Perché lo può fare ? Perché è scritto nella Costituzione . Per questo la Costituzione è stata anticipata dagli uomini e dalle donne di Ventotene”(sic!). E qui termina la “sacra rappresentazione”, con Bertinotti officiante e Parenzo come un chierichetto, apparentemente soggiogato, ma forse i suoi siparietti intendevano sottolinearne i momenti salienti, ed esprimere un certo stupore sebbene senza alcuna critica, del resto il conduttore è schierato dalla stessa parte.
L’iscrizione del nome di Altiero Spinelli nell’edificio del Parlamento europeo a lui intitolato
Per completezza riportiamo sempre testualmente quanto indicato dalla Costituzione in merito alla “proprietà privata “, lasciando ai lettori interessati di misurarsi con l’affermazione di Bertinotti; “Sfido chiunque a non trovarla integralmente nella Costituzione repubblicana”.Noi non l’abbiamo trovata, almeno “integralmente”, e per quanto riguarda lo spirito con cui viene evocata, e i suoi limiti, nella concezione fascista si parla di “interesse della nazione”, vale a dire l“interesse generale”, nel “Manifesto” senza tali finalità procedono “caso per caso” i vertici rivoluzionari, neppure eletti. Ecco il disposto della Costituzione all’art. 42“ “La proprietà privata è riconosciuta garantita dalla legge, che ne determina modi di acquisto, godimento, e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”.
Fausto Bertinotti nel suo intervento sul “Manifesto” a “In altre parole” su “La 7”
La “non violenza” di Ghandi, l’unica “trasgressione” ammessa, nell’assoluto rifiuto della violenza
Dopo l’excursus costituzionale, che dire a commento della “narrazione” di Bertinotti, sollecitato da Parenzo? Si commenta da sé, e abbiamo posto dei sic! dove maggiore è stato il nostro stupore. Ma qualche osservazione puntuale è doverosa. Cominciamo dalla “non violenza” e dalla trasgressione riferita a Ghandi e Pannella. Ha fatto bene a dire “si parva licet..”riferendosi a se stesso, rispetto ai “magni” citati, con cui è presuntuoso compararsi. Qui non è presuntuoso, è del tutto inappropriato, perché c’è proprio un rovesciamento del loro messaggio sulla non violenza. La “non violenza” è il modo con cui si trasgredisce a una regola ritenuta ingiusta assumendone la piena responsabilità ed accettando la pena commisurata alla sua violazione. Esattamente il contrario di ciò che ha detto – e manifestato teoricamente, anche se per fortuna non concretamente.- Bertinotti con il proposito di lanciare “un oggetto contundente contro la presidente del Consiglio”, un atto, quindi , violento. Nella “non violenza” la contestazione della regola ingiusta o della provocazione viene fatta soltanto con metodi “assolutamente non violenti” per lo più passivi, mai e poi mai violenti.
Ghandi, evocato nell’intervento di Bertinotti
Gandhi docet. Secondo il suo pensiero, così interpretato da Andrea Bernabale, “la violenza è uno strumento che non dev’essere utilizzato in nessuna condizione, qualunque sia il suo fine, in quanto produce sofferenza, distruzione reciproca e, in ultima istanza, produce ulteriore violenza”. In altri termini, “la violenza alimenta violenza generando circostanze poco auspicabili e vantaggiose per nessuno, quali che ne siano i fini.”. Ci sono anche queste motivazioni: “ Nessuno possiede la completa verità, valori etici e morali sono concetti relativi e, pertanto, nessuno ha la facoltà di stabilire chi siano i ‘giusti’ e chi gli ‘ingiusti”’che debbano essere puniti.”.Nessuna eccezione, quindi, alla non violenza, tanto meno nella circostanza che avrebbe scatenato la violenza evocata da Bertinotti, tanto più che la sua non è certo “la completa verità” tutt’altro; e anche se lo fosse non giustificherebbe mai il ricorso da lui evocato alla violenza.. Il conflitto, per reagire alle ingiustizie subite, può richiedere la ribellione, “la ribellione però si struttura secondo metodi non-violenti”, anche quando si tratta di valori supremi come la libertà. “Gandhi intendeva ribadire l’universalità dell’azione non-violenta, applicabile in qualsiasi circostanza”. E Pannella è stato un suo seguace, fino a metterne il volto nel simbolo del Partito radicale, ha abbinato l’uso di mezzi non violenti dalla disobbedienza civile al digiuno alla accettazione della pena per aver violato una regola pur ingiusta.
L’IRI,, istituito nel 1933- il cartello nei 30 anni — il primo intervento pubblico sulla “proprietà privata”
Ma non vogliamo imperversare su Bertinotti, dato che essendo molto schierato – anche al di fuori dalla politica attiva, con un passato come il suo – certe posizioni sono non solo comprensibili ma prevedibili. Sono posizioni meno comprensibili quando le assume una storica dalla quale ci si attende per lo meno una aderenza ai fatti sui quali può basare la sua libera valutazione, quale essa sia, ma motivandola, non sparando sentenze per partito preso. Ci riferiamo a Michela Ponzani, frequente ospite di “La 7” con le sue valutazioni sempre schierate, ma in questo caso entra in campo anche la storia per cui ci si aspettava qualcosa di più ragionevole ed equilibrato. Invece… Ma ascoltiamo cosa ha detto nella stessa trasmissione “In altre parole” di sabato 22 marzo che ha visto Bertinotti esibirsi nel lancio virtuale di un “oggetto contundente”, identificato poi in “un libro” magari dalla copertina pieghevole, e derubricato al gesto futurista…”che la destra dovrebbe conoscere”. Lo ricordiamo perché gustoso, anche se ne abbiamo già parlato diffusamente.
Il primo presidente dell’IRI, Alberto Bonaduce
Il violento “j’accuse”della storica Ponzani alla presidente Meloni
Ben più “contundente”, se le parole sono pietre, quanto è stato scagliato contro la presidente Meloni dalla storica Ponzani, eccole riportate testualmente: “Noi abbiamo assistito in Parlamento a una operazione di mistificazione, manipolazione (sic!) della storia da manuale, da manuale (doppio sic!).. Con lo stravolgimento (sic!) di un documento dal quale si sono estrapolate delle parti del tutto decontestualizzate con una finalità esplicita. Siamo nell’80 anniversario della Liberazione, noi non attendiamo il 25 aprile per denigrare in un colpo solo (sic!) i valori dell’antifascismo e i valori di una pace tra popoli liberi, come avevano immaginato i nostri patrioti? Possiamo usare questa parola perché si usa tanto questa parola quando vediamo nelle piazze che inneggiano ai martiri della rivoluzione fascista? Beh, i patrioti della nostra repubblica, della nostra democrazia, sono quelli che sono stati confinati, incarcerati, sorvegliati speciali, puniti dalla polizia fascista, come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni”..
La storica Michela Ponzani, nell’intervento sul “Manifesto”, a “In altre parole” su “La 7”
Interviene, “ad adiuvandum”, il conduttore Massimo Gramellini: “ Sono stati raccontati come tre pericolosi sovietici, mentre solo uno era comunista che aveva rotto con lo stalinismo, un altro liberale, il terzo socialista, erano antifascisti tutti e tre ma non identici”. La Ponzani prosegue: “Questi ragazzi si trovano sull’isola di Ventotene da confinati, e si interrogano sulle ragioni per le quali l’Europa ò precipitata in due guerre mondiali. Quali sono le ragioni? Gli Stati-nazione che hanno praticato politiche di potenza, aggressione, militarismo e nazionalismo”, Gramellini suggerisce “sovranismo”, magari per far ricadere tutto sulla Meloni… che viene definita sovranista, “assist” subito raccolto. “Sovranismo, cosa possiamo fare, limitando i poteri degli Stati–nazione federando. Creando una federazione di Stati esattamente come gli Stati Uniti d’America”.
La giornalista Alessandra Sardoni, che ha interloquito sul “Manifesto”, sempre a “In altre parole”
E sulla proprietà privata? “La nostra Costituzione all’art. 42 dice che la proprietà privata può essere all’occorrenza gestita, limitata, dallo Stato quando di tratta di monopoli, per esempio. Aldo Moro lo fece nel 1963 con la nazionalizzazione dell’energia elettrica, Alcide de Gasperi lo fece con la riforma agraria per togliere il monopolio della proprietà terriera ai grandi latifondisti, perché c’era bisogno di che cosa? Non solo della libertà che avevano riconquistato, ma della giustizia sociale, della redistribuzione di ricchezza. Sono parole che non vanno più di moda, me ne rendo conto”.
Roberto Benigni, nel suo intervento sul “Manifesto” alla trasmissione “Il sogno” su “Rai 1”
Con queste ultime quattro parole, “me ne rendo conto”, si smonta l’intera costruzione, la storica Ponzani “si rende conto” che si può avere una idea diversa e dire “Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia!”, le uniche parole pronunciate al termine dalla presidente del Consiglio, dubitando anche che possa essere l’Europa vagheggiata dall’opposizione, senza una parola di critica né all’’intero “Manifesto” né ai brani letti testualmente per prenderne in modo legittimo le distanze senza commentarli. La “mistificazione, manipolazione della storia da manuale, da manuale”, nel “violento “j’accuse” della Ponzani, non è certo della Meloni ma di chi la usa come arma politica, come fa la storica, peraltro in modo inappropriato, attribuendole cose non dette, avendo la Meloni omesso qualunque commento.
La Bibbia, evocata da Benigni con riferimento al “Manifesto”
Inoltre, quando afferma che la “federazione di Stati” vagheggiata nel “Manifesto” sia “esattamente come gli Stati Uniti d’America” capovolge la realtà: non sono nominati affatto, mentre la “dittatura rivoluzionaria” al di fuori della volontà del popolo, “immaturo “ e da educare da parte del vertice rivoluzionario, fa pensare all’allora sistema bolscevico, sia pure attenuato ma pur sempre con la proprietà privata “abolita limitata estesa caso per caso”.. Un sistema ben diverso dai casi eccezionali di nazionalizzare le industrie elettriche e sostituire i latifondi con piccole proprietà private distribuite ai contadini – come dalle sue affermazioni- e anche dai salvataggi di imprese in difficoltà gestite come partecipazioni statali sul mercato, alla pari delle imprese private. .Ma della proprietà privata nell’impostazione del “Manifesto” – e nel regime fascista – abbiamo già parlato con riferimento l Bartinotti, che la considera “integralmente” recepita nella Costituzione”.
Romano Prodi, nella sua risposta alla domanda sul “Manifesto”, della giornalista Orefici di “Rete 4””
Il siparietto tra la giornalista Sardoni e di nuovo Bertinotti
Dopo la Ponzani, c’è stato un siparietto, sempre sullo stesso tema. Alessandra Sardoni , già presidente dei giornalisti parlamentari – dopo che il conduttore Gramellini aveva ipotizzato un intervento diversivo della presidente del Consiglio per evitare temi scomodi – ha contraddetto dicendo: “Io credo che sia per lei un aspetto identitario che lei coltiva per una percentuale qual che sia , anche se solo il 5 per cento, continua a coltivarla, a tenersela stretta. E questa è lei, come per dire, io sono sempre io, e vuole fare così. Secondo me non è il frutto di chissà quale abilità come è stata dipinta nelle cronache successive”. Ma a Bertinotti – che pure ha terminato il suo intervento – non sta bene, e interviene replicando così, riferendosi direttamente alla presidente Meloni.
Il Corano, evocato da Prodi con riferimento al “Manifesto”
”Il suo è un elemento strategico, la messa in discussione del paradigma costitutivo della Costituzione repubblicana, e lei considera la Costituzione repubblicana come un ingombro che ha cercato di affrontare con le riforme costituzionali., così ha ripreso una componente ideologica.. Questo attacco al Manifesto di Ventotene, se leggete bene i contenuti, vedete che prende di mira la Costituzione repubblicana e i suoi contenuti democratici (sic!).”.
Ma la Sardoni persiste: ”Credo che ci sia una piccola verità, l’idea di Europa che comunque lei ha, e lo ha detto ripetutamente, ed è anche legittimo da un certo punto di vista, legittimo ma non lo condivido, e l’Europa delle patrie non è quella del Manifesto di Ventotene , non è federalista“ Una vera lezione, quella della Sardoni, riassunta in poche parole – ”legittimo da un certo punto di vista, legittimo ma non lo condivido”.- a coloro che lanciano accuse di “fascismo” con atteggiamenti censori essi sì, “fascisti”.
La senatrice del PD Simona Malpezzi, che ha citato il Vangelo con riferimento al “Manifesto”
Questi siparietti li abbiamo riprodotti testualmente perché sono quanto mai eloquenti, e in questo caso alla singolare accusa di una storica che fa dei processi alle intenzioni strumentalizzando parole dal significato ben diverso – come si vede dal testo integrale che abbiamo riportato – ha risposto in modo risolutivo una giornalista autorevole, non schierata.
E ci fanno ripensare alle reazioni di Prodi e di Bertinotti, la prima reale, la seconda… virtuale. Viene da chiedersi come mai personaggi solitamente molto equilibrati e così navigati, si sono alterati in modo così vistoso dinanzi alla mera lettura di alcuni brani di un documento per di più “datato”, il cui valore risiede nel titolo europeista e non nel contenuto di stampo rivoluzionario e collettivista ripudiato dagli stessi autori.
Il Vangelo, citato dalla Malpezzi per il “Manifesto”
La risposta non può che fare riferimento alla “sacralità” faziosamente attribuita al “Manifesto”: Romano Prodi ha evocato il Corano citando Maometto, Roberto Benigni la Bibbia, Fausto Bertinotti lo chiama “testo sacro”, per ultima Simona Malpezzi del PD ha richiamato il Vangelo e Cristo. Mentre Carlo Rossella – che con Berlusconi ha diretto i maggiori Telegiornali di Rai e Mediaset, ed oggi è tanto critico verso il governo con particolare accanimento verso la Meloni – ha detto che “”il Manifesto di Ventotene non può essere il manifesto della Meloni, è un’opera d’arte democratica”..Così alla sacralità” della religione si aggiunge la “sacralità” dell’arte.
Per quanto ci si possa sforzare, a parte l’ovvia affermazione che “non può essere il manifesto della Meloni”, è arduo comprendere come si possa definire “un’opera d’arte democratica”, dato che nessuna delle due parole è riferibile al “Manifesto”: non si vede come possa esserci “arte” in un manifesto quale esso sia, non è un “codice miniato” – almeno questo ci sia risparmiato… – ma non si comprende nemmeno la metafora, per noi definire l’opera come “democratica” vuol dire contraddirne il contenuto, che definisce la democrazia “un peso”, e la forma della Federazione europea, delineata con precisione, è una “dittatura rivoluzionaria”, quanto mai lontana, anzi opposta alla democrazia correttamente intesa.
Carlo Rossella, che ha definito il “Manifesto” “ libro sacro dell’arte” “in “Di martedì” su “La 7”
La dissacrazione del sindaco Bandetti, fino alla… fantozziana “Corazzata Potemkin”
Quanto abbiamo richiamato ci fa dire che ci sembra di essere in una “sacralizzazione” per lo meno esagerata, di un testo che ha pure una base positivamente ispirata, ma solo una base, senza la mitizzazione cresta intorno. Ci ha ricordato un precedente noto a tutti. Abbiamo citato nel primo articolo un vecchio film evocativo, “Sogno di prigioniero”; ora ne citiamo un altro, del celebre regista russo Eizenstein, “La Corazzata Potemkin”; che nel 1925 evoca l’eroismo dell’equipaggio di una nave zarista ammutinatosi nel 1905 – anno molto turbolento – per protesta contro il cibo avariato, poi votato alla rivoluzione con un finale tragico dopo tante peripezie Episodio vero enfatizzato, da una certa parte politica, oltre misura nella versione cinematografica ben al di là del contenuto, rivestito di una sorta di sacralità con validità perenne, da diffondere per fini educativi.
Di qui la parodia dissacrante in un film su Fantozzi, nel quale l’irridente quanto tartassato ragioniere interpretato da Paolo Villaggio, esasperato dalle visioni estasiate del film imposte dalle sezione del partito comunista, sbotta nella clamorosa e liberatoria dissacrazione: “La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca!”. Ebbene, dalla “narrazione” fatta finora ci sembra di trovare la stessa enfatizzazione, addirittura la “sacralizzazione “ esplicita, ben al di là dei meriti pur esistenti del “Manifesto di Ventotene”. Quindi è venuta spontanea, ci si perdoni, l’associazione tra le due smodate enfatizzazioni.
Una scena del film “La corazzata Potemkin”, dopo l’immagine in apertura
Anche perché c’è stato un nuovo … ragionier Fantozzi sbottato nell’espressione dissacrante quanto spontanea, come il bambino che esclamando “il Re è nudo”ha disvelato qualcosa visibile a tutti ma oscurato proprio dalla “sacralizzazione”; come una divinità. Nel caso del ”Manifesto”, i “bambini” sono stati zittiti anche con insulti e non solo, come abbiamo riportato. Il Fantozzi del momento è un sindaco, già noto per sue esternazioni irridenti, e proprio per questo disinibito pure nell’attuale circostanza, tanto che ha pubblicato la foto di una giovane discinta con la grande scritta “Ventottenne”. Si tratta del sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, che dopo la … profanazione della foto ha esclamato: “Solo gli imbecilli possono pensare che ciò che è stato scritto nel 1941 possa essere valido, proprietà privata, educazione per il popolo, cazzate allucinanti” (sic!). Le “ca…te allucinanti” del “Manifesto di Ventotene” come la “ca.. ta pazzesca” della “Corazzata Potemkin”.
Non vorremmo essere lapidati – magari con gli “oggetti contundenti”di Bertinotti, se-non peggio – per aver concluso i nostri tre articoli con questo dissacrante accostamento nel titolo e nella conclusione! Ma la libertà di satira è stata reclamata anche verso Maometto e il Corano, condannando i fondamentalisti islamici che vogliono negarla, ed è il loro Dio! Non si vorrà mica considerare il Manifesto di Ventotene addirittura al di sopra?
La “dissacrazione” del bistrattato Fantozzi, della “Corazzata Potemkin” celebrata oltre misura
Per concludere, “in più spirabil aere”, la nostra maratona protrattasi in tre lunghi articoli, ci piace tornare all’immagine da “Il vecchio e il mare”, con cui abbiamo aperto il 2° articolo, evocata nelle parole finali dell’ultimo intervento di Alriero Spinelli al Parlamento europeo del 16 gennaio 1986, come testamento spirituale prima della scomparsa quattro mesi dopo. Oltre alla intensa quanto vana azione federalista “scarnificata” dagli “squali”, come ha lamentato, si può applicare alla sua figura, “scarnificata” riducendola al “Manifesto”, poco rilevante in pratica, a parte l’illuminante ispirazione; mentre, dopo quel “sogno di prigioniero” iniziale, lodevole quanto visionario, il suo impegno federalista si è dispiegato in modo appassionato e quanto mai fattivo per l’intera sua esistenza.
Il prossimo anno, precisamente 23 maggio 2026, saranno trascorsi 40 anni dalla sua scomparsa,: celebrarne il quarantennale nel modo più adeguato sarà una doverosa “riparazione” a quanto si è fatto sovrapponendo il “Manifesto” alla sua azione ben più significativa e attuale, quando del documento resta attuale solo il titolo originario “Manifesto per un’Europa unita e libera”. Almeno la pensiamo così, e speriamo di non essere “aggrediti” per la critica alla “sacralizzazione” del “Manifesto”, fino ad averne evocato, anche nella immagine di apertura di questo ultimo articolo, la “dissacrazione” che in questi casi è inevitabile, per l’esagerata quanto insistente equiparazione ai “testi sacri” . Libertà andiamo cercando, “ch’è sì cara…”.
Stefano Bandecchi, sindaco di Terni, che ha “dissacrato” il “Manifesto” come fece Fantozzi …
Info
Questo articolo conclusivo della nostra “immersione” nella vicenda del “Manifesto di Ventotene”, approfondisce alcuni apetti e motivi, ripercorrendola anche visimamente nelle immagini, dai tre protagonisti, all’ambiente, ai riconoscimenti al primo autore Altiero Spinelli, alle polemiche contro la presidente del Consiglio Giorgia Meloni fino alla “sacralizzazione” del “Manifesto” con i personaggi che lo hanno riferito ai “testi sacri”, anch’essi raffigurati, e la successiva irridente “dissacrazione” anche nell’immagine di apertura. Cfr. i nostri 2 precedenti articoli, il primo, uscito in questo sito il 24 marzo 2025 con il titolo ““Manifesto di Ventotene”, 1. Dalla soria alla cronaca” ; il secondo dal titolo “Manifesto di Ventotene”, 2. Altiero Spinelli, e la ‘tirata di capelli ‘ di Prodi” uscito il 3 aprile. Cfr., inoltre, i nostri precedenti articoli sull’isola di Ventotene e su quella vicinissima di Santo Stefano, pubblicati alcuni anni fa in occasione di viaggi sulla barca di un caro amico, con la descrizione dei luoghi nelle circostanze speciali dei visggi stessi e, per Santo Stefano, con la ricostruzione della storia del penitenziario ora in via di trasformazione in una sede di studi europeo ititolata a David Sassoli, presidente del Parlamento europeo prematuramente scomparso; li abbiamo ripubblicati nel 2022 e 2023, in memoria dell’amico Ciro Soria che mi aveva ospitato nella sua barca, anch’egli scomparso. Cfr., dunque, gli articoli in questo sito: per Ventotene, Villa Giulia a Ventotene, la capacità umana di far soffrire anche in Paradiso 4 giugno 2022, “Sul mare”, il film di D’Alatri su Ventotene, un’emozione senza fine 4 maggio 2023, e Ischia, festa di Sant’Anna, il Palio dei carri di Tespi 2009, 22 aprile 2023; sulla vicina isola di Santo Stefano: Santo Stefano, 1. Archeologia carceraria del penitenziario-teatro, 2 giugno 2022, e Santo Stefano, 2. Le storie dei reclusi nel penitenziario-teatro 3 giugno 2022. Aggiungo – tale è stato il legame con l’amico Ciro,al quale collego le mie visite a Ventotene, di cui agli articoli sopra ricordati – la citazione dei due articoli rivolti alla sua memoria: “Ciro Soria, buona navigazione Lassù, nellalto dei cieli!” 21 aprile 2023, e “Ciro Soria, 40 anni di matrimonio con il sostegno a Ibby” 23 aprile 2023.
La “dissacrazione” visiva del “Manifesto”, oltre quella a parole
Photo
Le immagini presentano una carrellata su momenti particolarmente significativi dell’intera vicenda del “Manifesto”, alcuni già illustrati negli articoli precedenti ma rievocati con immagini diverse: dai protagonisti, all”ambiente. Dopo questo inquadramento, le immagini rendono visivamente la “sacralizzazione” del testo, con gli… officianti, cui segue la “sconsacrazione” irridente che ne è la logica conseguenza, evocata già nella prima immagine, evocata nel titolo. Dopo l’ apertura, dedicata a “La Corazzata Potemkin” nell’irridente equiparazione, la copertina del “Manifesto di Ventotene”, seguono le immagini dei 3 autori del “Manifesto”, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, alternate a 3 immagini degli edifici nell’isola di Ventotene, con l’immagine di Ursula Hirshmann e Ada Rossi, che fecero uscire dall’isola in modo clandestino il “Manifesto”. Poi Altiero Spinelli al Parlamento europeo nella sua appassionata battaglia federalista, l’edificio del Parlamento europeo a lui intitolato e l’iscrizione recante il suo nome. Entrando nelle polemiche Bertinotti con i suoi riferimenti a Ghandi e al concetto di libera proprietà, per il quale vi sono immagini dell’IRI e del primo presidente Beneduce. Poi la storica Michela Ponzani scatenata e la giornalista Alessandra Sardoni dissenziente, La “sacralizzazione” del “Manifesto” è evocata visivamente con le immagini degli “evocanti” alternate ai “libri sacri” evocati, Roberto Benigni con la Bibbia, Romano Prodi con il Corano, Simona Malpezzi con il Vangelo, fino a Carlo Rossella per l'”opera d’arte” da lui citata. Dalla “sacralizzazione” alla “sconsacrazione”, con una immagine della “Corazzata Potemkin”, che segue quella in apertura, insieme all’irridente espressione di Paolo Villaggio-Fantozzi, seguite dalla “sconsacrazione” del sindaco Bandecchi con una sua fotografia e l’irridente manifesto “Ventottenne”. In chiusura, il “Manifesto di Ventotene” in mano ad una partecipamte alla manifestazione romana di piazza del Popolo. Le immagini sono state tratte dai siti di seguito citati, i cui titolari si ringraziano dell’opportunità offerta; si precisa che sono inserite a mero scopo illustrativo, senza alcun intento di natura pubblicitaria e nessun riflesso di natura economica, aggiungendo che qualora la pubblicazione della foto non fosse gradita a qualche titolare del sito, basterà farlo presente mediante un post “on line” nello spazio dei commenti e verrà immediatamente eliminata. I siti sono i seguenti, nell’ordine di inserimento delle immagini nel testo: wikipedia, istituto altiero spinelli, MSN, gillians lists, rebel studio, stock, varese news, stock, partito democratico, euractive, X, dreams time, la 7, la civiltà cattolica, investire biz, il sole 24 ore, la 7, la 7, corriere tv corriere della sera, opus day, virgilio notizie, news compton editore, la repubblica, ancora libri, la 7, storica national geographic, you tube, ansa, terni in rete, agenzia dire. Di nuovo, grazie a tutti.
Il “Mnaifesto di Ventotene”, celebrato a Ro,ma il 15 marzo, nella manifestazione a Piazza del Popolo
Torniamo sulla questione del “Manifesto di Ventotene”, perché ci sembra che vada ben oltre una pur accesa polemica politica, apprezzabile quanto appassionata, per investire aspetti più pervasivi del tema in discussione. E per questo… supplemento prendiamo lo spunto dall’ampio commento su Facebook di Gelasio Giardetti, l’amico Gero da noi conosciuto e stimato per la sua attitudine ed esperienza di ricercatore e la sua intemerata passione civile unita ad una forte sensibilità politica. Abbiamo già considerato e confutato nel nostro articolo precedente gli argomenti di una parte politica, i partiti di opposizione, con cui collimano gli argomenti del nostro amico che ha commentato; ci ritorniamo pur avendo già risposto proma del suo commento. Ma non è questo il centro del nostro articolo, bensì l’omaggio, finora mancato nel modo da lui meritato, alla straordinaria figura di Altiero Spinelli; lo celebriamo noi, e apriamo l’articolo con l’immagine di “Il vecchio e il mare” , la metafora evocata nell’ultimo, appassionato intervento al Parmaneto europeo quattro mesi prina della scomparsa.
Altiero Spinelli, l’allegoria di “Il vecchio e il mare” con cui concluse l’ultimo intervento federalista al Parlamento europeo il 16 gennaio 2086, 4 mesi prima della morte
Alcune critiche alla citazione del “Manifesto” con le relative risposte
Il primo argomento è che “la presidente del Consiglio Meloni ha voluto scientemente commentare solo quelle frasi del Manifesto che le facevano comodo ideologicamente, infischiandosene del contesto storico in cui il documento venne redatto clandestinamente, cioè in piena dittatura fascista”. Non è stata lei a riesumarlo pur essendo largamente “datato”, sono stati la manifestazione romana per l?Europa molto affollata a piazza del Popolo e diversi parlamentari dell’opposizione – nei loro interventi in aula in risposta alla sue comunicazioni in vista del Consiglio europeo del giorno successivo – a sbandierare il “Manifesto di Ventotene” nella sua interezza. Quindi, evocato non soltanto nel valore simbolico espresso dal suo titolo originario,“Manifesto per un’Europa libera e unita”, riassumibile nell’ideale degli Stati Uniti d’Europa, una visione meritoria in un periodo squassato dall’aggressività dei nazionalismi che gli autori sentivano sulla propria pelle; sarebbe bastata questa citazione invece del contenuto che ha mostrato la costruzione europea ivi ideata.
Altiero Spinelli, in uno dei moltissimi interventi federalisti al Parlamento europeo
Quella costruzione la presidente del Consiglio nella sua replica non poteva ignorarla – per il rilievo che era stato dato nello sbandierare il documento anche in Parlamento – tanto ò vero che ha esordito proprio facendo riferimento a quelle forti sollecitazioni – e si è limitata a leggere, si badi bene, testualmente, soltanto alcuni passaggi del lunghissimo Manifesto nei quali si configurava un assetto tale da farle esclamate “Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia.” Senza neppure commentare quella costruzione, né attribuirle il favore degli oppositori, non una parola di più di quelle ora citate. .E, riguardo al diversivo che avrebbe voluto inscenare, basta ricordare che ne ha parlato solo al termine dei suoi due interventi, le sue parole occupano nel testo stenografico soltanto una colonna delle 35 colonne – di 50 righe per 50 battute a riga – tra le 20 colonne della comunicazione iniziale e le 15 della replica finale, meno del 3% del totale, peraltro in pochissime righe sono riportate le sue parole, nelle altre i passaggi del Manifesto letti testualmente.
Alriuero Spinelli, la scheda segnaletica della polizia fascista
Cosa pretendono i critici, che non doveva parlarne affatto, o ne ha parlato troppo poco, doveva analizzare il documento di 16 o 25 pagine a seconda dell’edizione, e farlo storicamente, ma “che c’azzecca”?- Come si fa a dire che “ abbia, in realtà, voluto provocare, così com’è nel suo carattere, un diversivo per nascondere la grave crisi economica, produttiva e sociale in cui versa il nostro Paese?”
Era la replica alla discussione sulla posizione da assumere nel successivo Consiglio europeo, quindi altro che un diversivo! Ma come può essere una provocazione citare alcune frasi testuali di un documento sbandierato in quei giorni anche in Parlamento, oltre che in una piazza molto motivata, senza neppure criticarlo ma dicendo che quella delineata da quelle frasi – con la proprietà privata regolata “caso per caso”, la dittatura rivoluzionaria, il Superstato retto dagli ottimati dove la democrazia è considerata “un peso” – non è la sua Europa, e non sa se sia l’Europa dell’opposizione, non la accusa neppure di aver sposato quell’assetto che lei non accetta?
Il carcere di Lucca, dove Altiero Spinelli fa recluso dal 1928 al 1931
Non ha fatto una analisi del documento da nessun punto di vista, ha citato solo quei passaggi che le fanno ritenere non essere “la sua Europa”: ed è evidente, dati la sua prefigurazione. E non vale dire che quando nacque il “Manifesto” c’erano le dittature nazista e fascista, e c’era soltanto come ispiratrice la dittatura comunista, dettata dalla rivoluzione bolscevica cui di fatto si ispira attenuando soltanto il trattamento della proprietà che non viene soppressa, ma “abolita, limitata, estesa caso per caso”. C’erano gli Stati Uniti d’America, ma Spinelli era comunista – e lo si può capire, nel dopoguerra sarà parlamentare nazionale ed europeo per 10 anni con il PCI – e poteva solo, come ha fatto, dissociarsi su aspetti estremi, era stato anche espulso dal PCI anni prima, nel 1937.
L’interno di un carcere
Alla presidente Meloni non facevano comodo solo queste citazioni, avrebbe potuto aggiungere altre parti a cui è contraria, come quelle sugli Stati nazionali da neutralizzare per un Superstato, anche questa “non è la sua Europa”, le viene data la qualifica di sovranista, dunque… ed è una posizione legittima diversa da quella dei convinti federalisti. Lamentare che non ne ha parlato sembra poco appropriato, ha detto che non è la sua Europa quella del Superstato degli ottimati rivoluzionari di ispirazione comunista, perché gli Stati Uniti d’America, che esistevano, nel “Manifesto” non sono citati?
Il carcere di Viterbo, dove Altiero Spinelli fa recluso dal 1931 al 1932
Questo sempre con il massimo rispetto – anzi l’ammirazione, come abbiamo scritto nell’articolo precedente – di avere vagheggiato una “Europa libera e unita” quando era non solo disunita alla massima potenza, ma in conflitto Stato nazionale contro Stato nazionale e neppure libera ma sotto dittature oppressive. E’ un contesto storico che oggi per fortuna non c’è più, gli Stati nazionali europei – Russia a parte – non sono più nazionalismi l’uno contro l’altro, e sono del tutto liberi, per cui l’insistente riproposizione del documento nella sua interezza può far pensare che ci si riferisca non solo al meritorio e irrinunciabile disegno di un’“Europa libera e unita”, ma a un Superstato con le esasperazioni collettiviste e anticapitaliste e non del tutto democratiche che la Meloni ha citato.
La cella del carcere
L’Unione Europea attuale, con i suoi contrasti interni, ci fa capire come sia illusorio e forse improponibile il disegno federale da Superstato che poteva essere fattibile nel nucleo iniziale a 6 paesi, ma neppure questo è avvenuto, anche se in ben quarant’anni di impegno appassionato Altiero Spinelli ha continuato a spingere in quella direzione il Movimento Federalista Europeo da lui fondato nel 1943, senza portare avanti il disegno collettivista e poco democratico del “Manifesto”-
Altiero Spinelli, è lui il “padre dell’Unione europea, non il “Manifesto”
E qui non possiamo non ripercorrere la sua incessante attività, che non è stata minimamente evocata nelle “celebrazioni” del “Manifesto di Ventotene”, a parte la corona di fiori sulla sua lapide volta più che ad onorarne la memoria, a “riparare” all’offesa arrecata alla “sacralità” del “Manifesto”.
Il carcere di Civitavecchia, dove Altiero Spinelli fa recluso dal 1932 al 1937
Ci si poteva richiamare alla sua azione continua per vedere realizzato il sogno federalista, iniziata subito dopo la fine del confino, avvenuta ai primi di agosto del 1943, con la creazione clandestina, nello stesso mese, il 27-28 agosto, del Movimento Federalista Europeo insieme ai compagni di confino Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, e pochi altri, tra cui la moglie di Colorni Ursula Hirshmann . che poi sposerà.
La Hershmann aveva fatto uscire il “Manifesto” dall’isola, aiutata dalle sorelle di Spinelli, Gigliola e Fiorella e dalla moglie di Ernesto Rossi, Ada, in circostanze romanzesche, per portarlo agli amici antifascisti a Milano e a Roma. Prima del confino – dal 1937 al 1939 a Ponza, dal 1939 al 1943 a Ventotene – era stato per quasi 10 anni – dal 1928 al 1937 – nelle carceri fasciste a Lucca dal 1928 al 1931, a Viterbo dal 1941 al 1932, a Civitavecchia dal 1932 al 1937 allorché, trasferito a Roma a Regina Coeli per la fine della reclusione, si vide invece relegato al confino nelle due isole, dove rimase per altri 6 anni, fino al 1943.
Il carcere di Regina Coeli a Roma, dove Altiero Spinelli fa recluso nel 1937, da lì al confino
Dopo la perdita di libertà durata 15 anni, subito dopo la sua liberazione dedicò tutte le proprie energie alla realizzazione dell’ideale federalista che era stato il suo “sogno di prigioniero” a Ventotene. E fu instancabile: dopo aver fondato, nell’agosto del 1943 il Movimento Federalista Europeo – cui diede una proiezione internazionale con i Federalisti europei – promosse a Ginevra la “Dichiarazione federalista” votata da otto paesi il 20 maggio 1944, partecipò alla Resistenza, poi nel marzo 1945 a Parigi promosse la Conferenza federalista europea, e la guerra non era finita.
Nell’immediato dopoguerra con la battaglia federalista sollecita le istituzioni, nel 1947 cercando di far leva sul Piano Marshall, nel 1954 mobilitandosi per la CED, la Comunità Europea di Difesa bloccata dalla Francia, poi cercando di far leva sulla CECA. per trasformarla in una comunità federale, fino ad impegnarsi nella stesura di un secondo Manifesto federalista e nella creazione del Congresso del popolo europeo, nella cui riunione a Torino del 1957 portò l’aspra critica al concetto di Stato-nazione contestandone la legittimità, forse l’unico seguito del “Manifesto di Ventotene”.
L’isola di Ponza, dove Altiero Spinelli fu internato al confino dal 1937 al 1939
Con una attività così intensa e appassionata non poteva restare fuori dalle istituzioni, e in particolare da quelle europee, al loro interno poteva continuare l’indomita battaglia federalista. Ed eccolo membro della Commissione europea senza sosta dal 1970 al 1976 allorché fu eletto nel Parlamento italiano e subito destinato a rappresentare l’Italia nel nuovo Parlamento europeo fino ad esservi eletto per le legislature fino al 1989, l’ultima non completata per la sua morte avvenuta nel 1986.
Due anni prima, il 14 febbraio 1984, propone un progetto costituzionale per gli Stati Uniti d’Europa, e il progetto di un Trattato per l’Unione Europea, approvato dal Parlamento europeo; ma nel Consiglio europeo – cui vanno le decisioni da prendere all’unanimità – gli Stati nazionali bocciano la proposta del suo movimento federalista di trasformare la Comunità europea in una Federazione europea di Stati, con la cessione anche se parziale ma maggiore della loro sovranità nazionale a un’istituzione europea sovraordinata.
Altiero Spinelli, al fratello, da Ponza
Nell’ultimo appassionato intervento al Parlamento europeo sull’Atto unico europeo – che fu un tentativo di rivedere i trattati della CEE e dell’Euratom – Spinelli lamenta che nella discussione intergovernativa la proposta federalista è stata praticamente disattesa. “Onorevoli colleghi, quando votammo il progetto del Trattato per l’Unione mi ha ricordato l’apologo hemingwayano del vecchio pescatore che cattura il più grosso pesce della sua vita, lo vede divorare dai pescecani e arriva al porto con la sola lisca del pesce”, Il suo tono è sconfortato:”Anche noi siamo ormai arrivati al porto e anche a noi del grosso pesce resta solo la lisca”.
Conclude con un soprassalto di energia:”Ma questo Parlamento non deve, per questo motivo, né rassegnarsi né rinunziare. Dobbiamo prepararci ad uscire ancora una volta in mare aperto predisponendo i migliori mezzi per catturare il pesce e proteggerlo dai pescecani. Grazie”. Termina così il suo appassionato intervento, si siede. Si può vedere l’intero intervento in video e audio nel sito del Movimento Federalista Europeo, come abbiamo fatto noi. Pensiamo sia il suo testamento spirituale, era il 16 gennaio 1986, la morte lo raggiunse il 25 maggio dello stesso anno.
A Ponza, uno stanzone per gli internati al confino
Nel 1991, con il Trattato di Maastrichr, si passa dalla Comunità Economica Europea all’Unione Europea, un passo in avanti, anche se parziale, nella direzione federalista tracciata dalla sua fede intemerata..Nello stesso anno inizia la costruzione del grande edificio del Parlamento europeo a Bruxelles, ultimato nel 1997 e dedicato a lui, il nome Altiero Sponelli vi spicca a grandi caratteri. Come si fa a citare questa dedica dell’edificio come riferita al “Manifesto”? Lo ha fatto tra gli altri il pur riflessivo giornalista Alessandro De Angelis a “Tagadà” su “La 7”.
L’isola di Ventotene, dall’alto. dove Altiero Spinelli è stato al confino dal 1939 al 1943
Quando è evidente che del “Manifesto” si era perso perfino il ricordo, mentre era dinanzi agli occhi l’incessante attività federalista di Spinelli; mai riferita al “Manifesto”, di cui aveva sconfessato sin dalla fine della guerra i contenuti collettivisti e rivoluzionari, con sfiducia nel popolo “immaturo” e nella democrazia! Senza accorgersi che se vi fosse stato tale impossibile riferimento, l’edificio sarebbe stato intitolato ai tre autori del “Manifesto” e non soltanto a Spinelli. Avanzare tale errata attribuzione è una offesa alla memoria di Altiero Spinelli, come lo è stato celebrare il “Manifesto” – peraltro datato e sconfessato da lui, principale autore, nelle punte estremiste – e non la sua appassionata dedizione alla causa federalista cui ha dedicato un’azione incessante fuori e soprattutto dentro le istituzioni eutope e nazionali per oltre 40 anni.
Alcuni confinati a Ventotene, al centro Sandro Pertini, poi recluso nella vicina isola di Santo Stefano
Fino all’appello finale, a pochi mesi dalla morte, che va visto come il suo testamento spirituale. Celebrare la sua figura – magari ricordando le sue ultime parole, che abbiamo riportato, invece di celebrare il “Manifesto” in tutto il suo contenuto sconfessato negli aspetti estremi – gli avrebbe dato il meritato onore. E in tal caso, la presidente Meloni non avrebbe letto i passi più discutibili del “Manifesto” per prendere le distanze da qull’Europa in cui non si rionosce, ma si sarebbe unita nell’onore alla sua memoria.
La corona di fiori deposta dalla delegazione di alcuni partiti di opposizione silla sua tomba a una settimana dalla “celebrazione” in piazza del Popolo, poteva rimediare alla colpevole omissione se non fosse stata concepita come “riparazione” per l’offesa alla “sacralità” attribuita al “Manifesto” e non come omaggio memore e riconoscente alla instancabile dedizione alla causa federalista dell’intera sua vita, mai celebrata com avrebbe potuto e dovuto essere, e come potrà venir fatto il prossimo anno, il 25 maggio 2025, a 40 anni dalal sua scomparsa.
Isola di Venrotene, la costa, in fondo l’isola di Santo Stefano con il carcere dove fu rinchiuso Pertini
Una digressione su un auspicabile, anche se illusorio, allargamento a Est dell’Unione Europea
Tornando alla realtà odierna, dopo l’evocazione federalista, ci si rende conto che se la Federazione – per cui Spinelli si è battuto nell’intera vita – non si è raggiunta neppure all’epoca di soli 6 paesi fondatori del centro-sud Europa dai confini comuni per la vicinanza e tratti omogenei, sembra improbabile raggiungerla con ben 27 paesi le cui eterogeneità rendono l’azione già molto difficile pur nella aree di integrazione limitate all’aspetto economico-commerciale con qualche limitata solidarietà e coesione; neppure l’unione monetaria è completa, con l’euro in 20 paesi e non in tutti e 27. Forse il temuto isolazionismo americano può dare la spinta che finora non c’è stata e far unire di più, almeno nella difesa comune se non nell’azione politica, ciò che finora è stato diviso.
Gli autori del “Manifesto”, a sin. Ernesto Rossi, al centro Altiero Spinelli, a dx Eugenio Colorni
Ma la minaccia ora non viene più dai nostri Stati nazionali – comunque integrati sia pure molto parzialmente nell’Unione Europea, e convergenti per la mutua difesa comune nella NATO – ma dalla Russia – dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica – e allora l’obiettivo nobilissimo del “Manifesto per un’Europa libera e unita” dovrebbe tendenzialmente includere anche la Russia. E questo intanto ponendone le basi facendo gradualmente i passi necessari per reintegrarla nel G8 , che da G7 divenne tale con Putin per merito di Berlusconi 20 anni fa. L’immediata obiezione può essere che in Russia c’è la dittatura, come lo si può pensare fattibile? C’erano le dittature, eccome!, anche all’epoca del “Manifesto” , Hitler in Germania, Mussolini in Italia, Franco in Spagna…… e Stalin in Russia e ciò ispirò anzi il “sogno di prigioniero”di Spinelli con Rossi e Celorni.
Una vista di prospetto dell’isola di Ventotene, con il faro
In attesa di condizioni più favorevoli, almeno si dovrebbe cercare di migliorare i rapporti con la Russia, magari con accordi in settori di interesse comune, mentre il riarmo che è stato proclamato viene non solo paradossalmente ma provocatoriamente motivato per difendersi dalla sua invasione che sembra fuori da ogni logica e possibilità. Anche per questo il francese Macron non doveva evocare l’arma nucleare, per di più avendo 290 testate rispetto alle 6000 della Russia!. E sono insensate le sue provocazioni, con l’inglese Starner, fino ad organizzare l’invio di truppe, magari a presidio della futura o futuribile pace, motivato espressamente dalla chiara minaccia della Russia.
Isola di Ventotene, i caseggiati per i confinati
Chiusa la parentesi, con quali mezzi Spinelli e i due compagni potevano pensare di superare i nazionalismi e le dittature per una Federazione di Stati europei? Si obietta che non potevano farlo con una democrazia abolita dal fascismo, ma solo ed esclusivamente con una rivoluzione antagonista al fascismo che in quel contesto storico si identificava nella “prassi socialista marxista”- chiamiamola con il suo nome “ rivoluzione bolscevica”- e sappiamo come fu la Rivoluzione di ottobre e cosa ne seguì. Però la “necessaria “ rivoluzione, non è indicata come fase transitoria, ma come condizione, se non permanente, molto prolungata, finché i popoli non diventano “maturi” sotto l’indottrinamento degli ottimati al vertice della “dittatura rivoluzionaria” prefigurata.
Aliero Sponelli con Ursula Hirshmann, allora moglie di Colorni, che portò il Manifesto fuori dall’isola
Il prof. Prodi rettifica, ”tirata di capelli”, non “mano sulla spalla” alla giornalista di Rete 4
A questo punto pensiamo di alleggerire l’esposizione tornando a quella sorta di “gossip”maschilista di attualità che ha assunto aspetti sintomatici di come possano degradare o rapporti tra la politica e il giornalismo: precisamente l’”incidente” tra il prof. Romano Prodi – l’eminente esponente del centro-sinistra non più in politica attiva ma molto ascoltato – e la giornalista che gli ha posto una domanda respinta con malagrazia, già commentato nel nostro primo articolo, ma ha avuto sviluppi intriganti di cui diamo conto, partendo dal commento del nostro interlocutore Gelasio citato al’inizio: “Come al solito la destra ha poi strumentalizzato un gesto paterno di Prodi che aveva messo la mano sulla spalla della giornalista ribaltandolo invece nell’atto di avergli tirato i capelli – roba da non credere!!!””
Il Manifesto di Ventotene sbandierato alla manifestazione di Roma, a piazza del Popolo
Non ripetiamo quanto abbiamo già sostenuto nell’articolo precedente, quando abbiamo dato credito alla giornalista e al filmato preannunciato per la serata di lunedì 24 marzo in”Quarta Repubblica” su Rete 4, poi rivelatosi non del tutto chiaro, Ma la sera del 25 marzo in “Di martedì”, su “La 7”, è stato presentato un filmato inedito inequivocabile, la “tirata di capelli” con evidenza indiscutibile; lo stesso Prodi ha rettificato il suo gesto derubricandolo in un innocuo moto istintivo, spiazzando così i tanti che avevano creduto alla sua prima versione, il nostro amico Gelasio compreso.
Altiero Spinelli al Parlamento europeo
La giornalista ha replicato alla sua irridente risposta”Ma che diavolo mi chiede…? precisando che il brano sulla proprietà privata – per il quale gli aveva chiesto cosa ne pensasse – era stato citato dalla presidente del Consiglio nella sua replica in Parlamento. E Prodi ha imperversato dicendole con voce ironicamente supplichevole: “Ma che, mi prende per un bambino, crede che io non sappia …?” e via con questo tono. La risposta, che delegittima la domanda – fatta dalla giornalista con garbo, in una sede appropriata e non inseguendo in strada come spesso avviene – quasi volesse condannarla per averla fatta, prosegue facendo un parallelo con un testo religioso, è come se isolando una frase del Corano si volesse, basandosi solo su quella, giudicare Maometto
Altiero Spinelli nell’ultimo intervento al Parlamento europeo il 16 gennaio 1986, muore 4 mesi dopo
.Nell’articolo precedente ne abbiamo già parlato, nulla di rilevante nell’episodio, ora citiamo la retromarcia finale di Prodi dopo il filmato inequivocabile – allora non ancora effettuata – riportandola testualmente aggiungendo che la sottoscriviamo in toto, l’irritazione la pensiamo dovuta a una modalità pedagogica del professore verso la giovane intervistatrice: “Ritengo sia arrivato il momento di chiarire alcune cose rispetto a quanto accaduto sabato 22, a margine della presentazione del mio ultimo libro. Il gesto, che ho compiuto, appartiene a una mia gestualità familiare . Mi sono reso conto, vedendo la ripresa, di aver trasportato quasi meccanicamente quel gesto in un ambiente diverso. Ho commesso un errore e di questo mi dispiaccio. Ma è evidente dalle immagini e dall’audio che non ho mai inteso aggredire, né tanto meno intimidire la giornalista”. Semmai, aggiungiamo noi, educarla …, dato il tono ammonitorio quasi supplichevole, e così l’incidente è chiuso, spiegata anche la sua prima versione, non poteva ricordare un gesto automatico, equivalente alla “mano sulla spalla”.
Ma se l’integrità del professore resta immutata, non sembra così per i coriferi che si sono scagliati contro la legittima critica di coloro che ne hanno deplorato il gesto. Massimo Giannini dopo la prima comunicazione in cui Prodi negava di aver tirato i capelli avendo messo soltanto “la mano sulla spalla” – poi ritrattata come abbiamo ora scritto – ha esaltato “la lezione di Romano Prodi ai poveri sicari del giornalismo di regime”.
Il saluto di Altiero Sponlli
Anche Giannini ha dovuto rimangiarsi la sua difesa contraddetta dalla ritrattazione di Prodi rispetto alla dichiarazione che lui aveva esaltato, dicendo: “E’ stato un brutto errore, un gesto sgradevole. Non doveva farlo. Io penso che questo derivi dalla sua età, è un professore di 85 anni, abituato a un certo paternalismo, in qualche caso anche a un notevole pedagogismo. Non c’è stata violenza in quell’atto, però con un giornalista non lo devi fare. Però, di qui a trasformarlo in aggressione …”. Soltanto il riferimento agli 85 anni ci sembra poco appropriato, è l’età anche di Mattarella e di Papa Francesco, ma non “tirano i capelli”a chi fa loro una domanda,, a meno che l’insofferenza attribuita agli anni sia collegata all’essere professore. Per il resto il “mea culpa” di Giannini ci sembra appropriato, tanto più considerando che l’”incidente” si è avuto dopo la presentazione del libro-intervista di Prodi proprio con Giannini intervistatore, quindi ‘imbarazzo è comprendibile. .
Parlamento europeo a Bruxelles, sede intitolata ad Altiero Spinelli
Resta, però, la sua accusa ai “poveri sicari del giornalismo di regime”.che non ha ritirato. Ed è stata ribadita e personalizzata da Bottura che ha lanciato l’accusa di “retequattrismo” – era di “Rete 4” Lavinia Orefici, la giornalista della “famigerata” domanda a Prodi – accusa che Paolo del Debbio, autorevole conduttore in tale rete, ha rigettato giustamente. Del Debbio è di un equilibrio esemplare, sia nel talk show quotidiano “Rete 4 di sera”, sia nel settimanale del giovedì sera “Diritto e rovescio”. E gli altri “talk show” politici della rete, “E’ sempre carta bianca”, “Zona bianca” e “4 di sera week end”, non sono certo scherati, soltanto “Quarta Repubblica”, pur nel contraddittorio sempre garantito ha un’impostazione filo governativa, il conduttore Nicola Porro ha denunciato il gesto di Propdi contro la giornalista della sua trasmissione .
Ma è ai “talk show” di “La 7” che va girata l’accusa in “lasettismo”, anzi “lasettarismo”. Lo si vede in modo inequivocabile nei “talk show” che partono al mattino con i soli equilibrati “Omnibus” e “Coffee break”, per un crescendo rossiniano contro il governo di “L’aria che tira”, “Tagadà” e “8 e mezzo”, cui si aggiungono i settimanali “Di martedì” e “Piazza pulita”, anche più schierati, fino a “In altre parole”, il solo poco impegnato in temi politici, ma per il “Manifesto di Ventotene” ha fatto un’eccezione, e ne parleremo nel prossimo articolo.
Il nome di Altiero Spinelli nell’iscrizione sull’edificio del Parlamento europeo a lui dedicato a Bruxelles
Nei talk show quotidiani, a parte l’ouverture” mattutino, “Omnibus” con Alessandra Sardoni e “Coffee break” con Andrea Pancani – sostanzialmente equilibrati – inizia un crescendo rossiniano di faziosità: a fine mattinata in “L’aria che tira” con David Parenzo, poi il pomeriggio in “Tagadà” con Tiziana Pamella che aggiunge irrisione a faziosità, e nella serata in “Otto e mezzo” con Lilli Gruber che interrompe gli ospiti scomodi; e nei talk show settimanali, in “Di martedì” Giovanni Floris spicca per insistenze monotematiche antigovernative senza contraddittorio, in “Piazza pulita” Corrado Formigli nelle sue esternazioni schierate e nell’interruzione dei pochi contraddittori.
Il busto di Altiero Spinelli nel monumento ai Padri fondatori dell’Unione Europea, nel parco Heràstràu di Bucarest
Meno evidente il “vizietto” di schierarsi a sinistra nel talk show, sempre di “La 7”, nel week end, “In altre parole”, con Massimo Gramellini, però sul “Manifesto di Ventotene” lo spirito fazioso della rete si è manifestato appieno, ne parleremo nel prossimo articolo quando riporteremo l’intervento dirompente di Fausto Bertinotti . e il commento altrettanto sorprendente della storica Michele Ponzani senza contraddittorio. Ora solo un assaggio, un passaggio pur marginale, anzi imprevisto: l’intermezzo della ben nota giornalista ex Rai, Tiziana Ferrario la quale – convocata solo per discutere delle sentenza che consente le adozioni estere anche ai single – ha voluto collegarsi alla parte della trasmissione sul “Manifesto”, già terminata con l’affermazione che ora citiamo.
Il prof. Romano Prodi nella reazione irritata alla domanda della giornalista di Rete 4 Lavinia Orefici
“Permettetemi di dire qualcosa sulla discussione precedente. Finalmente, però, c’è un aspetto positivo in tutto questo, è che non dovremo più chiedere alla nostra presidente del Consiglio se è antifascista, perché con quello che ha fatto alla Camera ci ha risposto, quindi il prossimo 25 aprile non avremo più bisogno di farle quella domanda, di dichiararsi antifascista. Perché mi sembra molto chiaro con la lettura di quel “Manifesto….,”. Non serve commentare, tanto è evidente il fuor d’opera, ci basta rinviare alla conclusione del nostro articolo precedente e riproporre l’interrogativo: “Chi è fascista”? Chi espone legittimamente la propria opinione oppure chi la demonizza e quindi, se potesse, la vieterebbe?
Il seguito nel prossimo articolo con ben altre esasperazioni ideologiche se non peggio……
Il prof. Prodi ripreso nella tirata di capelli alla giornalista che spiegava la propria domanda
Info
Gli scenari di fondo della rievocazione storica sono inizialmente la carceri fasciste in cui Altiero Spinelli è stato rinchiuso per 15 anni e le isole dove è stato ristretto al confino per i successivi 6 anni, Ponza e Ventotene. Al centro il protagonista è lui, comunista dissidente dallo stalinisno e per questo espulso dal partito, che a Ventotene ha scritto nel 1941, come ampiamente spiegato nell’articolo precedente, insieme al liberale Ernesto Rossi e con la prefazione del socialista Eugenio Colorni, il “Manifesto per un’Europa libera eunita”, chiamato “Manifesto di Ventotene”, tornato di grande attualità per essere stato “celebrato”, e in parte contestato, in un momento cruciale per l’Un ione europea che ha prefigurato 84 anni fa. Cfr. il nostro primo articolo, uscito in questo sito il 24 marzo 2025 con il titolo ““Manifesto di Ventotene”, 1. Dalla soria alla cronaca” ; il terzo e ultimo articolo sul tema uscirà domenica prossima 6 aprile con il titolo “Manifesto di Ventotene”, 3. Da ‘libro sacro’ a ‘Corazzata Potemkin'”. Cfr. inoltre, i nostri precedenti articoli sull’isola di Ventotene e su quella vicinissima di Santo Stefano, pubblicati alcuni anni fa in occasione di viaggi sulla barca di un caro amico, con la descrizione dei luoghi nelle circostanze speciali dei visggi stessi e, per Santo Stefano, con la ricostruzione della storia del penitenziario ora in via di trasformazione in una sede di studi europeo ititolata a David Sassoli, presidente del Parlamento europeo prematuramente scomparso; li abbiamo ripubblicati nel 2022 e 2023, in memoria dell’amico Ciro Soria che mi aveva ospitato nella sua barca, anch’egli scomparso. Cfr., dunque, gli articoli in questo sito: per Ventotene, Villa Giulia a Ventotene, la capacità umana di far soffrire anche in Paradiso 4 giugno 2022, “Sul mare”, il film di D’Alatri su Ventotene, un’emozione senza fine 4 maggio 2023, e Ischia, festa di Sant’Anna, il Palio dei carri di Tespi 2009, 22 aprile 2023; sulla vicina isola di Santo Stefano: Santo Stefano, 1. Archeologia carceraria del penitenziario-teatro, 2 giugno 2022, e Santo Stefano, 2. Le storie dei reclusi nel penitenziario-teatro 3 giugno 2022. Aggiungo – tale è stato il legame con l’amico Ciro,al quale collego le mie visite a Ventotene, di cui agli articoli sopra ricordati – la citazione dei due articoli rivolti alla sua memoria: “Ciro Soria, buona navigazione Lassù, nellalto dei cieli!” 21 aprile 2023, e “Ciro Soria, 40 anni di matrimonio con il sostegno a Ibby” 23 aprile 2023.
Il giornalista Massimo Giannini, nel suo intervento a “Di martedì”, in “La 7”, sul gesto del prof. Prodi
Photo
Le immagini, dopo l’apertura con la metafora di “Il vecchio e il mare” evocata da Altiero Spinelli nell’ultimo suo intervento al Parlamento europeo, 4 mesi prima della morte, e la successiva che li ritrae in un suo intervento, ripercorromo la sua odissea: prima nelle carceri fasciste di Lucca, Civitavecchia, Viterbo, fino a Regina Coeli a Roma, com ritratti gli edifici e due interni; segue il confino, prima a Ponza, con l’isola evocata in diverse immagini, 2 vista dall’alto, una con i capannoni per i confinati, 2 con l’immagine di Spinelli a fianco di quelle di Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, fino a Spinelli insieme a Ursula Hirshmann che con altre donne, fece uscire il “Manifesto di Ventotene” e lo portò ad amici antifascisti a Roma e Milano, la foto in cui viene sbandierato a Roma, nella manifestazione a Piazza del Popolo da una donna appassionata, ne rende la persistenza Quindi, 3 immagini con Spinelli al Parlamento europeo, quella centrale nell’ultimo suo intervento prima della morte avvenuta 4 mesi dopo, la terza mentre saluta; sono seguite da due immagini dell’edificio con il Parlamento europeo a Bruxelles a lui intitolato, e dalla statua a lui dedicata a Bucarest nel parco con il monumento ai fondatori dell’Unione Europea. Le 4 immagini conclusive tornano sulle polemiche legate alla citazione del “Manifesto” dalla presidente Meloni, le prime 2 sulla reazione del prof. Prodi alla domanda della giornalista Orefici su cosa ne pensasse, le ultime 2 sui commenti di due giornalisti molto noti, Massimo Giannini e Tiziana Ferrario. Concludono – quasi aprendo la galleria del successivo e ultimo articolo che sarà pubblicato dpmenica 6 aprile sul tema, nel quale si continuerà ad illustrare idealmente la polemica sul “Manifesto” con altri illustri intervenuti, oltre a riepilogare con nuove immagini lo scenario e i protagonisti di questa vicenda entrata nella storia. Le immagini sono state tratte dai siti di seguito citati, i cui titolari si ringraziano dell’opportunità offerta; si precisa che sono inserite a mero scopo illustrativo, senza alcun intento di natura pubblicitaria e nessun riflesso di natura economica, aggiungendo che qualora la pubblicazione della foto non fosse gradita a qualche titolare del sito, basterà farlo presente mediante un post “on line” nello spazio dei commenti e verrà immediatamente eliminata. I siti sono i seguenti, nell’ordine di inserimento delle immagini nel testo: pausa caffè, eurobull, anppia, versilia day, tuscia times, leggo, famiglia cristiana, fatto quotidiano, icarta, ferry canner, frammenti di ponza, frammemti di ponza, agenzia immobiliare mare e luna, corriere, latina mi piace, l’unità, laziomar, europa di ventotene, il sole 24 ore, manifesto, euro news, movimento federalista europeo, la nuova europa, dreams time, dreams time, wikipedia, il giornale, fampage, la 7, la 7. Di nuovo, grazie a tutti.
La giornalista Tiziana Ferrario nel suo commento a “In altre parole!” in “La 7”, sulla presidente Meloni
Non è “ultroneo”, come dicono i giuristi, tornare in un sito culturale come questo – oggi 26 marzo, nel giorno del voto sulla mozione di sfiducia al ministro della Giustziz Carlo Nordio – sull’evento che ha scosso la politica italiana: l’”affaire” del generale Osama Elmasry, noto come Almasri, Capo della polizia giudiziaria e al comando di due “milizie di sicurezza” in un paese come la Libia, verso il quale l’Italia è esposta per i nostri concittadini che vi lavorano, per gli impianti di idrocarburi dell’ENI che ci riforniscono di energia e per essere una delle basi più utilizzate dai migranti che con barconi fatiscenti cercano di raggiungere le nostre coste.
Su questi “fronti”, per l’Italia molto delicati, operano le milizie comandate dal generale Almasri, adibite appunto alla sicurezza, in particolare quella delle carceri. Nelle carceri libiche, considerati veri e propri lager, sarebbero stati compiuti per molti anni in modo continuato gravi reati, per i quali è stato richiesto dalla Corte penale internazionale con sede all’Aja, l’arresto provvisorio del generale Almasri che le controlla, per processarlo delle torture, stupri, violenze efferate, fino agli assassinii a lui imputati. Sono reati orribili per i quali finora, va precisato, viene accusato sulla base di precise testimonianze delle vittime, ma non ha avuto condanne.
ll generale libico Osama Almasri, Capo della Polizia giudiziaria, comanda due “milizie di sicurezza”, arrestato e scarcerato, espulso e rimpatriato
A tal fine, la Corte penale int.le ha emesso un mandato di arresto appena Almasri è giunto in Italia, arresto subito eseguito a Torino, ma poi vi è stata la scarcerazione per una serie di complicazioni del normale iter, definito un “pasticcio”, e infine la sua espulsione e rimpatrio con un aereo di Stato dei nostri Servizi segreti.
Su tutto questo si è scatenata l’opposizione – con la stampa e le televisioni ostili al Governo – che, insoddisfatta delle spiegazioni fornite nell’apposita informativa parlamentare dai ministri competenti, Carlo Nordio della Giustizia e Matteo Piantedosi degli Interni, ha presentato al Parlamento una mozione di sfiducia verso il ministro Nordio considerato responsabile di aver sottratto alla Corte penale int.le, riportandolo per di più al suo paese con un aereo di Stato speciale recante il tricolore in bell’evidenza, un soggetto chiamato sempre “torturatore, stupratore, assassino, ecc.”, anche dai garantisti sebbene – va ripetuto – i reati di cui è accusato siano gravissimi, con testimonianze molto serie, ma non ancora processato né condannato.
I cartelli dei senatori del PD con foto del carcere libico, al centro il capogruppo sen. Francesco Boccia
Introdotta molto sommariamente l’intricata questione, diciamo intanto il motivo per cui consideriamo appropriato che il nostro sito culturale se ne occupi. Perché al di là degli aspetti strettamente giuridici nei quali rientrano anche le garanzie che il sistema assicura sul piano della libertà personale, sono in gioco valori morali e interessi nazionali, in un intreccio che suscita profonde riflessioni se si vuol fare una valutazione serena.
La serenità finora è mancata, dinanzi alla più faziosa prevenzione, tanto è vero che è stata trasmessa al Tribunale dei Ministri una denuncia a seguito della quale i due ministri competenti, della Giustizia e degli Interni, il sottosegretario alla Presidenza con delega ai Servizi segreti e la Presidente del Consiglio, sono stati accusati di favoreggiamento, peculato e omissione di atti di ufficio; seguita da un’altra denuncia di un migrante ugualmente inoltrata subito al Tribunale dei Ministri. Oltre alla denuncia dinanzi al Parlamento europeo, in una polemica politica quanto mai aspra e violenta, nella quale sono volati insulti indegni da parte dei leader dell’opposizione. Che un atto di governo con ripercussioni internazionali possa subire un simile “trattamento” in Parlamento appare perlomeno singolare, come la strumentalizzazione che ne è stata fatta a fini meramente partitici.
I ministri della Giustizia Nordio e dell’Interno Piantedosi nell’informativa in Parlamento
La precisa sequenza dei fatti di quello che è stato definito un “pasticcio”
Iniziamo con i dati forniti nella informativa parlamentare, dal Ministro della giustizia Nordio, con assoluta precisione, citando date ed ore, in una sequenza incalzante. Mandato di arresto emesso dalla Corte penale int.le sabato 18 gennaio, eseguito a Torino domenica 19 gennaio alle ore 9,30; notizia informale dell’arresto trasmessa al Ministero della giustizia via e mail nella stessa domenica 19 alle ore 12,37 da un funzionario dell’Interpol, comunicazione considerata “assolutamente informale, priva dei dati identificativi e priva del provvedimento in oggetto e delle ragioni sottese. Non era nemmeno allegata la richiesta di estradizione”.
Lunedì 20 gennaio, alle ore 11,40, il Procuratore della Corte d’Appello di Roma, come organo competente, ha trasmesso al Ministero della giustizia l’atto definito “complesso carteggio”, sembra di circa 40 pagine in inglese con allegati in lingua araba, ed è restato in attesa. Non avendo ricevuto risposta, la mattina di martedì 21 gennaio, il Procuratore ha chiesto la scarcerazione del soggetto avendo ritenuto “irrituale” il suo arresto mancando l’impulso in tal senso del Ministro della Giustizia, scarcerazione decisa dalla Corte d’appello di Roma; ne è seguita l’espulsione disposta dal Ministro dell’Interno, per interesse nazionale e motivi di ordine pubblico, eseguita in giornata con il rimpatrio per mezzo di aereo di Stato, in particolare dei nostri Servizi segreti.
Il ministro Carlo Nordio, nella sua dettagliata esposizione
Un “ pasticcio”, in primis creato dalla Corte penale int.le che non ha fatto le notifiche giuste nei tempi giusti di un provvedimento anch’esso “pasticciato”, con gli effetti che ne sono derivati.-Cercheremo di spiegarlo evitando giudizi spesso frutto di prevenzione mista e superficialità. A parte il pur fondamentale vizio iniziale della trasmissione tardiva del mandato di arresto integrale al Ministero della Giustizia – non sabato 18 ma lunedì 20 nella tarda mattinata – dalla sequenza descritta è indubbio che il momento culminante è stata la scarcerazione alla quale è seguita l’espulsione e il doveroso rimpatrio con aereo di Stato, come avviene sempre nei casi di questo tipo, tanto più che viene definito “torturatore, stupratore, assassino, ecc.” di migranti nelle carceri libiche controllate da lui con la “milizia di sicurezza” di cui è comandante.
La sua permanenza in Italia, una volta scarcerato, avrebbe potuto comportare gravi problemi di ordine pubblico perché si rischiava che quei migranti presenti nel nostro paese, i quali dichiarano di aver subito torture nella permanenza nella famigerata prigione libica da lui controllata, potevano vendicarsi sul “torturatore” con azioni pericolose; e ne abbiamo avuto conferma nella denuncia di uno di loro, presentata contro gli stessi Ministri e la Presidente del Consiglio, trasmessa al Tribunale dei Ministri, e nella denuncia di un altro migrante alla Corte penale int.le contro l’Italia per non aver consegnato alla giustizia il suo “torturatore”.
Il ministro Matteo Piantedosi, nella sua sintetica esposizione
La scarcerazione, secondo la Corte d’appello di Roma che l’ha disposta, è stato un “atto dovuto” – per la “irritualità” dell’arresto in assenza dell’impulso iniziale a cui avrebbe dovuto provvedere il Ministro della Giustizia – che andava effettuato allorché è stata constatata l’assenza dell’intervento richiesto al Ministro, il quale avrebbe dovuto legittimare la detenzione sanando il vizio di origine; intervento, però, mancato.
Considerando la tempistica prima riportata, il Ministro nel solo pomeriggio di lunedì 20 che aveva a disposizione – dopo la trasmissione alle 11,40 di tale giorno al Ministero da parte della Corte d’Appello del “complesso carteggio” che abbiamo citato – avrebbe dovuto fare le valutazioni a lui spettanti in un tempo così ristretto, e al riguardo ha aperto l’intervento dicendo: “Non sono un passacarte”. E martedì 21 alle 16 del pomeriggio ha risposto alla Procura che “considerato il complesso carteggio, il Ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma, ai sensi dell’articolo 4 della legge 237 del 2012”.
Il deputato di 5 Stelle on.Federico Cafiero De Raho, nell’intervento da ex magistrato, criticato nel testo
Ma già la Corte d’Appello di Roma competente, su richiesta della Procura con assenso della Procura generale, in mattinata aveva deciso con ordinanza l’immediata scarcerazione di Almasri, con una rapidità che non può non sorprendere, dato che era stata la Procura stessa a trasmettere al Ministero il “complesso carteggio”di 40 pagine in inglese, con allegati in arabo, nella tarda mattinata del giorno precedente.
E avendolo trasmesso integralmente, e non solo nel dispositivo, sembra evidente che lo abbia fatto perché fosse valutato, altrimenti sarebbe bastato fornirne soltanto gli estremi. E non poteva non rendersi conto del tempo necessario data la sua complessità che conosceva, e comunque avrebbe dovuto informare il Ministro che si stava per scarcerare Almasri perché detenuto “irritualmente” se non provvedeva, cosa che sembra non sia stata fatta.
Cartelli in aula con i crimini nel carcere libico, del partito AVS, con i leader Fratoianni e Bonelli
La nullità del mandato di arresto, esaminato senza il tempo per contattare la Corte penale int.le
Andiamo oltre queste pur evidenti e importanti anomalie nei tempi e nei modi, per il momento, ed entriamo nella sostanza seguendo ancora l’informativa del Ministro Nordio al Parlamento con le spiegazioni da lui fornite. Non avrebbe potuto dare l’impulso a lui richiesto per regolarizzare l’arresto, e quindi evitare la possibile scarcerazione – peraltro a lui non segnalata – perché nella valutazione che stava svolgendo in tempi pur così ristretti, aveva riscontrato gravi anomalie nell’atto trasmessogli dalla Corte d’Appello – dal difetto di giurisdizione agli errori negli anni dei reati, di per sé invalidanti – che a suo avviso lo rendevano nullo.
E non ha potuto attivare l’interlocuzione con la Corte penale int.le perché, quando è giunto alle conclusioni cui si è ora accennato nelle sue valutazioni, la Corte d’Appello di Roma, su richiesta della Procura, con assenso della Procura generale, aveva già scarcerato il soggetto, che tornava in volo in Libia sull’aereo di Stato, dopo l’espulsione immediata disposta dal Ministro dell’interno, per cui non si poteva più sanare il vizio di origine per mantenerlo in stato di arresto.
La leader del PD, on.Elly Schlein, nel suo intervento
Nei casi di libertà personale anche i vizi formali sono decisivi, si pensi alle sentenze che la Corte di Cassazione ha annullato in passato vanificando maxi processi con molte diecine di imputati e anni di udienze, rimettendo in libertà pericolosi capi mafiosi, magari per irregolarità della notifica agli imputati e difensori, o per mancanza del titolo di studio richiesto da componenti la giuria popolare. Quindi, come poteva il Ministro, con la sua esperienza di magistrato procuratore per 40 anni, saggista su questioni processuali, quindi con un’alta competenza, tradire le sue onvinzioni giuridiche sul piano generale con forti perplessità sul piano specifico?
Su questo piano, tra l’altro, le perplessità sono state considerate fondate dalla stessa Corte penale int.le che circa cinque giorni dopo aver emesso l’atto di arresto la ha sostituito con un altro atto nel quale ha corretto gli errori invalidanti riscontrati dal Ministro, ed è stato approvato a maggioranza di 2 a 1 dai tre componenti la Corte, perché una componente ha continuato ad eccepire la carenza di giurisdizione. Questo non incide sulla validità del provvedimento preso a maggioranza, com’è assolutamente ovvio, ma rende comprensibili e non infondate le perplessità del ministro Nordio su tale aspetto, perché espresse e messe a verbale dalla stessa Corte.
La conferenza stampacon i migranti dalla Libia che hanno denunciato i crimini del generale Almasri
Andiamo ora al momento culminante e alla decisione chiave, cioè la scarcerazione, per poi approfondire le questioni sollevate con un provvidenziale ausilio; in conclusione, considerazioni che vanno oltre il campo giuridico e processuale e si pongono nella visione complessiva anche culturale che maggiormente interessa.
La frettolosa scarcerazione, decisione chiave. Era obbligata? I primi dubbi.
Si pone subito un interrogativo. Era necessario scarcerarlo così presto, come ha dichiarato la Corte d’Appello di Roma nell’Ordinanza emessa su richiesta della Procura, d’intesa con la Procura generale? Non ci permettiamo con le nostre modeste e molto lontane conoscenze giuridiche di giudicare tale pronuncia, occorrono specialisti. Pur rinunciando ad esprimerci in via personale, ci sentiamo di dire che siamo stati colpiti dalla motivazione non riferita a una regola specifica, ma all’assenza di normativa, dove afferma che “la procedura di applicazione della misura cautelare… deve inequivocabilmente accedersi al principio ubi lex voluit dixit, in virtù del quale l’arresto d’iniziativa della polizia giudiziaria nella procedura di consegna su mandato della Corte p.i. deve ritenersi escluso in quanto non espressamente previsto dalla normativa speciale “.
Una prima immagine delle carceri-lager libiche, in primo piano un sorvegliante
Ben sapendo che vige l’analogia e altri modi, anche sotterfugi, adottabili per evitare la frettolosa immissione in libertà di soggetti arrestati perché pericolosi, ci chiediamo come mai si è operato così rapidamente con un soggetto accusato di reati gravi e numerosi motivando la decisione con il “broccardo” latino citato? Proprio questa nostra percezione, pur se superficiale, ci ha fatto venire dei dubbi e indotto a cercare qualche conferma.
E questo dopo aver considerato anche altre parole della motivazione della Corte d’Appello conforme al giudizio della Procura generale secondo cui “la restrizione della libertà personale operata dalla Digos in via precautelare non sarebbe prevista dalla legge 237/2012, essendo preclusivo il silenzio del Ministro della Giustizia, debitamente e prontamente informato del fermo”; di qui la scarcerazione, considerata atto dovuto.
Il leader di “5 Stelle”, on. Giuseppe Conte, nel suo intervento
Si deve “inequivocabilmente” accedere al “broccardo”, pardon, al principio, in base al quale la scarcerazione era inevitabile per il silenzio “preclusivo” del Ministro pur informato “debitamente e prontamente”? Se le cose stessero così sarebbe comprensibile che a Nordio vemisse attribuita la colpa del ritorno in libertà del “torturatore, stupratore, assassino, ecc.” , per di più riportato con aereo di Stato in Libia dove potrebbe continuare a commettere i suoi efferati crimini contro vittime inermi, come viene lamentato all’infinito. Noi abbiamo già convenuto che il Ministro non poteva avallare un atto la cui valutazione rientrava nelle sue facoltà, avendolo ritenuto nullo senza interloquire con la Corte penale int.le mancandone il tempo non per sua inerzia.
Ma questa nostra convinzione conterebbe poco se non avessimo trovato un’ analisi giuridica approfondita, dal titolo”La scarcerazione del generale libico Elmasry. nota critica alla interpretazione resa dalla Corte di appello di Roma sull’art. 11 della legge di cooperazione tra l’Italia e la Corte penale internazionale”, pubblicata il 27 gennaio 2025 sul sito molto qualificato “Sistema penale”.
Uno dei due migranti dalla Libia che ha testimoniato i crimini del generale Almasri nel carcere
E’ chiamata “scheda”, ma sono ben 10 pagine molto fitte, di 45 righi l’una con 100 battute a rigo, la metà circa con l’analisi giuridica, l’altra metà con le norme specifiche, in particolare su “Applicazione della misura cautelare ai fini della consegna” e “Attribuzioni del Ministro della Giustizia”, “Procedure per la consegna” e “Norme applicabili”, infine “Arresto da parte della polizia giudiziaria”: un ausilio notevole per chi volesse farsi una propria idea indipendentemente dal testo con le valutazioni dell’esperto.
Si tratta di un saggio molto ampio, uno studio approfondito il cui autore, Giulio Vanacore, si chiede se l’orientamento espresso in modo netto dalla Corte d’Appello di Roma e dalla Procura con la Procura generale – che ha portato a scarcerare l’accusato – fosse “l’unico ammissibile alla stregua degli ordinari canoni ermeneutici”. E lo nega con argomentazioni precise, dimostrando la propria contrarietà con riferimenti appropriati alla normativa. Si tratta di un magistrato particolarmente esperto, con dottorato in materia internazionale e diversi saggi pubblicati proprio su Statuto e regole della Corte penale int.le e della Corte di giustizia sull’ex Jugoslavia Abbiamo attinto alla sua analisi riportando diversi passaggi testualmente per non rischiare equivoci, ma è molto più penetrante e circostanziata di quanto possa risultare dalla nostra sintesi estrema che può sembrare lunga e pedante, ma trae l’essenziale da un testo notevolmente più ampio e accuratamente argomentato.
Una seconda immagine delle carceri-lager libiche
Le conclusioni sorprendenti di un magistrato, grande esperto della Corte penale int.le
Già dal titolo sopra riportato del saggio la grande sorpresa, ma la critica riguarda oltre alla Corte d’appello di Roma, anche la semplicistica “vulgata” dell’opposizione che dà al Ministro della Giustizia colpe inesistenti, con annesso insulti vergognosi. Per cominciare, si afferma che la norma tanto citata, legge 237/2012, “non prevede, nel tenore letterale della disposizione, alcun potere di impulso o di iniziativa in capo al Ministro della Giustizia in tema di esecuzione di un ordine di carcerazione (preventiva a seguito di mandato o definitiva a seguito di condanna). Il legislatore del 2012 pare invece aver voluto concepire una procedura completamente ‘giurisdizionalizzata’, senza un’autentica facoltà di veto paralizzante o di impulso inevitabile in capo all’autorità governativa”.
Il ruolo attribuito al Ministero della Giustizia riguarderebbe soltanto la ‘ricezione degli atti’ da parte della Procura Generale di Roma, “unico organo competente a richiedere la custodia cautelare di un soggetto ricercato dall’autorità giudiziaria internazionale. E tuttavia non è prescritto che tale ricezione, in favore della Procura Generale, debba necessariamente provenire dal Ministero”, ma può venire, “come è stato nel caso di specie”, da altre fonti, dall’Interpol all’Ambasciata.”In definitiva – ribadisce Vanacore – la norma non impone letteralmente né un potere di impulso, né una possibilità di veto, e nemmeno una formale ed indispensabile previa interlocuzione tra la Procura italiana ed il Ministero della Giustizia, al fine di provvedere alla custodia dell’indagato internazionale”.
Il leader della “Sinistra italiana” on. Nicola Fratoianni, alla sua sin. il leader dei Verdi on. Bonelli, di AVS
Sempre secondo l’autore citato – cui continuiamo a fare riferimento essendo specializzato nella materia – non deve sviare il fatto che la legge sopra ricordata nelle disposizioni generali all’art. 2 indica “un generale diritto-dovere di costante dialogo e di cura esclusiva dei rapporti con la Corte da parte del Ministro della Giustizia. Egli è colui che tiene le fila delle relazioni con la Corte Penale Internazionale”. Questo riguarda rogatorie e citazioni, assunzione di prove ed altri atti, “e tuttavia tale norma non appare incidere sul diverso meccanismo, d’altronde disciplinato da una norma ad hoc in un capo distinto della legge (il Capo II denominato proprio ‘Consegna’) che, in via appunto di previsione speciale, regola l’arresto di un ricercato o la carcerazione di un condannato. L’art. 11 non ripete la designazione, propria dell’art. 2 (disposizione nemmeno richiamata dall’art. 11), in capo al Ministro quale soggetto unico legittimato al dialogo con la Corte”.
E ribadisce così quanto possa essere poco chiaro nel riferimento ai due diversi articoli della normativa: “Quando è in gioco il fermo dell’indiziato, destinatario di un mandato di arresto internazionale, ovvero del condannato in via definitiva dai giudici dell’Aja, la Procura Generale… può chiedere, una volta acquisiti (da qualsiasi fonte) gli atti, la custodia del ricercato, in attesa di procedere alla materiale consegna in favore della Corte Penale Internazionale”.E gli atti, nel caso in specie, la Procura li aveva al punto di trasmetterli essa stessa al Ministero della Giustizia nella tarda mattinata di lunedì 20 gennaio.
L’altro migrante dalla Libia che ha testimoniato i crimini del generale Almasri, con successiva denuncia
Ma non finisce qui: “Solo nella fase successiva al perfezionamento della custodia, a seguito anche di eventuale impugnazione innanzi alla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 11 comma 2, e in questo ultimo caso dopo il negativo esperimento del ricorso, riemerge un ruolo del Ministro, che deve adottare, ai sensi dell’art. 13 comma 7, il decreto di definitiva consegna dell’arrestato in favore dei giudici dell’Aja”.Siamo ben al di là dei due giorni di detenzione del generale libico cui è seguita la fulminea scarcerazione: “Trattasi però di un segmento procedurale successivo al consolidamento della custodia e non paiono comunque residuare margini di discrezionalità politica nella scelta di adozione di detto decreto da parte dell’autorità governativa, che si atteggia dunque, secondo la complessiva impostazione legislativa del 2012, quale mero esecutore, in guisa ‘notarile’, di deliberazioni giurisdizionali”. Ma solo in questa fase finale, la Cassazione, di un procedimento estremamente lungo.
Per concludere: “Prima di questo stadio, evidentemente conclusivo ed inerente al trasferimento personale del fermato, l’art. 11, si ribadisce, scolpisce una procedura che coinvolge unicamente la Procura Generale quale polo istante e la Corte di Appello quale terminale decisionale della custodia”. E ancora: “Non pare corretto coinvolgere, nella disciplina ‘chiusa’ dell’art. 11, una norma, quella di cui all’art. 2, che, seppur si intenda definire ‘generale’, non può costituire l’oggetto di un anomalo rinvio recettizio nella disposizione speciale che regola la procedura in materia di custodia personale e consegna”.
il leader di “Azione”, on.Carlo Calenda
Più chiaro di così, anche nel riferimento normativo! Lo “stadio” che viene citato, non riguarda lo stadio di Torino dove Almasri ha assistito alla partita Juventus-Milan, da tifoso juventino prima di essere arrestato in albergo il mattino successivo, ci sia consentita questa banale battuta di alleggerimento da una pesantezza però inevitabile…. A parte la battuta, le conclusioni dell’autore contrastano con l’interpretazione della Corte d’Appello di Roma anche sulla presunta “irritualità” dell’arresto da parte della polizia attivata dalla Digos, su mandato proveniente dalla Corte penale int.le, che ha portato alla rapida scarcerazione.
Infatti viene sottolineato l’assurdo che gli organi di polizia, pur informati come nel nostro caso della presenza del ricercato su mandato della Corte penale int.le, “non avrebbero alcuna facoltà (o dovere) di arresto precautelare, dovendo sul punto attendere l’istanza di custodia della Procura Generale di Roma”; la quale, a sua volta, dovrebbe sempre essere “preceduta da un qualche atto di iniziativa del Ministro della Giustizia, del quale però dovrebbero esser tracciati i termini di forma e contenuto minimi”-
Una terza immagine delle carceri-lager libiche
Ne deriva che non sarebbe possibile trattenere in via coattiva l’indagato o il condannato senza un provvedimento, proveniente dalla Corte di Appello di Roma, che dovrebbe essere attivato dal Ministro della Giustizia con pericolo di fuga dei soggetti ricercati pur ben individuati. La Corte d’Appello non ritiene che “il vuoto di disciplina possa esser colmato dal generale rinvio che la l. 237/2012 compie in favore della normativa codicistica in punto di estradizione. In particolare non reputa possa applicarsi, in virtù del richiamo alle disposizioni del codice di procedura penale dettato dall’art. 3[ per quanto non specificamente previsto dalla legge sulla cooperazione, l’art. 716 c.p.p., in punto proprio di applicazione della misura precautelare anche ai ricercati della Corte dell’Aja”.
Questo convincimento della Corte d’Appello di Roma – che lo motiva in modo perlomeno astruso – viene contestato su tutta la linea: “Invece la disciplina sull’arresto precauzionale è una regola di sistema tanto più suffragata dalle norme per l’estradizione e non vi è nessun silenzio della legge che nel nostro caso legittimi la scarcerazione quale polo istante e la Corte di Appello quale terminale decisionale della custodia”. Il riferimento corretto viene ribadito essere alla “disciplina ‘chiusa’ dell’art. 11”, come norma “speciale” che si applica nel caso di “custodia”, al posto dell’art. 2 che è norma “generale” non applicabile esistendo la suddetta norma “speciale”.
Il leader di “Italia Viva”, sen. Matteo Renzi, nel suo intervento
E comunque taglia la testa al toro la conclusione secondo cui “pur a fronte di un arresto di polizia ritenuto illegittimo, la custodia possa comunque esser richiesta e ammessa, così in sostanza assicurando il trattenimento in attesa della consegna alla Corte Penale Internazionale, così scongiurando il concreto pericolo di fuga dell’indiziato, e persino del condannato in via definitiva, di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra”. Si resta senza parole, chiarissimo! La reiterazione di “così” due volte da parte dell’autore, sembra volerne sottolineare la conclusione.
Dopo l’autorevole conclusione del magistrato specialista, le nostre modeste considerazioni
Siamo tornati così allo stupore che ci aveva suscitato il broccardo “ubi lex voluit dixit” – con il correlativo sottinteso, “ubi non dixit, non voluit” – dal quale è nato l’approfondimento per il quale ci siamo riferiti al saggio di Vanacore su “Sistema penale”. Ma non intendiamo sostenere che questa è l’unica interpretazione valida, non siamo in condizione di dirlo, possiamo soltanto fare qualche considerazione di buon senso che ci fa apparire sensato quanto osservato dal giurista. Infatti, se fosse “atto dovuto” la trasmissione automatica dell’ordine di arresto della Corte penale int.le, perché farlo attraverso il Ministro della Giustizia che è organo politico, e non attraverso l’Interpol, la magistratura o la polizia?
ll leader di “+ Europa”, on. Riccardo Magi, nel suo intervento
E se il Ministro, pur essendo organo politico, non può entrare nel merito del provvedimento, ma solo far eseguire l’arresto, perché trasmettergli invece del semplice dispositivo, il “complesso carteggio” , allegati compresi, se non per farglielo esaminare? Domanda che abbiamo già avanzato, ma ci sentiamo di doverla ripetere. E allora dovevano dare al Ministro il tempo occorrente, anche per poter interloquire con la Corte penale int.le, se necessario, cosa impossibile dati i tempi così ristretti per una scarcerazione che poteva non avvenire, anzi non doveva avvenire seconda le conclusioni dell’autore del saggio giuridico cui abbiamo fatto riferimento.
Non abbiamo la presunzione di dire ciò che andava e non andava fatto, ma possiamo rilevare che il Ministro della Giustizia, con il Ministro dell’Interno, ha ricostruito i fatti e spiegato le motivazioni dei comportamenti, e così ha fatto la Corte d’Appello di Roma competente dei rapporti con la Corte penale int.le. Tutte le istituzioni hanno operato in buona fede in base alle proprie valutazioni, di cui hanno assunto la responsabilità, in un campo controverso, aperto a diverse, legittime interpretazioni, come avviene nel diritto; e noi abbiamo riportato una interpretazione affidabile perché ben motivata da un giurista specializzato nella materia. Non si possono sputare sentenze superficiali, neppure dai politici che si sono arrogati giudizi apodittici in un campo opinabile.
L”esibizione all’esterno, dopo la seduta in Parlamento, di cartelli dei leader AVS, Fratoianni e Bonell
La “requisitoria” apodittica del parlamentare di 5 stelle, l’ex magistrato De Raho
Non vale la pena di considerare le accuse al Governo su questo caso da parte dei leader politici dell’opposizione, precostituite e infarcite di insulti, ripetiamo vergognosi, gravemente offensivi per Istituzioni e Parlamento; inseriamo nel testo solo le immagini dei loro interventi e dei cartelli esibiti quasi fossero allo stadio, che si qualificano da soli. Ci ha sorpreso, però – data la sua caratura personale e il non essere “politico di professione” – la “requisitoria” in Parlamento del deputato di 5 Stelle, on. Federico Cafiero De Raho, già Procuratore nazionale antimafia, che ha accusato il ministro Nordio di aver mancato al suo dovere istituzionale di intervenire in via automatica sull’ordine di arresto, non rispondendo alla richiesta della Procura di Roma che in assenza del suo impulso ha dovuto forzatamente procedere subito alla scarcerazione.
Abbiamo visto che, oltre all’impostazione del Ministro, considerata di parte, ne abbiamo trovato una del magistrato Vanacore specialista nella materia, che esclude qualsiasi sua responsabilità nella liberazione del generale libico accusato di gravi reati; e indirettamente la fa ricadere semmai sulla Corte d’Appello di Roma che ha proceduto subito alla scarcerazione in base a una interpretazione perlomeno opinabile, dalle quale è venuto un effetto ritenuto così grave da portare addirittura alla denuncia al Tribunale dei Ministri a alla mozione di sfiducia per il Ministro ritenuto responsabile di un fatto inammissibile.
Una quarta mmagine delle carceri-lager libiche, alcuni detenuti incappucciati
Sorprende come un ex magistrato di alto livello – già Procuratore generale antimafia dal 2017 al 2022 – si sia fatto trascinare nella faziosità politica per un intervento apparso a noi molto superficiale nel contenuto, con riferimenti vaghi e immotivati a normative ben più complesse, come ha dimostrato l’analisi cui ci siamo riferiti; e questo accusando in modo apodittico di non aver compiuto un “atto dovuto” il Ministro della Giustizia, mentre semmai l’appunto potrebbe essere rivolto alla Corte d’Appello di Roma per una scarcerazione forse evitabile, come abbiamo visto.
L’opinabilità la fa da padrona, e se il ministro Nordio, nella sua responsabilità istituzionale e nella sua indiscussa competenza personale, ha adottato un certo comportamento nella sua legittima interpretazione, anche se opinabile e difforme da altre, va valutato politicamente, e censurato anche in modo aspro soltanto se dal suo comportamento sono derivati danni al Paese. Ma non vi è alcun danno di immagine, perché il “pasticcio” lo ha compiuto la Corte penale int.le e semmai i danni al Paese possono arrecarli le opposizioni con le loro smodate accuse al Ministro della Giustizia, di liberare un “torturatore, stupratore, assassino, ecc.”.
Cartelli di protesta esibiti dopo l’intervento della leader on. Elly Schlein, da parte dei deputati del PD
Non ci sono stati danni, anzi insperati vantaggi per il nostro Paese
Vediamo se ci sono stati danni per il nostro Paese nella sostanza, e sarebbe molto grave se fosse avvenuto, ma è l’opposto. Perchè anche se – per assurdo data la valutazione competente che abbiamo visto – il Ministro della Giustizia avesse sbagliato nell’interpretazione che lo ha portato a non dare attuazione automatica al mandato di arresto venendo meno a un inesistente “atto dovuto”, sarebbe stato un “felix error “ a vantaggio del Paese.
Lo attesta il fatto che molti critici facenti parte delle opposizioni, rimproverano al ministro Nordio e al Governo, compresa la presidente Meloni, non di aver riportato in Libia il “torturatore, stupratore, assassino, ecc..”; ma di non aver invocato la Ragion di Stato per giustificarne la scarcerazione e l’immediato rimpatrio, invece di fare quello che hanno chiamato “pasticcio” impresentabile: E questo per tutelare i nostri interessi con la Libia che sarebbero stati sottoposti a gravi rischi perdurando il suo arresto, essendo oltre che “torturatore, stupratore, assassino. ecc. “, il potente Capo della polizia giudiziaria alla testa di due famigerate “milizie di sicurezza” che avrebbero potuto compiere ritorsioni inenarrabili.
L’arrivo all’Aeroporto di Tripoli, di Almasri, arrestato, scarcerato, espulso, rimpatriato con aereo di Stato
Ma non ci si rende conto del rischio insito nell’invocare l’interesse nazionale perché avremmo rivelato di essere pronti a cedere ad ogni ricatto su quel fronte,.esponendoci a chissà quali e quanti successivi eventi dello stesso genere con altri ricercati dalla Corte speciale int.le e non solo, sembra che ce ne siano una ottantina in Libia. . Mentre l’Italia, negli “anni di piombo” non dimenticati, ha saputo resistere, non cedendo al ricatto delle Brigate Rosse nel sequestro Moro, un comportamento sofferto che tutti ricordano, comunque si valuti quella “politica della fermezza”.
Nn solo, ma il nostro Paese sarebbe stato esposto al discredito in Italia e all’estero, perché lo avrebbero accusato di anteporre i propri interessi ed egoismi nazionali ai valori morali della nostra civiltà che impongono di non dare tregua ai responsabili di crimini così gravi contro la vita dei singoli che per le loro dimensioni diventano crimini contro l’umanità. E non è un timore ma una certezza, considerando che – come abbiamo accennato – la stessa opposizione si è spaccata tra quelli che ammettono, anzi affermano con forza, che fosse necessaria la scarcerazione del generale libico per Ragion di Stato ma dichiarandola, condannando i presunti “cavilli” del Governo come indegni e degradanti per il Paese; e quelli che invocano indignati la doverosa consegna alla Corte penale int.le per la giusta punizione senza anteporre impresentabili interessi ai valori supremi della nostra civiltà.
Il rimpatriato Almasri portato in trionfo dai suoi, appena sceso dall’aereo italiano in Libia
.Le condizioni nelle carceri-lager libiche e chi deve intervenire, non l’Italia
Non vogliamo minimamente sottovalutare la gravità delle condizioni disumane nelle carceri libiche, veri e propri lager in cui sono detenuti, sottoposti a ricatti e violenze, i migranti che giungono in Libia dopo estenuanti traversate da paesi più lontani, per essere poi taglieggiati dai trafficanti di uomini che lucrano sulla loro speranza di arrivare in Italia, porta dell’Europa, con rischiose traversate su barconi stracarichi che spesso affondano seminando il Mediterraneo di cadaveri. Con le “milizie di sicurezza”, spesso autrici o complici dei taglieggiamenti e degli imbarchi di clandestini con grave rischio della vita su barconi fatiscnti.
Le immagini delle carceri-lager, inserite nel testo, con quelle dei testimoni dei reati, sono eloquenti. Questo dipende dal sistema criminale che dicono essere in atto in quel paese, non solo da parte di chi imperversa sulle carceri affidate al suo controllo; per cui, anche se il generale Almasri non fosse tornato in Libia, le sevizie e i crimini sarebbero continuati, anzi le sue milizie si sarebbero accanite maggiormente sugli sventurati rinchiusi, oltre che sugli italiani, per vendicare il loro comandante.
Un’immagine di massa degli internati nel carcere-lager, nella speranza di potersi imbarcare per l’Italia
Ne è un prova ciò che avvenne nel giugno 2020 quando fu arrestato dalla Procura libica il Capo della “milizia di sicurezza” della zona di Zuwara, accusato di traffici illeciti dai magistrati del suo paese. I miliziani suoi seguaci, “infuriati” come fu scritto, bloccarono, stringendolo in un assedio, il complesso petrolifero di Mellitah, il più grande del paese, gestito dall’ENI e dalla società libica NOC, dal quale parte il gasdotto Greenstream che collega l’Africa alla Sicilia; questo perchè videro l’arresto del capo come un “rapimento”. Nel 2015 le milizie entrarono in tale complesso con le arni in pugno e sequestrarono due lavoratori italiani, altre azioni analoghe si sono avute negli anni successivi, anche per reclamare il “prezzo della protezione”.
Ed erano questioni interne al paese, arresti temporanei e per figure minori, oppure taglieggiamenti; non si può neppure immaginare cosa avrebbero fatto le “milizie di sicurezza” per far liberare il loro Comandante, destinato per “colpa” dell’Italia alla massima pena in carceri straniere dalla condanna quasi certa della Corte penale int.le, o per vendicarlo se la liberazione non fosse stata più possibile!
Un barcone stracarico, in navigazione dalla Libia verso le coste italiane, forse Lampedusa
Sulle condizioni disumane delle carceri o centri di detenzione libici trasformati in lager, ci si deve chiedere cosa fanno le agenzie dell’ONU, in particolare la ben nota agenzia UNHCR destinata proprio ai rifugiati; e gli internati in quelle carceri o centri di detenzione lo sono. Perché non interviene sottoponendoli a controlli e facendo cessare gli abusi? Non può di certo farsene carico il nostro Paese. Il generale Almasri, anche se fosse certa la sua colpevolezza, non sarebbe comunque un “torturatore, stupratore, assassino, ecc.” solitario che se viene eliminato cessa ogni violenza; é l’alto esponente di un sistema che lo sostituirebbe con uno simile a lui, se non peggiore, come molto spesso è avvenuto.
Il capolavoro del ministro Nordio dinanzi alla “patata bollente”, poi “polpetta avvelenata”
Aver fatto leva su aspetti formali, dove la forma è sostanza, è stato il capolavoro che pensiamo abbia compiuto il ministro Nordio – anche se non artatamente ma per convinzione – seguito dal ministro Piantedosi per la parte di sua competenza. E dobbiamo riconoscere che ha risparmiato ai nostri connazionali in Libia e al nostro Paese, rischi potenzialmente inenarrabili; la trionfale accoglienza che il generale Almasri ha avuto dai suoi sostenitori e miliziani in delirio appena l’aereo che lo ha riportato in Libia è atterrato, fa capire cosa avrebbero potuto fare per vendicarsi ai nostri connazionali e ai nostri interessi petroliferi e migratori se ci fosse stato l‘esito opposto.
Un primo piano dell’affollamento sui barconi fatiscenti, dalla Libia verso le coste italiane
Del resto, si è trattato di una “patata bollente” divenuta per noi vera “polpetta avvelenata”, anche se involontaria, frutto di una inspiegabile procedura della Corte penale int.le la quale aveva trasmesso un “bollino blu” ai paesi che Almasri stava percorrendo in due settimane di “tour” europeo, perché fosse informata dei suoi movimenti con la singolare raccomandazione di “non arrestarlo”: in Germania fu fermato dalla polizia sulla sua auto prima che entrasse in Italia e fu lasciato proseguire dopo essere stato identificato e avesse comunicato la sua intenzione.
A questo punto la sua posizione e l’intenzione di andare a Torino fu comunicata alla Corte penale int.le che immediatamente emise il mandato di arresto fino ad allora rinviato omettendo di avvertire le autorità italiane della sua presenza in viaggio per l’Europa come aveva fatto per gli altri paesi. Prendiamola come combinazione accidentale, senza citare il celebre detto di Andreotti, ma la “patata bollente” che sarebbe diventata “polpetta avvelenata” l’abbiamo avuta noi con i nostri interessi in Libia messi a rischio, maggiori di quelli della Germania che pure ne ha, e sono ben noti.
Nel barcone dalla Libia verso le coste italiane, in piedi spicca lo scafista trafficante di uomini
Conclusioni, con i ringraziamenti e lo stupore per l’assurdo accanimento dell’opposizione
Per quanto abbiano scritto finora, ci sentiamo di ringraziare in primo luogo il ministro Nordio, per aver fatto, lo ripetiamo ancora, un capolavoro, perché anche se avesse commesso un errore nella sua interpretazione delle norme – cosa estremamente improbabile come abbiamo visto – sarebbe stato un “felix error” di enorme valore per il nostro Paese. E ringraziamo anche la Corte d’Appello di Roma e la Procura generale per la scarcerazione, pur se non dovuta: possono aver compiuto un altro “felix error” provvidenziale di cui essere grati
Il ministro Nordio con il vertice del governo deve affrontare il Tribunale dei Ministri per l’atto considerato “dovuto”, mentre è solo “voluto” anzi inappropriato, della Procura di Roma che ha trasmesso una denuncia visibilmente inammissibile – ritagli di giornale di fatti noti perseguibili d’ufficio con poche righe generiche di accompagnamento – dopo soli due-tre giorni, addirittura il giorno prima dell’informativa dei “denunciati” sul tema al Parlamento, mentre aveva 15 giorni di tempo. Ma questa è un’altra storia, che accresce ancora i meriti del Governo verso il nostro Paese.
Una panoramica del grande complesso in Libia di Mellitah per petrolio e gas dell’ENI con la società llbica NAOC
L’atteggiamento dell’opposizione e di tutti coloro che si accaniscono contro il modo in cui è stata risolta la questione – senza considerare il quadro giuridico e la realtà concreta – con le denunce in Italia e all’estero e la mozione di sfiducia al ministro Nordio, va visto in una luce “sinistra”, sono iniziative che vanno contro l’interesse nazionale in modo scomposto per mera faziosità politica.
Non è stato così per la scarcerazione, espulsione e rimpatrio in Iran con aereo di Stato dell’ingegnere-imprenditore iraniano Abedine, arrestato su mandato degli Stati Uniti per terrorismo, dopo la liberazione della giornalista Cecilia Sala presa come ostaggio e rinchiusa in carcere in Iran senza accuse in condizioni disumane.
Lo stesso ministro Nordio ha fatto revocare la carcerazione dell’iraniano dopo aver valutato il contenuto del mandato di arresto e avervi trovato vizi a suo avviso inammissibili; come ha fatto dopo aver esaminato il mandato di arresto del generale libico Almasri. In quel caso, pur vicinissimo nel tempo, l’opposizione ha dichiarato di non creare ostacoli, ed è rimasta silente, non ha fatto alcuna richiesta neppure di informative parlamentari nè sollevato polemiche; qui invece ha scatenato l’apocalisse, pur essendo la minaccia incombente ancora più vasta e incalcolabile. Comportamento incomprensibile, per usare un eufemismo.
Il particolare di un impianto petrolifero del complesso di Mellitah per petrolio e gas dell’ENI e della NAOC
E se i nostri connazionali in Libia – pur in numero limitato essendo in gran parte rientrati in Italia dopo le gravi turbolenze degli ultimi anni – possono sentirsi più tranquilli, le nostre attrezzature petrolifere in quel paese più sicure e le nostre coste meno minacciate da massicce invasioni di barconi partiti dalla Libia, abbiamo indicato chi dobbiamo ringraziare, e chi dobbiamo deplorare perché antepone meschini interessi di partito agli interessi del Paese. Ma il nostro Paese non è stato indebolito dal loro insensato accanimento, né all’interno né all’estero e tanto meno in Libia, anzi ne è risultato rafforzato e non serve spiegarne il perché, tanto è evidente.
Per questo motivo, il ringraziamento viene spontaneo e appare doveroso verso chi ha operato in modo così corretto ed efficace nella sua responsabilità assolvendo positivamente ai propri compiti. E’ spinto a ringraziare chi non è preso dalla prevenzione alimentata dalla faziosità politica, e cerca di approfondire tematiche opinabili senza unirsi a un accanimento irragionevole e senza fondamento, smodato e dannoso per il Paese; e soprattutto chi sente gli interessi nazionali superiori che dovrebbero far considerare con favore anche un eventuale “felix error” compiuto in buona fede perché risultato provvidenziale.
Una delle famigerate “milizie di sicurezza” libiche, due milizie sono comandate dal generale Almasri
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In apertura, l’immagine del generale libico Osama Almasri, Capo della polizia giudiziaria che controlla le carceri e comanda “milizie di sicurezza”, la cui vicenda è oggetto del dibattito; segue, l’esibizione in Parlamento di cartelli di protesta dei senatori del PD con immagini raccapriccianti delle carceri-lager libiche. Poi, 3 immagini con il Ministro della Giustizia Carlo Nordio e il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, la 1^ insieme, la 2^ e 3^ mentre intervengono nella loro informativa al Parlamento sulla vicenda Almasri. Quindi, la sequenza degli interventi in Parlamento dei rappresentanti dell’opposizione, a cominciare da Federico Alfiero De Raho di “5 Stelle”, perchè nel testo si criticano le sue affermazioni da autorevole ex magistrato; seguono i leader del “Partito Democratico” Elly Schlein e di “5 Stelle” Giuseppe Conte, di “AVS – Alleanza verdi-sinistra” Nicola Fratoianni e di “Azione” Carlo Calenda, di “Italia viva” Matteo Renzi e di “+ Europa” Riccardo Magi , conclusi dall’immagine dei due leader dell’Alleanza Verdi-Sinistra, Fratoianni e Bonelli, all’esterno del Parlamento con cartelli di protesta. Tutte queste immagini sono alternate a 4 immagini degli internati nelle carceri-lager libiche, a 3 immagini su migranti dalla Libia che hanno testimoniato torture di cui sono stati vittime in una conferenza stampa in Parlamento, e ad altre 2 immagini di cartelli esposti per protesta dai parlamentari duramte l’informativa, oltre quella inserita subito dopo l’apertura, e una successiva. Terminata la sequenza parlamentare con in più immagini delle carceri-lager libiche e dei migranti denuncianti le torture, 2 immagini, la 1^ ancora delle carceri-lager, la 2^ dei cartelli di protesta dei deputati PD, per poi passare ad immagini che fanno entare nel cuore della vicenda trattata nella seduta parlamentare. Si inizia con immagini del personaggio al centro dell’informativa, dopo quella di apertura, il generale libico Almasri, arrestato e scarcerato, espulso e rimpatriato, la 1^ con il suo arrivo in Libia sull’aereo di Stato italiano, la 2^ con l’accoglienza dei suoi seguaci mentre lo portano in trionfo. Seguono 6 immagini esplicative riferite ai nostri interessi nazionali messi a rischio. Per l’emigrazione clandestina dalla Libia verso le nostre coste, 4 immagini, la 1^ con la massa degli internati nel carcere-lager che vorrebbero imbarcarsi per l’Italia e la 2^ con un barcone stracarico in navigazione verso le nostre coste, forse Lampedusa; la 3^ con un primo piano dell’affollamento del barcone fatiscente, la 4^ con un barcone in navigazione, lo scafisca trafficante bene in vista mentre domina i migranti che vi sono stipati. Per le nostre attività economiche in Libia, 2 immagini, la 1^ con una visione d’insieme del grande complesso per il petrolio e il gas di Mellitah dell’ENI con la società libica NAOC, la 2^ con il particolare di un impianto petrolifero. In chiusura, 2 immagini sul potere libico, che sovrasta le nostre attività economiche nel paese e i nostri problemi migratori, la 1^ sulle famigerate “milizie di sicurezza” che spesso taglieggiano ed entrano in armi anche nel complesso petrolifero dell’ENI, e lo bloccano., a volte autrici e complici di taglieggiamenti e imbarco di clandestini sui barconi; la 2^, in chiusura, con l’attuale vertice in Libia, il presidente Al Manfi a sin, e il premier Dbeibeh a dx, al centro il presidente precedente Serray, dietro un quadro con l’arco di Marc’Aurelio in Libia. Le immagini sono inserite a mero titolo illustrativo senza alcun intento di natura economica, sono state tratte dai siti web riportati di seguito nell’ordine di inserimento nel testo; qualora la pubblicazione di alcune di esse non fosse gradita, saranno prontamente eliminate su semplice richiesta inserita “on line” come commento all’articolo; si ringraziano i titolari dei siti web di normale accesso per l’opportunità offerta. Ecco i siti nell’ordine di inserimento delle immagini nel testo: Progetto melting pot Europa, Città nuova, TgLa7, Prima press, Ministero dell’Interno, Agenzia Italia news, Virgilio notizie, Rai news, La Stampa, Fondazione migrantes, Rai news, Euronews, Avvenire, Virgilio notizie, La Stampa, La Repubblica, Avvenire, Rai news, Agenzia vista, Avvenire, La Stampa, Fanpage, La Repubblica, Rai news, Progetto melting pot Europa, Il Giornale, Globalist, Euronics, La Repubblica, Il Sole 24 ore, Ispi, La Repubblica. Ancora grazie ai titolari dei siti!
L’attuale vertice in Libia, il presidente Al Manfi a sin., e il premier Dbeibeh a dx, al centro il presidente precedente Serray
In merito al “Manifesto di Ventotene” – nome che è stato dato al documento-appello “Per un’Europa libera e unita” del 1941, tornato di grande attualità in questi giorni – sembra giusto evocare innanzitutto con rispetto, anzi ammirazione, l’ispirazione e l’impostazione di un fervente comunista come Altiero Spinelli, poi espulso dal PCI per le sue critiche degli eccessi sovietici. insieme a un liberale, come Ernesto Rossi, di ” Giustizia e libertà” – cui si unì Eugenio Colorni, che ne scrisse la Prefazione, poi vittima del regime. da onorare. Nel documento è evidente lo sforzo di moderare gli estremismi della rivoluzione bolscevica, ma si muove su quella linea ideale.
Il “Manifesto di Ventotene”, con il suo “padre”, con altri due, Altiero Spinelli
Non viene ripetuta la totale abolizione della proprietà privata, lo si dice espressamente prima della frase secondo coi viene valutato ” caso per caso” se e quando ammetterla da parte degli “ottimati” rivoluzionari. Riecheggia il manifesto comunista nell’affermare la necessità imprescindibile dell’azione salvifica di una rivoluzione vittoriosa delle élite illuminate nella necessaria “dittatura rivoluzionaria” sul popolo definito ” immaturo” che deve essere educato, almeno in una prima fase di formazione necessaria, per cui la democrazia rappresenta solo ” un peso”.
In un testo che abbiamo consultato, sono 17 pagine di 40 righe e 70 battute a riga con le complesse argomentazioni, non sempre agevolmente decifrabili, tipiche degli intellettuali di sinistra alla base di tali conclusioni e con indicazioni operative sull’attuazione concreta del disegno ideale. .
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, con altri confinati a Ventotene
Alla radice di tutta la costruzione teorica e pratica – con la visione rivoluzionaria ed elitaria lontana dalla democrazia – c’è l’insopprimibile esigenza di superare gli Stati nazionali che animerebbero quel nazionalismo deleterio dal quale dipendono le sopraffazioni con la guerra davanti ai loro occhi ad opera delle dittature nazista e fascista: il primo dei quattro lunghi capitoli è tutto dedicato a questo assioma basilare.
Per superare gli Stati nazionali – unico modo di evitare il ripetersi della tragedia delle guerre tra i paesi europei, anche dopo che fosse cessata la guerra allora presente – occorreva una entità rivoluzionaria, l’unica in grado di rendere innocui tali Stati cosi pericolosi per creare un Superstato europeo che avrebbe lasciato spazi molto ridotti alle singole entità’ nazionali; con le integrazioni che poi sono state realizzate nel mercato, nella libertà di circolazione di merci e persone e nella moneta, non realizzate nella difesa europea e nella politica estera comune.
Una visione dall’alto dell’isola, seguiranno alternate ad altre, alcune immagini dei luoghi
Va sottolineato il grande merito di aver lanciato una idea allora utopistica, corredata di indicazioni concrete,- impensabile quando i paesi europei erano in conflitto tra di loro con dittature aggressive quanto inamovibili , mentre gli autori del “Manifesto” erano al confino a Ventotene, Spinelli è stato confinato nell’isola dal 1939 al 1943, quindi per altri due anni dopo il “Manifesto”, veniva da altri due anni di confino a Ponza, dal 1937 al 1939.
Il “sogno di prigioniero”
Come nel film “Sogno di prigioniero” la loro costruzione utopistica dell’ Europa unita li faceva sentire liberi di fantasticare un impossibile sogno di riscatto dei popoli nel liberarsi insieme dal morbo nazionalista che li avrebbe fatti ricadere nel baratro della guerra sanguinosa anche dopo una pace che sarebbe stata temporanea. Un sogno da intellettuali dalla forte passione politica, in cui domina su tutto, insieme al rigetto degli Stati nazionali, l’intervento salvifico della forza rivoluzionaria con a capo coloro che, come loro, sentivano questa esigenza impellente, non certo il popolo “immaturo” e quindi incapace, per cui la democrazia poteva essere vista come “un peso” . Tutto spiegabile e comprensibile nella loro situazione, magari anche encomiabile.
Un folto numero di confinati a Ventotene
Il “Manifesto” fu diffuso in modo clandestino, affidato a una donna che ne assunse l’evidente rischio, poi ne fu in parte ridimensionato il contenuto pur senza modificarlo una volta usciti gli autori dalla condizione che aveva ispirato il loro utopistico sogno. Ma non lo considerarono utopistico, altro grande merito, tanto che finita la guerra e ripristinata la normalità politica, nel 1943 Spinelli costitui’ il “Movimento Federalista Europeo” – poi fu cofondatore dell’ “Unione dei Federalisti Europei – non un partito, ma un movimento interpartitico, nel quale si stemperava quella entità rivoluzionaria che aveva alimentato il ” sogno di prigioniero”.
Abbiamo citato il vecchissimo film in bianco e nero interpretato da Gary Cooper, un bel principe gettato in una buia fetida cella, tra topi e fango, che sognava di andare dalla sua bella con gli abiti principeschi di un tempo incontrandola in radiose giornate sotto l’albero dei loro convegni d’amore. Il “sogno” del bel principe di Ventotene…. fu raggiunto 16 anni dopo il “Manifesto” nel 1957 con il Trattato di Roma della Comunità economica europea , divenuta poi Unione europea con il Trattato di Maastricht del 1993 , ma con notevoli, radicali attenuazioni.
Non un Superstato che supera gli Stati nazionali, ma una comunità economica e commerciale, poi unione, con libertà di mercato, di movimento e di stabilimento, solidarietà per le aree arretrate, ma senza la difesa e l’esercito, la politica europea ed estera comune indicati nel “Manifesto” insieme alla noneta comune, attuata soolo in parte, l’euro è solo in 20 paesi dei 27 dell’Unione; e soprattutto con la direzione di una Commissione e un Parlamento senza poteri decisionali , lasciati, si badi bene, agli Stati nazionali, con il Consiglio europeo dei Capi di stato e di governo per di più avente l’obbligo dell’unanimità per le decisioni importanti. Siamo molto lontani dal ” sogno di prigioniero” di Altiero Spinelli, anche a parte gli eccessi rivoluzionari e collettiviti, l’utopistica costruzione sua e di ErnestoRossi è realizzata nella pur fondamentale integrazione europea economico-commerciale e in parte monetaria e non molto altro, nessun vero federalismo, quindi con i limiti indicati.
Ciò non toglie che a Spinelli e Rossi, con Colorni, vada dato il grande merito della ispirazione a unire i paesi europei, espressa nel momento della massima divisione nel conflitto lacerante; per cui e’ giusto aver dedicato ad Altiero Spinelli una delle due ali dell’edificio del Parlamento europeo a Bruxelles, chiamato ASP – la prima lettera del nome e le prime due del cognome – l’altra ala è intitolata ad Henry Spaak, altro grande europeista – nel riconoscerne il notevole valore simbolico con la riconoscenza dovuta per l’impegno profuso all’insegna dell’unione europea. Ma i veri padri dell’attuale costruzione europea si possono identificare in Adenauer, De Gasperi e Schuman, centristi e non estremisti, che l”hanno realizzata in modo radicalmente difforme rispetto alla “dittatura rivoluzionaria” e collettivista che doveva sostituirsi agli aborriti Stati nazionali, che restano in primo piano. Con il rispetto della democrazia e del ruolo fondamentale dei popoli – che eleggono con il voto i capi di Governo decisivi nell’Unione invece delle élite preconizzate – e con la valorizzazione della proprietà privata. Da essa nasce il necessario incentivo per la crescita, fonte ineludibile dell’auspicato benessere di tutti, pur con le distorsioni che il sistema capitalistico cerca di eliminare senza riuscirci appieno, limite da superare con interventi adeguati spesso finora mancati, ma è un sistema che cerca sempre di adattarsi con una certa flessibilità alle mutevoli esigenze.
Altiero Spinelli
L’evocazione del “Manifesto” in termini propositivi nella piazza e in Parlamento
Ricordato tutto ciò, veniamo alla attualità, dalla storia passiamo alla cronaca. . Perché si e’ rievocato in termini cosi intensi divenuti conflittuali il “Manifesto di Ventotene”, descritto finora, pur essendo un fatto storico di 84 anni fa su cui possono esserci, come avviene sempre – e meno male! – diverse interpretazioni, ma riservate alla Storia? Il motivo sta nel fatto che siamo in un momento cruciale per l’Europa, dovuto alla guerra in Ucraina, con la Russia che l’ha aggredita vista come minaccia incombente per l’intera Unione europea, tale da imporre il “Rearm Europe” urgente e massiccio con 800 miliardi di euro per riarmare i 27 Stati membri in assenza dell’esercito europeo, ma in presenza della Nato – cui aderiscono 32 paesi – già uno scudo reso molto forte dalla partecipazione massiccia degli Usa che potrà diminuire, ma intanto c’e. Riarmo quanto mai massiccio anche della Germania – cancellati i limiti impostile nel dopoguerra e quelli del tetto al debito eliminati con una repentina riforma costituzionale – per cui si richiede una maggiore impegno europeo per la difesa, contro il sostanziale disimpegno dimostrato finora, che crea debolezza a scapito della necessaria sicurezza.
Un momento cruciale dunque, che ha portato all’affollata manifestazione a Roma a Piazza del Popolo con 50 mila persone accorse sabato 15 marzo su iniziativa del giornalista Michele Serra di “La Repubblica” all”insegna del motto “Tante città. Una piazza per l’Europa” che spiccava sul palco con tanti sindaci in fascia tricolore schierati. Tra loro il sindaco di Roma, che si è accollato il costo di 350 mila euro facendo gravare il totale delle spese organizzative, di varia natura, sui cittadini romani considerando di interesse pubblico una manifestazione per l’Europa, sebbene il marchio di Roma capitale non figurasse affatto e non ne fosse stata annunciata la sponsorizzazione; la circostanza è stata scoperta da un giornalista intraprendente creando un certo imbarazzo. L’altro motto “L’Europa siamo noi” – lo ha ricordato argutamente la trasmissione televisiva “Propaganda Live ” su “La 7”- è stata una sigla cantata da Cristina D’Avena, nel 1999, oltre un quarto di secolo fa: chissà se riproporla è stata una scelta per sottolinarne la persistenza, oppure una casualità. E’ stato distribuito, e sbandierato, il “Manifesto di Ventotene”, allegato al quotidiano del giornalista promotore, “La Repubblica” nello stesso giorno, per farne il fattore unificante di posizioni tanto diverse e divaricate, quasi una guida da seguire.
Nella discussione parlamentare sulla linea dell’Italia da portare nel Consiglio europeo dei giorni successivi da parte della premier Giorgia Meloni, il “Manifesto di Ventotene” e’ stato parimente evocato dall’opposizione. La presidente del Consiglio, che aveva sottoposto al voto del Parlamento la linea del governo nella Comunicazione iniziale, doveva ignorare nlla replica dopo il dibattito il Manifesto dopo che era stato dato tanto rilievo al documento? Non lo ha fatto, ed è stata la scelta giusta, data l’importanza attribuitagli dalle opposizioni; se lo avesse ignorato magari sarebbe stata rimproverata di sfuggire al confronto anche su questo. aspetto.
La cirazione testuale di passaggi non condivisi, nella replica della presidente del Consiglio
Il “Manifesto”, quindi, non è stato ignorato, anzi la Meloni ha introdotto i suoi riferimenti sottolineando che gli è stata data ampia diffusione nella grande manifestazione europeista di Roma ed è stato molto citato anche in aula dall’opposizione. Ma il testo del “Manifesto” non comprendeva soltanto l’esercito comune e la politica estera comune sostenuti tuttora dagli europeisti e mancanti, tra le funzioni dello Superstato europeo vagheggiato sono indicati soltanto, perciò sarebbe bastata la semplice citazione senza il lunghissimo testo. Evocare l’intero Manifesto con tanta enfasi, quasi fosse il “libretto rosso” di Mao, come qualcuno lo ha definito in modo irriverente, e farlo anche in Parlamento poteva sembrare non per rendere omaggio al suo valore simbolico, ma come guida per una diversa costruzione europea; anche se in parte alquanto ridimensionato dagli stessi autori, e quindi non poteva mancare una risposta, a scanso di equivoci, proprio in sede di replica nella discussione dibattito sulle linee da portare al Consiglio europeo.
Ernesto Rossi
La presidente Meloni ha espresso il rispetto per le manifestazioni e le iniziative, e poi ha citato in modo testuale con forza i passaggi maggiormente espressivi del tipo di Europa vagheggiata dal “Manifesto” stesso Poche frasi, ma fondamentali, sulla necessità’ di una “dittatura rivoluzionaria.”, sulla richiesta della necessaria “abolizione caso per caso della proprietà privata” , sulla scarsa considerazione per il popolo “immaturo” e la democrazia, vista come “un peso” . La Meloni ha concluso con le semplici parole rivolte all’opposizione, che se questa è l’Europa nella quale si riconosce, non è di certo la sua Europa. E si e seduta, aveva terminato la sua replica. .
Riportiamo il testo stenografico di questa parte del suo intervento, appena sommariamente riassunto, corsivi, ripetizioni e e interruzioni compresi, come fa il cronista scrupoloso impegnato a documentare con precisione: è la parte conclusiva della replica, viene dopo circa 40 minuti di risposte agli intervenuti sulle sue Comunicazioni.
GIORGIA MELONI, Presidente del Consiglio dei Ministri:: … Dopodichè non mi è chiarissima neanche l’idea di Europa alla quale si fa riferimento perchè, ovviamente, io sono sempre contenta e ho grande rispetto per la partecipazione, per le manifestazioni, per le iniziative. Nella manifestazione che è stata fatta, sabato, a piazza del Popolo, anche in quest’Aula, è stato richiamato da moltissimi partecipanti Il Manifesto di Ventotene. Ora, io spero che tutte queste persone , in realtà, non abbiano mai letto Il Manifesto di Ventotene., perchè l’alternativa sarebbe francamente spaventosa.
Però, a beneficio di chi ci guarda da casa e di chi non dovesse averlo mai letto, io sono contenta di citare testualmente alcuni passi salienti de Il Manifesto di Ventotene.
Cito. Primo: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista”. E fino a qui, va bene. “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, , anzi dogmaticamente (…)”, caso per caso. “Nelle epoche rivoluzionarie in cui le istituzioni non devono già essere, la prassi democratica fallisce clamorosamente (…)”.
Eugenio Colorni
“Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni. La metodologia politica sarà… (Proteste dei deputati del gruppo Partito Democratico Italia Democratica e Progressista) .
PRESIDENTE: Potete commentare dopo, onorevole Fornaro e onorevole Provenzano, fate finire la Presidente del Consiglio.
FEDERICO FORNARO (PD-DP): Deve avere rispetto della storia!
PRESIDENTE: Avete la possibilità di parlare più tardi, e lo sapete, quindi eventualmente lo fate con modo più tardi! Per cortesia, facciamo finire la Presidente del Consiglio!
GIORGIA MELONI, Presidente del Consiglio dei Ministri: “La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”. E conclude che “esso” – il partito rivoluzionario – “attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla – sua – coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà, in tal modo, le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e, attorno ad esso, la nuova democrazia”.
Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia.
(Applausi prolungati dei gruppi di FDI, Lega, FI, Noi Moderati, proteste dei deputati del gruppo PD. Il deputato Fornero: “Vergognati, studia!”).
PRESIDENTE: Colleghi, colleghi, andiamo avanti. Colleghi, per cortesia……….
Le possibili risposte in una corretta dialettica politica, per di più parlamentare
A questo punto si aspetavamo interventi in replica dei parlamentari dell’opposizione, nella normale dialettica politica, in cui si sarebbe potuto criticare l’aggettivo “spaventoso” pronunciato dalla Meloni nell’introdurre le sue citazioni del “Manifesto”; ma il termine particolarmente forte era stato usato dieci anni prima nello stesso senso da Luca Ricolfi non certo di destra, anzi piuttosto orientato a sinistra.
Si poteva stigmatizzare il rilievo critico della Meloni alle frasi citate testualmente come espressive di un sistema non democratico e contro la libertà economica per la compressione dalla proprietà privata a discrezione dei dittatori rivoluzionari, ma la stessa interpretazione, oltre ad essere di Ricolfi, era stata espressa da Gianni della Loggia e confermata, appena nate le polemiche, dal giornalista neutrale Antonio Polito e soprattutto da Massino Cacciari, che con la sua veemenza ha lasciato di stucco Lilli Gruber, schierata al punto di chiedergli cosa ne pensava della Meloni che aveva voluto “demolire” il “Manifesto”, tutti da posizioni lontanissime dalla destra.
La lapide commemorativa a Ventotene
Oppure si poteva rivendicare la validità dell’intera impostazione del “Manifesto” – come ha fatto Ilaria Salis – affermando la piena adesione ideologica, o, al contrario, considerando le espressioni estreme comprensibili – anche se non accettabili oggi – in quanto frutto della situazione d’emergenza nel 1941, con l’Europa squassata dalle dittature nazista, fascista, franchista e, possiamo aggiungere, comunista anzi bolscevica; per cui l’unica salvezza di poteva trovare, tanto più dalla condizione di confinati, nella palingenesi rivoluzionaria forzatamente ispirata dall’esperienza bolscevica, necessaria quanto transitoria, come del resto hanno ammesso implicitamente gli autori a normalità ripristinata rinunciando a riproporre tali eccessi.
E si poteva rivendicare il valore del “Manifesto” che – al di là del disegno rivoluzionario e collettivista legato al momento contingente – ha lanciato 84 anni fa la grande idea della Federazione dei paesi europei, per gli Stati Uniti d’Europa a somiglianza degli Stati Uniti d’America, faro di democrazia e presidio di libertà. Questa intuizione allora visionaria, legata al suo titolo originario, “Per un’Europa unita e libera”, è stata realizzata nei suoi contenuti non estremisti solo in parte, nell’assenza della difesa comune, fu bocciata la CED, Comunità europea di difesa, e nell’assenza di una unione politica con una politica estera comune, fu bocciata la Costituzione europea alla quale pure si era lavorato.
Perchè negli inteventi in risposta alla presidente del Consiglio da parte dell’opposiizone non la si è incalzata sull’esigenza di rilamciare il disegno federalista, espunto dagli eccessi rivoluzionari e collettivisti, sul quale si erano impegnati gli autori del “Manifesto”, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi , nel dopoguerra con il Movimento federalista europeo che Spinelli fondò nel 1943 non come partito tanto meno rivoluzionario, ma come soggetto interpartitico, e fu eletto due volte al Parlamento europeo dove rimase per dieci anni? E questo ben sapendo che – a quanto si può rilevare – la Meloni è per il rafforzamento degli Stati nazionali con le loro identità, quindi non sarebbe favorevole a un federalismo che nella visione nazionale porterebbe a sacrificarle per un Superstato europeo non accettato dai sovranisti.
Le opposizioni avrebbero potuto e dovuto esplicitare le proprie scelte politiche sul tema dell’europeismo, cruciale in vista del Consiglio europeo per il quale la presidente del Consiglio chiedeva il mandato da portare a nome dell’Italia. Rispondendo alla sua lunga replica, seguita alla sua lunga comunicazione iniziale, chiedendo una scelta chiara. Nulla di quanto sopra ipotizzato è stato detto e tanto meno fatto, si è buttato tutto “in casciara”, per usare un termine che riferito al Parlamento sembrerebbe irrispettoso, mentre è soltanto un eufemismo.
Altiero Spinelli. al centro, con Ernesto Rossi e Luigi Einaudi mei primi anni del dopoguerra
La cronaca di una gazzarra in Parlamento invereconda quanto del tutto immotivata
E’ avvenuto il contrario. Si e’ scatenata una bagarre invereconda con insulti forsennati alla presidente Meloni che aveva espresso una legittima quanto prevedibile opinione, manifestando rispetto per le iniziative con protagonista il “Manifesto”, senza neppure criticarne il contenuto, con le sole parole di non riconoscersi in quella Europa delineata dai brevi passi che aveva citato, impostazione del documento attenuata nei suoi aspetti estremi dagli stessi autori, la cui posizione, cessata l’emergenza del confino e la guerra, le ha dato ragione……. Il parlamentare del P D citato nel verbale per una interruzione, nell’intervento successivo dopo forti accuse, ha esclamato con voce vibrante ” lei si deve inginocchiare dinanzi a questi uomini e queste donne, altro che dileggiarle, vergogna, vergogna, vergogna”, con voce strozzata sciolta poi in un pianto accorato, mentre si accasciava stremato sul seggio, subito circondato dai parlamentari del suo gruppo intenti a confortarlo.
Nè possiamo omettere di ricordare il parlamentare il quale non ha sopportato che l’oggetto delle sue violenti accuse – la presidente Meloni appena rientrata e sedutasi al banco del governo – lo ascoltasse con attenzione senza indignarsi ma con un leggero sorriso appena affiorato sul viso tranquillo; si è scatenato proprio contro quell’atteggiamento sereno che esprimeva una attenzione evidentemente mal riposta, neppure scuoteva il capo nel dissenso, con una vera aggressioone verbale, forse sperava che lei cadesse nella provocazione per farne un “caso”, oppure è stato un attacco di maschilismo becero, con Draghi e gli altri presidenti non avrebbe dileggiato un sorriso appena accennato. A questi ed altri eccessi negli interventi vanno aggiunte le urla scomposte di tanti altri parlamentari di sinistra, non intervenuti nel dibattito, con le braccia protese nelle invettive verbali, quasi per evocare lo scontro fisico, neppure fossero fondamentalisti islamici dinanzi al vilipendio del Corano. Qui neppure una critica al testo evidentemente considerato “sacro” più della Bibbia e dei Vangeli, soltanto la non condivisione del tipo di Europa risultante; avendolo fatto dopo alcuni anni gli autori, secondo gli scalmanati di oggi sarebbero da condannare!. .
Le reazioni fuori dal Parlamento, dai talk show televisivi a Prodi e Benigni, con Bertinotti
Inutile citare le tante reazioni ostili anche fuori dal Parlamento, nella stampa e nei talk show in Tv, vogliamo solo dare una precisazione rispetto all’insinuazione avanzata con energia anche dalla leader del PD Schneil, di aver voluto creare scientemente un diversivo per non affrontare i problemi concreti della posizione in Europa che la troverebbe in grande difficoltà. Legittimo fantasticare, ma noi vogliamo documentare la realtà, citando soltanto alcuni dati. Sempre nel testo stenografico la comunicazione iniziale alla Camera della presidente Meloni è costituita da 20 colonne di 50 righe ciascuna, la replica da 15 colonne di cui soltanto 1 colonna per la citazione conclusiva del “Manifesto di Ventotene” nel quale il commento ha preso solo pochissime righe all’iniizo e alla fine. Quindi 35 colonne rispetto ad una colonna, meno del 3%, se è un diversivo questo…… A meno che non lo si intenda come provocazione, allora la colpa è dei parlamentari che ci sono caduti, facendo la parte del toro al quale va il sangue agli occhi quando gli viene sventolato un “panno rosso”, come tanti deputati di sinistra alla Camera. Scambiando le citazioni della Meloni per una “muleta”, e l’aula di Momtecitorio per “Plaza de toros”.
Ma la … corrida non è finita, questa volta protagonista è Romano Prodi, già presidente del Consiglio e della Commissione europea, impegnato come professore a livello internazionale, fuori dall’impegno politico diiretto ma riferimento costante di una parte del centro-sinistra. Ebbene, una esperta giornalista di Mediaset, Lavinia Orefici, al margine di un convegno, per “Quarta Repubblica” di Rete 4, gli ha chiesto in modo garbato cosa pensasse del passaggio del “Manifesto di Ventotene” sulla proprietà privata che dovrebbe essere abolita, regolata, ammessa caso per caso, tema attuale perchè, come so è visto, la Meloni ha citato testualmente la frase del documento. A questo punto l’inattesa reazione stizzita del sempre cortese e disponibile professore, che non solo le ha risposto in modo molto sgarbato – per lui inusuale data la sua proverbiale pacatezza – ma ha proteso le mani in modo ostile, come molti parlamentari del PD nella loro protesta alla replica della Meloni.
La lapide della firma a Roma del Trattato europeo a 60 anni dalla pubblicazione del “Manifesto”
Ecco cosa ha lamentato la giornalista sabato 22 marzo: “Ho sentito la sua mano fra i miei capelli, per me è stato scioccante. Lavoro per Mediaset da 10 anni, inviata all’estero su vari fronti e non ho mai vissuto una situazione del genere. Mi sono sentita offesa come giornalista e come donna”. Poi, nel dichiararsi “dispiaciuta perchè il presidente Prodi non si sia semplicemente scusato per il gesto”, ha aggiunto: “Le cose più gravi sono le inaccettabili parole, inappropriate e paternalistiche contro un giornalista che pacatamente ha chiesto un commento su ciò che ha detto la premier Giorgia Meloni in aula”. Prodi ha smentito di averle tirato i capelli, dicendo di averle messo soltanto per un attimo la mano sulla spalla mentre le rispondeva, quasi per attirarne l’attenzione,. Vedremo la scena nel filmato trasmesso nella puntata di stasera 24 marzo nella trasmissione “Quarta Repubblica” su Rete 4 in prima serata, condotta da Nicola Porro che ha denunciato con molta enfasi l’episodio. Ma è stato già annunciato un fotogramma inequivocabile che conferma la denuncia della giornalista.
Non è questo che ci interessa, può esserci stato un fraintendimento, comunque nulla di rilevante, Prodi continuiamo a considerato pacato e disponibile verso i giornalisti di qualsiasi testata. Per noi conta la risposta che ha dato, sia pure con malagrazia, alla giornalista: “Era nel 1941, gente messa in prigione dai fascisti. A cosa pensavano secondo lei, al trattato dell’articolo secondo della Costituzione? Dico, ma il senso della storia ce l’ha lei, o no?”. Per concludere con un paragone illuminante replicando alla precisazione della giornalsta che la sua domanda nasceva dal fatto che quel passaggio era stato citato nella replica in Parlamento della presidente del Consiglio: “Vabé, ma io allora le cito un verso di Maometto, e lei mi dice ‘Cosa ne pensa di Maometto?’. Su, questo è far politica in un modo volgare, scusi”. Lo “scusi” finale potrebbe riferirsi al tono sgarbato e potrebbe esimerlo dal chiedere scusa….. sarà sfuggito alla giornalista che si è lamentata dell’assenza di scuse, quindi il caso si può considerare chiuso. Semmai può scandalizzre la levata di scudi a favore di Prodi, indifendibile, con l’autorevole Massimo Giannini di Repubblica, che è arrivato ad elogiare “la lezione di Prodi ai poveri sicari del giornalismo di regime”, quasi che essere di Mediaset voglia dire non essere giornalisti a pieno titolo…..
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni mentre nella replica legge alcuni passaggi del “Manifesto”
A parte questi deplorevoli eccessi, tornando a Prodi, ci sembra inesatto riferire il parallelo fa lui accennato alla Meloni, che con quella citazione e le altre non intendeva riferirsi alle persone, gli estensori del “Manifesto”, ma al tipo di Europa che ne derivava, nella quale lei legittimamente non si riconosceva. Soprattutto, però, il “verso di Maometto” si riferisce al Corano, quindi il “Manifesto di Ventotene” , per il quale Prodi lo ha evocato, sembra venga equiparato a un testo sacro. Di qui la reazione incontrollata che richiama quella dei fondamentalisti islamici se si tocca il Corano; come la citazione rispettosa della Meloni in Parlamento, così la domanda garbata della giornalista a Prodi in margine a un convegno, sono state viste, anzi “sentite”, al pari del “drappo rosso” davanti agli occhi del toro.
Ci sembra sia avvenuto questo in tanti parlamentari della sinistra, la reazione di Prodi la vediamo come la cartina di tornasole che lo conferma. Del resto, Fausto Bertinotti, l’ex presidente della Camera, ha considerato “imusuale” la sua reazione. aggiungendo: “Nemmeno io sono riuscito farlo arrabbiare così. Capisco la reazione, ma non sono d’accordo sulla sostanza”. E si tratta del leader dei “Rifondazione comunista” che fece cadere il governo Prodi nel 1998 ritirando la fiducia. Questa volta, c’era qualcosa di più urticante, forse fideistico…
Un momento delle veementi ptoteste dei deputati dell’opposizione nell’aula della Camera
Un qualcosa che ha irritato, anzi esasperato, lo stesso Bertinotti, fino a farlo esplodere, il 22 marzo, con queste parole che superano le stesse espressioni molto violente ascoltate in Parlamento: “Se tu stai parlando di un atto che fino all’altro ieri è stato considerato fondativo della Repubblica italiana, tu irrompi contro. Di fronte a questa aggessione io, che sono un non violento, avrei lanciato un oggetto contundente contro la presidente del Consiglio, facendomi espellere”.
E se poi ha cercato di ridimensionare dicendo che l'”oggetto contundente” sarebbe stato un libro – come Prodi che avrebbe appoggiato una mano sulla spalla della giornalista e non le avrebbe tirato i capelli – ha fatto bene il noto giornalista Giuseppe Cruciani a irriderlo replicando che non solo il “Manifesto” non è stato “fondativo” di nulla, ma che anche un grosso libro dalla rigida rilegatura può spaccare la testa, e altrettanto bene Nicola Porro a chiedergli dove voleva colpirla, se alla testa e se voleva vedere il sangue.
Il deputato del PD Federico Fornaro nel suo violemto intervento, culminato nel pianto finale
Anche questa smodata esasperazione di uno cone Bertinotti, “non violento” come Prodi, fa pensare a quel qualcosa di più sul piano ideologico che diventa fideistico con ececssi fondamentalisti. Qualcosa di fideistico c’era già stato nel “sogno” di Roberto Benigni, la trasmissione in onda su Rai 1, la rete ammiraglia della Rai, la stessa sera della replica della presidente Meloni alla Camera dei deputati con la sua famigerata citazione del “Manifesto” . Non un “sogno di prigioniero” – anche se era nella TV… meloniana – ma una evocazione ammirata del “Manifesto” lanciandosi nell’equiparazione a un altro testo sacro – ben prima di Prodi che ha citato il Corano, come abbiamo visto – freudianamente equiparandolo alla Bibbia, lui che aveva dedicato diversi anni fa ai “Dieci comandamenti”, oltre che alla Costituziione, memorabili trasmissioni.
Ha detto con il suo tono travolgente che negare il valore del “Manifesto” sarebbe come dire che “la Bibbia non vale niente perchè bisogna lapidare chi lavora il sabato e che il sole gira intorno alla terra, bisogna buttarla per questo?”. Dimenticando di aver affermato poco prima che l’idea fondamentale dell’unificazione dell’Europa era stata già evocata in precedenza da Einaudi ed altri, ma solo loro avevano trasformato un’inruizione in un programma politico, un vero progetto concreto. E proprio nel progetto concreto la Meloni ha affermato di non riconoscersi precisando anche il perchè con le famigerate citazioni delle parti da lei non condivise del “Manifesto” . Ma non è tanto questo che vogliamo sottolineare quanto l’equiparazione a un testo sacro, la Bibbia per Benigni, oltre al Corano per Prodi; mancano solo il Talmud e la Torah dgli ebrei e il Tripitaka dei buddisti!
Il prof. Romano Prodi nella sua reazione stizzita alla domanda della giornalista di Mediaset, per Rete 4
“Il Manifesto di Ventotene dalla storia alla cronaca” è il tema di questo nostro scritto, e della cronaca fa parte anche l’episodio che ha coinvolto il sempre pacato e riflessivo prof. Prodi, come le enfatiche evocazioni di Benigni. Come della cronaca fa parte l’iniziativa di una delegazione dei parlamentari del PD e AVS, “Italia viva”, e “+ Europa”, di recarsi a Ventotene sabato 22 marzo a deporre una corona sulla tomba del padre del “Manifesto”, Altiero Spinelli; iniziativa di per sè encomiabile se non fosse stata intrapresa per rimediare a quella che sembra sia stata considerata una profanazione nella conclusione della replica della Meloni, considerazione del tutto infondata, e non ripetiamo per l’ennesima volta il perchè, siamo anche qui nella sacralità….
Chiude la nostra cronaca la riproposizione di ieri, domenica 23 marzo, da parte di “La Repubblica” , del “Manifesto di Ventotene” in allegato al quotidiano, facendo seguito a quanto fatto sabato 15 mrzo per la manifestazione romana a Piazza del Popolo lanciata dal suo Michele Serra cui Giorgia Meloni si e’ riferita. Ecomiabile anche questa iniziativa, se non finalizzata a riproporre “quella Europa” nella quale la Meloni ha detto di non riconoscersi, e nella quale, negli aspetti estremi da lei richiamati, non si è poi riconosciuto neppure Spinelli, che non va strumentalizzato da epigoni prevenuti. Ed è stato pretestuoso rispolverare le poche righe di un suo tweet del 2016, nel quale attribuiva agli autori del “Manifesto” una maggiore conoscenza dell’Europa, per denunciarne l’incoerenza, 9 anni fa si riferiva al titolo e alla fama, ora ha dovuto verificarne il contenuto perchè esibito sulla piazza e in Parlamento quasi come programma da attuare nel rilancio dell’Europa. Nessuna incoerenza, ma consapevolezza.
Fausto Bertinotti, nel suo commento da “non violento”, immotivatamente esasperato
Considerazioni sul comportamento delle opposizioni senza logica oltre che fuori misura
La presidente, dunque, si è limitata ad esprimere la propria ferma opinione di non riconoscersi nell’Europa vagheggiata dal “Manifesto d Ventotene”, citandone i passi non condivosi con una posizione personale e politica senza alcuna condanna esplicita, mentre le parti estreme da lei lette furono sconfessate al ritorno alla normalità dagli stessi autori. E la Premier lo ha fatto dovendo dare una risposta dopo che il “Manifesto” e’ stato evocato quasi come guida attuale proponendolo nella sua interezza e non solo per il “sogno” europeista vagheggiato con ammirevole preveggenza 84 anni fa in una situazione drammatica.
Non sarebbe servito diffondere e sbandierare il lungo testo, ma solo il titolo e citarlo per sostenere l’esigenza di una politica comune con una difesa europea e una politica estera comune, indicate senza precisazioni nel documento, e non realizzate in una Unione europea oggi limitata alla integrazione economico-commerciale, solo parzialmente monetaria, e alla libera circolazione con interventi di solidarietà e riequilibrio resi minimi da un bilancio estremamente ridotto. Si sarebbe evitata la comtestazione degli elementi “rivoluzionari” e collettivisti dai quali è così lontana, felicemnte, l’attuale Unione europea.
Roberto Benigni nella trasmissione “Il sogno” su Rai 1, in cui ha ervocato con forza il “Manifesto”
Semmai andava considerata allarmante la demonizzazione della Russia come minaccia incombente da portare l’Unione europea al riarmo, da cui è nata l’iniziativa della Commissione dell’Unione, ” Rearm Europe”, oggetto della seduta parlamentare prima dell’incontro del Consiglio europeo. Sulla linea del “Manifesto di Ventotene” si dovrebbe allora pensare a farla entrare, nel tempo anche lungo necessario, nella Unione europea – per impedire l’inevitabile guerra di una Stato sovrano non imbrigliato dal Superstato comunitario – riproponendo, a crisi Ucraina conclusa e per favorirne la conclusione nella pace, l’inserimento nel G7 divenuto G8 quasi venti anni fa.
E questo per la lungimiranza dell’allora nostro premier Berlusconi; e soprattutto non ostacolando – come avviene colpevolmente oggi – i tentativi di giungere alla pace messi in atto dal presidente americano Trump per il pregiudizio politico ed ideologico che porta ad enfatizzare strumentalmente le sue “sparate” verbali, scambiandole per minacce omcomtenibili, invece di pensare a facilitarne l’azione meritoria quanto mai difficile, anche se svolta con i suoi metodi che possono sembrare discutibili, per usare un eufemismo. Si risponderebbe così allo spirito più elevato del “Manifesto”, in una analoga utopia non irrealizzabile – come è stata quella realizzata pur se con radicali correzioni – nel quale veniva vagheggiata con forza l’Inione europea, pur senza citarle, anche della Germania allora nazista, dell’Italia allora fascista, della Spagna allora franchista..
La manifestazione per l’Europa a piazza del Popolo a Roma,, con al centro il “Manifesto”
Un interrogativo ai lettori, a chi attribuire la qualifica di “fascista” rivolta alla Meloni
Detto questo, in via del tutto ipotetica, torniamo con i piedi per terra e ci avviamo a una semplice conclusione, Si è defiinita, in alcuni interventi dell’opposizione, ” fascista” la presidente Meloni accusandola di aver calpestato la ” Costituzione antifascista” con la sua citazione di alcuni brani del “Manifesto”, peraltro testuale con il solo commento che quella ivi delineata , non e’ la sua Europa.
E la gazzarra indecorosa in Parlamento, sempre dell’opposizione, ha impedito quasi fisicamente di proseguire la seduta. Ricordiamo che la sempre citata, on sempre a proposito, ” Costituzione antifascista” tutela come massimo valore, proprio in reazione al fascismo e ad ogni altro autoristarismo, l’ assoluta libertà di esprimere il proprio pensiero assicurata a tutti senza discriminazioni, tanto meno, non servirebbe precisarlo, per il Capo del governo nella sede istituzionale più sacra.
A piazza del Popolo il palco con il promotore Michele Serra, dietro lo slogan “L’Europa siamo noi”
La leader del PD . Elly Schneil, nella sua invettiva, ha accusato la presidente del Consiglio di fare una cosa molto grave sviando l’attenzione, quando la Meloni ha parlato del “Manifesto di Ventotene” Ventotene nei pochissimi minuti finali dopo quaranta minuti dedicati ai temi europei; mentre chi ha realmente… sviato l’attenzione addirittura impedendo di proseguire la discussione in Aula, sono stati i parlamentari del suo gruppo e il resto dell’opposizione con l’indegna gazzarra che hanno inscenato. Non solo, ma ha anche detto che la presidente del Consiglio non poteva permettersi di parlare così dei personaggi sacrificati al confino che hanno scritto la nostra Costituzione – forse, commentiamo, in senso figurato, non essendo stati tra i Costituenti – aggiungendo che colpevolmente non vuole dichiararsi “antifascista”.
Mentre il capogruppo del suo partito al Senato, Francesco Boccia, sulla sua stessa linea, ha così sentenziato: “La destra parlando in questo modo di Ventotene non si riconosce nella nostra Costituzione” Parlando in questo modo vuol dire dichiarando di non riconoscersi nell’Europa prefigurata in quel documento di oltre 80 anni fa, su cui non hanno insistito neppure i suoi autori, per gli aspetti illiberali e antidemocratici, quando la proprietà privata è garantita eccome dalla nostra Costituzione, non certo da abolire o ammettere “caso per caso” come è scritto nel “Manifesto”, per fermarci qui senza citare gli altri passaggi visibilmente antidemocratici.
I sindaci accorsi a piazza del Popolo, sul palco con lo slogan “Tante città, una piazza per l’Europa”
Allora è fuori dalla Costituzione chi esprime liberamente il proprio pensiero, tanto più nelle aule parlamentari? Oppure chi contesta questo diritto anche impedendo fisicamente la discussione? A questo punto, per quanto avvenuto, si pone l’interrogativo su chi ha calpestato la “Costituzione antifascista” . Perché coloro che lo hanno fatto sono, loro si, ” fascisti”. Poniamo l’interrogativo al termine della nostra ricostruzione – che abbiamo cercato di fare senza pregiudizi, stando ai fatti e alle motivazioni – di un evento molto particolare, e intrigante perché molto significativo, che ha agitato il mondo politico e l’informazione in questa settimana così tesa e inquieta su tanti fronti, dalle guerre in Ucraina e nel Medio Oriente, al timore per i dazi che verrebbero imposti dagli Sttai Uniti di Trump dal 2 aprile se non verranno scongiurati, a emergenze climatiche e difficoltà economiche.
Non rispondiamo, noi che siamo i cronisti, all’interrogativo che abbiamo posto, lasciamo la risposta ai lettori interessati che hanno avuto la pazienza di arrivare fino in fondo a questo lungo scritto. Chiudiamo con le quattro parole che abbiamo posto alla fine di recenti nostri commenti su posizioni e fatti politici contigui a questo che abbiamo commentato oggi, parole che ci sembra calzino veramente a pennello: “Il mondo alla rovescia”.
La demonizzazione della presidente Giorgia Meloni per la sua libera opinione
Info
Gli scenari di fondo della rievocazione storica e del resoconto della cronaca sono l’isola di Ventotene, l’Aula della Camera dei deputati, piazza del Popolo a Roma, con cenni ad interventi esterni, le immagini faranno ambientare nel viaggio appassionato del testo. Fuori da questo contesto, citiamo i nostri precedenti articoli sull’isola di Ventotene e su quella vicinissima di Santo Stefano, pubblicati alcuni anni fa in occasione di viaggi sulla barca di un caro amico, con la descrizione dei luoghi nelle circostanze speciali dei visggi stessi e, per Santo Stefano, con la ricostruzione della storia del penitenziario ora in via di trasformazione in una sede di studi europeo ititolata a David Sassoli, presidente del Parlamento europeo prematuramente scomparso; li abbiamo ripubblicati nel 2022 e 2023, in memoria dell’amico Ciro Soria che mi aveva ospitato nella sua barca, anch’egli scomparso. Cfr., dunque, gli articoli in questo sito: per Ventotene, Villa Giulia a Ventotene, la capacità umana di far soffrire anche in Paradiso 4 giugno 2022, “Sul mare”, il film di D’Alatri su Ventotene, un’emozione senza fine 4 maggio 2023, e Ischia, festa di Sant’Anna, il Palio dei carri di Tespi 2009, 22 aprile 2023; sulla vicina isola di Santo Stefano: Santo Stefano, 1. Archeologia carceraria del penitenziario-teatro, 2 giugno 2022, e Santo Stefano, 2. Le storie dei reclusi nel penitenziario-teatro 3 giugno 2022. Aggiungo – tale è stato il legame con l’amico Ciro,al quale collego le mie visite a Ventotene, di cui agli articoli sopra ricordati – la citazione dei due articoli rivolti alla sua memoria: “Ciro Soria, buona navigazione Lassù, nellalto dei cieli!” 21 aprile 2023, e “Ciro Soria, 40 anni di matrimonio con il sostegno a Ibby” 23 aprile 2023.
Photo
Le immagini seguono la successione dei temi del testo, prima la rievocazione del “Manifesto di Ventotene”, che viene resa visivamente con le immagini dei protagonisti al confino – Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorno, e altri confinati, alcuni con loro, altri in folto numero – alternate a immagini dei luoghi, sia pure nello stato attuale e non quello di allora, per dare una idea dell’ambiente, con i due autori principali del “Manifesto” anche nel dopoguerra insieme con Einaudi, e due Lapidi che ne celebrano la lungfimirante visione europea. Poi la scena si sposta in Parlamento, alla Camera con la presidente Meloni ripresa mentre cita in modo critico alcuni passi del “Manifesto” suscitando forti proteste dell’opposizione evidenziate da una immagine con alcuni parlamentari che inveiscono protendendo le braccia, l’altra con il deputato Fornaro nella sua invettiva conclusa nel pianto; a queste sono collegate le immagini di due personaggi che hanno citato entrambi polemicamente dei testi sacri, Prodi e Benigni, tra loro Bertinotti per il suo commento, inatteso nella sua violenza Quindi si cambia di nuovo scena, tre immagini sulla manifestazione a Piazza del Popolo a Roma, la prima dall’alto sulla piazza stracolma, le altre due recano bene in vista le grandi scritte con gli slogan, una con il promotore Michele Serra, l’altra con i molti sindaci in fascia tricolore. Infine una immagine evocativa della demonizzazione della presidente Meloni e, in chiusura, l’omaggio di tre partiti di opposizione PD, AVS e “+ Europa” alla tomba di Altiero Spinelli a Ventotene, quasi per una riparazione. Le immagini sono state tratte dai siti di seguito citati , i cui titolari si ringraziano dell’opportunità offerta. Si precisa che sono inserite a mero scopo illustrativo, senza alcun intento di natura pubblicitaria e nessun riflesso di natura economica, aggiungendo che qualora la pubblicazione della foto non fosse gradita a qualche titolare del sito, basterà farlo presente mediante un post “on line” nello spazio dei commenti e verrà immediatamente eliminata. I siti sono i seguenti, nell’ordine di inserimento delle immagini nel testo: patria indipendente, il manifesto, turismo pontino, il manifesto, latina 24 or, lanterna, l’isola di dante, CMLC, vedi lazio, rivoluzione, etruria news, il giornale, think, patria indipendente, avvenire, il sole 24 ore, corriere romano, bubino blog altervista, la repubblica, rai play, la repubblica, la repubblica, il quotidiano news, la voce del serchio, rai news. Di nuovo, grazie a tutti.
L’omaggio ad Altiero Spinell con la deposizione di una corona sulla sua tomba a Ventotene, da parte del PD, con AVS e “+ Europa”, in fondo gli on. del PD, , a sin. Zingaretti, a dx Provenzano,
Alle “Geometrie celesti” – evocate domenica scorsa 6 ottobre 2024 nel ricordo dell’omaggio dell’artista Lina Passalacqua alla mia amata consorte Rosemary, che ci ha lasciati il 29 settembre scorso – sento di dover far seguire il ringraziamento a tutti coloro che ci sono stati vicini con sincera commozione. E sento di dover aggiungere l’evocazione della Sua profonda interiorità e della Sua splendida figura nell’intervento che abbiamo fatto io Romano e nostro figlio Alberto al termine delle esequie il 1° ottobre nella chiesa madre di San Leucio a Pietracamela, il mio paese dove abbiamo trascorso infinite estati felici; chiesa riaperta domenica 29 luglio terminato il restauro dopo i danni provocati dal terremoto del 2009. Ho pensato di farlo oggi, 8 ottobre, a una settimana dalle esequie, quando alle ore 19 si celebra a Roma una Santa Messa di suffragio con il sacerdote don Luigi D’Errico nella chiesa dei Santi Martiri dell’Uganda, nella nostra parrocchia, alla vigilia del 55° anniversario del nostro matrimonio avvenuto il 9 ottobre 1969. con l’estremo saluto all’indimenticabile Rosemary. Grazie ancora a chi ha espresso autentico cordoglio e intima partecipazione.
La chiesa madre di San Leucio a Pietracamela
I messaggi di cordoglio per la dolorosa scomparsa della nostra Rosemary, così amata da noi e da tutti coloro che l’hanno conosciuta e ammirata, meriterebbero una risposta ben più profonda del semplice ma intimamente sentito “grazie” che io e Alberto ci sentiamo di rivolgere, nella nostra angoscia indicibile, a coloro che ci sono stati vicini e ai convenuti nella chiesa madre di San Leucio a Pietracamela alle esequie del 1° ottobre, officiate da padre Jacobs con una intensa partecipazione personale dinanzi ai paesani veramente commossi. Al termine della funzione religiosa, prima della benedizione, il Parroco ci ha permesso di esprimere i nostri sentimenti rivolgendoci a tutti. Abbiamo letto le espressioni molto intense di amiche che l’hanno conosciuta volendole bene e nella loro sensibilità hanno sapito renderne il profilo interiore e l’aspetto esteriore, ugualmente mirabili.
E allora Alberto ne ha delineato la profonda interiorità con le parole scritte da Simona, io ho rievocato il suo legame con il paese e gli abitanti, poi per la Sua splendida figura ho letto l’ispirata descrizione che ne ha fatto, nel messaggio di condoglianze inviatomi, Aureliana – la figlia di Lidia che incarna lo spirito “pretarolo” – molto vicina a Lei sin da tempi lontani, facendola rivivere sotto i nostri occhi.
Segue il saluto di Alberto sulla sua interiorità colta da Simona che la conosceva bene e le era molto affezionata, e poi le alate e nobili parole di Aureliana che ho letto dal suo messaggio nel mio ultimo saluto.
L’abside della chiesa di San Leucio
Il saluto di Alberto, con le parole di Simona
“Credevi nella vita,
nella libertà come responsabilità di scelta,
nella solidarietà
come vicinanza alla sofferenza degli ultimi.
Una fede incrollabile
nella forza d’animo e di volontà,
nell’impegno sociale e in quello umano.
Praticante un credo
intransigente
di fronte alla prepotenza e alla meschinità delle ingiustizie
e compassionevole
dinanzi al dolore dei reietti.
Hai attraversato la vita
con la leggerezza e l’ironia
che contraddistinguono
la profondità e il coraggio
di una grande Anima.
Ora non soffri più,
ora sei di nuovo libera.
Sei tornata a casa.
Rimarrai sempre nei nostri cuori”.
Pietracamela, il borgo montano dove ha trascorso infinite estati felici e dove riposa in pace
Il saluto di Romano, la parte con le parole di Aureliana
…“È stata una donna meravigliosa.
Nessuna dolorosa, sovrapposta immagine del presente
potrà mai cancellare in me il ricordo di Rosy, splendente,
con il suo luminoso diadema di capelli d’oro
che le avvolgeva la schiena come un regale mantello,
gli occhi simili agli atolli turchesi dei mari d’oriente
e il sorriso, a volte ammiccante, a volte ironico,
che si inarcava divertito e contagioso sulle labbra sottili.
Vestita di azzurro, con un’ampia gonna di veli,
le ballerine chiare, aiutava Zaira nel tinello
con l’ineffabile, elegante semplicità di una regina.
La ricordo allontanarsi leggera, sorridente, eterea,
di quella natura indefinibile, confusa fra sogno e realtà,
che solo alcune, poche, creature hanno.
Per me resta per sempre così.
Per sempre.
E basta.
Tengo come religiosa reliquia
il libro che mi regalò, nel 1983:
due volumetti delle poesie di Garcia Lorca,
che aveva amato e intensamente letto.
E mi donò di slancio perché ne facessi tesoro.
Voleva andare.
Non voleva essere più trattenuta”.
E non possiamo non aggiungere l’elevato pensiero della poetessa Anna Manna, ricevuto nel nostro ritorno a Roma.
“Era veramente speciale.
la sua dolcezza,
la sua raffinata soavità,
sembrava uscita da un quadro,
da un romanzo,
da una favola bella.
La ricorderemo così”.
Ricordiamo così l’amatissima Rosemary, nella Sua profonda interiorità e nella Sua splendida figura. La Sua immagine resta viva nella nostra mente e nel nostro cuore e vi rimarrà per sempre.
Adesso il triste commiato, “Sit tibi terra levis”, sono le parole che volevi Ti accompagnassero nel riposo eterno, Rosemary carissima. Le ripetiamo con le lacrime agli occhi, nostra indimenticabile Rosemary. Addio!
Romano e Alberto
Il Gran Sasso con i Prati di Tivo, la natura da Lei tanto amata
Sabato 28 settembre 2024 è stata inaugurata a Marino, nei Castelli romani, la mostra di Lina Passalacqua, “Io… le vele e il mare”; in questo sito ho pubblicato 3 articoli sull’artista, la “futurista dei nostri tempi” lo scorso mese di marzo in occasione della sua mostra a Roma, “Io… e il mare”. Il giorno dopo, domenica 29 settembre, ci ha lasciati la mia amata consorte Rosemary, nell’Istituto San Raffaele di Rocca di Papa, vicino a Marino, dov’era ricoverata.
Lina Passalacqua, “Geometrie celesti“
Nel 2018 Lina Passalacqua Le aveva regalato la sua opera “Geometrie celesti” con questa dedica: “ “Roma, 7 maggio 2018. A Rosemary, che le ‘Geometrie celesti’ le siano sempre vicino. Lina Passalacqua”.. E così è stato fino al doloroso 29 settembre allorché Rosemary è volata in Cielo, raggiungendo le vere Geometrie celesti, dopo quelle dell’artista a Lei dedicate. Questo ricordo con gratitudine e commozione oggi, a una settimana dalla Sua dolorosa scomparsa.
Abbiamo dato conto del tris di eventi nella domenica del 28 luglio a Pietracamela. che “non si puo’ dimenticar” con le due ” cronache da remoto” pubblicate l’8 e 10 agosto. Nel commentare il terzo evento, ” Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione di Pietracamela ” abbiamo preannunciato la successiva pubblicazione del nostro ricordo dei tempi passati – con preziose integrazioni fraterne ad opera di Levante Salvatore – che e’ stato letto nella parte della manifestazione dedicata alle testimonianze dei paesani. Pubblichiamo oggi, nella giornata di ferragosto carica di memorie, il nostro ricordo, illustrato da alcune foto della manifestazione e soprattutto da immagini evocative dei tempi passati e del paese concluse da alcune fotografie molto personali.
Pietracamela, parte di Piazza degli Eroi, verso il centro storico, “la Terra”
Mi vengono chiesti da Pasquale Iannetti – così attivo e ammirevole nella valorizzazione del nostro territorio in tante forme – dei ricordi del tempo che fu, evocato nella celebrazione di Marta Iannetti, che non ho conosciuto ma mi unisco nel sentire viva la memoria di una persona straordinaria. Sono iniziative encomiabili queste per le nostre glorie che vanno onorate e non dimenticate, ne abbiamo molte: eroi e artisti, grandi professionisti e scrittori, anche al femminile come Marta Iannetti e la poetessa “Gina” celebrata di recente al Campidoglio e a Bruxelles, che attende il giusto riconoscimento nel suo paese il cui idioma “pretarolo” ha nobilitato con i suoi versi ispirati.
“Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione a Pietracamela”, parla Pasquale Iannetti
Ricordi da “pretarolo” si attendono da me, lo sono come nascita da una famiglia le cui tracce risalgono fino al Catasto onciario, e preonciario, siamo al 700, il mio avo Giuseppe Levante aveva dei terreni confinanti con quelli di certo D’Annunzio; ma non come residenza, i miei genitori, maestri elementari, sono andati via da Pietracamela alla mia nascita, la mia infanzia si è svolta a Colonnella, un paese in collina ai confini con le Marche, l’adolescenza a Teramo, la prima giovinezza a Bologna, con il trasferimento per l’Università, mentre la maturità della vita e oltre…. a Roma, l’approdo definitivo.
Un momento della manifestazione
Ma i legami con le mie radici, che sento profondamente, non si sono mai allentati, ogni estate fin dall’inizio l’ho trascorsa nel “natio borgo selvaggio” come “turista”, anche se anomalo, e mi suona male questo termine, qui siamo chiamati “naturali”, più benevolo del termine “fuorusciti” di Giammario Sgattoni. Per questo i miei ricordi sono limitati alle tante estati vissute in simbiosi con il “mio” paese; ma non con la “total immersion” di Gero, Gelasio Giardetti, che nel suo “La farfalla di Andrea” ripercorre l’esperienza personale di infanzia e adolescenza, i crudi inverni, in una forma romanzata ma evocativa e avvincente.
L’ora delle testimonianze: la lettura del ricordo
Le mie vacanze estive a Pietracamela, comunque, non sono state quelle di un comune turista. Gli incontri e le “chiacchiere” in piazza con i paesani non si possono dimenticare. Con Guido Montauti, la nostra gloria internazionale, anche lui “turista” estivo, le tante conversazioni nel suo fare disincantato, leggero e insieme profondo; anche qualche passeggiata fuori della Villa quando si fermava e con le dita incrociate inquadrava angoli di paesaggio per un possibile dipinto ripreso dalla realtà nobilitata con la sua arte. Ho ancora – e li ho pubblicati nel mio romanzo ispirato a una storia vera di emigrazione “pretarola” vissuta da vicino – i suoi schizzi che fissavano il paese, buttati giù al termine di una cenetta insieme nell’osteria di Ortolano,e poi la visita al suo studio, i suoi quadri; è intitolato a lui l’Istituto di istruzione superiore Delfico-Montauti, di Teramo, del quale fa parte il Liceo artistico di cui è stato eminente professore. E’ stato onorato anche con il Premio internazionale pitture rupestri Guido Montauti, l’opera del vincitore, l’artista Jorg Grunert, è su una roccia nella strada pianeggiante verso il vecchio mulino dopo Porta Fontana. Per associazione di dee mi tornano alla mente altri artisti venuti a Pietracamela molti anni prima, ma a villeggiare: Carla Gravina, Marina Berti e Claudio Gora con i figli ragazzini che diventeranno i celebri Andrea e Tullio Giordana, giocavano con i pretaroli della loro età, Gero tra questi lo ricorda ancora.
Un’immagine d’epoca, gregge di pecore davanti alla chiesa
Al ricordo di Guido associo quello di Bruno Bartolomei, per noi Brunitt, non dimentico il suo sorriso e la sua tenacia, sul lavoro e non solo, fu inserito nel “Pastore bianco” dal maestro Guido con i guardamacchia che indossava nella mostra a Roma al Palazzo delle Esposizioni dove li incontrai e poi a fine serata andammo al Colosseo; ma presto dal folklore passò all’arte, visitai la mostra a Montorio dei suoi dipinti, non di finto naïf ma autentici; è un ricordo velato di tristezza, ho reso omaggio alla sua figura allora e di recente. Al “Pastore bianco” di Guido Montauti si devono anche le “Pitture rupestri” verso la grotta di Segaturo, distrutte putroppo dalla rovinosa frana del 2019, salvo due recuperate, restaurate e rese visibili con un tragitto attrezzato nel 2’018.
Altra immagine d’epoca, sempre vicino alla chiesa con la neve
E il medico Bruno Marsilii, con le sue spedizioni e i suoi ricordi himalayani, molto riflessivo e legato alla sua passione alpinistica, mi è rimasta impressa la copertina del Bollettino del CAI con una sua scalata, ai piedi i “paponi” inquadrati in primo piano, la calzatura “pretarola” di stoffa trapuntata nella siuola, fatta in casa. E con lui il ricordo va a Lino D’Angelo, altra grande gloria con cui le “chiacchierate” erano continue ma non vantava mai le sue conquiste alpinistiche, solo qualche accenno; mi è rimasta impressa una sua esibizione sulla “palestra” fuori del paese, con Gigi Mario, altra figura che torna alla mente. Poi ha magistralmente evocato “Le alte vie della mia vita” in un libro esemplare, gli regalai “Insciallah” di Oriana Fallaci e ne fu felice; ricordo quando ci fece da guida strisciando davanti a noi nello stretto budello per entrare nella “grotta di Eros”, il giorno della sua scoperta, sopra al Canale, un’emozionante spettacolo di stalattiti e stalagmiti, da allora non più accessibile.
La “corriera” nei tempi antichi
Ma poi Berardino Giardetti, il maestro elementare emigrato in Canada “per provare” la vita dell’emigrante, poi al ritorno divenuto direttore didattico e scrittore con la sua “storia” vista dal basso, dalle “Grandezze e miserie dell’Unità d’Italia” alla “Memoria su Matteo Manodoro, generale dei briganti” nobilitato a patriota, passando per l’”Incontro col diavolo e altri racconti” , questa sì una evocazione suggestiva di un passato lontano.. Si dilettava anche di suonare il mandolino con Francesco Bonaduce, “Tarantella”, paesano suo amico del cuore, gli suggerì il nome dannunziano di “Aligi” per il figlio.
Due bambini sul mulo… trasportatore; Celestina De Luca con il fratellino e i genitori
Ho anche un ricordo lontanissimo di Ernesto Sivitilli, medico condotto a Colonnella dove i miei genitori erano maestri, la domenica veniva da noi ed era una rimpatriata “pretarola” sempre emozionante anche per me e mio fratello Salvatore, eravamo piccoli. Anzi Salvatore mi ha ricordato la consuetudine del dopopranzo, con lui che a mo’ di consiglio da medico andava avanti e indietro per la stanza e girava diverse volte intorno al tavolo dove avevamo pranzato facendo una breve ma “salutare” passeggiata.
Un quartetto di nonnine nel tipico costume”pretarolo” utilizzato abirualmente anche in tempi recenti
Sono questi ricordi di persone straordinarie, portabandiera di una Comunità altrettanto straordinaria, che di anno in anno ho visto spostarsi i suoi componenti nel riposo eterno per la legge di natura restando unita con le proprie storie personali divenute collettive in una toccante “Antologia di Spoon River” pretarola. Ed ecco i “pionieri”, Gogliardino, lo vedevi costantemente dritto e impassibile dietro l’alto bancone della sua rivendita di alimentari dove i paesani si rifornivano di ogni ben di Dio, e Ferrino, compagno di mio padre sin da bambini, esperto realizzatore e imprenditore dell’amaro tratto dalla genziana.
Piazza degli Eroi all’arrivo della “corriera”, tanti anni fa
Era sua l’osteria sotto casa, una delle due del paese, affidata alle cure del Rosso e del fratello di questi, entrambi giovani simpaticissimi, perché aveva impegni di maggiore livello enologico; accanto a lui e a Gogliardino gli altri due fratelli Guido e Natalino, professionalità diverse ed eccellenti le loro: Guido, ne parlavo anche prima, ha fatto il pittore per tutta la vita – cooptato ad honorem nell’insegnamento al Liceo artistico di Teramo cui ha dato il nome – raggiungendo grande notorietà anche all’estero, parlava spesso dei suoi lunghi soggiorni parigini ed è stato uno dei più validi pittori abruzzesi delle ultime generazioni, e Natalino, ho un ricordo personale di lui, insegnava lettere al liceo di Teramo e fu giovane professore di ginnasio di mio fratello… e per poco temp anche mio, quanti anni da allora!; anche la moglie di Guido è stata mia insegnante di Storia dell’Arte nello stesso liceo.
il Monte Calvario com’era, prima della demolizione della vetta
A questo punto mi tornano in mente Aladino e il fratello Peppino, e la Stella, nel suo negozietto dove sembrava a noi bambini si vendesse di tutto, oltre alla rivendita delle sigarette, delle quali si diceva bene allora, e Ngin Git, che tornato dalla prigionia dopo la fine dell’ultima guerra l’aveva sposata come penso desiderassero anche prima che partisse soldato. Ripenso poi a Dina e al marito Artidoro, non ebbero figli e lei si è dedicata alle adorate nipoti Lidia e Zaira, lui lo ricordo per una foto nell’album di famiglia che lo ritrae con un gruppo di persone nel recinto davanti alla sua casa, l’ultima della parte nuova del paese costruita con i risparmi di una vita di lavoro, e nel gruppo si nota mia madre giovane che tiene tra le braccia un infante nato da poco, mio fratello Salvatore ancora in fasce.
Le Croci “abbassate” del Monte Calvario, sullo sfondo Vena Grande e il centro storico “la Terra”
E ancora mi ricordo di Pottonio reduce della Grande Guerra, con la mutilazione di un piede che non gli impediva di svolgere i suoi lavori nei campi e in paese, come se avesse il fisico perfettamente integro, l’ho visto tante volte salito sopra il tetto del suo pagliaio per sistemarlo da solo, la sua cara moglie negli anni sessanta sarebbe scomparsa prematuramente e la sorella di lei Mariannella, che spesso capitava a casa nostra legata alle mie zie praticamente coetaneee, nella famiglia c’erano anche le due figlie, bimbe carine e poi giovani donne, di età poco meno della nostra, Freda la maggiore, il nome una chiara reminiscenza del passato militare del papà che in quelle zone di guerra lo aveva sentito e gli era piaciuto…o ne aveva ammirata una in carne ed ossa, e Nivia dolce sorriso e maniera di porsi, scomparsa di recente, l’altra prematuramente molti anni fa.
Una delle “pitture rupestri” del “Pastore bianco” di Guido Montauti distrutte dalla frana del 2010
Si affollano i miei ricordi, c’è Luna con l’amato Osvaldo, una famiglia ammodo con le figlie, lei una bella donna, occhi chiari luminosi, forse li ritrovavi anche in quelli della figlia minore Stellina e lui, maestro elementare, nelle lunghe estati “pretarole” si scatenava valente giocatore di bocce, la sua perizia si palesava soprattutto quando bocciava senza… pietà la boccia avversaria ben posizionata, uno spettacolo i tre passi della rincorsa di prammatica tenendola di mira con lo schiocco dell’impatto conclusivo che sostituiva di netto con la propria l’altra boccia espellendola, e accanito giocatore di carte sia napoletane che francesi, tressette o ramino, nelle due osterie del paese allora pienamente funzionanti. Era bravo nel giocare a bocce anche il padre di Corrado Adriani – con Corrado siamo stati compagni nelle comitive estive e rimasti amici, ha avuto importanti incarichi amministrativi in Abruzzo, ha una bella famiglia – ricordo anche la madre così dolce e riservata.
Una delle due “pitture rupestri” del “Pastore bianco” di Guido Montauti sopravvissute all frana e restaurate, la più grande con davanti il restauratore Corrado Anelli
E come non ricordare Mariuccia “di Sofia”, con l’immancabile appellativo che così la identificava, bella e ammirata in paese, andata sposa al medico Sivitilli, prematuramente scomparso e risposata poi da Venturino, che l’aveva amata da sempre, non l’aveva potuta avere con sé prima e poi per i casi della vita era riuscito a coronare il suo sogno; e ancora il medico Panza detto Pallino che però non esercitava a Pietracamela per essere la condotta medica tenuta prima dal mitico medico Montauti, che c’era già quando i miei genitori erano giovani, l’abbiamo conosciuto negli anni quaranta, ero piccolo; mio fratello Salvatore di due anni più grande di me ricorda qualche pomeriggio quando con i miei siamo andati a trovarlo nella sua casa, autorevole quanto lui stesso, con il portone sulla sommità di una scalinata all’esterno, erta e dritta, sormontata da una volta ad arco e chiusa da un cancello dabbasso che incuteva timore reverenziale. Ricordo anche i nipoti figli figli di una sorella del medico Pasquale e Alberto, da picolo, insieme a mio fratello Salvatorem giocavo con loto sul terrazzo interno semicircolare, divennero affermati professionisti, quante discussioni nei ritorni estivi soprattutto con Pasquale, molto motivato! Al medico Montauti successe nella condotta Bruno Marsilii, scalatore, fece parte come medico a diverse spedizioni sull’Himalaya, ne ricordo le lunghe sistematiche passeggiate fino al bivio di Collepiano anche nell’età molto avanzata.
La secondo “pittura rupestre” del “Pastore bianco” di Guido Montauti sopravvissuta e restaurata
Ancora rivedo l’imponente Lucia, alta con i capelli raccolti a corona intorno al capo e suo marito Curino, bonario e silenzioso, brav’uomo tutto dedito al lavoro quotidiano nelle “terre”, che tornava a sera dopo una giornata di fatiche e soprattutto, nella stessa famiglia – abitavano tutti nella casa sulla piazzetta proprio davanti a noi – suo fratello Ferrante, distinto e autorevole, segaligno e molto alto anche lui, che doveva essere stato importante in paese, soprannominato Cavallo, perché aveva l’onorificenza di Cavaliere…del Regno; credo l’avesse avuta per intercessione di mio nonno Salvatore, anche lui Cavaliere, la sorella Elvira, che stava soprattutto in casa e si vedeva poco nella piazzetta; e poi Giovanna, la sorella di Mario di Ferrante. Nella casa attigua con il caratteristico portico d’ingresso Calata con la figlia Dilvira che tornava d’estate, a fine stagione prima di ripartire faceva una grande raccolta di funghi ch essiccava; la invidiavo, io sono andato a funghi pochissime volte al seguito di conoscitori. .
Il Belvedere Guido Montauti, a sinistra una sua caratteristica sagoma
I ricordi si susseguono, penso adesso a Dario e Romolo, il primo gran conduttore della Corriera che univa il paese al… resto del mondo, abile nel sistemare con le valige dei passeggeri i più svariati involucri sul tetto dell’automezzo che si chiamava con nome altisonante l’“imperiale” e vi si accedeva da una scaletta che faceva bella mostra di sé sul retro e per noi era perfettamente naturale che ci fosse. Era succeduto in quell’incombenza ad Aladino, altra persona notevole per le sue molteplici iniziative, era stato lui il primo con la Corriera e dai trasporti era passato all’allevamento e macellazione delle pecore: non ho dimenticato il disgusto che si provava nelle nostre passeggiate quotidiane verso il mulino al sentire il puzzo nauseante che emanava dalle loro pelli ad essiccare al sole poco sotto la strada, poi abbandonò anche questa attività per impegni di ben maggiore livello, divenne affermato albergatore, realizzando un albergo ai Prati di Tivo ben dimensionato per l’entità della richiesta turistica e in posizione di primo piano all’arrivo sul Piazzale, senza essere da meno delle realizzazioni degli altri due pretaroli albergatori da sempre in paese e poi anch’essi ai Prati, Mimì Amorocchi con il fratello – cui è intitolato il piazzale di ingresso dei Prati – e i fratelli Montauti, Gino, Lino e Tonino, scomparso di recente.
Guido Montauti al Grottone, che trent’anni dopo crollerà sulle sue “pitture rupestri”
Ritornando ai fratelli Dario e Romolo, del primo ho già parlato, l’altro è stato un bravo professionista, geometra tra Pietracamela e Teramo, era molto libero d’estate come noi e anche con lui chiacchierate in piazza e qualche gita insieme, particolarmente apprezzata la moglie Berta, donna affabile e molto in gamba con una professione preziosa, la levatrice, come si chiamava allora, i loro due figli conosciuti da bambini sono bravi professionisti. Aggiungo alla lista i bravi e rispettati agenti forestali – venivano chiamati “guardiaboschi ” – Gianni Filippi da Longarone e il maresciallo Ernesto Villani, i maestri Iepa e Giggit, i cinque fratelli De Laurentiis Gabriele e Peppino, Giuliana, Vittorio e Mario cari cugini con cui ho condiviso tanti momenti nell’infanzia e adolescenza, con i loro genitori; e ripenso a “La Volpe” e a “La Visciuccia”, che riposano in Canada, capostipiti di una grande famiglia che ha fatto fortuna in America, insieme ai figli Mimì e Ardino, Orlando e Pierino, il quale si gode meritatamente la vita a Toronto con la sua bella famiglia, e le sorelle Giuseppina e Teresina, tutti protagonisti di una epopea migratoria che fa onore al nostro paese inteso anche come Nazione.
La parte pianeggiante della “Terra” verso Porta Fontana, in fondo la residenza citata dell’antico medico Montauti
Poi molti altri, penso a Mimì “il Signore”, con Luigina e Stellina, a Silvana e Luciana, a Peppino Trinetti, chiamato Jeppson per la sua maestria calcistica esibita nelle sfide estive ai Prati di Tivo che hanno anticipato le”partite del cuore” – la “Terra” contro la “Villa” – seguite con un tifo da Palio di Siena, poi sarà acuto commentatore sul bollettino della Pro Loco; infine, Enrico e Diego, Tutuccio e Nivia, Giuseppina e Tonino, Marina, Lea e Carla accomunate in tempi diversi dalla fine prematura, che riporta a tempi lontani: a Nando, faceva il muratore come suo padre che gli aveva insegnato il mestiere, di lui mi è rimasta impressa la struggente epigrafe della compagna, “Nando, aspettami”.
L’ingresso al centro storico da Via Roma
Sono assenze e insieme presenze virtuali dei paesani i cui occhi mi guardano quando visito, ora idealmente, lo “Spoon River” pretarolo, e ripenso anche alle tragedie montanare, evocate nella mia infanzia, di Cambi e Cichetti, Annina e Rubina cui Pasquale ha dedicato scritti e iniziative encomiabili: in particolare, il libro “L’ultima ascensione” per i due bravi e sfortunati alpinisti – il monumento al Piano delle Mandorle e il cippo sul vicino Rio d’Arno dove li avevano ritrovati erano una meta carica di emozione delle mie gite – e il sentiero da Forca di Valle a Cima alta dove la tormenta fu fatale per le due coraggiose e sfortunate paesane a loro intitolato. E’ di pochi giorni la dolorosa notizia della scomparsa del figlio di Giovanni e Fiorina, Alberto, mi fa pensare con vicinanza e partecipazione alla famiglia riunita Lassù anche con Marina, un pensiero triste e dolce insieme.
Un edificio con il caratteristico antico balcone
Il ricordo dei tornei al campo da tennis dinanzi all’Hotel Miramonti, sempre ai Prati di Tivo, prima tra paesani, a cui ho partecipato, poi anche con i turisti, attenua la malinconia di queste storie con tanti cari assenti che restano pur sempre presenti: la Comunità rimane intatta nella sua consistenza, con le sue storie, che ne evocano la vita, si è solo spostata….; come si spostava per la festa della Madonnina la prima domenica di agosto in un pellegrinaggio devoto con la santa Messa ai 2000 metri. Vedo con commozione la Comunità pretarola stretta intorno ai miei genitori Argene e Gino e ai miei avi che mi sorridono da Lassù.
Un altro angolo del centro storico
Dalle persone indimenticabili alla vita di allora che torna a sprazzi nella mia memoria. Le teorie di muli carichi di legna portata a valle dalle teleferiche provvisorie guidati dai “cavallari”, il gregge di pecore che la sera sciamavano dal largo sentiero che scendeva dal Canale, quasi un tratturo, e attraversavano la piazza verso le stalle alle “Pagliare” fino a quando non fu vietato perché “si faceva brutta figura con i forestieri”. Ricordo anche il rullo dei tamburi nell’intera giornata da una parte all’altra del paese con libagioni di vino, alla festa di San Rocco dopo Ferragosto, anche questo mi pare che cessò perché sembrava poco elegante per i forestieri.
Uno dei caratteristici “archetti”
Non facevano brutta figura le donne vestite di nero che tornavano dai Prati di Tivo con in testa le fascine, e neppure quelle che prendevano l’acqua nella fontana in piazza con le conche portate sulla testa protetta dal “torcinello”, dato che alla Villa – il quartiere sorto successivamente in posizione rilevata e separata dall’agglomerato dei vecchi quartieri dal Rio della Porta – non arrivava l’acqua finché non finì questa grave limitazione; allora noi, che per tale motivo andavamo nei ritorni estivi nella casa paterna alla “Terra”, ci spostammo nella casa materna alla “Villa”.
Una delle tante scalinate tra muri di pietra
E poi le processioni, solo una volta ho assistito a quella del Cristo morto, con il canto struggente, “sono stato, io l’ingrato…”, mentre la santa Messa domenicale era “obbligata” fin da quando con don Andrea c’era la divisione dei banchi tra Donne e Uomini, con gli uomini che però restavano fuori lasciando vuoti i “loro” banchi – mentre molte donne si affollavano in piedi – per sottrarsi alla filippica alla Savonarola del parroco, ma è preistoria. Poi ci sarà padre Archimede, cugino alla lontana e compagno d’infanzia di mio padre, rientrato dall’America con il suo clergyman – allora motivo di cutiosità mista a stupore – scorrazzava in auto tra il paese e i Prati di Tivo. Don Andrea era stato un prete dimesso e ieratico nello stesso tempo, ineguagliabile il suo carisma paesano, e fino alla sua scomparsa “padre Archimé” fu devoto coadiutore pieno di attenzioni che venivano dal rispettoso affetto che nutriva per lui, poi si applicò con impegno per sostituirlo degnamente.
Un’altra scalinata
Archimede ben diverso dal beneamato predecessore, era uomo di mondo con tanta esperienza sacerdotale americana, di lui ho ancora in mente un quadro solennemente esposto in casa, nel quale vi era l’Attestato di Benedizione che Papa Pio XI impartiva agli sposi miei genitori “come implora da S.S. padre Archimede De Luca umilmente prostrato”. Uno strascico dell’altra sua vita in America fu il servizio sensazionale che Maurizio Costanzo gli dedicò con una appariscente foto a figura intera che occupava tutta la prima pagina del suo giornale “L’Occhio”, quotidiano dalla vita breve lanciato a quel tempo sulla ribalta nazionale, servizio nel quale si rivelavano particolari che il nostro doveva conoscere sui tanti misteri degli italiani emigrati colà ed entrati in “cosa nostra”, non escluso addirittura lo stesso Al Capone, ma lui sempre e soltato uomo di fede.
Ancora scalinata con “archetto”
Mi vengono in mente altri due parroci: don Marco, che celebrò le esequie di Mamma riportata al paese nella settimana di Pasqua ai primi di aprile del 1984, nell’ideale unione del lutto familiare con la Passione di Cristo, usando parole toccanti rimaste nel cuore; l’anno successivo se ne andò Papà, nell’estate senza di lei andava ogni mattina a trovarla al cimitero, riposano vicini nella pace eterna. Fino al giovane don Filippo, mi ricordo quando, nella messa di insediamento come parroco officiata dal Vescovo, a lui da poco sacerdote il sindaco Giorgio Forti, con tanto di fascia tricolore, disse che quel primo compito era particolarmente formativo, c’era da”spaccarsi le ossa” nei rigori invernali, e lui, come prima don Marco, “si fece le ossa”, entrambi hanno ottenuto in seguito importanti destinazioni, don Filippo ad Atri con la cura anche del celebre Museo.
Un altro “archetto” caratteristico
Ora il mio pensiero va al sindaco Forti che non c‘è più, a lui si deve l’ingresso del paese tra i “borghi più belli d’Italia” un riconoscimento meritato ma non facile da ottenere, è stato sindaco per dieci anni. Di don Marco ricordo anche una messa suggestiva alla Madonnina, a 2000 metri, la prima domenica di agosto come sempre, da piccolo ci andavo con i miei attraverso il bosco dell’Aschiero su un mulo che camminava rasente il bordo del sentiero anche in punti molto esposti; poi l’annuale visita alla Madonnina lungo l’era erbosa dei Prati di Tivo, attraverso Fonte Monaca e Fonte Cristiana fino alla roccia della Luna. In una di queste visite con altri paesani riscendemmo lungo i prati insieme a don Marco e gli chiedemmo scherzosamente rispetto alla fede: “E se non fosse vero niente, che … fregatura sarebbe per noi!” Stette allo scherzo e rispose: “Figuratevi per me!”.
Un angolo caratteristico
Da questi ultimi, indimenticabili, personaggi torno ai lontani ricordi di vita. La mia fantasia di adolescente si scatenava sul Monte Calvario, con le grandi rocce al culmine che erano una calamita, finché una frana non indusse a “spianare” la vetta e spostare le croci più in basso. Ma prima del Calvario c’era una modesta paretina rocciosa che provocava… la mia ansia di arrampicarmi. Sì, perché anche in questo sono stato “turista” particolare, un’unica ascensione sulla “Ciai Pasquale” con la guida di Angelino, l’indimenticabile Clorindo Narducci con cui trascorrevo molte delle mie serate di conversazioni, anche lui gloria del paese con gli altri “Aquilotti del Gran Sasso” di cui il 30 dicembre 2023 si è celebrato il centenario inaugurando il monumento nella “Piazza degli Eroi”; da “vigile urbano” in una breve stagione, a “turista” estivo anche lui dopo il trasferimento per lavoro a Fossa nel versante aquilano del “suo” Gran Sasso che ha celebrato in “Un vecchio zaino pieno di ricordi” come ha celebrato la “sua “Pietracamela, tra storia e leggenda” nell’altro aureo libretto, ho reso omaggio alla sua scomparsa commentando queste sue opere scritte con il cuore..
I ruderi del vecchio mulinoi sul Rio d’Arno
Un’unica “ascensione” alpinistica la mia, dunque, quella che ho citato sulla “Ciai Pasquale con la guida di Angelino, ma da “turista” escursionista estivo un punto di orgoglio. la prima salita a Corno Grande da solo, a vent’anni, a piedi dai Prati, ovviamente nella via “normale”, impiegai due ore in tutto, come scrissi narcisisticamente nel registro in vetta. Torna alla memoria la settimana trascorsa al Rifugio Franchetti, con mio fratello Salvatore, al mattino si doveva attendere che l’acqua si scongelasse, più in alto la Sella dei due Corni, il ghiacciaio allora ben innevato, vi andavano a sciare; io no di certo, le uniche mie sciate ai Prati di Tivo dove tornai eccezionalmente in una invernata nell’anno della maturità classica, con l’amichevole insegnamento di un campione come il caro paesano Mario di Ferrante, e molto dopo ci tornai nelle settimane bianche con moglie, figlio e nipoti schierati disciplinatamente alle lezioni nella scuola di sci rimaste a livello elementare.
La piccola “cavea” per spettacoli all’aperto vicinissima ai ruderi del vrcchio mulino
Invece sono state infinite le mie “arrampicate”, sempre estive, salivo spesso sugli alberi usando il reticolo di rami come una scalinata, ma soprattutto le rocce avevano su di me una forza attrattiva irresistibile, quelle sotto il ponte al vecchio mulino diventarono una palestra continua. Ed era piena di fascino la santa Messa domenicale nella chiesetta di Collemulino purtroppo caduta in rovina ma con immagini sacre miracolosamente intatte. Come mi attiravano i boschi, dove mi inoltravo non temendo di perdermi, e il Rio d’Arno dove facevo il bagno nelle “caldaie” allora piene di acque risalendolo di roccia in roccia sentendomi come un esploratore, indimenticabile l’emozione della prima volta alle sorgenti, con l’imponente cascata del Calderone; mi torna in mente l’emozione provata nell’infanzia quando Papà mi portò a vedere il mulino in funzione, con l’acqua del Rio d’Arno che piombava tumultuosa nella “gora” per far muovere le macine in basso, ne rimasi molto impressionato.
Don Andrea, fuori della “Villa”, 1954
Mi piaceva, da ragazzo e poi adolescente, “esplorare” nel cuore del paese, con l’intrico di scalinate e di discese con tanti archi e archetti, in un sorta di labirinto che eccitava la mia immaginazione, come quando mi avventuravo nei boschi. “Vena grande”, la roccia identitaria che sovrasta Piazza degli Eroi, mi affascinava, ci sono salito con molta circospezione, e la prima volta mi sentivo come giunto in vetta; mi è rimasto impresso quando, dopo il 25 luglio 1943, eravamo in vacanza e dalla piazza in basso assistetti con i paesani alla demolizione della scritta DUX che campeggiava sul grande pilone di sostegno della roccia, ad opera di alcuni saliti su una lunga scala con gli scalpelli; analoga scritta continuai a vederla da giovane nei ritorni in auto da Roma e viceversa, impressa dall’apposito taglio degli alberi in un bosco che si vedeva in alto lungo il percorso, a Pietracamela era bastato scalpellare, ma lì restava.
Primi passi di arrampicata…, rimasti tali
Nei ricordi personali si inserisce a questo punto una memoria coinvolgente, non la fienagione di luglio, ma la raccolta del grano che la terra povera poteva dare, ricordo di aver visto quando si “scamava” per separare grano dalla pula sollevando all’aria le spighe nel “Pagliai”, poi venne la trebbiatrice. Ho anche una esperienza “contadina”, ero ancora piccolo e andammo a “cavare” le patate in un pezzo di terra nostro che si coltivava ancora, ricordo l’emozione nel trovare le patate ad una ad una come fosse ogni volta una conquista.
Controluce al Grottone, a vent’anni…..
E’ troppo poco, a parte l’”Antologia di Spoon River” pretarola….. rispetto a quanto possono evocare i “residenti” effettivi e non solo i “naturali” come il sottoscritto, del resto la mia è stata una “Spoon River” forzatamente “da remoto” pur se quanto mai evocativa. Ma è comunque una testimonianza che può rievocare tante cose al cuore di ognuno come è successo a me: : ho scritto di getto queste sentite parole appena mi è stato ripetuto l’invito che in un primo momento avevo declinato proprio per i limiti appena ricordati, con le parole “Grazie Romano. Però se pensi di mettere giù qualche ricordo dei mesi estivi trascorsi a Pietracamela non mi dispiacerebbe, Un abbraccio”. E allora l’ho fatto subito, è stata una immersione nel tempo e nei ricordi, un tuffo nel “natio borgo selvaggio” tanto amato nel quale gli immancabili ritorni estivi si sono arrestati, da cinque anni, per il Covid e per problemi familiari persistenti. Poi ho integrato con le storie del nostro “Spoon River” suggerite da mio fratello Salvatore, sempre presente con me nei ritorni estivi e dalla memoria quanto mai lucida per questa rievocazione appassionata.
Prati di Tivo, Berardino Giardetti al mandolino con Francesco Bonaduce, “Tarantella”, alla chitarra, a dx Osvaldo Trinetti che canta, a sin. in primo piano la fronte dell’allora piccolo Aligi Bonaduce
Mi viene di citare il poeta.. “per ch’i no spero di tornar giammai, ballatetta, in Toscana, va tu leggera e piana dritt’a la donna mia che ti farà tanto onore.”…. Spero di essere pessimista, comunque la destinazione non è la Toscana né una donna, ma il grande Pasquale che con il suo inatteso invito mi ha fatto tornare spiritualmente e idealmente al mio “natio borgo selvaggio” alle falde del Gran Sasso e non posso che ringraziare immedesimandomi con tanta emozione. Non è una “ballatetta” la mia… ma uno sfogo genuino profondamente sentito con il cuore e con l’animo.
28 luglio 2024
Pietracamela, un insolito panorama ravvicinato
Info
Si tratta della parte della manifestazione di domenica 28 luglio “Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione a Pietracamela” dedicata alla testimonianza dei paesani sui tempi passati, con il nostro ricordo che è stato letto ai partecipanti. Cfr. i nostri articoli in questo sito, per la cronaca della manifestazione citata, insieme con la “Festa dell’arrampicata”, e per la contemporanea “Riapertura della chiesa di San Leucio”, sempre a Pietracamela, il 10 e 8 agosto 2024. Ai numerosi nostri articoli su Pietracamela si accede, in questo sito, cliccando “Pietracamela” in “cerca”, posto sulla sinistra; qui citiamo solo quelli cui abbiamo fatto riferimento: su Guido Montauti, nel centenario 2018, 1. Il ricordo dell’uomo 13 luglio, 2. L’uomo e l’artista 22 luglio, 3. Dagli esordi alla svolta plastica 29 luglio, 4. Dal periodo parigino alle ‘Pitture rupestri‘ 3 agosto, 5. Dal Pastore bianco all’empireo 11 agosto, 6. Il recupero delle ‘Pitture rupestri’ 19 agosto; 2012, Mostra fotografica su di lui al Grottone 29 agosto (le immagini degli articoli sul centenario sono saltate nel trasferimento a questo sito, saranno reinserite prossimamente). Clorindo Narducci-Angelino 2016, 1. Il ‘suo’ Gran Sasso che domina il ‘nido delle aquile’ 3 luglio, 2. La storia del ‘natìo borgo selvaggio rivissuta con amore 6 luglio(; Bruno Bartolomei- Brunitt In memoria di Brunitt, caduto sul lavoro 2021, 21 maggio ( e 1990 luglio-settembre su “Mondo Edile”) Ginevra Bartolomei-“la Gina” 2024, 1. Il ‘pretarolo’, l’analisi linguistica sui versi della poetessa popolare ‘la Gina’ 3 giugno, 2. I versi della ‘Gina’, la poetessa del ‘pretarolo’: amore per il paese, devozione, umanità. 17 giugno (in questi ultimi due articoli molte altre immagini del centro storico di Pietracamela).
Pietracamela immersa nel verde, alle falde del Gran Sasso d’Italia
Photo
Le immagini inserite nel testo sono a fini evocativi legate ai ricordi, a parte le 3 foto (di Marta Iannetti) che seguono l’immagine di apertura (di Aligi Bonaduce) su alcuni momenti della manifestazione “Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione di Pietracamela”; dalla n. 5 alla 9 foto d’epoca (Fondo Aligi Bonaduce), la 10 e la 11 meno antiche (di Salvatore Levante), la 12 sulle Croci abbassate del Monte Calvario (di Romano Maria Levante), dalla 13 alla 17 su Guido Montauti (le 13 e 17 di Aligi Bonaduce, da 14 a 16 di Romano Maria Levante), dalla 18 alla 27, centro storico con la residenza del medico Montauti nell’itinerario pianeggiante verso Porta Fontana la 18, e soprattutto angoli, scalinate e archetti caratteristici, fino alle 28 e 29 con i ruderi del vecchio mulino sul Rio d’Arno e la vicinissima piccola “cavea” per gli spettacoli (tutte di Romano Maria Levante); in conclusione la foto 30 dell’antico parroco don Andrea e le 31 e 32 personali che seguono, più la foto 33 della scampagnata canora ai Prati di Rivo (tutte e 4 di Salvatore Levante); infine 3 panorami, la 34 veduta insolita di Pietracamela (di Aligi Bonaduce), le 35 e 36 immagine panoramica del paese nel verde con il Gran Sasso la prima, il Gigante che dorme o la Bella addormentata al risveglio… la seconda (di Romano Maria Levante). A tuti gli autori delle immagini inserite nel testo, che abbiamo citato espressamente, il nostro più vivo ringraziamento.
Il “Gigante che dorme” o “la Bella addormentata” al risveglio….
Abbiamo dato conto con una “cronaca da remoto” della Riapertura della chiesa madre di San Leucio, l’evento centrale avvenuto a Pietracamela – il borgo appenninico tra i più belli d’Italia alle falde del Gran Sasso – domenica 28 luglio 2024 nel tris di eventi che ci hanno fatto ripensare alla sigla televisiva di tanti anni fa “una domenica così non la potrò dimenticar ”. Ora diamo conto, sempre “da remoto”, degli altri due eventi della stessa giornata , il precedente e il successivo, che hanno creato un ingorgo festoso. Come nella prima cronaca abbiamo avuto l’apporto decisivo di una paesana impegnata nella valorizzazione del territorio, anche per questi altri due eventi siamo stati aiutati dalle notizie e dalle immagini fornite da due paesani altrettanto impegnati in modi diversi per le fortune della nostra terra, il “natìo borgo selvaggio”.
La “Festa dell’arrampicata”
Il primo evento è stata la 7^ edizione della “Festa dell’arrampicata”, iniziata il 26 luglio e protrattasi per tre giorni, organizzata da “ASD Mondi verticali”, con questo intento di valore non solo sportivo: “Ai piedi del Gran Sasso educazione sanitaria ad alta quota” mediante “Esercitazioni di BLS-D, disostruzione vie aeree, gestione emergenze in montagna”.
Ed ecco il programma: Venerdì 26 luglio, ore 14 Apertura iscrizioni e inizio Maratona, ore 20 Talks – Proiezione con Klaas Willems. A seguire Dj set. Sabato 27, ore 9,20 Apertura desk, ore 10 MRB tour, ore 12 Highline meeting, ore17,20-18,30 Hata Yoga, ore 20 Talks e proiezione con Roger Schaeli, ore 22 Live music Cuba casual e Dj set. Domenica 28, ore 9,30 Apertura desk, ore 10 MTB Tour, ore 12, Inizio Street Boulder, ore 17,30-18,30 Hata Yoga, ore 17 Termine Maratona, ore 18 Termine Street boulder, ore 19 Finali, ore 20 Premiazioni.
Non ci azzardiamo minimamente nel decrittare le voci del programma, molte delle quali per noi profani sono indecifrabili. Ci piace invece riportare le parole che ci hanno fatto rivivere il clima della manifestazione e vedere partecipanti venuti anche da lontano. Sono di Diana Di Giuseppe – sempre mobilitata nella valorizzazione del territorio diffondendo notizie e immagini suggestive – le abbiamo trovate in un suo Post del 31 luglio su Facebook, in cui è molto presente. Riportiamo testualmente la sua appassionata descrizione di alcuni momenti della “Festa dell’arrampicata” che l’hanno colpita e ha trasmesso condividendo la propria emozione con queste parole.
“Il paese si riempie di centinaia di ragazzi appassionati di questo sport e quest’ anno le presenze sono aumentate tantissimo.
Per chi non si arrampica, come me, girare nel paese da spettatore è un vero spettacolo.
Oltre a vedere i ragazzi che scalano ogni muro, casa o roccia in posizione verticale è impressionante ed è spettacolare vedere chi attraversa in alto il cavo o filo a tutte le ore del giorno.
Il simbolo della Festa sono i materassini di ogni colore e dimensione portati a spalla dai giovani e meno giovane sportivi da una postazione, attività oppure da una gara a l’altra per tutto il giorno.
In questi tre giorni tutto il territorio di Intermesoli Pietracamela e Prati di Tivo e tutte le attività ricettive, Bar e Ristoranti si riempiono di persone.
In Piazza degli Eroi a Pietracamela le serate vengono animate da musica dal vivo con birra e arrosticini ed è un momento di socializzazione anche per i residenti delle tre località che approfittano dell’occasione di svago.
Era presente anche Elsa, l’Ambulante Fast Food, amica nostra che sosta a Intermesoli durante le nostre Feste.
I partecipanti, che vengono da ogni parte dell’Italia e del mondo…durante la mattina non esitano di farsi una escursione per sentieri e una scalata sulle pareti del Gran Sasso d’Italia..
Grazie e a l’anno prossimo”.
Diana Di Giuseppe
Il tutto documentato da una serie di immagini in cui si vedono le situazioni descritte.
Nella nostra “cronaca da remoto” non aggiungiamo altro ringraziando Diana Di Giuseppe per l’opportunità offertaci con le sue belle parole e le immagini del suo Post su FB che inseriamo nel testo.
La “Festa della fienagione” nel ricordo di Marta Iannetti
L’evento che ha chiuso la giornata è stato particolarmente intrigante perché l’omaggio a una persona di grande sensibilità è stato collegato a una tradizione campestre della montagna, la “Festa della fienagione” che cadeva nei giorni di luglio sulla quale la persona celebrata aveva fornito una testimonianza appassionata. “Ricordando Marta Iannetti e l’antica festa della fienagione di Pietracamela” si intitola la manifestazione svoltasi secondo un programma anch’esso intrigante.
Raduno alle ore 18 in Piazza degli Eroi, la maggiore del paese sovrastata da Vena grande, la roccia identitaria che reca ora la scritta “La Prota”, di lì in 10 minuti di cammino attraverso il paese, da Porta Fontana o dal sentiero delle vecchie mura da poco riaperto i partecipanti hanno raggiunto la meta, la “Piana degli orti”, un angolo delizioso. Alle 18,30 è stato presentato il progetto “a li Pit de Castiégl”(ai Piedi del Castello) e sono stati illustrati i lavori effettuati per ripristinare i vecchi sentieri comunali e vicinali, dal paese al vecchio mulino, alla chiesa della Madonna della Spina, alla sottostante frazione di Intermesoli, all’altipiano isolato dei Pacini, alle terre e agli orti coltivati.
Protagonista della presentazione Pasquale Iannetti, dell’Associazione Tecnoalp, che oltre ad essere uno scalatore appassionato di queste montagne con molti primati, da sempre è stato impegnato in iniziative di gestione e valorizzazione con interventi personali diretti di notevole portata, fino alla costituzione della associazione citata nella quale la sua opera assume una dimensione ancora più rilevante. Ed è proprio Pasquale Iannetti che ci ha fornito il testo e le fotografie che ci consentono di documentare la manifestazione essendo la nostra cronaca, lo ripetiamo con rammarico, “da remoto”.
A Marta Iannetti è stata dedicata la parte della manifestazione definita “Donne che crescono”, con l’intervento di Emanuele Di Paolo dell’Associazione Bambun Aps sul contributo di questa donna straordinaria al Gran Sasso e sul progetto “Tramontana”. Si è conclusa con la degustazione di prodotti tipici e vino allietata da musica e balli della tradizione locale, ma prima la testimonianza di alcuni abitanti di Pietracamela che hanno vissuto i tempi andati. C’è stata anche la testimonianza del sottoscritto, sempre “da remoto”, con la lettura di un nostro ricordo, da “pretarolo verace” che ha rievocato i suoi innumerevoli ritorni estivi nel paese natale; Il testo che è stato letto nella manifestazione lo riporteremo prossimamente-
Ora ne riportiamo uno ben più rilevante e fortemente identitario, una conversazione di Marta Iannetti con Lucia Panza dal libro di Marta Iannetti “Bellina che sei nata alla montagna – Donne, agro-pastoralismo e migrazioni a Pietracamela”, con in primo piano la “Festa della fienagione”: Ecco il testo fornitoci da Pasquale Iannetti, con le fotografie della manifestazione di Maria Iannetti che illustrano questo testo e ringraziamo veramente.
Alla riscoperta della Valle degli Orti (L’tièrr d’ la Prota) di Pietracamela
PitCastiègl’ Ai piedi del castello
foto: Collezione Luca Angeletti (L’Aquila)
T’arraccaunt (Ti racconto)
Da “Bellina che sei nata alla montagna” dialogo di Marta Iannetti con Luigina Panza
…. A marzo, una volta sciolta la neve, gli appezzamenti di terra coltivabile, sparsi lungo le scomode dorsali della montagna, si cominciavano a popolare, chi da un parte, chi da un’altra, chi di più, chi di meno, ognuno lavorava un pezzo di terra di cui era padrone. All’avvio della stagione, per prima cosa si trasportava lo stabbio per concimare la terra, poi si iniziava a zappare. La famiglia di Luigina Panza iniziava a lavorare un fazzoletto di terra in basso, posizionato verso il paese di Intermesoli, detto L’Casarèn. Si arava, si seminava, ci si prendeva cura della fase vegetativa, in un crescendo di attività che raggiungevano l’apice tra luglio ed agosto, con i grandi lavori di mietitura e di fienagione.
La stagione fertile volava, erano mesi concentratissimi dove si faticava incessantemente per strappare alle coste ripide, tutto il supporto alimentare indispensabile per le famiglie e gli animali. Era questo il tempo più faticoso e più intenso, quando gli sforzi estremi di una agricoltura di auto sussistenza non meccanizzata si consumavano sotto il sole tanto atteso dopo la lunga neve. I prati, i boschi ed i campi erano pieni di gente e “SantMartèn t’ l’arcrascia” (San Martino ti faccia ricrescere) si diceva, salutandosi durante il lavoro, perché San Martino è un santo che ti fa ricrescere la roba. La distribuzione dei terreni era altamente irregolare: quelli più bassi, nelle vicinanze del paese, solitamente, venivano destinati alla produzione del necessario per nutrire la popolazione, mentre quelli più alti erano destinati alla fienagione e poi al pascolo.
Una conoscenza intima delle caratteristiche dei terreni permetteva di compiere scelte funzionali, calibrate sulle qualità particolari di ogni pezzetto di terra e ciascuna coltura aveva il suo luogo ideale. L’Casarèn (alle Casarine), più esposte al sole e basse, si mettevano le patate che poi si cavavano a settembre, duravano fino alla primavera ed erano destinate all’alimentazione umana e per i maiali. I ijervcrescevano là agl’ RijArnèl, erano simili a piccoli ceci scuri ai quali, dopo averli ammollati, si aggiungeva la farina di granturco, si mettevano in una canaletta e si davano da mangiare agli agnelli. Era questo un nutrimento importante per gli agnelli svezzati che, a loro volta ben ingrassati, venivano venduti per Pasqua.
Ai Pit Castièglc’era la giusta umidità per i fagioli sia bianchi che neri insieme alla lonta la lenticchia), che veniva tanto dagne(bella). Luigina ricordava: In quel pezzetto di terra un anno ne raccogliemmo un quintale. Poi si metteva la cicerchia, la revaglia, la veccia, che si consumava cruda come i piselli; si seminavano anche i cereali, grano e orzo. S’m’tévaIaijorvalá agl’ RijArnèl (si mieteva l’erba là al Rio Arnale). Ad agosto l’ rén s’m’tèva (si mieteva il grano) là a l’Ploij, lá a Cagliengh (a Collelungo) là a L’PischPlèn (Pesco Piano). Si assemblavano I maniuppij (i covoni), si trescava nelle aie ben pulite e si trebbiava con gli asini. Il grano bisognava poi lavarlo, pulirlo, facendo volare la pula al vento della notte in zone strategiche, come lo slargo davanti alla chiesetta di San Rocco.
Si provvedeva anche alla seconda semina d’l’ rènmarzarùol (del grano marzaiolo), una qualità dalla crescita rapida, ma la produzione cerealicola non bastava comunque mai per l’annata e bisognava procurarsene a valle ed erano le donne che scendevano a Ponte Arno, per riportare il grano in paese, a piedi o, chi lo possedeva, con il somarello. L’ordinata geografia culturale vedeva allora il bosco addomesticato sfumare nel mosaico di campi coltivati, c’era un ordine con cui veniva gestito l’ambiente prima, quando il legame essenziale con le risorse circostanti rendeva le terre simili a un libro, una carta geografica, un settebello. Il Comune provvedeva ad organizzare le famiglie in modo tale che i maschi dovevano fornire la disponibilità di dieci giornate obbligatorie per andare a pulire strade e sentieri.
Con questa manutenzione collettiva le strade ed i sentieri erano resi funzionali dagli uomini di ciascuna famiglia cheijévan ad ass’tté l’vuij (andavano ad aggiustare le strade dopo l’inverno). L’fav’cié (il falciare) Il momento culmine del calendario locale, il più intenso tra i ricordi, è quello della falciatura dei prati. All’inizio di luglio tutto il paese iniziava lo sfalcio del fieno necessario a nutrire gli animali in stalla durante l’inverno. (segue)
Note: U RijArnèlsi trova dopo Fonte Monica, verso la casetta Mirichigni. iJL’casarèn è sotto la chiesa grande; dove ora c’è il parcheggio, sotto la chiesa invece si chiama “u T’rratèr. Ci sono due PischPlèn: uno piccolo sempre sotto la chiesa, l’altro dove sta il monumento a Cichetti, nella valle del Rio Arno. La lenticchia si seminava pure sulle Cannavun, sotto il canale, intorno al Calvario vecchio. Elaborazione dei testi in lingua pretarola di Lidia Montauti.
Ritroviamo Lidia Montauti, nel suo impegno instancabile di natura culturale e organizzativa che abbiamo già sottolineato nell’articolo sull’evento centrale, la riapertura della chiesa di San Leucio, come abbiamo ricordato l’impegno divulgativo e non solo di Diana Di Giuseppe.
Il resto del programma dell’estate 2024 di Pietracamela
A questo punto, rinviando alla prossima pubblicazione il nostro ricordo dei tempi passati che è stato letto nella manifestazione, potremmo concludere, ma pensiamo ancora alla festosa sigla televisiva “Una domenica così non la potrò dimenticar” con cui abbiamo aperto la nostra cronaca, che proseguiva così: “Ed io non so cosa darei per farla sempre ritornar”. Ebbene, a Pietracamela l’amministrazione comunale con il sindaco Antonio Villani e la Pro Loco, l’hanno fatta “ritornar”: giorni così – pur senza il festoso ingorgo del 28 luglio – si sono susseguiti e proseguono nell’intera estate, in un ciclo intenso di manifestazioni culturali, di intrattenimento e non solo che ravvivano il soggiorno nella splendida località dalle grandi bellezze naturali. Basta leggere il programma per il mese di agosto dell’Estate 2024 del Comune: Venerdì 2 agosto, “Enrico Ruggeri in concerto”. Sabato 3, “Cittadinanza onoraria a Stefano Ardito”, Presentzione del libro ‘La vita capita’ di Rosanna Narducci, e “La maglia rossa sulla parete Nord del Monte Camicia”, documentario di Ferdinando di Fabrizio. Domenica 4, “Inaugurazione mostra fotografica di Aligi e Flavio Bonaduce” e “Festa della Madonnina”. Giovedì 8 “Raffaele Bifulco e Clara Gizzi in concerto”. Venerdì 9, “Presentazione libro ‘Bibliografia del Gran Sasso d’Italia”. Sabato 10 e Domenica 11, “Borgo in Arte”. Giovedì 15, “Festa di Santa Maria Assunta”. Venerdì 16, “Festa di San Rocco” con concerto. Per il week end 10-11 agosto un affollarsi di eventi che ricorda la domenica del 28 luglio anche quella dell’11 agosto “non la si può dimenticar” E nel mese di luglio, prima dei tre eventi di domenica 28 di cui abbiamo dato conto, c’è stato il 12, 13, 14 l’“Ultra trail del Gran Sasso” e sabato 13 “Letture in piazza”. Un impegno rimarchevole dell’amministrazione, per la soddisfazione dei locali e del tanti turisti.
Il “cronista da remoto” ne dà atto con piacere da “pretarolo” verace, e nello stesso tempo con il rammarico di non poter partecipare in parte attenuato dall’aver potuto dar conto dei tre eventi di una “domenica che non potrò dimenticar”.
Info
Si tratta del 2° dei 3 articoli dedicati agli eventi di domenica 28 luglio 2024 a Pietracamela – del club Anci “i borghi più belli d’Italia”, alle falde del Gran Sasso – riguardante la “Festa dell’arrampicata” e “Ricordando Marta Iannetti e l’antica festa della fienagione di Pietracamela”. La descrizione del primo evento e’ riportata testualmente dalla pagina di Facebook del 31 luglio 2024 di Diana Di Giuseppe, che ringraziamo; il testo Bellina che sei nata alla montagna” dialogo di Marta Iannetti con Luigina Panza”, alla riscoperta della valle degli orti, ci è stato fornito da Pasquale Iannetti, che ringraziamo. Il primo articolo, sulla Riapertura della Chiesa di San Leucio“, patrono del paese, è uscito in questo sito l’8 agosto, il 3° e ultimo articolo, sui “Ricordi di un ‘pretarolo’ verace, turista estivo” uscirà prossimamente.
Photo
Le prime 9 immagini, sulla “Festa dell’arrampicata”, sono tratte dal Post sulla pagina di Facebook del 31 luglio 2024 di Diana Di Giuseppe, che ringraziamo con gli eventuali altri titolari dei diritti, siamo pronti ad eliminare le immagini delle quali non fosse gradita la pubblicazione, alla semplice richiesta dei titolari, precisando che l’inserimento nell’articolo ha solo scopo informativo senza alcun intento pubblicitario od economico. Le successive 9 immagini, quasi una sequenza cinematografica, relative a “Ricordando Marta Iannetti e l’antica festa della fienagione di Pietracamela”, sono state fornite da Pasquale Iannetti che ringraziamo, come ringraziamo l’autrice di tali scatti fotografici, Maria Iannetti.
“Un domenica così non la potrò dimenticar… ”, era la sigla di una trasmissione televisiva di successo di quasi sessant’anni fa, potrebbe essere la sigla di domenica 28 luglio a Pietracamela, il borgo montano alle falde del Gran Sasso. per l’ingorgo festoso di tre manifestazioni celebrative e identitarie contemporanee: La “Festa dell’arrampicata”, da venerdì 26 a domenica 28 ha aperto il tris di eventi, “Ricordando Marta Iannetti e l’antica festa della fienagione di Pietracamela” domenica alle 18,30 lo ha chiuso, al centro l’evento religioso lungamente atteso, domenica alle 17,30 la Riapertura al culto della Chiesa madre intitolata a San Leucio il giorno della festa del patrono – dopo la chiusura dovuta al terremoto del 6 aprile 2009, un’inagibilità durata ben 15 anni! – con il “ritorno” della statua di San Leucio nella “sua” chiesa portata in processione dalla chiesa di San Giovanni nel centro storico.
La processione addirittura ha dovuto fare lo slalom tra i partecipanti alla “Festa dell’arrampicata” passando tra “blocchi” ben definiti nel programma. Un ingorgo comunque segno di vitalità e forte spirito identitario di “uno dei borghi più belli d’Italia”, il cui idioma è stato celebrato recentemente a livello nazionale ed europeo, sulla base dei versi in “pretarolo” della poetessa popolare “la Gina”, Ginevra Bartolomei, come abbiamo già documentato, che associamo alla festeggiata di domenica, Marta Iannetti , altra figura paesana meritevole di essere onorata.
Nell’assenza forzata da un evento evocativo di tanti momenti vissuti nel paese natale, per la nostra cronaca “da remoto” ci avvaliamo dell’apporto fondamentale, anzi totale – senza il quale non avremmo potuto scriverla – di chi ha partecipato direttamente e fattivamente all’evento. Lidia Montauti, sempre impegnata nella valorizzazione del territorio, dalle mostre sui costumi di una volta curate dieci anni fa con Celestina De Luca, all’attuale mobilitazione per l’idioma della “Prota”, anche con iscrizioni bilingue, ci ha fornito le notizie e le immagini riprese nella processione di San Leucio e nella chiesa madre riaperta al culto. Raffaele Renzi ci ha dato a sua volta una colta sintesi della storia della chiesa di San Leucio, dalle più antiche vestigia agli sviluppi successivi, risultato della ricerca svolta con il nipote Marco Intini . Un grazie di cuore ad entrambi che ci hanno consentito di dar conto dell’’evento, e di sentirci virtualmente partecipi di un qualcosa profondamente sentito anche da noi.
Ecco le notizie essenziali fornite da Lidia Montauti. Molti hanno contribuito all’evento, oltre alle autorità civili e religiose tanti paesani, come Paolo Trentini che si è mobilitato, Diana di Giuseppe e Massimo di Taranto. La messa celebrativa è stata officiata dal vescovo S. E. R. Lorenzo Leuzzi, la Comunità pretarola , con il sindaco Antonio Villani in fascia tricolore, insieme ai turisti, si è riunita nella Chiesa madre dopo la processione con cui è stata riportata nel suo altare la statua di San Leucio dalla chiesa di San Giovanni dove era stata spostata dopo il terremoto del 6 aprile 2009. E qui risaltano alcune particolarità: l’altare è stato ornato con fiori di colore arancione per conservare una tradizione intrigante, legata alla fioritura, nella parte alta dei Prati di Tivo, proprio nei giorni della festa di San Leucio, di bellissimi gigli selvatici arancioni chiamati appunto “i giglie de Sante Leuzzije”, che venivano messi a ornamento dell’altare come non si è mancato di fare alla riapertura, sono fiori oggi regolarmente in vendita dal fioraio. Lidia precisa: “I portafiori erano conche di rame, tipiche di quando si andava a prendere l’acqua a Porta fontana”. E aggiunge: “Le poche voci femminili pretarole , accmpagnate dlla chitarra di Massimo Di Taranto, hanno animato la Messa. A fine Messa un ricco rinfresco preparato dalle donne di buona volontà, in primis Diana Di Giuseppe, ha concluso la bella festa nel sagrato della chiesa”. Hanno scosso i cuori il rintocchi a festa delle 4 campane, rimaste silenziose per 15 anni, mosse da appassionati campanari, Franco De Santis, Reno, Claudio, Gianluigi, e Paolo Di Furia; come sempre in passato, la Comunità è accorsa e si è unita al richiamo fesstoso e coinvolgente.
Ed ora, dopo le notizie sulla cerimonia di riapertura, illustrate dalle immagini, la storia della Chiesa di San Leucio con i risultati della ricerca svolta in poche ore da Raffaele Renzi insieme al nipote Marco Intini – su richiesta del parroco Don Giacobbe, tramite l’onnipresente Lidia Montauti – consultando i testi disponibili e riesumando racconti ascoltati negli anni dagli abitanti di Pietracamela che si tramandavano a voce ricordi di tempi lontani. Ecco il testo integrale fornitoci da Raffaele Renzi.
Breve storia della chiesa di San Leucio a Pietracamela
di Raffaele Renzi e Marco Intini
1. Una pergamena del secolo XIII, per la nomina dei Parroci, conservata nell’Archivio dell’Archidiocesi di Pescara-Penne, fa riferimento a una Chiesa di San Leucio (rif. a, pag. 64). Tale chiesa non si sarebbe trovata nel luogo attuale ma in una località più lontana, chiamata “S. Leutii de Petra”, che dovrebbe essere identificata con le terre che si distendono tra la Centrale di Collepiano e la curva della S.P. per Rio Arno chiamata “La Roccia”.
Alcuni abitanti di Pietracamela raccontano ancora oggi che, in passato, esistevano tre centri abitati separati, posti in luoghi diversi da dove oggi sorge il paese. Oltre al complesso di San Leucio, collocato come sopra descritto, esisteva quello di Plicanti e quello di Rio Ruso, collocati dove oggi esistono ancora i terreni con questi nomi. Poi nel tempo gli abitanti di queste località si erano trasferiti, forse per scopi difensivi, dove è sorta l’attuale Pietracamela, e la chiesa di San Leucio ha dovuto seguire lo stesso spostamento.
2. Dell’antica Chiesa su “La Roccia” si riparla nel 1324 in un documento (rif. b) in cui si menziona che “S. Leutii de Petra” pagava le decime papali. Il successivo riferimento a una Chiesa con questo nome riguarda una visita pastorale del 1757 (rif. a, pag. 64) e poi se ne riparla quando fu costruita la Chiesa presente, tra il 1776 e il 1780, quando ormai tutta o quasi tutta la popolazione si era trasferita dove è ora.
3. Dunque non si hanno riferimenti sugli eventi che hanno accompagnato la storia di questa Chiesa tra il 1324 e il 1757. Ma tali eventi si possono ricostruire, con buona approssimazione, da una relazione del 14 agosto 1860. Allora la Chiesa attuale era stata costruita da ottant’anni e necessitava di ristrutturazioni. Di conseguenza era sorta la necessità di definire quale ente (Comune, chiamato “Universitas” negli atti ufficiali, o la Curia) dovesse sobbarcarsi i costi dell’impresa.
Con quella data esiste una relazione a firma del Vescovo di Penne Vincenzo d’Alfonso (rif. a, pag. 69) al Ministro e Real Segreteria di Stato degli Affari Ecclesiastici in cui si ricordano le vicissitudini della Chiesa scrivendo “….Quanto poi alla Chiesa è da sapere che, esistendo essa in origine alla distanza di quasi due miglia dall’abitato (che era ormai l’attuale Pietracamela, formatasi tra il 1300 e il 1700 con il trasferimento degli abitanti dei tre agglomerati sopra citati, che a poco a poco scomparvero, n.d.s.), per infrequenza del popolo fedele e per mancata custodia, andò in totale deperimento sì che di presente non ruderi ma solo memorie esistono del luogo dove la medesima una volta era piantata. Fu quindi che sorse il bisogno a quella popolazione di costruirsi un’altra Chiesa ed è appunto quella per cui si reclamano oggi sollecite riparazioni. L’università …….la costruì. Di tal fatto rende chiara testimonianza una lapide posta sopra la porta della Chiesa medesima dov’è scritto – Tempore Preposite Rev. D. Francisci de Lauretiis anno domini 1780 Universitas-“.
4. La Chiesa fu quindi costruita in questo luogo in sostituzione di quella de “La Roccia”. E’ probabile, secondo alcuni, che prese il posto di una preesistente costruzione (rif. a., pag. 65).
5. Dal rif.a, pag. 65, si sa che il 3 luglio 1776 il cancelliere dell’Università Saverio Narducci sottoscrisse un verbale su pubblico bando ….per assegnare …. i lavori per la fabbrica della Chiesa e, il 9 luglio 1776, venne stipulato l’atto notarile con l’assegnazione dei lavori ai “fabricatori” di Montorio, Diego Roberti e Egidio Massari. Il prezzo fissato fu di 659 ducati e 50 grana.
6. I lavori si conclusero nel 1780 come indicato sulla lapide già citata, murata sulla facciata. La Chiesa costruita era a tre navate, come l’attuale, ma la volta della navata centrale era a botte. Di conseguenza anche la facciata era sormontata, al centro, da una struttura circolare e non triangolare.
7. A cavallo degli anni 1950-1960, la volta della navata centrale fu cambiata e divenne a spioventi, come è adesso, e, di conseguenza il frontone centrale della facciata divenne triangolare.
Riferimenti:
a. Istituto Abruzzese di Ricerche Storiche: “PIETRACAMELA: storia, arte, vita, economia” Ed. APRUTIUM 2000;
b. “Rationes decimarum Italiae: Aprutium Molisium – secoli XIII-XIV” (da ricerca su Internet).
Pietracamela, 28 luglio 2024″
Da parte nostra ci sentiamo di aggiungere soltanto che il campanile da tempi lontani in parte è in pietra e in parte in mattoni, ci ha sempre sorpreso questo abbinamento inconsueto dovuto a una antica ricostruzione parziale, chissà perchè non fu utilizzata la pietra con cui è realizzata l’intera chiesa, e crediamo fosse reperibile in loco, ma usarono i mattoni! Concludiamo con questo piccolo mistero la rievocazione della bella festa religiosa, identitaria e popolare.
Info
La Chiesa di San Leucio, patrono di Pietracamela, si trova all’ingresso del paese sulla provinciale da Ponte Arno, ha una torre campanaria con 4 campane. Le altre chiese: nel centro storico, la Chiesa di San Giovanni con la campana che scandisce le ore della giornata, e la Chiesa di San Rocco nella parte superiore del paese, nella strada verso l’antico mulino, la Chiesa di Collemulino,, completamente in rovina. Il testo sulla storia della chiesa di San Leucio, riportato integralmente, ci è stato fornito dall’autore Raffaele Renzi (con il nipote Marco Intini) che ringraziamo. Cfr. i nostri articoli in questo sito: sulla storia di Pietracamela e i ricordi di Clorindo Narducci, “La storia del ‘natìo borgo selvaggio’ rivissuta con amore” e “Il suo Gran Sasso, che domina il ‘nido delle aquile” 5 e 3 luglio 2016; sulla poetessa di Pietracamela, citata all’inizio, “I versi della ‘Gina’, la poetessa del ‘pretarolo’, amore per il paese, devozione, umanità” e “Il ‘pretarolo’, l’analisi linguistica sui versi della poetessa popolare, ‘la Gina’” 17 e 3 giugno 2024; sulle mostre a Pietracamela sui costumi di una volta, anch’esse citate, curate da Lidia Montauti con Celestina De Luca, “Una mostra sui bambini di una volta” e “Le mostre sulla vita di ieri: lo sposalizio” 14 agosto e 17 luglio 2014.
Foto
Le prime 3 foto sono della chiesa di San Leucio pronta per la riapertura, nelle foto da 4 e 6 la statua di San Leucio viene presa dalla Chiesa di San Giovanni per essere riportata nella Chiesa madre con la processione – in testa il parroco Don Giacobbe, segue la Comunirà con il sindaco Antonio Villani in fascia tricolore – alla quale sono dedicate le foto dalle 7 alla 10; la ricollocazione della statua del Santo fino alla sua nicchia è nelle foto 11 e 12, mentre la foto 13 mostra in primo piano i “giglie de Sante Leuzzije” che come da tradizione adornano la chiesa in onore del Santo, infine, nella foto 14 un’immagine d’epoca della chiesa di San Leucio con il campanile nel lontano passato, e, in chiusura, la locandina delle manifestazione religiosa. Le immagini citate inserite nel testo sono state fornite da Lidia Montauti, che le ha scattate, a parte la foto 7 scattata da Tiziana Giganre, che la ritrae (a dx) con a fianco Maria e Lola mentre dalla chiesa di San Giovanni vanno verso la piazza per seguire la processione e la 14 tratta dal libro di Clorindo Narducci su Pietracamela di cui abbiamo citato in “info” la nostra recensione illustrata con le immagini contenute nel libro tra cui quella della chiesa di San Leucio. Ringraziamo Lidia Montauti per averci consentito la cronaca dell’evento, con le notizie essenziali che abbiamo riportato nel testo, e la sua illustrazione fotografica con le immagini che ci ha trasmesso.