Lina Passalacqua, 3. Il cosmico dinamismo da “Fiabe e leggende” e gli altri cicli, fino a “Io… e il mare”

di Romano Maria Levante

Concludiamo l’excursus del lungo percorso dell’artista Lina Passalacqua dopo aver rievocato nel primo articolo l’itinerario di vita e di arte, con i riconoscimenti e le iniziative nei vari decenni del suo impegno senza sosta, spinto da una passione inesausta e sostenuto da un’energia inesauribile; nel secondo articolo abbiamo aggiunto i contenuti e i valori del “Manifesto per l’Arte” da lei sottoscritto con altri 24 artisti e poi siamo entrati nella sua arte con le emozioni suscitate dalle sciabolate di colori luminosi del ciclo “Quattro stagioni” e con incursioni di natura diversa nei “collage” e nel  cibo. La nostra attuale conclusione dà conto dell’intera sua ricchissima produzione, rievocando la mostra antologica “Lina Passalacqua. Cosmico dinamismo” , svoltasi al Vittoriano dal  15 dicembre 2017 al 14 gennaio 2018, a cura di Carlo Fabrizio Carli, che ne ha dato una sintesi molto significativa e spettacolare esponendo circa 130 opere.  di cui 20 della serie “Fiabe e leggende” e 110  dei cicli precedenti, da  “Le quattro stagioni”,  dal 2010 al 2013, che abbiamo illustrato ampiamente nel  secondo articolo, ai “Voli” e  le “Vele”,  dei decenni dagli anni ’60 al ‘2000, fino all’”Arte sacra”, ai “Ritratti” e  ai “Flash”; e terminiamo dando conto della mostra “Io….e il mare” – in corso a Roma dal 1° al 16 marzo 2024 nella galleria “Plus Arte Puls” in Viale Mazzini 1, a cura di Ida Mitrano e Rita Pedonesi – a coronamento di una strepitosa carriera. Dei singoli cicli abbiamo dato un’idea nel primo articolo con una immagine per ciascun ciclo, qui riporteremo 8 immagini per i due cicli commentati e una del ciclo “Vele”. .

Lina Passalacqua tra le sue opere “Io… e il mare”, 2021 a sin. e “Guizzi”, 2020 a dx

La mostra “Cosmico dinamismo” a cavallo delle festività natalizie del 2017 è stata un’esposizione dai colori sfolgoranti, sciabolate cromatiche e luminose che hanno allietato i visitatori, dopo lo spettacolo non certo esaltante dell’abete natalizio spelacchiato di Piazza Venezia e degli addobbi smorti di Via del Corso. Benvenuta l’arte che rianima e ravviva!

Nel commentare la mostra del 2013 al Vittoriano con 40 dipinti sul tema “Le quattro stagioni”, realizzati nei tre anni precedenti,  abbiamo riportato le parole di Carmine Siniscalco: “Ce l’ha fatta Lina Passalacqua a realizzare il suo sogno: dipingere un ciclo concepito quale epilogo di una vita dedicata alla pittura per vizio e passione”. Ma, scusandoci ora dell’autocitazione, abbiamo aggiunto: “Un epilogo che è solo una nuova tappa, data la vitalità dell’artista e la sua storia personale”. Ebbene, abbiamo visto giusto perché  la mostra del 2017-18 era imperniata su un nuovo ciclo, “Fiabe e leggende”, con opere realizzate anch’esse nel triennio precedente l’esposizione nella stessa sede del Vittoriano, che si è estesa alla antologica dell’intera vita artistica; fino alla mostra attuale “Io… e il mare” aperta il 1° marzo 2024, sul ciclo recentissimo anticipato nelle “Vele” del lontano passato. 

L’artista conferma così la predilezione per i cicli pittorici decennali, che prima delle “Quattro stagioni” avevano visto i “Voli”, prima  ancora le “Vele”, e i cicli dei decenni precedenti, “anni 90” e “anni ‘80”, “anni 70 e “anni ‘60”, fino all’“Arte sacra”, ai “Ritratti” e ai “Flash”,  tutti  nella mostra.

Commentando questa mostra,  che è anche  un’antologica sui  vari cicli  artistici, li  ripercorreremo tutti dopo aver sottolineato gli elementi comuni.

Ciclo “Fiabe e leggende”, “Pinocchio”, 2016,

Freschezza ed entusiasmo, futurismo e “astrattismo di matrice lirica”, “presenza figurale”

Sul piano umano spicca l’atteggiamento che lo stesso  Siniscalco ha definito “la freschezza e l’entusiasmo di una neofita che non rimpiange l’ieri ma vive il suo oggi guardando al domani”. Anche qui una conferma di quanto già avevamo notato per le “Quattro stagioni”, nate da un’osservazione della nipotina Sara sul loro susseguirsi, ciascuna con i propri colori; bastò questo accenno perché l’artista lo sentisse come una sfida che raccolse dando questa risposta:  “Picasso diceva che ‘occorre una vita per diventare bambini’. Io con te lo sono diventata”.

Ora è andata oltre, quello che poteva essere l’epilogo è stato superato da un ciclo ancora più legato ai bambini, dando corpo maggiormente alla massima picassiana. Perché questa volta si è ispirata alle favole infantili, oltre alle leggende che si possono definire favole per adulti. E ci vuole freschezza per immedesimarsi ed entusiasmo per impegnarsi, gli stessi stimoli che l’hanno portata ai cicli precedenti, altrettante sfide raccolte.

Peter Pan, 2015

Non è soltanto una “forma mentis”, nè un atteggiamento, ma una modalità espressiva che nasce dai bozzetti realizzati con piccole tessere variopinte di varia natura, in un gioco di puzzle che richiede la freschezza quasi infantile unita all’entusiasmo nella composizione. Questi bozzetti nella mostra accompagnano i quadri a olio che ne sono derivati, ponendosi peraltro come opere a sé stanti, e non meri studi preliminari superati dall’opera finita: sostituire le pennellate con petali, carte colorate o frammenti di fotografie è un altro modo di fare arte.  

L’altro elemento comune è un cromatismo brillante, anzi rutilante nelle sue sciabolate di colori giustapposti in contrasti che rendono il senso di un dinamismo vitale, quali che siano i soggetti nei diversi cicli. E’ una evidente matrice futurista vissuta in chiave personalissima che dà all’artista l’ulteriore merito di essere sempre sfuggita, in oltre mezzo secolo di intensa attività pittorica, al fascino delle tante avanguardie per ancorarsi al patrimonio pittorico forse più originale che il nostro paese può vantare nell’epoca moderna, quello del futurismo; e lo ha fatto ben prima dello sdoganamento, per così dire, seguito a un’innegabile forma di ostracismo che per tanto tempo ha oscurato tale corrente artistica italianissima e, in nel campo dell’arte… scritta lo stesso Gabriele d’Annunzio.

Abbiamo detto che rivive il futurismo in chiave personalissima, con l’apporto di evidenti elementi dell’astrattismo, in un contesto travolgente di cromatismo rutilante e  dinamismo compositivo. Il curatore della mostra antologica, Carlo Fabrizio Carli, conviene sulla compresenza di futurismo e astrattismo, ma riguardo ai casi in cui “la presenza figurale è ridotta al minimo”, che ci sembrano prevalenti, osserva: “Eppure ritengo che la pittura di Passalacqua resti, anche in questi casi, di istanza perentoriamente figurale a tal punto che le motivazioni concretiste vengono meno rispetto alle pulsioni del vero fenomenico, che la pittura della nostra artista assedia con urgenza non eludibile”. Vero fenomenico che non è l’apparenza visibile ma la realtà rivissuta dall’artista.  

, “L’uccello di fuoco”, 2015

Il ciclo “Fiabe e leggende”

Dopo alcune opere introduttive all’ingresso della mostra, nella sala principale subito i dipinti spettacolari del ciclo “Fiabe e leggende”, del 2015-17.  Nelle 20 opere esposte si trovano frammenti figurativi  percepibili, inseriti nell’esplosione cromatica e nel dinamismo compositivo di marca futurista con elementi di astrattismo, tre stili integrati mirabilmente nella difficile sfida di rendere gli stupori e le illusioni, la fantasia e la sensibilità infantili. Possiamo dire che l’artista ha vinto questa sfida, proprio per l’entusiasmo e la freschezza che la contraddistingue,  fattori  indispensabili per immedesimarsi in un mondo così particolare: un mondo da non considerare minore,  per il significato profondo e i messaggi trasmessi dalle favole, al di là dell’apparente semplicità e ingenuità delle vicende che sorprendono la sensibilità infantile.

L’elemento figurativo è in maggiore evidenza nelle due versioni di Pinocchio”: un grande olio su tela del 2016, l’inconfondibile figura del burattino in alto a destra ha dei riquadri colorati nel corpo, tra intensi piani cromatici in cui si intravedono altre figure, e un piccolo  collage su carta in cui si vede chiaramente la figura del burattino che si muove deciso, a terra una maschera.

Ritroviamo l’ornamento carnevalesco  in “La maschera  e il volto”,  un figurativo altrettanto marcato in cui la maschera viene sollevata dal volto di cui colpisce l’incarnato rosa con i grandi occhi, sempre all’interno di un cromatismo molto intenso.  Così “Malefica”  e “Specchio delle mie brame”, oli su tela in cui il figurativo è dominante come in ”Pinocchio”, con i due volti che occupano il centro del dipinto, intrigante il primo scuro e aggrottato, misterioso il secondo coperto da un maschera chiara.  Queste due ultime,  inserite nel ciclo, sono “meno positive  e scontate – osserva  Carli – Non  a caso, al loro proposito, Passalacqua evoca l’immagine della maschera, pronta ad occultare i lineamenti del volto, a dare vita a una continua alternanza di verità e di finzione: una realtà metamorfica, com’è metamorfica la vita”.

“Il bosco incantato”, 2016

Sono, in fondo, le più tenebrose,  tutto torna nella chiarezza adamantina della freschezza unita all’entusiasmo in “Peter Pan”, dal dinamismo estremo reso dalla proiezione verso l’alto dell’esplosione di un verde intenso con sprazzi bianchi come nell’avvento della primavera. Stessa sensazione dinamica ed esplosiva in “L’uccello di fuoco”, invece del verde il rosso e l’arancio, non si punta verso il cielo ma verso la terra, ci ricorda specularmente l’avvento dell’estate.

La dominante rossa anche in “Il bosco incantato” e “La lampada di Aladino”,  in cui invece del prorompente dinamismo si sente l’elaborazione fantasiosa, nell’intrico cromatico del bosco e nelle spire che evocano la magia del gigante che esaudirà qualunque desiderio, il sogno di tutti i bambini.

Dai colori caldi, anche ardenti, alle tinte fredde in “Il soldatino di piombo” e nelle tre opere del 2017, “Il principe azzurro”, “La fata turchina” e “L’uccellino azzurro”: nella “Fata turchina” la “presenza figurale” di cui parla Carli.

Nei “Tre porcellini” e in “Alice nel paese delle meraviglie”  bastano delle forme apparentemente indistinte ad evocare le fiabe, ma non si cerca la presenza figurativa, presi dall’esplosione cromatica  che in entrambi è notevole.

“La lampada di Aladino”, 2016

Si resta con un interrogativo: chissà quale intimo richiamo interiore porta l’artista a modulare la presenza figurativa  nel contesto futurista e astrattista lirico della composizione?  La risposta non può darla, crediamo, neppure l’artista, dato che è evidente come sia trasportata dall’impeto creativo.

Abbiamo lasciato per ultima la distesa di sabbia, mossa e variegata, con delle piccole sagome appena delineate, dell’opera nata dalla leggenda araba che l’artista ci ha invitato a considerare con molta attenzione, “La nascita del deserto”.  Un granello di sabbia lasciato cadere dalla divinità per ogni cattiva azione degli uomini ed ecco che il verde lussureggiante – ci torna in mente com’era ubertosa l’”Arabia felix”  – lascia il posto al deserto inospitale. Con una battuta impertinente abbiamo osservato che l’Europa – e tanto più il nostro Abruzzo, “la regione verde d’Europa”- sembrerebbe la terra delle buone azioni mancando i deserti, ma il nostro è un dio diverso che evidentemente ha punito l’uguale cattiveria in un altro modo. A parte le battute, l’immagine è coinvolgente con il giallo arancio abbacinante, come nel film “Lawrence d’Arabia”.

“I tre porcellini”, 2016

I  cicli precedenti, un cenno a  “Le quattro stagioni”, indietro nel tempo i Voli” e le “Vele”

Nel ciclo “Le quattro stagioni”, del 2010-13, pur nell’incrocio tra futurismo e astrattismo che dovrebbe portare a forme incorporee segnate solo dalla luce e dai colori, si avverte una intrinseca plasticità che fa sentire la presenza viva  e non solo virtuale della natura. E nel contempo ne rende la sublimazione in qualcosa che va oltre la percezione sensoriale perché attiene a un’altra dimensione, quella dello spirito e della fantasia. A questa premessa non facciamo seguire l’analisi dei 20 dipinti del ciclo avendone già parlato nel commentare la mostra del 2013 ad essi dedicata nell’articolo precedente a cui rinviamo. Evochiamo  solo la visione d’insieme suggestiva,  ponendosi al centro dello spazio espositivo ci si sentiva circondati dalle forze della natura nel loro manifestarsi in una tempesta cromatica che diventava  uno tsunami travolgente.   

Indubbiamente la serie “Le quattro stagioni” è stata preparata da quella dei “Voli”, entrambe animate dallo stesso dinamismo cosmico: forme e luce sono strettamente compenetrate nell’interpretare i fenomeni naturali con la vitalità futurista unita al lirismo dell’astrazione che traduce l’evento esteriore in emozione interiore. Nei “Voli” il soggetto sono i 4 elementi della filosofia classica,  Aria e Acqua, Terra e Fuoco, posti a fondamento di tutto.  “Al sogno dell’intensità cosmica corrisponde – osserva  Maria Teresa Benedetti riportando le parole di Gaston Bachelard – il tema della immensità interiore”.  E lo spiega: “L’artista istituisce una dialettica serrata fra natura e coscienza, allude a una continua capacità di evoluzione e rinnovamento, articola le immagini secondo un impulso felice ed estroso, in una sfida esigente nei confronti della propria ricchezza fantastica. Propone traiettorie di segni sorrette da linee luminose, sublimate in essenza dinamica”.

“Alice nel paese delle meraviglie”, 2017

Con i “Voli” siamo negli anni 2003-2006, l’“Aria”  è evocata da forme mutevoli e mobili, come scosse dal vento. In “Turbinio” e Fremito”,  “Volerò come un gabbiano”, “Voli” e “Lassù una stella”, l’intrico di forme e colori rende il senso del volo e lo slancio vitale, insieme con il senso dell’ignoto. Nell’ “Acqua”  evocata nella superficie e profondità, si percepisce la presenza figurativa  in “Addii”, “Alghe” e “Abissi”, quest’ultimo con una sciabolata di luce verticale che ricorda le cascate di Hokusai, mentre in “Dal mare” e “Notturno”  il blu intenso dell’acqua è rischiarato da fiotti di luce bianchissima.  La “Terra”  ha tonalità ombrose, intime, ma anche macchie di luce, in “Vento” e “Vortice”  si esprime tutto il dinamismo futurista, in “Vita” e “Silenzio”  immagini luminose quanto enigmatiche si muovono nell’oscurità,  in “Terra” un battito d’ali evoca lo slancio nell’elevarsi dal suolo.  Infine il  “Fuoco”  è un incendio cromatico di luce e di calore, festoso e vitale  nel rosso senza variazioni, percorso da  forme allungate in  “Icone”, “Tensione” e “Fuoco”, rotondeggianti in “Misteri”, “Visione” e “Alba”.

Ancora più indietro nel tempo, con le “Vele”, 1993-97, si entra in una materia allegorica, come osserva Carli, nel ricordare la sua presentazione della relativa mostra nel 1999: “Gonfiare le vele è espressione sinonimica della partenza, dell’avvio dell’umana avventura, degli Argonauti che puntano temerari oltre le colonne d’Ercole, al di là di terre e  mari allora conosciuti”. Sono “associazioni simboliche” esplicite in “La vela di Ulisse” e “Vele sul Nilo”,  “Verso la libertà” e “Vele di fuoco”; mentre l’elemento cosmico, evocato nell’opera omonima, torna in “Tramonto” e “Nel sole”,  “Ombre”  e  “Riflessi”, “Notte magica” e “Trasparenze”.  La maggior parte con dominante rossa , soltanto “La vela di Ulisse” e “Trasparenze”  con dominante blu, a riprova che non è tanto la natura il riferimento delle opere, quanto le “valenze mitiche” evocate, fino al “folle volo” dantesco.

“La nascita del deserto”, 2016

Dagli anni ’90 agli anni ’60

Andando oltre le tematiche fin qui illustrate, che arrivano agli anni ’90,  la retrospettiva  abbraccia addirittura altri tre decenni  di intensa attività artistica nei quali le presenze figurative sono sempre più evidenti man mano che si va all’indietro nel tempo.  Le troviamo nei 4 “Frammenti” del 1992, delle ruote e un’immagine femminile, in “Le palme dell’oasi” con il ventaglio di foglie e, negli anni ‘2000,  nei visi dall’espressione intensa in “Cleopatra, più forte della morte”, 2002,  e “Nei meandri della bellezza”, 2015, bellezza evocata dalle trasparenze dietro cui si delinea il corpo della Tosca di Puccini in “Le belle forme disciogliea dai veli”.

Negli anni ’80 abbiamo lavori nati dall’emozione del momento, nei quali la presenza figurativa è dominante.  Così lo sportello dell’automobile  di “Uno spiraglio di luce in uno stato di angoscia”, 1982, e i due visi diafani in “Nozze d’argento”, il volo della donna che si eleva sulle banalità in “Liberati dalle pastoie! Esisti!”, 1984 –  esortazione di cui l’artista ha parlato nel documentario celebrativo dei 90 anni – gli elementi identificativi in “La luna fa capolino tra i boschi di Cesiano”, e “Frammenti nello spazio”, anch’essi del 1984;  negli ultimi anni del decennio, 1988-89  i particolari figurativi sono meno evidenti, anche se percepibili, in “Traguardo” e “La motoretta”, “Movimento” e “Mischia”, mentre in “Schegge di memoria”, 1988, due figure femminili e due volti maschili sono inseriti tra intriganti viluppi cromatici.

Ciclo “Vele”, “Nel Mare del Nord”, 1996

Di sorpresa di  sorpresa, negli anni ’70 troviamo dei “Bassorilievi”, 1972-73, in legno, e un’altra serie di opere ispirate dalla quotidianità, però lontane dal figurativo: sono gli anni dell’ “Omaggio a Balla”, che segna l’ingresso dell’artista nel futurismo, prevalgono le segmentazioni geometriche con cromatismo armonizzato e non contrastato come nelle opere successive. Ecco i titoli: “Bosco” e “A Pezzara”, “Frammenti meccanici” e “Autunno”, “Costruire (paravento” e “Sinfonia”.

Il figurativo è la forma espressiva iniziale negli anni ’60, pur con inflessioni cubiste nei volumi, lo vediamo soprattutto nel “Panorama di Sant’Eufemia d’Aspromonte” 1960,  e nel “Cortile dei cugini Grilli” 1962; sfumate le vedute degli “Altipiani di Aspromonte”1960, e “Dal terrazzo di Via Laura Mantegazza” 1965.  Da queste vedute inizia il viaggio artistico di un sessantennio.

Ciclo “Io… e il mare”: “Io… e il mare” 2021

Le tematiche senza tempo: “Arte sacra”  e “Ritratti”, fino ai “Flash”   

Abbiamo  detto che nei diversi periodi della propria vita artistica la Passalacqua si è concentrata su precise tematiche, dai “Voli” e le“Vele”, a “Le quattro stagioni” fino a “Fiabe e leggende”,  in genere non tornando sugli stessi temi dopo essere passata ad altri.

Non è stato così per le tre ulteriori espressioni artistiche con cui concludiamo il nostro racconto della mostra del dicembre 2017: l’”Arte sacra”, i “Ritratti” e infine i “Flash”.

Per l’“Arte sacra” si va da “E venne un uomo”, “Paolo VI”,  “Calvario”,  “Calvario tecnologico” 1968-71,  ad “Armonia”,  “Calvario oggi”, “Dolore cosmico” 1984-87,  fino a  “Il verbo si è fatto carne” 1989.  I più antichi a inchiostro e acquerello, gli altri a olio: “Calvario oggi” lo accostiamo alla “Crocifissione” di Guttuso,  “Dolore cosmico” è struggente nell’immagine della “deposizione” in un figurativo con sprazzi futuristi; che sono prevalenti in “Il verbo si è fatto carne”, sul quale Carli  afferma: “Non è eccessivo parlare di capo d’opera: Fillia l’avrebbe sicuramente inserito in un ideale repertorio di arte sacra futurista”.

“Dalla costa viola”, 2021.

I “Ritratti” vanno dal 1963 al 2017, soprattutto  in carboncino su carta, come “Mia madre” e “Dos Passos”, “Henry Furst” e Carlo Alianello”, tutti del 1963; in matite anche colorate su carta,“Mario Verdone” 1988 e, negli anni ’90, “Fiammetta Jori” ed “Elena Sofia Ricci”, “Mia figlia Laura” e “Mia figlia Livia”, fino al critico “Renato Civiello” e, nel 2001, “Giorgio di Genova”. Ritratti disegnati con ombreggiature e chiaroscuri, volti e busti visti al naturale. 

Negli oli, invece, i ritratti fanno parte di composizioni futuriste, come in “Autoritratto” e “Ritratto di Katia Luisi“, mentre nel “Ritratto di Carlo Bilotti”  e nel “Ritratto di Edvige Bilotti Miceli”  vi sono dei multipli alla Warhol, nel primo anche con la solarizzazione,  ma non incasellati geometricamente bensì inseriti in un intrigante contesto di atteggiamenti e richiami alla memoria.

Il pesce rosso”, 2022

L’ultima serie senza tempo è quella dei “Flash”, che accompagnano l’intera produzione artistica della Passalacqua, tanto che nella mostra loro dedicata ne furono presentati circa 70  ordinati per decenni, dagli anni ’60 agli anni ’90,  e nella mostra antologica qui commentata  una diecina rappresentativi degli stessi decenni: si va dal “Centennale dell’Unità d’Italia”, “Mele” e “I media” degli anni ’60, a “Maternità” e “Incidente”, “Lo specchietto delle allodole” e “Il negativo e il positivo” degli anni ’70-‘80,  “Fermare il tempo” e “Lisa”, “Abbraccio” e “Stelle marine” degli anni ’90.

Sono ispirati alle sensazioni immediate dell’artista la quale, in un colloquio con Enzo Benedetto  del 1989, ha detto di essere “impressionata dai flash della nostra epoca, dalle ‘schegge’ di vita che ci colpiscono continuamente”, allorché “tutto appare frammentario, anche i sentimenti” e ha concluso: “Vivo in una società fatta di flash, che rischia di perdere la memoria storica e, forse, anche quella morale”.  La mantiene in vita l’artista, col ricorso alla Pop Art oltre che al futurismo e all’astrattismo lirico legati alle “presenze figurali”. 

“Velieri”, 2022

Descriviamo i suoi disegni-pittura con le parole di Renato Civiello: “C’è tanto delicato vibrare di motivazioni colloquiali, pur nella persistenza della metafora e dell’analogia allegorizzante, c’è tanto flusso patetico sotto la generosa vendemmia delle forme, tanto calore di avvertimenti dietro le smaglianti fughe della illusorietà fenomenica, che l’approdo d’arte è interamente abilitato ad un rapporto corale  e permanente”.  C’è anche tanta umanità, per questo sono “interamente fruibili come dono di grazia e di forza; come eloquenza attiva, che coinvolge la cronaca e l’universale”. Pensando all’intera produzione artistica; “Nell’opera della Passalacqua tutto è armonia, sapienza distributiva, respiro poetico. La gamma che s’innnerva o si dissolve riconduce alla stessa mediazione non asettica, ma implicante, piuttosto, e prodiga di risonanze durature.  L’arabesco e il volume, l’idea e la passione concorrono, parallelamente, ad esplorare il mistero di vivere”.  In un percorso durato finora 60 anni.

L’ultimo ciclo, ancora più’ personale, “Io… e il mare”

“E la storia continua”, sono le parole con cui si chiudeva, oltre dieci anni fa,  il catalogo della mostra sui “Flash”. Ebbene, restano quanto mai valide per merito dell’entusiasmo e della freschezza che hanno sempre accompagnato Lina Passalacqua nel suo appassionato itinerario di arte e di vita. Intanto la storia continua con la mostra in corso a Roma dal 1° al 16 marzo 2024 nella quale ci immergiamo per concludere in bellezza la nostra rievocazione.

“La luce rossa dei coralli”, 2020

In bellezza innanzitutto per l’artista, maestosa con la sua chioma bianca e insieme accattivante nelle confidenze con cui ha presentato le sue opere, e anche per il pubblico intervenuto all’inaugurazione della mostra, con tanti bambini sinceramente interessati a guardare e ascoltare. E’ stato presentato di nuovo il documentario dell’incontro nel novembre 2023 per i suoi 90 anni, che ha fornito la cornice di vita e non solo di arte alla nuova espressione pittorica con protagonista il mare al quale – come ha confidato anche nel documentario – si è sempre sentita molto legata per la vicinanza al mare della sua casa a Genova negli anni formativi, e per averlo cercato sempre nei tanti luoghi che ha visitato. Negli anni 1993-97 aveva celebrato il mare con il ciclo “Vele”, che rendeva le immagini lontane di un qualcosa quasi irraggiungibile anche se molto sperato, una sorta di miraggio di potervi navigare.

Con il nuovo ciclo “Io… e il mare” – 23 quadri con dimensioni dai 50 ai 100 cm. – a distanza di trent’anni, il rapporto con il mare dal punto di vista artistico diviene molto più intimo, non solo nell’immagine che ne ha, ben più vicina e personale, ma anche nel suo significato coinvolgente proprio per il legame che alla soglia dei 90 anni sente ancora di più.

“La magia degli abissi”, 2022

Guardiamo, allora, i dipinti esposti, cercando di immergerci anche noi nelle acque marine evocate con il celeste e blu al quale si aggiungono colori brillanti, dai rossi e viola ai gialli, cercando di immedesimarci nei motivi ispiratori evidenti fin dai titoli: alcuni sugli abitanti del mare, altri sul suo fascino, altri ancora sul suo mistero. La prima sensazione è di sentirsi trasportati in una nuova dimensione, come è stato per “Le quattro stagioni” con le forme e i colori evocativi; e la immersione marina è forse ancora più penetrante, le più diverse forme, per lo più indecifrabili sembrano sprofondare in un elemento nel quale restano spesso misteriose e per questo intriganti.

Si viene subito calamitati da un’opera di grande fascino, “Io…. e il mare” 2021, che evoca le Sirene come si immaginano nei sogni ma in versione umana, un’apparizione seducente che si dilegua, un miraggio nelle profondità marine, anche il titolo fa capire che è l’identificazione dell’artista, così legata al mare, con questo elemento, una sorta di sigillo personale. Non ci sono colori oltre il celeste che vira al blu con sprazzi di luce bianca, troviamo la stessa monocromia azzurra in altre, come “Frammenti di luce”, “Meduse” e “Dalla costa viola“, del 2021, “Brezza salmastra” e “Il blu di Sicilia”, del 2020, l’azzurro largamente prevalente in “Guizzi” 2020.

“Conchiglie”, 2022

Per il resto nel celeste-blu marino irrompono conglomerati con forti contrasti cromatici particolarmente brillanti, in un perfetto “astrattismo di matrice lirica”, ma quasi sempre con la presenza figurativa, stilizzata nel suo elemento, di un pesce, in primo piano in forma simbolica in “Il pesce rosso” 2022. In “Fondali” e “Prendi il largo” del 2021, l’ambiente marino prevale sulle immissioni, del resto i titoli lo fanno capire, così in “Gli scogli di Nervi” e “Velieri ““, del 2022, dopo la serie “Vele” di trent’anni prima, qui abbiamo un sorta di parata festosa. In “Non ritorno” e “Girotondo” del 2021 e “La magia degli abissi” 2022, nel celeste marino un caleidoscopio di colori fanno sentire l’affollarsi dei sentimenti ispiratori, non decifrabili ma di cui si percepisce l’intensità.

Le “Profondità marine” 2022 sono rese con la verticalizzazione delle forme colorate che irrompono nell’azzurro, mentre “La luce rossa dei coralli” 2020, “Cavallucci marini” e “Conchiglie” del 2022 mostrano una prevalenza del figurativo sull’astrazione con elementi fortemente identficativi; in “Petrolio” 2021 è quanto mai eloquente la massa scura che strimge minacciosa le forme di vita marina. Si presta a un’interpretazione che supera il muro dell’astrattismo “Il suono dell’acqua” 2022, sembra provenire da una sorta di cornamusa circondata dal celeste tenue dell’ambiente marino. Restano due opere evocative di sentimenti che vanno ben oltre il mare nel quale sono calati, “Attesa” 2020 e “Le onde anomale della vita” 2022: ebbene, pur nell’evidente astrattismo decifriamo nel primo un affollarsi di forme indistinte, com’è l’ansia dell’attesa, nel secondo una sorta di barca celeste su onde in cui farsi cullare con il colore celeste quanro mai accogliente, come la sirena umana di “Io… e il mare”.

“Il suono dell’acqua”, 2022

L’affollarsi di motivi a base dell’ispirazione è evidente nei bozzetti che non mancano anche in questo ciclo, non sono esposti in questa mostra ma saranno presentati in Valtellina trattandosi di una mostra itinerante. Sono 10 bozzettii, 2 tondi, 2 quadrati e 6 rettangolari, di dimensioni sui 15 cm tranne pochi vicini ai 20 cm., 6 sono del 2023, 4 espressamente indicati del 2020 e 2022. I due tondi sono festosi, con i pesci che si intravedono, “Dalle grotte di Nerone” dominante azzurra, “Fra le onde” dominante verde. Mentre i due bozzetti quadrati sono misteriosi, “Grande urlo d’azzurro” che vira nel nero, mentre “Enigmi” 2020 è sul blu con chiazze bianche. Dei 6 rettangolari due sono di un insolito eccezionale cromatismo scuro, sul marrone, trasmettono così immagini fosche, in coerenza con i titoli, “Naufragio” e “Relitto” 2022; due evocano la spinta in alto del mare con la loro verticalità liberatoria, sono “Nell’ombra” e “Grovigli”; abbiamo lasciato alla fine per chiudere in bellezza “Merletti di azzurro” e “La magia del mare” del 2022, veramente poetici per la sensazione che trasmettono con l’azzurro modulato da presenze discrete, viene voglia di immergersi in un elemento così invitante, anche se non c’è il richiamo di una Sirena ma sembra sentirlo, si ripensa alla sirena umana del dipinto “Io… e il mare” che abbiamo ammirato all’inizio calamitati dal suo fascino.

La maggior parte di questi bozzetti è del 2023, quando l’artista ha festeggiato i suoi primi 90 anni con l’incontro alla Galleria d’arte moderna in cui è stato presentato il documentario sulla sua vita e la sua arte “L’essenza geometrica delle passioni”, con il quale abbiamo iniziato la nostra rievocazione e ci torniamo in questa conclusione come nel gioco dell’oca. I bozzetti sono “collage su carta”, come tanti altri bozzetti precedenti, anche i titoli esprimono una persistenza ammirevole che conferma quanto emerso dall’intera sua produzione artistica personalissima.

I secondi 90 anni di Lina Passalacqua iniziano così, e sentendoci immedesimati e ammirati dopo la nostra retrospettiva non ci resta che porgere i nostri auguri più fervidi all’artista inesauribile e appassionata!

Lina Passalacqua intervistata all’inaugurazione
della mostra “Io… e il mare”

Info

Catalogo della principale mostra commentata: Lina Passalacqua, “Cosmico dinamismo”, a cura di Carlo Fabrizio Carli, Gangemi Editore International, dicembre 2017, pp.144, formato  21 x 30. Cataloghi delle mostre precedenti citate: Lina Passalacqua, “Le quattro stagioni”, Gangemi Editore, aprile 2013, pp. 64, formato 21 x 29,5; Lina  Passalacqua, “Voli”, Studio S – Arte contemporanea, pp. 64, formato 21 x 29,5; Lina Passalacqua, “Flash”,  Società Editrice Romana, marzo 2009, pp.103, formato 21 x 29,5. Dai Cataloghi sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo di questo servizio è stato pubblicato il 1° marzo 2024, il secondo il 5 marzo.. Cfr. i nostri articoli, sempre in questo sito: per le altre mostre citate “Manifesto per l’arte, con una mostra degli artisti firmatari” 3 aprile 2020,“Passalacqua, le quattro stagioni, al Vittoriano” 25 aprile 2013, “Collage-Pittura, Passalacqua e Terlizzi allo Studio S di Roma” 28 maggio 2014, “Food Art. Coltura e cultura, cibo di corpo, intelletto e anima” 1° aprile 2015; per il futurismo cfr. i nostri articoli del 2009, nel centenario, sulla  Mostra del Futurismo a Roma 30 aprile, “A Giulianova un ferragosto futurista” 1° settembre, “Futurismo presente” 3 dicembre; su alcuni futuristi Tato, 19 febbraio 2015,  Dottori e serata futurista, 2 marzo 2014,  Marinetti, 2  marzo 2013; sugli artisti citati, cfr. i nostri articoli su Picasso 5, 25 dicembre 2017, Hokusai 2, 8, 27 dicembre 2017, Guttuso 14, 29, 30 luglio 2018, , Warhol 15, 22 settembre 2014, e anche D’Annunzio 12, 14, 16, 18, 20, 22 marzo 2013 ripubblicati dal 12 al 17 marzo 2021, e 10 aprile 2009.

La sala mentre l’artista presenta la mostra

Foto

Le immagini, tranne le ultime 3 fornite dall’artista, sono tratte dal sito www.linapassalacqua.com, un sito completo in ogni sua parte in cui sono ordinate per i sngoli cicli, si ringrazia l’artista per la cortesia e l’opportunità offerta. Sono riportate 8 immagini per le due mostre principali commentate, “Fiabe e leggende” e “Io… e il mare”, queste ultime precedute da un’immagine del ciclo precursore “Vele”, seguite da 3 immagini finali dell’inaugurazione della mostra in corso dal 1° al 16 marzo 2024. In apertura, Lina Passalacqua tra le sue opere “Io… e il mare”, 2021 a sin, e “Guizzi”, 2020 a dx; seguono, del ciclo “Fiabe e leggende”, “Pinocchio” 2016, e Peter Pan 2015; poi, “L’uccello di fuoco” 2015 e “Il bosco incantato” 2016, quindi, “La lampada di Aladino” e “I tre porcellini”, del 2016; inoltre, “Alice nel paese delle meraviglie” 2017 e “La nascita del deserto” 2016; dal ciclo “Vele”, “Nel Mare del Nord” 1996; per l’ultimo ciclo “Io… e il mare” in mostra: “Io… e il mare” e “Dalla costa viola”, del 2021, seguono, “Il pesce rosso” e “Velieri”, del 2022; poi, “La luce rossa dei coralli” 2020, e “La magia degli abissi” 2022; quindi, “Conchiglie” e “Il suono dell’acqua”, del 2022; infine, immagini della mostra in corso: Lina Passalacqua intervistata all’inaugurazione della mostra “Io… e il mare”, e La sala mentre l’artista presenta la mostra; in chiusura, Uno scorcio della mostra.

Uno scorcio della mostra “Io… e il mare”

Lina Passalacqua, 2. Le quattro stagioni e non solo, con il Manifesto per l’arte

di Romano Maria Levante

Abbiamo ripercorso l’itinerario artistico di Lina Passalacqua, partendo dal filmato “L’essenza geometrica delle passioni” presentato in anteprima alla  Galleria Nazionale  d’Arte Moderna e Contemporanea nel novembre 2023 in una serata celebrativa del suo 90°  compleanno, integrando il  racconto del filmato con gli elementi della sua biografia che documentano la straordinaria continuità nel tempo di una creatività artistica sviluppatasi per oltre 50 anni, accompagnata da una miriade di iniziative, con oltre 40 mostre personali e 80 collettive, continuità che procede tuttora, ne fa fede  la nuova mostra “Io… e il mare” che si è aperta 1° marzo  2024 a Roma. Ora intendiamo documentare l’intensità del suo spirito creativo e la forza espressiva di un futurismo dei nostri tempi, con sciabolate di colori brillanti  che rendono le sue opere futuriste spettacolari, in aggiunta a quelle di diversa forma espressiva, dai “flash” ai”collage”, fino agli oggetti, anch’esse molto apprezzate nelle fasi in cui si sono manifestate.

Lina Passalacqua dinanzi a due suoi quadri del ciclo Le quattro stagioni in mostra,
:Estate, “Tramonto” 2011a dx, “Tramonto a Nettuno” 2012 a sin.

Il  “Manifesto  per l’Arte – Pittura  e scultura”

Ma prima vogliamo concludere la descrizione del suo lungo itinerario ricordandone l’impegno in un’iniziativa di grande  rilevanza per l’arte. Abbiamo partecipato all’incontro pubblico dei  25 artisti firmatari del “Manifesto  per l’Arte – Pittura  e scultura” in una mostra con un’opera per ciascun artista, tra cui Lina Passalacqua  E’ stato promosso dall’associazione “in tempo” , si è svolto il 10 dicembre 2019 presso “Plus on Plus” a Roma, dove si svolge l’attuale mostra “Io… e il mare”. E’ stato presentato il libro “Manifestarsi” con il Manifesto  e i Commenti, e sono state  illustrate dagli artisti intervenuti con Ennio Calabria presidente onorario – introdotti da Danilo Maestosi anch’egli artista firmatario del Manifesto –   le proprie convinzioni che li hanno indotti all’appello comune.

E’ stata una serata ricca di riflessioni sulla condizione attuale della società e sulle prospettive di superare  gli effetti negativi della globalizzazione e dello spaesamento rilanciando alcuni valori fondanti attraverso l’arte, pittura e scultura in particolare. Viene condivisa l’azione che da un decennio impegna l’associazione promotrice,  “in tempo”,  nell’offrire una sede di confronto e dibattito a chi voglia approfondire la riflessione sulla condizione umana, sociale e civile del nostro tempo nel quale la tumultuosa evoluzione tecnologica e comunicativa ha fatto perdere ogni punto di riferimento creando uno “spaesamento” paralizzante.

“Proiettati al futuro” esposto alla mostra dei 25 firmatari del “Manifesto per l’arte”

Il Manifesto firmato nel 2017, del quale, ripetiamo, Lina Passalacqua è tra i 25 artisti promotori, discusso nell’incontro pubblico associato alla mostra, ha declinato sul versante artistico e culturale la visione del ruolo dell’arte nel momento storico in cui viviamo. Nei suoi 25 capoversi vengono lanciati messaggi e segnali con l’intento di aggregare individualità che restano tali ma trovano nel percorso comune la rivendicazione di diversità e di valori condivisi.

Inizia con l’orgogliosa rivendicazione dei valori primari dell’umanità minacciati perché “l’attuale società si fonda sulla categoria della ‘convenienza’ che considera irrilevante l’identità umana”.  Mentre la reclama la “soggettività dell’essere e i suoi impulsi” in cui si identifica “la coscienza individuale, la vera antitesi radicale nei confronti del pensiero unico dominante”.   Rendendo protagonista “la soggettività” si può contrastare lo spaesamento e il disorientamento dell’omologazione. Qui il messaggio entra nei rapporti tra l’individuo  e la società, nel senso che mentre rivendica “l’unicità dell’umano” e della sua verità la considera “connaturata alla relazione con l’altro”. Più precisamente: “L’essere, capace di calarsi profondamente nella sua unicità soggettiva,  può raggiungere  gradi di verità universale e, in quanto tale,  condivisibile”.

Voli, Aria, “Nebbie”, 2002

Non è un ossimoro rivendicare l’individualità e insieme la possibilità che diventi universale; sancisce che non deve più essere il pensiero unico ed omologato  a diventare universale, tanto più oggi che si  fonda sulla “convenienza” e non sui veri  valori;  ma può diventarlo l’insieme di pensieri individuali all’insegna della libertà nei quali vi è il riconoscimento del “diverso da sé” come valore da difendere. In tal modo il “pensiero creativo” nella sua originalità e unicità si pone “come antitesi in un’epoca che vive la norma della riproducibilità dei processi mentali”.

A questo punto nel Manifesto entrano in scena la pittura e la scultura perché in esse si può esemplificare “l’ipotesi di un processo creativo mosso dall’inedito ingresso della soggettività  dell’essere nella storia” alla ricerca della verità in un’epoca in cui si sono perduti i punti di riferimento: “Pittura e scultura diventano strumenti necessari per riallacciare questo filo spezzato e dare forma a un pensiero che nasce dalla stessa vita in un inedito “sum ergo cogito”.  Esse rappresentano l’espressione tangibile dell’”essere”, le immagini create con la mano sono “disegnate dal liquido biologico dell’artista e del suo essere mentre reagisce agli stimoli del mondo”.

Terra, “Silenzio”, 2002

L’inversione rispetto al “cogito ergo sum” è fondamentale,  protagonista non è più il pensiero ma l’essere, dato che il “non sapere” si pone allo stesso livello del “sapere”,  si afferma la credenza nella logica socratica  che pone il “so di non sapere” come forma più elevata di conoscenza. “In questo processo generativo, il compito della ragione è solo quello di accogliere e aiutare il parto dal profondo divenendone, in tal senso, la ‘levatrice’”. Ecco la conclusione: “Per queste ragioni pittura e scultura devono ‘dire’ e non più ‘raccontare’, perché in un processo in divenire esse saranno l’impronta ‘autografa’ del nostro essere”.

 Ebbene, l’opera di Lina Passlacqua esposta nella mostra dei 25 firmatari del Manifesto si intitola “Proiettati al futuro”, con una raggiera di luce e di colori lanciata verso l’alto, si era a fine 2019, un’altra prova di vitalità sconvolgente di un’artista senza tempo. E anche al di là dell’intensità della  sua arte, i contenuti del Manifesto che ha sottoscritto con pochi altri artisti mostrano l’intensità delle sue convinzioni, e la foga del suo impegno quasi alla fine dei suoi primi ’90 anni. Ed è una straordinaria premessa, quanto mai significativa, per i suoi secondi ’90 anni dei quali la mostra che si è aperta il 1° marzo a Roma è un inizio quanto mai promettente.  

Le quattro stagioni”, 2013

Ed ora ci immergiamo nelle creazioni artistiche di Lina Passlacqua cercando di trasmettere, nella misura possibile, l’effetto  che suscitano le sue opere dando conto delle sensazioni  che abbiamo provato visitando due sue grandi  mostre personali a Roma nell’ultimo decennio, con il ciclo “Le quattro stagioni” e il ciclo “Fiabe e Leggende”, fino all’ultima mostra di questi giorni “Io… e il mare”. Di seguito evochiamo la prima delle tre mostre, con degli accenni a due mostre collettive particolarmente significative per il tema e la sede, nel terzo articolo le altre due mostre ricordando tutti i suoi cicli pittorici presenti nell’antologica del 2017 cui ci riferiremo direttamente.

“Le quattro stagioni”  nel futurismo dei nostri tempi dell’artista

 La mostra “Le quattro stagioni”  ha esposto nel 2013 immagini legate alle diverse fasi del ciclo annuale: la  Primavera con il verde rinfrescante e l’Estate con il rosso arancio infuocato, l’Autunno con il giallo malinconico e l’Inverno con il freddo biancore, il tutto attraverso pitture molto nette nelle sciabolate di colori luminosi che tagliano le composizioni  policrome. Il motivo delle quattro stagioni potrebbe essere la prima ispirazione per un artista, tanto è connaturato alla vita di ciascuno; ma può anche essere l’approdo nella maturità, questo è il caso di Lina Passalacqua, che ha dipinto i 40 oli di questo ciclo negli anni 2010-2013, in una fase culminante della sua vita artistica vissuta non solo nella pittura, ma iniziata con un forte impegno in anni di intensa attività teatrale che abbiamo rievocato nel precedente articolo.

, Primavera, “Anemoni”, 2010

“Ce l’ha fatta – scrive Carmine Siniscalco – Lina Passalacqua a realizzare il suo sogno: dipingere un ciclo concepito quale epilogo di una vita dedicata alla pittura per vizio e passione”. Una vita non facile per chi viene trapiantato dall’Aspromonte alla Liguria per poi approdare a Roma,  con difficoltà di varia natura e un impegno sociale e civile oltre che artistico, quest’ultimo come si è visto in una staffetta  tra l’attrice di teatro e la pittrice, legata al disegno anche come insegnante.

Una fase culminante che è solo una nuova tappa, data la vitalità dell’artista e la sua storia personale che abbiamo  ricordato; una tappa che chiude idealmente un ciclo dedicato ai valori primari della bellezza e della natura, insieme agli elementi primordiali aria e acqua, terra e fuoco. “Che l’ha portata – è sempre Siniscalco –  all’età della pensione, a dipingere queste sue stagioni con la maturità dell’artista ma non, come si potrebbe pensare, con la nostalgia del tempo che fu e la consapevolezza di un passato non rinnovabile ma con la freschezza e l’entusiasmo di una neofita che non rimpiange l’ieri ma vive il suo oggi guardando al domani”. Come una persona giovane, come un bambino.

“Germogli”, 2010

Ed è questo il suo segreto, anzi non è neppure tale perché lo rivela lei stessa nel parlare della fonte della sua ispirazione, della folgorazione che l’ha portata a ideare il ciclo delle Quattro stagioni.  Alla nipotina Sara che sorrideva nel guardare i fiori colorati del giardino mostrava come le rose gialle della bisnonna “sono qui, con noi, e ci sorridono”, una simbiosi tra l’innocenza infantile e la purezza della natura.  E le diceva: “Vedi, adesso siamo in estate, e i colori dell’estate sono bellissimi, poi verrà l’Autunno, queste foglie diventeranno gialle e in Inverno tutto morirà per poi rinascere in Primavera. E’ il miracolo delle Stagioni”.  Quindi una riflessione: “Già, le ‘Quattro Stagioni’. Perché non dipingerle?”  Il dado era tratto, le parole di un sommo artista ne sono il sigillo: “Picasso diceva che ‘occorre una vita per diventare bambini’. Io con te lo sono diventata”, conclude rivolgendosi alla piccola, in realtà ci dà la chiave di lettura del ciclo pittorico.

Ricordiamo queste parole nel rievocare la mostra, la freschezza e l’entusiasmo sprizza dai suoi dipinti nel cromatismo e nella forma compositiva che ne sono una esaltante conferma. Tanto più che su una parete all’ingresso della mostra il collega Vittorio Esposito ci aveva fatto notare una serie di bozzetti dei suoi dipinti, 13 quadretti formati da collage di pezzetti colorati, assemblati con la pazienza, la meticolosità e la passione di un bambino; poi li tradurrà in grandi oli dal cromatismo rutilante, ma la matrice è lì, nella ricerca certosina con lo slancio infantile e la consapevolezza matura di voler penetrare l’essenza, le radici del creato per trovare la linfa vitale da cui nasce l’energia cosmica.

“Sogno”, 2011

I 40 dipinti delle sue “Quattro stagioni”  sono un tripudio di colori e di forme lancinanti che provocano un’esplosione di  sensazioni, percorsi da una vitalità travolgente, una passione irrefrenabile  per la bellezza e per la natura che viene vissuta, lo ripetiamo.  con la profondità dell’età matura ma nel contempo con la freschezza e l’entusiasmo dell’età infantile.

L’opera dell’artista,  per usare il linguaggio teatrale, si sviluppa in 40 scene divise in 4 atti, corrispondenti alle stagioni, intorno a un motivo centrale, così definito da Siniscalco: “La storia della vita, dal primaverile risveglio al niveo inverno attraversando la passionale estate e il pensieroso autunno. Quattro stagioni incarnate nel comune denominatore di un solo elemento, la foglia, declamato nei suoi variabili colori e mutevoli forme, mai olograficamente rappresentato, talvolta soltanto suggerito o accennato: quattro stagioni in finale ritratte, come in una foto di gruppo, in un’unica opera, di grande impatto e non solo di grande formato, una vera ‘summa’ di qualità pittorica, libera ispirazione, professionalità non didascalica, invenzione e poesia”. 

“Risveglio”, 2012.

Contempliamo, dunque, i suoi quadri, sono 10 per stagione, quasi tutti di forma rettangolare tranne alcuni rotondi, per lo più 70×100;  il quadro-sintesi “Le quattro stagioni” nei suoi 2 metri di altezza riassume l’intero ciclo nella successione delle stagioni dal basso in alto, con la primavera all’inizio e l’inverno al termine, come per la vita, ed è significativo che sia stato posto a introduzione alla mostra, quasi si volesse preparare all’analisi di ogni stagione. E’ del 2013 l’opera conclusiva, ed è altrettanto significativo che prima di questa siano stati esposti i 13 bozzetti-collage di cui si è detto, dai quali tutto ha inizio. Una sorta di alfa e omega del ciclo pittorico sulle Stagioni.

Il viaggio dell’artista nelle quattro stagioni comincia dalla Primavera, i quadri hanno il verde come colore dominante. Ci sono gli “Anemoni”  e i “Germogli”, dove irrompe anche il giallo arancio, l’”Albero” con rami spogli nell’azzurro del cielo, le “Fresie” con i fiori rosa che occhieggiano tra le foglie; e poi titoli legati alle sensazioni primaverili, “Sogno”  con delicate formazioni che attraversano la vegetazione, mentre in “Bagliore” un rosso violento sembra bucare il cerchio del fogliame; “Annuncio” e “Divenire”  mostrano motivi frastagliati, il primo su diverse tonalità di verde, il secondo con una sinfonia di colori. Il “Risveglio” è tranquillo, i toni sono delicati pur se il verde è sempre molto intenso.

Estate, “Ibicus del mio giardino”, 2011

Come nella realtà, così nella pittura della Passalacqua, il passaggio all’Estate è brusco e folgorante. Rossi e gialli intensi sostituiscono il verde della primavera, è un vero incendio di colore e di calore, pure “Tra le foglie” incendiate anch’esse. I fiori della stagione sono i “Girasoli”,  in primissimo piano la corolla con al centro i semi in una vera esplosione atomica, mentre i “Papaveri” sono un fondale rosso intenso con delle ombre scure. Poi “Gli Ibiscus del mio giardino”, quelli che piacevano alla nipotina, forse per questo il dipinto è più elaborato degli altri, nelle forme e nel cromatismo, di straordinaria raffinatezza e profondità. Introduce alle immagini corali, come “Meriggio” e “Tramonto a Nettuno”, “Cielo infuocato” e “I colori dell’estate”.  nelle quali l’incendio di colori e di calore è ancora più violento e intenso, si sente la forza dei raggi solari nei riflessi di una canicola che richiama i metalli incandescenti. Coaì nel rutilante “Ode all’estate”.

I colori con l’Autunno virano al giallo-marrone delle foglie secche,  il rosso resta in “Petali di rosa” come due piccole macchie in un intrico marrone e giallo, è l’unico fiore citato, gli altri dipinti sono ispirati dalle immagini della stagione. Si comincia con “Ricordi” e “Quiete”,  dalle tinte tenui come i titoli che ne segnano l’ispirazione; mentre “Fogliame” e “Larve” con le sciabolate di giallo-marrone rendono la svolta della stagione. In “Nuvole” e “Magia d’autunno” tornano colori forti, il rosso non vuole scomparire, in “Ottobre” cede al sopravvenire dell’ocra più spenta tipica della stagione, fino ad “Autunnale” e “Profumo della terra”, in cui questo colore copre la natura.

“Papaveri”, 2011

La virata cromatica è ancora più netta con l’Inverno, domina il bianco percorso da motivi azzurro-ghiaccio che accentuano la sensazione di freddo. Mentre  in “Alba gelida”, “Ragnatele d’ombra” e “Valanga” un biancore avvolge i residui segni dell’autunno, i tondi “Fiume in piena” e “Riflessi di ghiaccio”  fanno sentire il gelo della neve, come “Riflessi di ghiaccio”: si sente l’Artico più che l’inverno cittadino. “Bufera” e “Brezza” danno invece il senso del turbine, più che del freddo, come “La voce del vento”.  In “Le ultime foglie”  l’inverno espugna le ultime resistenze autunnali, ma foglioline secche arancione e filamenti verdi sono la premessa per il ritorno della primavera. 

Il futurismo plastico e dinamico e l’astrattismo lirico dell’artista

Le varie forme che assume la realtà nel ciclo vitale delle Quattro stagioni vengono esplorate per penetrare i segreti della natura, la sua essenza, la sua dinamica nelle metamorfosi che assume. E nel contempo sono espressioni della sensibilità dell’artista e di tutti, dinanzi a questo spettacolo che si rinnova,  mentre se ne percepiscono i movimenti e i palpiti anche impercettibili che prendono forma pittorica. Pur nell’incrocio tra futurismo e astrattismo che dovrebbe portare a forme incorporee segnate solo dalla luce e dai colori, si avverte una intrinseca plasticità che fa sentire la presenza viva e non solo virtuale della natura. E nel contempo ne rende la sublimazione in qualcosa che va oltre la percezione sensoriale perché attiene ad un’altra dimensione, quella dello spirito e della fantasia.

“Ode all’estate”, 2010

Non c’è nessuna leziosità né cedimento a un classicismo elegante, lo spettacolo della natura viene reso nel suo realismo trasfigurato con altrettanta forza mediante uno stile maturo dai legami sicuri: “Grandi unità cromatiche si integrano in complessi ingranaggi espressivi – scrive Maria Teresa Benedetti, curatrice della mostra – determinazione e coraggio animano il lavoro che riflette, in modo autonomo, esperienze di avanguardie storiche, dal futurismo all’astrattismo”.

Così vengono individuate queste ascendenze: “L’eredità futurista si ritrova nell’energia plastica, nel fluire dinamico del segno, nell’eliminazione di strutture rigidamente prospettiche, nel tendere della visione all’infinito, nel premere di forze che sembrano volere uscire dal dipinto”. Il dinamismo e la vitalità si esprimono con le sciabolate di linee tipiche del futurismo in una sinfonia di colori. “L’adesione a un astrattismo di matrice lirica si manifesta nel senso di libertà del ‘ductus’ pittorico, nell’individuazione di una capacità espressiva che superi ogni suggestione naturalistica, nell’importanza attribuita allo spessore di un colore compatto e squillante, che riflette una risonanza interiore”.  Nella trasfigurazione del reale compiuta dall’artista nulla è figurativo ma neppure freddo astrattismo, per questo viene definito “di matrice lirica”,  una sinfonia che è la poesia della natura.

“Energia”, 2013

Non è un segno incorporeo il suo, ma plastico, ripetiamo, non va per sintesi ma ricerca i particolari,  nei quali si sente l’immanenza della natura. Vediamo il ramo e la foglia, il volo e la nuvola che sono tracce del reale ma anche “voli dell’anima”, in un misto di reale e virtuale, sulle ali della fantasia stimolata dalla visione della natura nelle sue mutevoli espressioni, come è mutevole l’esistenza.

Il ciclo vitale che ne deriva è visto così dalla Benedetti: “Un senso panico della vita dall’imo pulsa nella Primavera, il canto alto e fondo, vibrante di colori accesi racconta l’Estate, il balugino segreto di una bellezza raccolta testimonia l’Autunno, la sinfonia dei bianchi abbaglianti ritma l’Inverno, una successione di immagini che trasmettono una profonda, seppure controllata emozione”.

Lo abbiamo visto e sentito anche noi così, presi dalla stessa profonda, seppur controllata emozione.

Autunno, “Magia d’autunno”, 2011

I collage e il “cibo”

Dal 2013 passiamo al 2014, allo Studio S- Arte contemporanea di Carmine Siniscalco, a Roma in via della Penna, la mostra “Collage… pittura”dal 20 maggio al 9 giugno ha presentato due forme molto diverse di “collage”: bozzetti preparatori fatti di delicate applicazioni rispetto a dipinti finali di grandi dimensioni dal forte cromatismo acceso dai  colori della natura per Lina Passalacqua;  opere compiute frutto di assemblaggi materici in un delicato bianco e nero con raffinate varianti in composizioni ispirate al mare e alle sue storie per Ernesto Terlizzi.

I due ambienti dello Spazio S si prestano all’accoppiata delle due forme di “collage-pittura”: le due esposizioni sono separate da un piccolo corridoio che segna il passaggio da un mondo all’altro: c’è sempre la natura, nelle sue espressioni luminose ricche di richiami della Passalacqua, nella sua manifestazione marina ricca di contenuti di Terlizzi. Carmine Siniscalco definisce “pittrice di pancia”  la Passalacqua per la sua intensa passionalità, “pittore di testa” Terlizzi per la sua razionalità dai  contenuti meditati.

“Fogliame”, 2012

Come concludere su questa che ci è apparsa la matrice dei suoi “collage” poi approdati alla maturità della passione naturalistica accesa dai colori ? Le parole giuste le ha dette Renato Civiello, nel 1987,  chiudendo così il proprio commento alla mostra sui «Flash”: “Nell’opera della Passalacqua, tutto è armonia, sapienza distributiva, respiro poetico. La gamma che s’innerva o si dissolve riconduce alla stessa mediazione non asettica, ma implicante, piuttosto, e prodiga di risonanze durature. L’arabesco e il volume, l’idea e la passione concorrono, parallelamente, ad esplorare il mistero di vivere”.

E  ciò avviene anche quando, come nella mostra sui “collage” allo Studio S, il mistero di vivere si esprime non attraverso la cronaca quotidiana ma nelle forme più profonde degli elementi naturali e dei cicli stagionali che si manifestano attraverso una sinfonia mutevole e travolgente di colori spettacolari. A questo proposito l’associazione di idee di tipo musicale è immediata: per la Passalacqua come non evocare le “Quattro stagioni” di Vivaldi?

“Ricordi”, 2010

Dal 2014 al 2015, con la mostra  “ Food Art”, coltura/ cultura cibo di corpo, intelletto e anima, sempre allo Studio 5: una installazione speciale, cioè   una tavola imbandita recante 10 piatti decorati da artisti, più 2 bottiglie, 2 contenitori e un cestino anch’essi artistici, 15 gli artisti impegnati, tra cui Lina Passlacqua. La tavola è stata esposta dal 27 marzo al 10 aprile 2015, con i primi 15 artisti, poi ne è stata imbandita una seconda, dal 13 al 29 aprile, con altri 15 artisti.

Richiama il cibo esteriore,  all’Expo di Milano all’insegna del  motto “Nutrire il Pianeta – Energia per la vita”, e quello interiore della  cultura, di cui il nostro paese è ricco. Coltura  e cultura per nutrire fisicamente e mentalmente  il Pianeta con il cibo del corpo  e il cibo dell’intelletto; in più vi è stata abbinata una mostra  benefica per la  Comunità Sant’Egidio, così c’è anche il cibo dell’anima. Dobbiamo all’invito di Lina Passalacqua, autrice di uno dei 10 piatti  dell’installazione,  se abbiamo conosciuto  questa bella iniziativa  che celebra l’Expo e non solo in chiave artistica. 

“Quiete”, 2010,

I 10 piatti, collocati su un tavolo nero molto basso in modo da comporre una originale installazione vista dall’alto, sono  decorati da  pitture artistiche, ognuno degli autori ha interpretato a suo modo. Lina Passalacqua, con l’opera  dal titolo “Ombre”  è tra i 10 artisti  che hanno realizzato la tavola presentata  nella  “vernice” della mostra,  sono chiamati “ospiti”, come si addice a una vera cena, ecco i nomi, in ordine alfabetico:  Rosetta Acerbi e Anna Addamiano, Giovanni Baldieri e Valeria Catania, Isabella Collodi e Anna Maria Laurent, Stefania Lubrani e Flavia Mantovan,  Piero Macetti e Lina Passalacqua, Alessandra Porfidia ed Elio Rizzo, Sinisca, Siscia e Isabella Tirelli.

Una mostra sul cibo di tipo fotografico e divulgativo c’è stata al Palazzo Esposizioni, con le immagini dei fotografi di National Geographic. Allo studio S abbiamo avuto la bella sorpresa di qualcosa di diverso, l’arte che celebra il cibo e insieme la cultura restando aderente all’immagine e alla funzione che il cibo  ha nella vita di tutti, legato com’è all’alimentazione e alla tavola; cui non è estranea neppure la cultura.  E allora ecco celebrarle insieme con una tavola imbandita dove l’arte ha impreziosito i piatti con il proprio sigillo, e Lina Passalacqua ha impresso il suo..

Inverno, “Brezza“, 2010

Un’altra mostra, in significativa coincidenza con questa sul cibo, ha riproposto nella stesa sede, opere che nel 2012 erano state presentate al Museo Venanzo Crocetti  nel quadro del progetto A.R.G.A.M. (Associazione Romana Gallerie d’Arte Moderna), “Un’Arte per la Vita”  volto  a raccogliere fondi per la Comunità di Sant’Egidio tramite eventi realizzati con opere date in comodato da artisti e gallerie. Ecco come è stata presentata tale iniziativa benefica: “A queste opere lo studio S riserverà a rotazione in questa stagione di mostre una sala della galleria, offrendo ai suoi visitatori l’opportunità di arricchire la propria collezione, o di iniziarne una, a particolari condizioni d’acquisto senza alcuna commissione per la galleria,  e contribuire allo stesso tempo al finanziamento dei programmi umanitari della Comunità”.Guardiamo le opere esposte,   una è della stessa Lina Passalacqua, “Il cibo è vita”, 2015. Aver celebrato in modo artistico e innovativo il cibo dell’Expo milanese, e insieme la cultura e la solidarietà  con le altre opere di artisti a finalità benefica, è come aver unito il cibo del corpo a quello dell’intelletto e al cibo dell’anima, Lina Passalacqua con la sua sensibilità e profonda umanità non poteva mancare.

Vi sono altri cicli che manifestano la sua inesausta creatività, di tutti parleremo prossimamente nel 3° e conclusivo articolo sulla inesauribile futurista dei nostri tempi, descrivendo in particolare il ciclo “Fiabe e leggende” fino a “Io… e il mare” , la già citata mostra aperta a Roma, il 1° marzo 2024, per i suoi “primi 90 anni”.

“Riflessi di ghiaccio“, 2012

Info

Catalogo della principale mostra commentata: Lina Passalacqua, “Le quattro stagioni”, Gangemi Editore, aprile 2013, pp. 64, formato 21 x 29,5; da tale catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo è stato pubblicato il 1° marzo 2024, il terzo e ultimo articolo uscirà il 9 mrzo p.v. Cfr. i nostri articoli, sempre in questo sito: per le mostre citate “Manifesto per l’arte, con una mostra degli artisti firmatari” 3 aprile 2020,“Passalacqua, le quattro stagioni, al Vittoriano” 25 aprile 2013, “Collage-Pittura, Passalacqua e Terlizzi allo Studio S di Roma” 28 maggio 2014, “Food Art. Coltura e cultura, cibo di corpo, intelletto e anima” 1° aprile 2015; per il futurismo cfr. i nostri articoli del 2009, nel centenario, sulla  Mostra del Futurismo a Roma 30 aprile, “A Giulianova un ferragosto futurista” 1° settembre, “Futurismo presente” 3 dicembre; su alcuni futurist,i Tato, 19 febbraio 2015,  Dottori e serata futurista, 2 marzo 2014,  Marinetti, 2  marzo 2013; sugli artisti citati, cfr. i nostri articoli su Ennio Calabria 31 dicembre 2018, 4, 10 gennaio 2019, Pablo Picasso 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, 4 febbraio 2009, Danilo Maestosi, 21 marzo 2019.

“Ragnatele d’ombra”, 2010

Foto

Le immagini sono tratte dal sito www.linapassalacqua.com, un sito completo in ogni sua parte in cui sono ordinate per i sngoli cicli, si ringrazia in particolare l’artista per l’opportunità offerta. Per “Le Quattro stagioni”, dopo l’immagine del quadro che le riassume, ne sono riportate 4 per ogni stagione, 2 descrittive della natura e 2 evocative dei significati che ispira. Sono precedute da 2 immagini del ciclo “Voli”, che sarà considerato nel prossimo articolo”, “Aria” e “Terra” preludono alle Stagioni. In apertura, Lina Passalacqua dinanzi a due suoi quadri del ciclo Le quattro stagioni in mostra: Estate, “Tramonto” 2011 a dx, “Tramonto a Nettuno” 2012; segue, “Proiettati al futuro” esposto alla mostra dei 25 firmatari del Manifesto per l’arte”, poi, Voli, Aria, “Nebbie” 2002, e Terra, “Silenzio” 2002 ; quindi, “Le quattro stagioni” 2013, inoltre, Primavera, “Anemoni” e “Germogli” 2010, “Sogno” 2011 e “Risveglio” 2012, ancora, Estate, “Ibicus del mio giardino” e “Papaveri”, 2011, “Ode all’estate” 2010 ed “Energia” 2013; continua, Autunno, “Magia d’autunno” 2011 e “Fogliame” 2012, “Ricordi” e “Quiete” 2010; prosegue, Inverno, “Brezza” 2010 e “Riflessi di ghiaccio” 2012, “Ragnatele d’ombra”” 2010 e, in chiusuira, “La voce del vento” 2011.

“La voce del vento”, 2011

Lina Passalacqua, 1. I primi 90 anni dell’inesauribile futurista dei nostri tempi

di  Romano Maria Levante

Si inaugura oggi, 1° marzo 2024, alle ore 17,30 a Roma nella galleria “Plus Arte Puls” di Viale Mazzini, la mostra personale di Lina Passalacqua dal titolo “Io… e il mare” , a cura di Ida Mitrano e Rita Pedonesi, che resterà aperta fino al 16 marzo. E’ una nuova manifestazione del fervore artistico dell’inesauribile futurista dei nostri tempi alla quale dedichiamo tre articoli: in questo primo articolo ne ripercorriamo il lungo itinerario in pieno svolgimento, nei due articoli successivi ci immergeremo nella sua arte, la anticipiamo qui nelle illustrazioni alternando a scene di vita una immagine per ogni ciclo artistico prima dell’ampia evocazione che faremo in seguito dei cicli principali.

Non si cita mai l’età di una signora, secondo un galateo non si sa se patriarcale o di diversa estrazione, ma non è il caso di  Lina Passalacqua, i cui 90 anni sono stati celebrati con una serata   in suo onore il 16 novembre 2023 alla Galleria d’Arte Moderna di Roma  in via Francesco Crispi 24.  E lo si è fatto considerando che all’età anagrafica corrisponde una vitalità e un dinamismo, uno spirito di iniziativa e una creazione  artistica che la ringiovaniscono di decenni, per questo abbiamo voluto intitolare il nostro scritto ai suoi “primi 90 anni”. La manifestazione  fa parte del  “Laboratorio Prampolini” – Donne & Futurismo, protagoniste dell’altro movimento”. Sono intervenuti Claudio Crescentini, della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Giulio Latini,  regista e  docente di “Comunicazione Multimediale” all’Università Tor Vergata, Roma, e Ida Mitrano, storica, critica d’arte e saggista. E’ stato  proiettato in prima nazionale il documentario “Lina Passalacqua – L’essenza geometrica delle passioni“, con la regia di Giulio Latini.

Locandina della manifestazione per i 90 anni

La manifestazione si è svolta con l’omaggio di amici ed estimatori, e il documentario, del tutto inedito, ne è stato al centro. Anche nell’intestazione, “L’essenza geometrica delle passioni” riassume  la vita e l’arte d Lina come espressione di passioni  inesauste in una forma artistica che ne rende la profondità e la forza, la coerenza e la continuità in un cromatismo brillante dai forti contrasti,  riflesso dell’ intensità senza pari delle sue realizzazioni.

Concentriamoci, dunque, sul documentario, la seconda “autobiografia” filmata dopo quella del 1990, di cui in quella attuale sono riportati alcuni passaggi particolarmente significativi. Anche perché riferire il contenuto del filmato vuol dire far parlare lei, che racconta la sua vita e la sua arte  seduta  su una  poltrona di vimini con un vestito arancio dai  bordi rossi, qualche volta interrompendosi per girare nell’atelier  circondata dai suoi quadri o nel giardino soffermandosi sulle foglie e i frutti degli alberi, oppure affacciandosi a  una balconata sul mare.

Gente di Ciociaria: : “Madre e figlia”, 1967

La pittura e il mare

Inizia con il dire cosa significa per lei la pittura, termine oggi sempre meno  usato:  “un rosso e un giallo tutti lo adoperano ma messi in  mano a un artista diventano  pittura, diventano  emozione, diventano  sogno, diventano  un qualche cosa che si vorrebbe  continuare a guardare sempre: questa è la pittura, non importa il soggetto, sia esso un paesaggio o una madonna, è come leggere una poesia, tutti la scrivono, ma solo i poeti  scrivono delle belle poesie”.

Cambia scena, la vediamo nell’atelier vicino a dei  quadri su cavalletto, parla dell’importanza del mare per  lei. La famiglia trasferita da Sant’Eufemia di Aspromonte  a Genova, in un casa vicino al mare, “bastava attraversare la strada, inoltre  ero bravissima nuotatrice”: il  mare di Genova, poi è venuto quello delle grotte di Nerone, il mare della Tunisia, delle Maldive. Intanto  scorrono immagini di spiagge, e delle acque dove esplorava i fondali con la maschera, appaiono anche suoi quadri futuristi con le sciabolate di blu e sagome di pesci rossi, anche la sagoma di una sirena. “Un  mare che non c’è più – commenta –  perché con la società tecnologica e dei consumi si sono perdute molte cose, si dovrebbe tornare indietro e sovvertire il presente,  ma non è possibile, c’è il non ritorno .come in un mio quadro,  il mare rimane di plastica”. .La figlia le dice che quel quadro deve farlo conoscere  al mondo, e allora racconta che ha mandato una lettera al Quirinale e ne ha avuto una risposta molto positiva con la richiesta dei suoi cataloghi. La macchina da presa esplora le pareti dell’abitazione in cui lei si muove tra i suoi  grandi quadri futuristi  in una sinfonia di colori.  

Con John Dos Passos, a Roma, nel 1963

La famiglia e  l’emancipazione, l’inizio con il teatro

Scorrono le immagini,  riprende a parlare dalla poltrona di vimini con i suoi ricordi di infanzia. Disegnava sempre, poi appassionatasi alla storia dell’arte copiava le Madonne dei grandi maestri. Prima sua opera una copia di una Madonna del Lippi chiestale dalla vicina di casa che l’ha ricompensata, il primo quadro venduto…  La sua famiglia era all’antica  ma è riuscita ad emanciparsi sottraendosi a a quello che era allora il destino della donna, legato al matrimonio, ha studiato e si è resa indipendente. Stava  per entrare nell’Intendenza di finanza ma una circostanza occasionale le cambia la vita: accompagna  a Milano una amica per un’audizione alla Scala e le chiedono cosa faceva,  risponde che recitava  in filodrammatiche a Genova. Allora la pregano di  recitare qualcosa, sceglie “Re Lear” di Shakespeare,  torna a Genova e una settimana dopo riceve una lettera  del Teatro stabile di Bolzano che la scrittura  per tutta la stagione, una paga notevole,  particine piccole.  Ma il padre  reagisce male, le dice che se accetta non la farà più entrare  in casa, quello sì  che era patriarcato…. Lei non si lascia intimidire, per tre anni  lavora nella stabile di Bolzano e non torna più  casa,  prenderà  in affitto una soffitta a Roma  in via delle Convertite, c’erano  140 gradini. Recita in tutti i teatri, intanto disegna  e va la mattina nei musei  nelle tante città d’Italia dove si trova con la stabile di Bolzano, mentre i suoi  colleghi  attori  si riposano trai due   spettacoli serali. Conosce il  direttore della rivista teatrale Maschere il quale le chiede di fare dei ritratti che pubblica al posto delle fotografie dei personaggi.

Il racconto di Lina prosegue tra le piante del giardino.  Viene scritturata dal Teatro  Stabile di Catania, che porta  a Roma al  Teatro delle  Arti “La sciantosa”, di Martoglio, un anno  di vita in Sicilia con successi e grandi artisti come Turi Ferro. Prosegue una carriera teatrale durata 5 anni e mezzo, a fianco di altri  straordinari personaggi e maestri come Totò e Peppino De Filippo, cita la “Ghepierre”, piccole parti ma esperienza molto importante.

Flash: “La Diva”, 1973

La svolta,  l’insegnamento di figura disegnata”,  poi il futurismo, i temi prediletti

A questo punto una svolta,  Carlo Alberto Petrucci, pittore e incisore, accademico di San Luca, le dice che deve decidersi a fare una scelta, inutile girare per l’Italia tutto l’anno, meglio seguire la propria vocazione nell’arte figurativa, iniziando con il prendere il relativo diploma.  Segue questo consiglio, ma soprattutto la propria inclinazione. Prende il diploma con  il massimo dei voti e l’abilitazione all’insegnamento,  comincia  nelle  scuole di due  paesini vicini. Si riconcilia con il padre essendo rientrata con l’insegnamento nel solco tradizionale dopo la deviazione nell’arte teatrale;  va un anno a Iesi  interessata a ciò che può visitare, poi  in Ciociaria dove attirano la sua attenzione  le donne affacciate alle finestre, o curve sul ricamo,  le ritrae nei suoi disegni che non ha mai abbandonato,  e li espone in una mostra personale, la sua prima. organizzata dall’Ente del Turismo di Frosinone. Approda all’insegnamento di  “Figura disegnata” al primo liceo artistico di Roma,  “Ferro di cavallo”,  passando da allieva, come era stata quando aveva deciso di studiare pittura “da grande”,  a docente.  Dalla riconciliazione con la sua famiglia alla più stretta vicinanza, dato che i suoi si trasferiscono a Roma.

E a Roma avviene la svolta decisiva, il fratello che frequenta il  Centro sperimentale di cinematografia nella sezione per registi, le fa conoscere Mario Verdone, che vi insegna  e  la introduce nel  mondo dei futuristi  nel quale è inserito perché scrive  sulla rivista “Futurismo oggi” di Enzo Benedetto.  Lui  rappresenta il dopo Marinetti, nel suo studio la Redazione della rivista, si moltiplicano gli incontri con i pittori, mentre viene approfondita l’arte dei Futuristi, da Boccioni agli altri.

Con Antonio Marasco a Roma alla Galleria d’Arte Pantheon, nel 2015

Ma Lina segue un proprio percorso speciale,e dato che crede nel ruolo attivo e conoscitivo  della pittura sceglie la sintesi geometrica per costruire oltre all’immagine anche l’oggetto adottando diverse tecniche e utilizzando vari materiali come il legno e pezzi di moquette con i quali realizza anche un arazzo per il recupero della gestualità femminile. Viene segnalata nel Catalogo Bolaffi della pittura italiana. Non rinnega la propria femminilità, si definisce pittrice  e non pittore,  considerando che la pittura è stata tendenzialmente maschile e lei si ribella a questo monopolio.

Ed ecco un rapido excursus  sui temi prediletti. Innamorata delle Vele che vedeva nell’infanzia sul suo mare, le riproduce in quello che sarà il suo primo ciclo pittorico oggetto di un mostra.  Seguirà il ciclo dei Voli e “Le quattro stagioni  in cui identifica il rigoglio, la decadenza e la rinascita. Ha anche interpretato in rapidi “Flash” la realtà riproducendo frammenti di macchine e piante, fiori e alberi: del resto, afferma, “la nostra giornata è fatta di immagini  istante per istante e si può rendere  solo con fotografie  oppure con i frammenti, così ho fatto non con dipinti ma con riporti fotografici e tecniche grafiche prese da Andy Warhol”. Ma non imitandolo pedissequamente, Warhol  trasferiva le fotografie prese dai giornali sulla tela, mentre a lei non bastava, usava anche matite colorate per dare  il colore e non lasciare le immagini  fredde: “volevo che diventassero pitture”. Antonio  Paolucci, il direttore dei  Musei vaticani, apprezzava molto i. suoi “flash” frammentati.

Ritratti: “Ritrattodi Katia Luise”, 1991

Si è resa conto che il “Flash”  come istante può far perdere la  memoria storica e forse anche il senso morale. Nel  filmato ’Autoritratto” del 1990 – del quale alcune scene sono intercalate nel filmato  attuale – afferma che “ci vuole molto coraggio ad essere donne oggi, ma pur con il conflitto in essere ci si deve  esprimere non in antitesi agli uomini ma a fianco agli uomini, Dobbiamo conquistare una nostra dimensione e affermarci come nel quadro della  ragazza che scavalca con un balzo una selva di rossetti”.

Compare nel filmato questo dipinto molto espressivo che l’artista commenta nei dettagli: la ragazza è per metà in ombra e per metà in luce, con una sciarpa per catturare il futuro, ha un’energia tale da essere pronta a cavalcare un cavallo selvaggio”, mentre lei ripete l’esortazione “liberati dalle pastoie!”, in modo da sentirsi “libera dalle catene segrete dentro di noi e dal Minotauro che forse non uccideremo mai”. Il quadro divenne un simbolo, fu messo in  copertina della rivista Minerva e l’autrice fu invitata a Rodi al Forum per la Pace nel  2000 per due anni. Le donne come creatrici di pace: con il patrocinio dell’Unesco le donne artiste del Mediterraneo presentarono ciascuna un quadro per il loro messaggio di pace. Il suo lo intitolò “Costellazione di pace”, nell’occasione conobbe la principessa di Giordania  

Con Charles Aznavour e Pino Passalacqua, nel 1990

Altra serie di quadri, non più per la pace, per l’ Ufacsi, un Centro di donne artiste in Belgio, con grandi mostre ogni anno a Parigi, Cipro in Turchia, e questo per due-tre anni.  Ci avviciniamo ai giorni nostri, nel  2018 le viene conferito il Premio Sulmona per il suo quadro su “Peter Pan”.  Segue la  sala dei  Futuristi calabresi a Rende, presso Cosenza. Ha prima parlato di  Enzo Benedetto tra gli artisti che ha conosciuto di persona e  hanno avuto forte presa su di lei, ora cita  Ennio Calabria, incontrato per la prima volta a casa di Morosini che lo aveva segnalato a Bolaffi come migliore pittore italiano di quell’anno; ebbene,  l’anno dopo Morosini presentò lei a Bolaffi,  e seguì la partecipazione a  mostre collettive nello studio S diretto da Carmine Siniscalco, sede di incontri di artisti. Di Ennio Calabria sottolinea l’arte del ritratto, lo definisce “incredibile, nei suoi ritratti entra dentro le persone e ne ritrae i pensieri”.  Aderisce all’associazione “ in tempo”, “fucina di idee”, e partecipa a varie mostre, anche a Varsavia. Scorrono sullo schermo  mostre recenti,  nel dicembre 2017-gennaio 2018 “Fiabe e leggende”, con dipinti tra il 2015 e 2017 come “I tre porcellini” e “Il soldatino di piombo”, “Pinocchio”, “Il  bosco incantato” e “ La lampada di Aladino”. . Ma 15 anni prima, nel 2003, abbiamo “Turbinio” e “Vortice” al Museo Taverna,  e molto prima “Mischia” del 1989 e “Autunno” del 1973 al  Museo Pieve di Cento Bologna e Autunno  1973, fino a “Calvario oggi” del 1986. Al museo di San Gabriele il precedente “Calvario tecnologico” del  1971.. “Nozze  d’argento”  19733 alla Pinacoteca di Macerata,  “Sinfonia” 1974 all’Estorick Collection of Modern Italian Art di Londra.  Una molteplicità di temi e di stimoli che lascia meditare mentre il documentato termina con un suggestivo  tramonto sul mare da una terrazza nella quale Lina e altri presenti  si muovono per ammirare lo spettacolo di una natura così amata.

Fin qui il documentario di 40 minuti, ma non è tutto, la vita e l’opera di Lina è piena di tanti altri motivi e momenti, che non sono stati ricordati per un  ritegno segno di umiltà, rifuggendo da ogni narcisismo ed autocelebrazione. Ma ci pare giusto citare anche questi, li ricaviamo dalla ricca biografia corredata da un’eccezionale raccolta delle sue opere perfettamente classificate, e riprodotte, veramente esemplare, che invitiamo a consultare nel sito www.linapassalacqua.com..

Vele: “Vele sul Nilo” , 1998

L’inizio del “cursus honorum” di un’artista inesauribile

Inizia la prima fase della sua vita artistica, quella legata al Teatro, in modo ben  più intenso di quanto lei ha raccontato. Già da  studentessa frequenta il “Borsa di Arlecchino”, centro teatrale di avanguardia genovese che mette in scena  le  novità assolute per l’Italia costituite dalle opere  di Ionesco e Beckett;  poi, con altri universitari genovesi e il fratello regista, interpreta   “Le Troiane” di Euripide in una rassegna internazionale a i Saarbrüken in Germania, quindi eccola al  Teatro “Eleonora Duse” di Genova. con  testi di Goldoni, Bassano, Betti. Abbiamo ascoltato dal suo racconto la scrittura del Piccolo Teatro di Bolzano, precisiamo ora che nel 1957 recita  nel “Faust” di Goethe, con  Benassi, in seguito in  “Re Lear” di Shakespeare, con Annibale Ninchi.

Dopo la prima svolta con l’insegnamento  del 1964  e la personale “Gente di Ciociaria” del 1967 vince un concorso nazionale dell’I.S.E.S. per un pannello decorativo in una scuola media calabrese nel 1970; seguiranno altri premi. Ma prima di citarli  un rapido excursus sulle mostre in cui sono state presentate le sue opere in un lungo  e intenso itinerario artistico, circa 45  personali e 80 collettive, ed è tutto dire!..

La prima importante personale è a Roma, nel 1973, alla galleria d’Arte Pantheon, presentata in catalogo da Vito Apoleo; nel 1984  figura nel catalogo Nazionale d’Arte Moderna Bolaffi, presentata da Duilio Morosini tra i pittori italiani meritevoli di segnalazione. Nel 1989 la mostra antologica delle  sue opere dal 1967 al 1989 organizzata a Macerata, nella chiesa di San Paolo, dai Musei Comunali, la Pinacoteca e il Comune, un altro catalogo presentato da Mario Verdone con il titolo “Frammenti nel tempo e nello spazio”.

Con Mario Verdone il primo a sin.

Gli anni ‘90

Iniziano gli anni ’90, con un video di 31’ di Teleromacine sulla sua opera,  regista Pino Passalacqua,  classificatosi al terzo posto al III Festival “Cinema e Arte” promosso dall’Ente dello Spettacolo nel 1990. Le mostre si susseguono a ritmo incessante. Nel 1991 l’antologica “Lina Passalacqua: un autoritratto”  nelle sale dl Palio nel Palazzo comunale di Acquaviva Picena, e, nello stesso anno, serata in suo onore .promossa dall’Ente dello Spettacolo per il IV Festival “Cinema e Arte”; nel 1992  antologica dell’Ente dello Spettacolo, al centro S. Luigi di Francia, un’antologica, le cui opere seguono i percorsi segnalati dal documentario televisivo; nel 1993 personale dal titolo “Dalla parola al segno” a cura della Repubblica di San Marino; .

Nel 1993 il Museo di Stato e il Dicastero alla Cultura della Repubblica di San Marino le organizzano una personale dal titolo “Dalla parola al segno”. Si passa al 1996, con l’invito al  XXIII Premio Sulmona, presentata nel catalogo da C. Fabrizio Carli che la presenta anche nel 1998 nel catalogo per la mostra “Vele”, il suo iniziale ciclo pittorico,  a Roma,  allo Studio S, diretto da Carmine Siniscalco; nell’anno espone anche nella mostra di Palermo “Palme d’artista”, Museo dell’Orto Botanico,  e alla mostra “Mail Art”, Museo Internazionale dell’Immagine Postale.  Torna la sequenza annuale, nel 1999 il  ciclo pittorico “Vele” è esposto a Siena, nella Cripta delle Statue del Duomo, e sue opere sono esposte alla mostra “Palme al Sangallo”, organizzata dal Comune di Nettuno in provincia di Roma.

Voli, Terra: “Vita”, 2002

Il primo decennio degli anni 2000

Siamo nel 2000, le mostre accelerano la loro cadenza, diventa  più che annuale. Subito l’invito a partecipare  all’”International Forum for a Culture of Peace by MediterraneanWomen Creators” ai Rodi, con  il patrocinio dell’Unesco; poi, a settembre, l’invito dell’università di Napoli Federico II a partecipare alla mostra “Le palme tra botanica e arte” presso il locale Orto Botanico e, a dicembre, la presentazione a  Pieve di Cento (Bologna) del  V° volume di Giorgio di Genova « Storia dell’Arte Italiana del 1900 – Generazioni anni ‘30 » dove viene inserita anche la sua figura.

Nel 2001 è invitata alla grande mostra “Generazioni anni ‘30”  nel Museo d’Arte delle generazioni italiane del ‘900 G. Bargellini di Pieve di Cento, presso Bologna.  L’anno dopo una sua opera è inserita nel libro di  De Micheli e De Santis “Palma Palmae”, mentre nella rivista “Inoltre” va  un suo collage intitolato “Costellazione Pace”  creato da lei appositamente come  simbolo del dialogo tra le culture ebraica e musulmana e presentato  nel mese di settembre a Rodi al 2° “International Forum for a Culture of Peace by Mediterranean Women Creators”; siamo ancora nel 2002,  con l’invito alla mostra “Cleopatra, da Michelangelo all’arte contemporanea, ” allo Studio S. Arte Contemporanea di Roma. Nel 2003 troviamo sue opere al Palais des Artes di Alessandria di Egitto e al Centre of Arts Akhnatoon al  Cairo in Egitto, mentre  Renato Civello la inserisce nel libro “Artisti del ‘900 a Roma ”, con Pittori e Scultori che hanno segnato un’epoca.

Con Enzo Benedetto, nel 1992

Ed ecco le sue opere  nel 2004 al Museo Shirvanshakh a Baku, Azerbaijan, mentre viene invitata dal FAM, di cui è membro dal 2002, a partecipare alla “2^ Esposizione del Piccolo Formato” nel Palazzo dell’Unesco in Libano e il critico Carlo Fabrizio Carli, che la seguiva dal 1996, la invita al Premio Nazionale di Pittura “Ferruccio Ferrazzi” a Sabaudia vicino Roma. La  cadenza annuale di importanti mostre internazionali prosegue nel 2005, quando viene invitata dal  FAM e dalla AVAA (Association desVillages des Ateliers d’Artistes) alla Mostra d’Arte Internazionale “Femme-Art-Mediterranee” a Casablanca in Marocco dal tema “Cultures Solidaires”, a cui partecipano trentotto paesi del Mediterraneo,  dall’ALTS alla 2^ Rassegna d’Arte Contemporanea “Immagini per un sogno”  a Castel dell’Ovo di Napoli e a Roma a Palazzo Medici. Altri inviti nel  2006, ad  aprile   dall’A.R.G.A.M  (Associazione Romana Gallerie Arte Moderna) per la mostra “Segnali di Primavera”  al Vittoriano di Roma e a maggio alla “Primaverile romana 2006” con una personale allo Studio S di Roma, nell’occasione  viene pubblicato un catalogo monografico dal titolo “Voli” con testi di Maria Teresa Benedetti, Fiammetta Jori e Carmine Siniscalco. Ancora, nello stesso 2006  è invitata dall’UFACSI (Union Féminine Artistique et culturelle – Salons Internationaux) a due esposizioni internazionali in Turchia al museo di Pittura e Scultura di Izmir in ottobre e al Centro Culturale Mevlana a Konya in dicembre, quando  riceve l’invito  alla 3^ edizione della Mostra Internazionale d’Arte Sacra “Venite Adoremus” a Roma nella Basilica di Santa Maria in Montesanto.

Altrettanto intensi gli ultimi tre anni del decennio iniziale del 3° millennio. Nel 2007 ancora l’’A.R.G.A.M. la invita alla  mostra “Salone di Primavera – Ricerca ed elogio della forma”, a  maggio è al Museo Venanzo Crocetti a Roma, mentre  il Comitato del Dipartimento di Pittura e Scultura del celebre Museo d’Arte Moderna di New York (MoMA)  la inserisce nel programma internazionale “Artists’ Viewing Program” (A.V.P.) per facilitare lo scambio tra curatori ed artisti a livello mondiale;  a settembre è invitata dall’UFACSI alla 74^ Esposizione Internazionale di Moulins – Yzeure in Francia nella Chapelle du Château de Bellevue.

Voli: “Costellazione della Pace”, 2002

A un anno intenso ne segue un altro altrettanto intenso. Nel 2008  la galleria Cortese e Lisanti di Roma la invita alla mostra “Donne d’arte – Freedom” per la celebrazione dell’8 marzo nel centenario della nascita del movimento e, nello stesso mese, il Comitato del Dipartimento di Pittura e Scultura del Guggenheim Museum di New York la inserisce nel programma internazionale “Artists’ Viewing Program” (A.V.P.) per facilitare lo scambio tra curatori ed artisti a livello mondiale; nel mese successivo, aprile, nuovo invito dell’A.R.G.A.M.  alla mostra “Primaverile 2008 – Prendere posizione” al museo Crocetti di Roma,e a maggio è invitata, dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali e dal Centro Studi Futurismo – Oggi, alla mostra “La continuità Futurista nel primo centenario” al complesso “I Dioscuri “al Quirinale,  mostra che prosegue  in agosto al Tempio Paleocristiano di Scala, Ravello,  nella  manifestazione “Scala incontra New York” per commemorare l’11i Settembre.

Il  2009 inizia con l’invito alla prestigiosa mostra “Futurismo nel suo centenario, la continuità”   alla Galleria del Palazzo Ducale di Cavallino, presso Lecce,  poi in marzo l’invito alla “V Triennale d’Arte Sacra Contemporanea” nel  Seminario Arcivescovile di Lecce, e propria mostra antologica di opere grafiche 1960-90 al 1° Liceo Artistico Ripetta di Roma nel Palazzo Camerale,  viene pubblicato un catalogo monografico dal titolo “ Flash” con testi di Renato Civello e Cinzia Folcarelli, la mostra è inserita nelle Celebrazioni del Centenario del Futurismo e del festival Modi e mondi del fare artistico; a  novembre, invito  alla “VI Biennale del libro d’Artista Citta’ di Cassino” nella Biblioteca Comunale Pietro Malatesta di Cassino, e a dicembre invito al “ Premio Internazionale Limen Arte, 2009” nel  Palazzo Comunale E. Gagliardi di Vibo Valentia. Siamo all’ultimo anno del primo decennio, nell’aprile 2010  Carmine Siniscalco la invita alla collettiva 11+1 x (1+1) +1, 11 Artisti presentati alla “VI Biennale del Libro d’Artista”  della Città di Cassino, nello Studio S – Arte Contemporanea di Roma; a settembre  Stefania Severi la invita alla mostra “Donna Oggi” nella Biblioteca Casanatense  di Roma e in  altre città.

Il taglio del nastro ad una inaugurazione

Il secondo decennio degli anni 2000

Inizia il secondo decennio, siamo nel 2011, a  febbraio è invitata da Carmine Siniscalco dello Studio-S di Roma alla mostra “S.O.S. Palma” Ventisei artisti al servizio della Società”. a maggio la troviamo  nella sezione storica della Biennale D’Arte di Lamezia Terme  a Palazzo Nicotera, e nella mostra internazionale del UFACSI  a Lefkosa – Chypre Nord, a giugno nella Biblioteca Casanatense di Roma, per i 150 anni   dell’Unità d’Italia  la sua mostra “Flash – grafiche 1960 1990”.  L’anno successivo, 2012, espone a alla mostra “Un’arte per la vita “ a cura di Carmine Siniscalco organizzata dall’A.R.G.A.M  e  la Comunità di Sant’Egidio al Museo Venanzo Crocetti  a Roma, offre  tre opere in comodato come  nucleo iniziale di un Museo permanente della Comunità di Sant’Egidio nella  Cripta di San Bartolomeo sull’isola Tiberina  a Roma; a dicembre ancora Carmine Siniscalco la invita alla mostra  Dalla dolce vita  alla vie en rose – Ventinove artisti…un fiore,un film e una canzone” allo Studio- S Arte Contemporanea di Roma.

Ed ecco, nell’aprile 2013,  sempre a Roma, al Vittoriano,  il suo ciclo “Le quattro stagioni” nella mostra curata da Maria Teresa Benedetti, che presenta anche il catalogo monografico sull’esposizione. Ad ottobre la mostra “Il libro: d’Arte e d’Artista”, a cura di Carmine Siniscalco,  al Museo di Cultura Urbana di Tel Aviv – Giaffa con un apposito catalogo, e la mostra “Percorsi d’Arte in Calabria”, al Museo Del Presente di Rende, presso Cosenza,  a cura di Enzo Le Pera. L’anno successivo è ancora più intenso in una sorta di escalation di impegni.  In aprile, siamo nel 2014, è invitata alla quarta edizione della “Biennale d’Arte Città di Lamezia Terme – Sezione Storica”, le viene conferito il premio  per i suoi 50 anni di pittura;  a maggio la mostra “Collage…Pittura Lina Passalacqua Ernesto Terlizzi”, a cura di Carmine Siniscalco allo Studio S – Arte Contemporanea di Roma, a ottobre mostra alla galleria Vittoria di Roma per la pubblicazione del libro “Percorsi d’Arte in Italia”, a cura di Enzo Le Pera; a novembre 2014  la mostra “Donna e Multiculturalità nell’Europa di oggi” a  S. Andrea al Quirinale – Teatro dei Dioscuri, organizzata da “L’altrosguardo – artisti associati”.

Voli, Aria: “Geometrie celesti”, 2003

Siamo  a metà del decennio,  nel gennaio 2015 due suoi dipinti degli anni ’60 sono inseriti nel volume con la  biografia di Carlo Alberto Petrucci di cui era stata allieva; a marzo la mostra “Cultura ovvero Food Art”  sul tema dell’Expo 2015 di Milano Nutrire il pianeta. Energia per la vita, a cura di Carmine Siniscalco allo Studio S – Arte Contemporanea di Roma; a  maggio eccola alla  rassegna d’Arte Contemporanea “La natura all’origine dell’arte: l’arte cibo per la mente” organizzata dal Museo Civico di Taverna, con opere della collezione permanente del museo; a settembre, invitata alla 42^ edizione del Premio Sulmona, Rassegna Internazionale di Arte Contemporanea, presidente di giuria Vittorio Sgarbi; a novembre. la mostra “Vissi d’Arte……l’opera lirica, gli artisti, la scuola” a cura di Roberta Filippi e Laura Monachesi, organizzata dal Centro Internazionale Antinoo per l’Arte Marguerite Yourcenar, presso Villa Mondragone, Roma; a dicembre, invitata alla mostra “Strutture infinite di luce. Omaggio a Francesco Guerrieri” a cura di Teodolinda Coltellaro presso il Centro per l’Arte Contemporanea Open Space, Catanzaro, e al Premio Internazionale Limen Arte 2015,  VII edizione nella sezione Maestri di Calabria, a cura di Enzo Le Pera nel complesso Valentianum a Vibo Valentia.

Nel 2016,  a novembre  Carlo Fabrizio Carli la invita alla 43esima edizione del Premio Sulmona, rassegna internazionale di Arte Contemporanea, presidente della giuria Vittorio Sgarbi. Siamo giunti al 2017, a settembre si inaugura, nel Museo del Presente di Rende, Cosenza,  la sala permanente dei Futuristi Calabresi: U. Boccioni, A. Marasco, L. Repaci, A. Yaria, E. Benedetto, G. Tedeschi, A. Savelli, M. Berardelli, S. Lotti, L. Passalacqua, S. Locelso, a cura di Vittorio Cappelli e Gianluca Covelli, partecipa con dodici opere; a dicembre, a Roma, al  Vittoriano, mostra antologica con il catalogo monografico “Cosmico Dinamismo”a cura di  Carlo Fabrizio Carli, dei suoi 60 anni di attività artistica con l’ultimo ciclo pittorico “Fiabe e leggende”. Nel 2018 mostra alla galleria d’arte Il Mitreo – Arte Contemporanea di Roma per la pubblicazione del  volume “Percorsi d’Arte in Italia 2018”, in cui è inserita anche la sua figura.

“Premio Sulmona alla carriera”, nel 2018

E’ un anno  quasi di … riposo ma subito riprende il ritmo incalzante di impegni. Nel 2019 a  settembre Carlo Fabrizio Carli la invita alla 45^ edizione del Premio Sulmona, Rassegna Internazionale di Arti Visive “Gaetano Pallozzi”, presidente di giuria Vittorio Sgarbi, a ottobre il Premio speciale alla carriera; a luglio invitata dal Centro Internazionale Antinoo per l’Arte alla mostra “Vissi d’Arte…l’Opera Lirica, gli Artisti, la Scuola” al Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro del Pio Sodalizio dei Piceni, a Roma; a ottobre la mostra “Focus sull’Arte in Calabria“, presso il Museo dei Brettii e degli Enotri di  Cosenza; a  novembre la mostra “Artisti Italiani e i NuoviTempi” al Prom Kultury, Varsavia.

Nell’anno finale del decennio, il 2020,  invito da parte della associazione culturale “In Tempo” alla  mostra virtuale: “2020- Tempo di Diari. Accade”,  vi partecipa con la sua opera dal titolo evocativo “Dalle tenebre alla Luce  2020″ in piena pandemia; a giugno altra  mostra virtuale “Domani In Arte, Galleria d’Arte Moderna Roma”, anche qui evocativo, date le restrizioni per combattere il Covid, espone “Volerò come un gabbiano” ad agosto Ida Mitrano la invita alla mostra “Un mosaico per Tornareccio, 16 artisti in gara per arricchire il Borgo Museo” 12^ edizione, nel comune di Tornareccio; ad agosto altra mostra virtuale “Sztuka w czasach zarazy / art in the time of plague / l’arte nei tempi dell’epidemia,  curatore: Małgorzata Wrześniak, oltre “Dalle tenebre alla luce, 2020″ espone  “Insieme, 2020″, sempre evocativa.  

Le quattro stagioni, Estate: “I girasoli“, 2011

Gli anni più recenti, 2021-2024, e alcuni prestigiosi riconoscimenti

Ed eccoci nell’ultimo periodo. Nel settembre 2021,  invitata dal Centro Internazionale “Antinoo per l’Arte”, Centro Documentazione Marguerite Yourcenar alla mostra “Vissi d’Arte…l’opera lirica, gli artisti, la scuola” piccola pinacoteca, Aquileia; a cura di Laura Monachesi, espone l’opera “Casta Diva (dalla Norma di V. Bellini), 2018″, sempre in carattere con le circostanze che la ispirano. A luglio 2022 invitata ancora dal Centro Internazionale “Antinoo per l’Arte” alla mostra “Vissi d’Arte…l’opera lirica” a cura di Carla Mazzoni,  alla galleria-caffè letterario del Sansi, Spoleto, all’opera ispirata alla “Norma” di Bellini aggiunge “Le belle forme disciogliea dai veli (dalla Tosca di G. Puccini)″; in tale occasione viene premiata.  

Nell’aprile 2023 invitata sempre dal Centro Internazionale “Antinoo per l’Arte” alla mostra “…se volessimo ancora tentare di salvare la Terra” a cura di Laura Monachesi e Michele Amici  alla Nuvola di Fuksas, s Roma, in occasione dell’ Earth Day, espone le opere “Addii, 2002″ e “Albero, 2011″. in carattere con il tema.

Sono state  circa  45 le mostre personali e ben 120 le mostre collettive,  in Italia e all’estero, nel lungo percorso iniziato negli anni ’60 e non sono mancati prestigiosi  riconoscimenti .

Un momento di condivisione artistica

Abbiamo ricordato il primo premio conferitole  nel 1970 per il Pannello decorativo nella scuola media calabrese, è seguita nel 1973 la vittoria nel  Concorso nazionale del  Comune di Roma per due pannelli decorativi di cm 200×130, ognuno, sempre per una scuola, questa volta la scuola elementare romana Fabio Filzi..

Dei riconoscimenti successivi vogliamo citare il premio “Città di Pizzo” del 1998, con la motivazione che ” Lina Passalacqua è una delle pochissime figure femminili del Secondo Futurismo, la cui opera andrà storicizzata nelle successioni del movimento”, .e la medaglia del Presidente della Repubblica in occasione del premio “Città di Pizzo” del 2008 con la motivazione che “Lina Passalacqua rappresenta una delle più illustri continuità del linguaggio futurista”.

L’anno successivo, nel  febbraio 2009 il Premio per il Neofuturismo nella categoria Pittura Storica alla Biennale d’Arte di Lamezia Terme, nel 2014, alla Biennale d’Arte Città di Lamezia Terme-Sezione Storica   il Premio Verrino per i suoi 50 anni di pittura. .

Segue nell’ottobre 2019 il “Premio speciale alla carriera” in occasione del Premio Sulmona e, nel luglio 2022, .alla a 65^ edizione del Festival dei Due Mondi , il Premio Internazionale Spoleto Art Festival alla Carriera per “le importanti attività che ha svolto, e svolge, nel campo della cultura e dell’arte“.. A  novembre 2023 l’incontro  per il suo 90* compleanno alla Galleria d’Arte Moderna di Roma con la prima del  documentario su di lei, del quale abbiamo dato conto ampiamente nella prima parte di questo scritto. Come nel gioco dell’oca siamo tornati così all’inizio.

Fiabe e leggende: “La Fata turchina“, 2017

Conclusioni

Non è finita l’interminabile serie di mostre ed eventi culturali che l’hanno vista protagonista. I suoi “secondi novant’anni”  sono appena iniziati ed ecco la nuova mostra romana dal 1° marzo 2024 “Io… e il mare” che può sorprendere soltanto chi non conosce Lina Passalacqua;  ma forse non ne sarà sorpreso chi avrà avuto la pazienza di leggere  il nostro  excursus – evocativo di una lunga vita dedita all’arte con una forte componente di impegno umano e civile –  reso interminabile dalle sue inarrestabili  partecipazioni ad eventi artistici in Italia e all’estero alimentate dalla sua inesauribile creatività artistica e sorrette da una  incontenibile energia. Non si può che farle gli auguri più fervidi.

Ma non ci fermiamo qui, dopo questa carrellata sulle infinite  mostre e su alcuni prestigiosi riconoscimenti,  non possiamo esimerci dal fornire una carrellata altrettanto evocativa sulla sua arte. Rievocheremo due sue importanti mostre personali al Vittoriano, “Le quattro stagioni” e l’antologica  “Miti e leggende”,  e la partecipazione a due significative mostre collettive, più l’adesione a un “Manifesto per l’arte” che qualifica ulteriormente la sua caratura e il suo impegno. Lo . faremo prossimamente e molto presto in questo sito.  

L’artista al Liceo artistico di Roma vicino a una “Nike”

Info

Galleria d’Arte Moderna, Roma, via Francesco Crispi. I successivi due articoli sulla artista, anch’essi con 21 immagini ciascuno, usciranno in questo sito martedì 5 e sabato 9 marzo 2024. Cataloghi di mostre di Lina Passalacqua: “Cosmico dinamismo”, a cura di Carlo Fabrizio Carli, Gangemi Editore International, dicembre 2017, pp.144, formato  21 x 30; “Le quattro stagioni”, Gangemi Editore, aprile 2013, pp. 64, formato 21 x 29,5; “Voli”, Studio S – Arte contemporanea, pp. 64, formato 21 x 29,5; “Flash”,  Società Editrice Romana, marzo 2009, pp.103, formato 21 x 29,5. Cfr. i nostri precedenti articoli, in questo sito, sull’artista: “Manifesto per l’arte, con una mostra degli artisti firmatari” 3 aprile 2020, “Passalacqua, fiabe e leggende nell’antologica al Vittoriano”; 10 gennaio 2018, “Passalacqua, le quattro stagioni, al Vittoriano”, 25 aprile 2013, “Collage-Pittura, Passalacqua e Terlizzi allo Studio S di Roma” 28 maggio 2014, “Food Art. Coltura e cultura, cibo di corpo, intelletto e anima” 1° aprile 2015, inoltre, cfr., i nostri articoli del 2009, nel centenario, sulla  Mostra del Futurismo a Roma, 30 aprile, “A Giulianova un ferragosto futurista” 1° settembre, “Futurismo presente” 3 dicembre; su Wharol, citato, 15, 22 settembre 2014.

Arte sacra: “Calvario oggi”, 1986

Foto

Le immagini sono tratte dal sito www.linapassalacqua.com, in cui sono ordinate per i sngoli cicli, si ringrazia in particolare l’artista per l’opportunità offerta. Sono alternate fotografie di alcuni momenti dell’artista con personaggi e amici e a mostre, ad immagini delle opere rappresentative dei diversi cicli articstici iniziando dai primi fino ai più recenti; altre immagini sui diversi cicli saranno inserite nei duie successivi articoli, con 21 immagini ciascuno, in particolare su “Le quattro stagioni” nel secondo articolo e su “Fiabe e leggende”, “Io e il mare” nel terzo articolo. In apertura, Locandina della manifestazione per i 90 anni e Gente di Ciociaria: “Madre e figlia” 1967; seguono, Con John Dos Passos, a Roma nel 1963, e Flash: “La Diva” 1973; poi, Con Antonio Marasco a Roma alla Galleria d’Arte Pantheon nel 2015, e Ritratti: “Ritrattodi Katia Luise” 1991; quindi, con Charles Aznavour e Pino Passalacqua nel 1990, e Vele: “Vele sul Nilo” , 1998; inoltre, con Mario Verdone il primo a sin., e Terra: “Vita” 2002; ancora, con Enzo Benedetto nel 1992, e Voli: “Costellazione della Pace” 2002; continua, Il taglio del nastro ad una inaugurazione, e Aria: “Geometrie celesti” 2003; prosegue, “Premio Sulmona alla carriera” nel 2018, e Le quattro stagioni, Estate: “I girasoli” 2011 ; poi, Un momento di condivisione artistica, e Fiabe e leggende, “La Fata turchina” 2017; infine, L’artista al Liceo artistico di Roma vicino a una “Nike”, e Arte sacra: “Calvario oggi” 1986; in chiusura, Io e il mare: “Le onde anomale della vita” 2022.

Io e il mare: “Le onde anomale della vita“, 2022

Ritratti di poesia, 16^, 3. Altri 12 poeti nella “maratona”, fino alla”Altalena con Faber”

di Romano Maria Levante

Nei due articoli precedenti abbiano dato conto della mattinata e parte del pomeriggio  sella 16^ Edizione dei “Ritratti di poesia”, iniziando nel  primo articolo da “Caro Poeta” , con gli studenti di tre licei di Roma, consueta apertura  seguita dalle nuove iniziative editoriali, dalle Premiazioni  per poesie  a livello dei “social” di 280 battute, per l’”opera prima” da stampare, culminate nei due Premi a livello nazionale e internazionale consegnati da Emmanuele F.M. Emanuele, l’ideatore e realizzatore delle 16 edizioni, il quale ha poi aperto la sezione “Di penna in penna”  presentando il suo nuovo libro di poesie “Versi in cammino”. Nel secondo articolo la sfilata di poeti italiani nelle sezioni “Di penna in penna” e di poeti stranieri nelle sezioni “Poesia sconfinata”, con una parentesi fotografica di notevole valore  come denuncia dell’oppressione sulle donne iraniane e afghane resa da immagini che l’hanno testimoniata e fatta sentire in un modo visivo quanto mai efficace. In questo articolo conclusivo la sfilata di poeti italiani e stranieri continua, fino alla poesia in musica di Fabrizio De Andrè e Pilar Patassini resa in una “altalena “ coinvolgente nel concerto di chiusura.

Un momento della manifestazione, un’immagine della sala

La sfilata finale di poeti inizia – come abbiamo preannunciato a chusura del precedente articolo -con la  nostra conterranea di Teramo Mariagiorgia Ulbar,  nella 5^ parte  di “Di penna in penna”. Docente e traduttrice da tedesco e inglese, è del 1999 il suo primo libro di poesie, del 2012 la raccolta “I fiori dolci e le foglie velenose”, e la silloge “Su pietre tagliate e smosse” nell’11° Quaderno italiano di poesia contemporanea. Fondatrice della collana “Isola”  che unisce poesie e illustrazioni, collegamento presente anche nell’iniziativa “on line” di poesia e fotografia “Il tempo qui non vale niente”. Nel 2015 vincitrice del Premio Dessì con “Gli eroi sono eroi” e finalista nel premio Metauro. Le sue poesie sono ambientate in luoghi conosciuti o soltanto visti con l’immaginazione, spesso è presente il mare e gli oggetti che porta. I suoi versi raccontano di luoghi visitati o solo immaginati, con percorsi al limite di un confine o un abisso, la sua è stata definita “speleologia della parola e del ricordo”.  Interessante ciò che pensa della traduzione poetica comune a tanti poeti presentati oggi: considera il lavoro di traduzione “un’officina di poesia” perché le dà ispirazione, “passare da una lingua a un’altra è un movimento che alimenta il pensiero e ne accelera il ritmo”, e le lingue anglosassoni delle sue traduzioni influenzano anche la sintassi dei propri versi.  Ecco la sua poesia inedita “Medusa”: “Quando nacqui questo fu/e non si vedeva/ un pesce di tentacoli, medusa/ al centro dell’abisso e tocca altro/ teste e silicio sulle spiagge/ spalle, caviglie e si attorciglia/ fili lunghi, elettrici, urticanti/ addosso un colore trasparente/ lucido è il niente/ la fine sa di sale e di granelli/ infine il sole tutto secca./ Mi tocca ora la risacca/ tutto è fermo in un momento/ e brilla/ la notte quando cade poi sigilla”.

“Di penna in penna” 5^, Mariagiorgia Ulbar

La testimonianza di Emillio Isgrò, cancellare l’inutile.

Ed ora passiamo alla “Scrittura e cancellatura” di Emilio Isgrò,  che ci  è parso un vero evento per il suo contenuto insolito e la passione con cui è stata fornita un testimonianza pressoché inedita. L’artista non può essere presente di persona per lo sciopero dei treni,  ma è come se lo fosse per il perfetto collegamento video in una lunga conversazione in diretta con Mascolo. E’ giornalista, scrittore e drammaturgo, pittore e artista, sottolinea Mascolo, e gli chiede cosa  sente di più di essere. Riferendosi alle proprie  celebri cancellature, Isgrò risponde che essendosi occupato della parola umana per tutta la vita si sente poeta, e la parola l’ha considerata in tutte le sue forme anche visive con dei paradossi che ama da siciliano.

“Scrittura e cancellatura”, Emilio Isgrò in collegamento con Mascolo

Partito con una valigia carica di poesie, come mai si è dedicato all’arte?  Lo spiega così. Alla metà degli anni ’70, era molto giovane,  a Venezia sbarcò la Pop art con una immagine del mondo di tipo visivo e sacrificava la parola, lui nato nel Mediterraneo, terra del “logos” cioè della  parola, si preoccupò di questa invasione sapendo che gli americani avevano tratto una lezione da contadini analfabeti calabresi, siciliani, veneti diventando nazione con i fumetti e il cinema; il cinema hollywoodiano lo preoccupava maggiormente perché vedeva sacrificata anche la lingua di Shakespeare. Allora, temendo che questa involuzione si estendesse a tutto il pianeta, pensò di ripristinare le forze che danno valore alla parola continuando a scrivere di notte e a cancellare di giorno, come faceva Penelope con la sua tela.

Naturale la richiesta di Mascolo sul significato della cancellatura, “cancella o vitalizza la parola?”  “Serve a far capire il valore della parola umana”, risponde, “senza la quale non c’è un pensiero degno di questo nome”, non ci sarebbe stata la cultura dei greci e neppure il nostro Rinascimento, e cita Michelangelo che considera un grande poeta del ‘500 anche se la grandezza di scultore ha oscurato quella di poeta. Ricorda che  la poesia ermetica  aveva fatto smarrire la grande musica della parola italiana, “in un impeto atonale di per sé pregevole”, ma Montale era tutt’altro che atonale, nell’800 la parola italiana conquistò il mondo con il melodramma. “Una poesia che manca di appartenenza non serve a nessuno, anche se poeta e artista sono cittadini del mondo. Bisogna tornare alla grande tradizione del passato per  guardare lontano e riequilibrare rispetto agli ultimi 50 anni nei quali ha prevalso la cultura anglosassone”.

“Poesia sconfinata” 4^, Katarina Frostenson

Sui motivi alla base delle sue celebri “ cancellature” confida di averlo fatto perché in questo modo faceva saltare i codici della comunicazione, e consentiva il superamento delle avanguardie degli anni ‘70  che considerava come un limite. Nel documentario su di lui, “Cancellare l’inutile” – osserva Mascolo – “forse la mano cancella per scrivere il vero, così la cancellatura diventa ricerca della verità?”.  Isgrò risponde che piuttosto che la verità – sarebbe troppo – c’è la ricerca dell’autenticità umana  perché la poesia non può dare la verità – e non possono farlo neppure filosofia  e scienza – ma ha il compito di fare le domande che pochi pongono. La sua poesia si è espressa nelle forme diverse della sua arte, tuttavia il suo recente libro di poesie cerca di recuperare la tradizione, sceglie il sonetto non in chiave nostalgica bensì per fermare la china in cui si trova la poesia.

Isgrò è irrefrenabile, visibilmente felice di sfogare quanto sente dentro di sé e ha dovuto reprimere, la maratona poetica è stata un’occasione unica e non manca di esprimere il suo forte apprezzamento. Aggiunge che il poeta viene messo all’angolo oggi in Italia, per un eccesso di specializzazione dell’editoria e per problemi di mercato, e il mercato non è tutto, mentre all’estero in grandi paesi la poesia è amata non meno dei romanzi. Un insegnamento per i giovani, è non cercare di compiacere il pubblico che delle volte ama le sofisticherie.

Luis Garcia Montero

Legge alcuni sonetti dal suo libro, definito “di avanguardia” mentre lui detesta le avanguardie, un altro paradosso come la sua identitaria “cancellazione” delle parole per valorizzarle, come la sua confidenza “mi sono bendato una notte per vedere cosa succede al buio”, nella notte che attraversiamo con la pandemia, le guerre, i disastri economici, il razzismo in varie forme, la mancanza di prospettive. Ha detto che “si sente poeta” anche se ha preso altre strade come artista, Ebbene, senza presunzione ma con autentica convinzione possiamo dire che “è poeta”. Dal suo “Si’ alla notte”, 2022, la parte centrale della poesia “Parti di me”: “”… Non dirmi che la notte/ è cominciata quando non dormivo/ stremato dal rimpianto e dalle lotte// del nulla contro il nulla -perchè vivo/ in una culla e ormai si sono rotte/ parti di me che scarto o non arrivo/ a prendere. Dovrei dirmi prima/ ch’ero squmato da un’altra Hiroshima.”

Dopo l’appassionata testimonianza di Isgrò, divenuta un’orazione in omaggio alla poesia, tornano i poeti stranieri con la 4^ parte della “Poesia sconfinata”, la svedese Katarina Frostenson  è presentata da Paolo Ruffilli  che ha scritto la Prefazione del suo libro in italiano. La sua è una poesia del Nord legata agli archetipi nordici come la luce, una luce molto diversa dalla nostra,  una luce radente fatta anche di molte ombre che –  come diceva Goethe – crea una dimensione particolare prima e dopo l’aurora boreale, un’atmosfera celestina in cui la visione si scatena; l’altro archetipo del Nord è il bosco con i suoi alberi fitti. C’è del dramma che si cerca di contenere nella sua poesia, permeata di dolore, la traduzione può renderne il contenuto ma non la potenza originale fatta di una musica che è un fattore importante non solo perché si “sente”: lei stessa la nomina, e perfino i morti ce la fanno sentire da dove sono in un congiunzione arcana. In una poesia due raggi si incontrano e producono una dolce melodia musicale. La poesia inedita “Pettirosso”, traduzione  di Enzo Tozzo: “Quando sbocciò la rosa,/ Presto quando dormivamo/ L’uccello dal petto rosso/ passò/ estrae le spine, secondo la leggenda/ dici/ guardami/ felicità/ è un momento e più/ che cos’è d’improvviso/ – dico sempre d’improvviso/ dici/ Sì d’improvviso è la mia parola/ dico io e sono – se si rilegge Il cammino dell’uomo/  d’improvviso si ama di nuovo/ ciò che avviene è la sola meraviglia/ accade da se stessa”.

“Di penna in penna” 6^, Gianni d’Elia

Dalla Svezia alla Spagna con Luis Garcia Montero, introdotto dalla traduttrice Marisa Martinez Persico,  sono passati 40 anni dal suo “Manifesto sentimentale” del 1984 che segue la Costituzione del 1978, in una transizione durata fino al 1992. Con la fine della dittatura occorreva ricostituire la dignità anche sul piano sentimentale e umano, questo il suo impegno nella sincerità superando ogni finzione e messa in scena. Nella moderna società industrializzata l’utilitarismo occupa il maggiore spazio, quello che conta è l’utilità immediata, e allora il poco spazio che resta deve essere occupato dalla poesia, a questo mirava il Manifesto. Come professore universitario di letteratura spagnola veniva chiamato Poeta-professore, poi da direttore di Istituto culturale era chiamato Poeta- direttore, osserva con compiaciuto humor, comunque al di là di quella che può sembrare una battuta il contatto quotidiano con la lingua porta  a valorizzarla perché trasmette l’identità non solo in senso geografico ma come  espressione di libertà che non è data dall’intrattenimento dei siti “social” e tanto meno dal discorso univoco senza senso critico. Da “ No puedes ser asi (breve storia del mondo)”, 2021, la poesia “Prometeo”, inedita in Italia, traduzione di Loretta Frattale, seconda parte: “ Come tutti i giorni,/ dopo aver ricevuto notizie dalle fabbriche,/ dal fronte di battaglia./ dai laboratori, le alcove clandestine/ e le chiamate telefoniche,/ si avvicinò al fuoco,/ lo sguardo fisso contro le fiamme,/ e affermò di nuovo, lentamente,/ speriamo, continuiamo, ancora una volta”.

Annalisa Mainstretta

La 6^ parte di “Di penna in penna” vede il celebre poeta Elio Pecora presentare in successione tre poeti. Il primo è Gianni d’Elia, del quale sottolinea due grandi riferimenti, Leopardi e poi Pasolini per il quale oltre alla poesia ha prestato attenzione al suo impegno morale e alla sua inquietudine. Il libro del 2020 “Il suon di lei”, con il verso leopardiano per titolo, rimanda alla fine di una stagione, quale?  gli chiede Pecora:  “Leopardi  si riferisce alle stagioni passate ma poi si richiama al suono della stagione presente”. Che turba l’autore, perché il suo è un libro di affetti, ma è anche un libro impegnato. E qui la seconda domanda su quanta necessità ci sia oggi di una poesia con impegno civile, mentre è divenuta quasi prosa che riflette un mondo più largo con tutti i grandi problemi e si avvicina a un futuro di cui non sappiamo nulla; e se un simile impegno  è presente o lui si sente isolato in questa battaglia. D’Elia risponde che ci si trova senza cittadinanza, l’impegno lascia il passo a qualcosa che si riassume nelle parole “tristezza e collera, i nostri marchi civili in una tremenda impotenza. Siamo passati dal Cantico dei cantici all’Apocalisse con la pandemia, le guerre e la violenza dilagante”. Troviamo la poesia diffusa in modo semplice anche in forma di  canzone d’autore, perché la canzone ha bisogno di parole che la poesia dovrebbe dare in modo diverso, come la canzone non riesce a fare. Ha scritto anche testi per canzoni,  ma i cantautori non li sente vicini ai poeti. Leopardi lamentava “la  funesta separazione della poesia dalla musica, del poeta dal lirico ed è un male, io canto la mia musica … “ conclude.  Da “Il suon di lei”, 2020,  la prima parte e il finale della poesia  “Al vivente Vincent”: “Se inclini la testa e l’occhio avvicini/  Seduto su uno scoglio alla distesa/ Come un bimbo stupito che s’inchini/ Verso l’acqua che bolle in verde ascesa// Vedrai srotolarsi in trecce sublimi/ come una gioia spumante e inattesa/  Le onde fiorenti dai cieli nativi/ Ribollenti e schiumanti fino alla resa.// … Frusciando un rombo per pennelli chini/ Dentro un’eterna mutilante attesa”.

Silvio Ramat a dx, con Elio Pecora

Annalisa Mainstretta   viene presentata da  Pecora  subito dopo come poetessa che parla di eventi anche vicini, molto forti, quindi non di normale quotidianità, e li porta nella poesia, “in quell’altrove dove c’è la distanza nell’indeterminatezza della poesia in senso leopardiano ampliando la parola  per vedere cosa c’è dietro la parola. La poesia non è dentro ma dietro le parole, cariche di tanto altro che il lettore sente, vede, amplia, e si pone delle domande” – aggiunge Pecora – la poesia della Mainstretta  “è fatta di moti d’animo, di emozioni e finisce per accompagnarci”. Alla domanda sulla femminilità della poesia, la poetessa conviene che non ci sono generi maschile e femminile, anche se nelle donne si avverte la gentilezza e la grazia, negli uomino il vigore e la vigilanza.   Vengono citate 3 raccolte, “ Il sole visto di lato”, “Gli occhi delle stagioni”, e “La dolce manodopera” del  2006, da quest’ultima la parte iniziale e il finale di una poesia senza titolo: “ Ecco come entrano i campi nel sole/ come entrano lunghi filari di pioppi nel sole/ esponendosi in silenzio,  coi rami nudi./  Questi rami allungati nell’aria/ hanno sentito tutto il gelo di gennaio,/  adesso sono dentro questo sole/  e in ogni albero, silenziosa, si svolge una festa di primavera.// … Noi vediamo ancora rami secchi, alberi spogli/ e silenzio. Così ci dice la gioia”.

“Poesia sconfinata” 5^, Doris Kareva

E’ la volta di Silvio Ramat,  docente a Padova di letteratura contemporanea, Pecora parla del suo libro di poesie più recente, nel quale in una poesia sul mondo in cui viviamo descrive un giardino con tante piante, una scivola via, è un fiore di  loto inservibile rifiutato anche dagli uccelli. C’è un merlo  che vola leggero, “la poesia compone una costruzione, è il racconto di una emozione, un pensiero su un evento che dà alla parola una precisa identità, è una parola densa che nasconde tante altre parole, Calvino scriveva che la poesia è un  imbuto attraverso cui deve passare il mondo”. Dopo queste osservazioni, Pecora gli  chiede cosa pensa della tradizione della poesia italiana, del ceppo italiano, se ne sente la presenza? Ramat risponde che la sua poesia ha alle spalle questa grande tradizione e non ritiene possibile che non sia così, c’è una musica poetica, un ritmo che non nasce da sé ma da quanto si è accumulato.  In Sardegna in un incontro gli è stato detto “lei è la tradizione..”, si è sentito inorgoglito di essere considerato il portatore  di una tradizione come la nostra. Da  “Le chiavi del giorno”, 2022, l’intera poesia “Un rio sottile”: “Tra il non dimenticare e il ricordare/ come un rio sottile dove una barca/ leggera, senza più vela né remi,/ va lenta, incerta se una chiusa, presto/ le sbarrerà la via o se queste acque/ avranno sbocco in un più largo fiume./  A bordo non un’ombra di pilota. / Tutto è rimesso alla grazia del vento”.

Dimitris Lyacos

La 5^ e ultima parte di “Poesia sconfinata”  ci fa conoscere Doris Kareva, con la traduttrrice Erminia Caccese, presentata da Mascolo come una delle più importanti poetesse dell’Estonia, ha pubblicato 20 volumi di poesie e  saggi, ha tradotto, scritto per il teatro, in Italia è presente attraverso le traduzioni ed edizioni di Piera Mattei, si parla del libro “L’ombra del tempo”, l’ unico in Italiano, è in preparazione una antologia di poesie. Alla domanda di Mascolo “qual è il suo rapporto con l’Italia” risponde che il nostro paese è stata una grande fonte di ispirazione, anche perché lei ha collaborato con diversi italiani ed ha avuto un rapporto molto proficuo con Piera Mattei; alla nuova domanda  “come ha inciso sulla sua poesia il proprio paese con tante isole, laghi e soprattutto acqua”  ha mostrato il retro del vestito con l’immagine del suo paese circondato dall’acqua, una risposta eloquente che conferma a parole. Da “L’ombra del tempo”, 2011, l’intera poesia “Ciò di cui hai bisogno viene da te”: “Ciò di cui hai bisogno viene da te/ in una o altra forma velata./  Quando tu lo riconosci/ diventa tuo.// Ciò che vuoi verrà a te/ E ti riconoscerà e diventerà parte di te./ Respira, conta fino a dieci.// Ne saprai il costo più tardi”.

“Di penna in penna” 7^, Filippo Davoli

Chiude la poesia internazionale il greco Dimitris Lyacos  con la traduttrice della casa editrice “Il Saggiatore”, Viviana Sebastio. Lo presenta come drammaturgo candidato al Nobel della letteratura per una sua opera tradotta in oltre 20 lingue, che si può definire  “un working progress in divenire”, ha preso forma gradualmente con cambiamenti “in itinere” anche nel corso della traduzione.  Non legge dalla sua “trilogia” poetica ma da quello che chiama “libro n. 0”. Al festival del Saggiatore ha parlato della scrittura legata alla nostra oralità, ricorda Omero non come solitario ma come chi esprime la stratificazione dell’opera omerica, fa un passo indietro e legge “prima che la vittima  diventi nostra”: si è risvegliato alle 5 del mattino,  ancora a notte fonda, non  si è fatto giorno, non filtra la luce,  non sente voci, né rumori di automobili, sente soltanto se stesso come se gli parlasse nel sonno dicendo: “E’ notte, svegliati, non puoi vedermi nel buio,  alzati perché ormai mi senti, ascoltami,  sei solo nel cuore della notte, devi solo alzarti, alzati e vestiti, lascia che gli altri dormano, hai una lunga strada davanti finché sei ancora solo, non avrai paura, davanti hai un nuovo giorno di cui non sai nulla, avrai una compagnia …”. Da “La prima morte”, in “Poema Damni”. la parte centrale di una poesia identificata con “III”: “Eserciti di morti che sussurrano senza posa/ in un cimitero smisurato, dentro di te/  e non puoi più parlare, anneghi/ e quel dolore familiare lambisce/ vie d’uscita nel corpo inaccessibile/ ora non puoi più camminare/ ti trascini, lì dove l’oscurità si fa più densa/ più tenera…”.

Emanuele Franceschetti

Termina anche  di “Di penna in penna”, con la 7^ e ultima parte di poesia italiana, in collegamento con Filippo Davoli, poeta  marchigiano  che dirige una collana di saggistica e ha pubblicato diverse raccolte di poesie, tra cui “Dentro il meraviglioso istante”  e “Tenerissimo amore”. Mascolo lo presenta dicendo che nella  sua poesia entra la musica e si è occupato anche di Fabrizio De André in uno studio. Ha curato un dialogo teatrale tra le canzoni di Fabio Sanfilippo e le proprie poesie lette da Neri Marcorè, tutti marchigiani. Mascolo gli chiede di definire il rapporto delle proprie poesie con la musica, risponde  di considerarsi “un suonatore di penna, cresciuto a pane e musica,  la poesia è stato un approdo tardivo”. E’ importante il suono nella parola poetica, del resto la voce è un suono. Con la musica ha fatto altri esperimenti, ora ha in preparazione un poemetto musicale. “Vengo dalla musica ma ancora di più dalla vita – ha concluso -difendo la relazione tra la parola e il suo suono all’interno della vita. Ma  posso stare anche in silenzio perché dalla vita venga fuori la voce della poesia”. Da “la luce a volte”, 2016, un’intera poesia senza titolo: “Quando l’autunno arriva si assottigliano/ i fantasmi degli amori che non erano/ e non saranno. Il gioco ha termine.// Forse è la calura che li genera,/ come il miraggio dell’acqua in un deserto./ Se almeno avessimo l’energia per resistergli/ e non flirtare vanamente con le ombre./ Giocare agli adolescenti (non tramontati)/ come se la bobina si riavvolgesse davvero./ Sappiamo essere previdenti, invernali”.

Paolo Ruffilli

Il rapporto con la musica è altrettanto stretto nel penultimo poeta presentato, Emanuele Franceschetti, musicologo, ha insegnato storia della musica al Conservatorio, la sua è un scrittura molto interessante, per il ritmo, l’incalzare, la scelta di temi non banale. Con “Dialoghi sulla poesia” è stato finalista di un premio importante. Cita un verso, “Ti ricordi che i vivi se ne vanno…” poi segue un verso che fa riferimento al segni che ci lasciano, e si chiede cosa: “La poesia è una forma del tragico che rifiuta la conciliazione, sia a livello formale linguistico che esperienziale, non è una forma narcisistica e ci lascia testimoniare ciò che è altro da noi in maniera per quanto possibile sorvegliata.  Il segno che rimane può essere politemico, interpretato in modi diversi,  può essere la parola che testimonia nella memoria e nella storia i vivi che se ne vanno”. Nella sua poesia ha cercato di conciliare la microstoria, cioè la storia individuale,  con la macrostoria per dare voce anche alle figure anonime, perché la poesia è un modo forse vano di certificare la loro presenza nel mondo, con la linea sottilissima del reale che riconduce alla sua origine, al silenzio primitivo del mondo. Da “Testimoni”, 2022, un’intera poesia senza titolo: “Pensi ai tuoi simili, al primo uomo./ E poi la quiete composta delle cose. La storia./ Ma niente accade, niente acconsente./ Non la voragine, non le voci dei superstiti./ La mente non distingue, la mente è sigillata/  il suo fondo oscuro (dunkler gtund)/ dal suo presente./ Piove da cento giorni./ Immagini una torsione. La lingua disarticola la forma,// la parola è tesa, divisa”.

“In altalena con Faber”, Ilaria Pilar Patassin

Con Paolo Ruffilli si conclude la maratona poetica, lo presenta Fabrizio Fantoni, affermando che la sua ultima raccolta “Le cose del mondo “ è  un’opera compatta che prova la costanza nel restare fedele alla propria idea di poesia che dura da 40 anni. “Di formazione autoironico”, così Pontiggia definì la raccolta del 1987 “Prima colazione”,  definizione che si attaglia anche all’ultima raccolta dove nei rapporti con la figlia adolescente i ricordi di infanzia sono resi con grazia  ed eleganza in versi brevi che tendono all’oggettivazione delle emozioni. Concepito come un “continuum”, è un ampio poema aperto in cui il pensiero sembra ripullulare di continuo  come la vita in un susseguirsi di riprese ed echi- Fantoni cita Giovanardi “per l’interna  e ossessiva coerenza”, intesa come  coerenza di un sistema che accetta la propria dissoluzione facendone anzi materia privilegiata di espressione, e nel far questo scopre d’improvviso che è di nuovo possibile dire tutto. Ruffilli aggiunge di essere stato studioso di libretti d’opera buffa e anche librettista, perciò rimane in lui questa spinta ritmica musicale. Legge la poesia “Nell’atto di partire “ che racconta la contraddizioni di chi vorrebbe stare sempre fermo ma è costretto a muoversi e viaggiare. Da “Le cose del mondo, 2020,  la prima parte della poesia “Nell’atto di partire”: “Ma poi, alla fine, mi rimetto in moto/ nonostante ogni volta sia tentato/ dalla voglia che mi prende di restare/ nelle zone più vicine e risapute/ in vista e nel contatto del mio noto./ In compenso, parto sempre/ solo per tornare. E non so mai/ neanch’io, in realtà,… un’intuizione certa e / un sesto senso che mi spinge,/ la coscienza comunque fulminante/ della scoperta più paradossale,/ che bisogna intanto perdersi/ per potersi davvero ritrovare”.

La Pataccini con gli accompagnatori Antonio Ragosta alla chitarra e Andrea Colella al contrabbasso

L’inesauribile Mascolo può chiudere a questo punto annunciando il sito www.ritrattidipoesia.com con tutto quanto attiene alla manifestazione che dura da 16 anni e tende anzi ad espandersi: sono stati definiti specifici progetti con  le Università romane e sono stati avviati  collegamenti con altre Università e con Istituzioni poetiche internazionali. Ma non si dilunga, incalza l’atteso finale  ”In altalena con Faber” di Ilaria Pilar Patassini con Antonio Ragosta alla chitarra e Andrea Colella al contrabbasso. E’stato già introdotto in precedenza nel colloquio della Patassini con Mascolo al termine della mattinata, ripetiamo che  il “concerto nrrativo”  nasce dall’assonanza tra parole e versi della cantautrice e l’opera di De Andrè.  La Patassini rompe il ghiaccio riproponendo l’interrogativo: “Qual è il rapporto tra canzone d’autore e poesia?” E dà questa risposta: “Ha detto  Benedetto Croce che fino a 18 anni tutti  scrivono poesie, poi rimangono a scriverle due categorie,  i poeti e i cretini,  precauzionalmente preferirei essere considerata cantautore.” Un inizio del concerto perfettamente in carattere con la giornata poetica, lapidario e insieme coinvolgente, del resto la Patassini confida subto che l'”imprinting di Faber” su di lei si è avuto sin da quando da piccola ascoltava le sue canzoni, poi la sua “frequenza di voce e tipo di scrittura ha permeato l’immaginario musicale” che si è sviluppato in lei, a fianco a Verdi e Mozart, e ha avuto la consacrazione nell’aver dato la voce di recente alla grande versione orchestrale del “De André sinfonico” citata nel primo colloquio con Mascolo. Poi i 4 blocchi di canzoni, ciascuno con una di De Andrè e una sua ad essa collegata.

Un primo piano di Ilaria Pilar Patassini

La prima canzone di De André incisa su disco, che lo ha salvato “dal diventare un pessimo avvocato” – scritta con l’insegnante di francese, precorrendo tante sue canzoni ispirate a cantautori francesi,  in particolare Brassens – si intitola “Andrè”; segue la sua “Eccomi”, con la “luna in Ariete”, una specie di “nuovo inizio” per lei con una citazione pasoliniana. Il secondo blocco comprende “Altalena”, di De Andrè , come alternanza, separazione, limbo, “ho visto Nina volare” con un riferimento al proprio padre; e la sua “A metà” ispirata a un lbro sull’emigrazione con un richiamo all’altra canzone, molto concitata nel continuo accostamento di opposti con l’immagine della casa che torna: “Quando sono in terra sono a metà/ la casa è un’altalena con la luce portante./ La casa è una cometa con la luce portante/ Quando sono in cielo sono a metà…”. Un “Caustico addio” di De Andrè apre il terzo blocco, evoca l’amore di una donna che lo ha lasciato con note dolorose ma senza cattiveria, mentre il suo “Occhi coltelli” è un sarcastico addio da giullare che aspetta sulla sponda del fiume e, confida lei, il … cadavere simbolico passò realmente. Nel quarto e ultimo blocco si parla di amore e di tempo, che entrano di fatto in ogni canzone quale ne sia il tema, l’ordine è invertito per dare l’onore del finale a De André. La canzone della Patassini è “Niagara”, ispirata alla prima donna funanbola che ha attraversato le cascate camminando su un filo – era italiana e lo ha fatto anche ad occhi bendati – per sottolineare il difficile equilibrio che ogni donna deve avere, però con la conclusione che è bene lasciarsi andare, tagliare il filo e restare al di qua; mentre di De Andrè “Amore che viene, amore che va”, già anticipata con la sola voce senza acconpagnamento al termine della mattinata, un classico pieno di sentimento. Ma ci piace sottolineare un aspetto che ci appare sorprendente: nella canzone “A metà” della Pataccini ci sono una quindicina di opposti, citati in modo incalzante, alcuni sono indicati nella scenografia della sala: che lo scenografo Enrico Miglio si sia ispirato a quella canzone? Alla fine l’abbraccio con Mascolo, la foto insieme a Carla Caiafa e ai due bravissimi accompagnatori con chitarra e sassofono che hanno dato una musicalità profonda a testi difficili e a una voce intensa, e il bis che ha chiuso un concerto così suggestivo.

Così è terminata la maratona poetica 2023,  con il concerto conclusivo che ha visto in passato, tra tanti altri, Vecchioni e Dalla, De Gregori e Fiorella Mannoia, fino alle canzoni di Lucio Battisti con Mogol, infine il recital di Lina Sastri. Questa volta parole e musica ancora più strettamente unite in una “altalena” veramente emozionante oltre che evocatrice nell’ispirato recital canoro della sensibile artista.

L’arrivederci è alla 17^ sessione del 2024, fissata al 15 marzo sempre a Roma, nell’Auditorium della Conciliazione.

Il presidente Emmanuele F. M. Emanuele mentre applaude con un pizzico di commozione

Info

Auditorium della Conciliazione, via della Conciliazione 4,  Roma. In televisione l’intera giornata è stata trasmessa in “streaming” su Rai Cultura e Rai Scuola ed è raggiungibile su Rai Play, le singole parti sono su Youtube. I primi due articoli sulla manifestazione sono usciti in questo sito il 13 e 16 febbraio 2024.  Cfr. in questo sito i nostri articoli, sulle precedenti edizioni dei “Ritratti di poesia”  20-21 maggio 2022, 12 marzo 2020, 17 febbraio 2019, 1° e 5 marzo 2018,  10 marzo 2017, 10 febbraio 2016, 15 febbraio 2013, 9 maggio 2011 ; su Emmanuele F.M. Emanuele   22 ottobre 2019, 14, 20 aprile 2019; su Pasolini citato, gli articoli nel centenario della nascita il 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 marzo 2022

Uno scorcio della sala vuota

Photo

Le immagini sono state tratte dal sito www.ritrattidipoesia.com tsi ringrazia l’organizzazione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Ciascuna fase della manifestazione è documentata con la relativa immagine. In apertura, Un momento della manifestazione, un’immagine della sala; seguono, “Di penna in penna” 5^, Mariagiorgia Ulbar e “Scrittura e cancellatura”, Emilio Isgrò in collegamento con Mascolo, poi, “Poesia sconfinata” 4^, Katarina Frostenson, e Luis Garcia Montero, quindi, “Di penna in penna” 6^, Gianni d’Elia,, Annalisa Mainstretta, e Silvio Ramat a dx, con Elio Pecora; inoltre “Poesia sconfinata” 5^, Doris Kareva, e Dimitris Lyacos; continua,“Di penna in penna” 7^, Filippo Davoli, Emanuele Franceschetti, Paolo Ruffilli; prosegue, “In altalena con Faber”, Ilaria Pilar Patassini, La Pataccini con gli accompagnatori Antonio Ragosta alla chitarra e Andrea Colella al contrabbasso, e Un primo piano di Ilaria Pilar Patassini,; infine, Il presidente Emmanuele F. M. Emanuele mentre applaude con un pizzico di commozione; in chiusura, Uno scorcio della sala vuota e L’ingresso dell’Auditorium della Conciliazione..

L’ingresso dell’Auditorium della Conciliazione

Ritratti di poesia, 16^, 2. 14 poeti, e “scoprire la libertà” per le donne iraniane e afghane

di Romano Maria Levante

Abbiamo dato conto nel primo articolo della fase iniziale della maratona del 14 aprile 2023 sulla poesia contemporanea “Ritratti di poesia” con “Caro Poeta” , iin cui gli studenti di tre Licei romani hanno presentato i loro componimenti poetici accompagnati dai poeti che li hanno assistiti, sono state commentate iniziative innovative in campo poetico, sono stati conferiti i premi alle Poesie brevi di 180 caratteri e all’”Opera prima” che viene pubblicata, e i premi principali  della Fondazione Roma “Ritratti di poesia nazionale” e “Ritratti di poesia internazionale” da parte del Presidente ideatore e realizzatore delle 16 edizioni della manifestazione, Emmanuele F. M. Emanuele, poeta egli stesso che ha presentato il suo nuovo libro di poesie “Versi in cammino” nella 1^ parte di “Di penna in penna” in un colloquio quanto mai aperto ed eloquente  con il conduttore, intervistatore e regista della manifestazione Vincenzo Mascolo.

Un’immagine dal fondo della sala

Si passa  alla 2^  parte di “Di penna in penna”, la poesia italiana,  con  due poeti, comincia Maria Clelia  Cardona, definita nella presentazione di Fabrizio Cantoni  “una intellettuale poliedrica”, autrice di molte traduzioni e testi di critica letteraria, oltre a libri di poesia. La sua visione poetica  ha “un forte legame con il mito visto non come recupero di un mondo perduto. ma come specchio di una storica condivisione esistenziale dell’essere umano”. Alla domanda sul valore che il linguaggio del mito continua ad avere nella cultura contemporanea risponde così: “Il mito ci consente di uscire dalle strettoie sia espressive che mentali della nostra quotidianità”, alla base c’è “la condivisione di una condizione umana non al di fuori dal tempo ma presente in tutti i tempi. quindi ci mette in contatto con qualcosa che ci riguarda da  sempre. L’importante, però, è che non si perda di vista il presente in cui si vive”.  Da “Il pozzo e i rovi” dell’ultima raccolta “I giorni della merla”, 2018: “Mio tempo – come un pozzo cui troppo attingiamo/ senza troppo badare finché appaiono cocci e melma,/ sterpi, foglie secche, ossicini di uccelli –  ma quando tutto ci sembra esaurito/ riaffiora acqua da vivere – non è/ prosciugata la vena di sotterra,/ darà vita ancora al cespuglio di rovi/ che rampica  e s’intriga sui bordi e spande spine,/ e lampioni di more si accendono/ verso il giù sotto verso/  il buio”.

“Di penna in penna 2”, Maria Clelia Cardona con Fabrizio Canton

Segue Cesare Imbriani, autore di molti libri ed economista, per questo Mascolo gli chiede di parlare del suo percorso per arrivare alla poesia. “E’ stato un fatto automatico”, risponde, le prime poesie pubblicate risalgono agli anni ’60, quando era adolescente, è stato influenzato dai poeti contemporanei e soprattutto da Cesare Pavese, che definisce “un passepartout verso l’internazionalizzazione”, citando l’opera “Atlantic City” che definisce stupenda, e afferma che più del linguaggio lirico gli interessava  “trasmettere il senso civile della poesia”, desiderio che considera almeno in parte realizzato, ben aderente alla realtà anche ai tempi del digitale.  Da “Mille e mille giorni” del 2020, ecco i primi e gli ultimi versi della poesia “Selfie e l’immortale a termine”: “Un trucco di magia  e sorride/ il pagliaccio che mai legge critiche/ né risponde a difficili domande./ Ma per una volta la trama degli esigenti fatti/  sceglie tra realtà e fantasia, frena/  alchimie e vuoti sogni, prende distanza/ dalle chimere del clown…// …Si nutrono/ così di ingenua presunzione/  i vagabondi passi che saranno posta / sul web degli AMICI per aggiungere/ like alla collezione del nulla/ che sempre mancherà di un capolavoro”.

Cesare Imbriani con Mascolo

Lo stesso Mascolo poi, dopo aver ricordato che la poesia riflette la realtà che viviamo, presenta le promotrici  di due progetti fotografici strettamente collegati, la cui realizzazione è visibile dalle fotografie esposte ai margini della sala, sul tema “Scoprire la libertà”.

Il progetto “Inside Burqa”di Loredana Foresta è rivolto alle donne iraniane che da decenni lottano per la salvaguardia dei propri diritti, calpestati da un legislazione oppressiva che va dall’obbligo del velo a una serie di imposizioni sui comportamenti che le sottopongono all’autorità maschile, dai limiti allo studio, al lavoro, al matrimonio, conculcando la libertà di potersi esprimere. Lo presenta così: “Questo lavoro è dedicato alle attiviste iraniane che da anni lottano per promuovere un cambiamento radicale  in patria, in particolare a coloro che  con coraggio si espongono in prima linea incuranti dei rischi”. E abbiamo visto di recente nella barbara esecuzione di una di loro che si era particolarmente impegnata che si tratta di rischi mortali. “Come donne –  continua la presentazione – rappresentano la parte della popolazione più vessata dal regime, appiattite ormai da decenni in un ruolo secondario e private della facoltà di scegliere, ma come tali incarnano anche la forza propulsiva del rinnovamento nella lotta per un Iran civile e democratico, un Iran in cui non si venga  frustati per una scollatura e giustiziati per un chignon”. Le fotografie intendono comunicare, in assenza di un’identità precisa negata dal regime, “non chi sono e cosa fanno, ma che esistono, col diritto inalienabile all’espressione e al libero arbitrio”. Al progetto hanno collaborato donne iraniane residenti in Italia  e volontarie del movimento  “Donna Vita Libertà”, dunque un meritoria iniziativa personale con partecipazioni  molto significative.

“Scoprire la libertà”. Loredana Foresta

Stefania Rosiello ha voluto immedesimarsi nella situazione delle donne afghane dopo la presa di Kabul da parte dei talebani nell’agosto 2021, mettendo una sorta di “mini burka” alla propria macchina fotografica in modo da ridurne al minimo la capacità di riprendere e di spaziare, girando per le strade fotografando con tali forti limitazioni ciò che incontrava; e questo per sei mesi. “Quello che ho visto – dichiara – è stato un mondo squarciato, come una tela di Fontana. Avevo perso il mio raggio visivo, si era drasticamente ridotto, non solo ai lati ma anche  soprattutto nella parte alta e bassa del mio frame. Mi sono trovata ad abbassare la macchina fotografica, ovvero la mia testa, per riuscire a vedere dove mettere i piedi, ma così facendo non sapevo cosa avessi di fronte di lì a pochi metri da me, persone, macchine, semafori. Poi ho provato a guardare il cielo e sono rimasta senza respiro, non riuscivo a vederne che una striscia, perdendo qualunque riferimento con tutto il resto di ciò che mi circondava”.  Provava “sensazioni di smarrimento, di claustrofobia, di paura” sempre maggiori  finché – prosegue il racconto – “negli ultimi due mesi del progetto, la sensazione di frustrazione per la mancata libertà di espressione mi ha reso davvero difficile continuare a fotografare”, non si sentiva più di uscire con la macchina fotografica. Tutto questo “per portare all’esasperazione quella sensazione di mancata libertà e cercare di capire”. Una simile immedesimazione ha prodotto “un senso di claustrofobia e costrizione”. Come nelle donne afghane.

Stefania Rosiello

“Dall’Iran raccontato all’Iran poetico”, esclama Mascolo introducendo  la poetessa iraniana Mina Gorij nella 1^ parte della sezione “Poesia sconfinata” dedicata ai poeti stranieri, la presenta il suo traduttore Andrea Sirotti. Vive a Cambridge dove insegna letteratura inglese, emigrata da piccola in Gran Bretagna dove si è sviluppata una fioritura di poeti giovani migranti di varia provenienza anche di seconda e terza generazione le cui poesie sono pubblicate da case editrici britanniche:  “Una voce poetica che viene da vari strati sociali”, così da avere un senso  sociale e civile, per l’esistenza e la vita di tutti i giorni, a differenza di quanto si riscontra in  Italia.  La sua è “una poesia di grande e dettagliata osservazione”,  che osserva la natura, piante e animali, alla ricerca di un modello per le emozioni e per le relazioni umane. Viene considerata  la natura nei suoi limiti estremi, temperature rigide e ghiacci, deserti e vulcani, ma anche nell’osservazione quotidiana con un occhio scientifico e poetico al  tempo stesso per individuare le modalità di sopravvivenza; il riscaldamento climatico e altri fenomeni connessi suscitano in lei un preoccupazione che nasce dall’osservazione precisa della realtà.  Data la sua caratura accademica, nelle due raccolte pubblicate  non mancano citazioni nascoste di grandi come Shelley e Shakespeare. Una scelta di poesie tradotte in italiano è uscita in “Nuovi Argomenti”; ecco, integrale, la poesia inedita in Italia “Fuga”  tradotta da Andrea Sirotti: “Mi chiese: ‘Da dove vieni, signora’?/ e quando gli risposi ‘Iran’,/ mi abbracciò dicendo/ c’e l’ho fatta’/ con una tale gentilezza / che non ebbi il coraggio di chiedere/ ‘Ma le conosce le lucertole a Persepoli?/ le catene montuose/ che si allungano nella neve?/ il sapore del kharboozeh?’/ la sensazione finale quando la porta dell’ascensore si chiude?’’

“Poesia sconfinata” 1^, Mina Gori

L’appuntamento musicale della serata, “In altalena con Faber”,  viene presentato in anteprima al termine della mattinata con la protagonista Ilaria Pilar Patassini, la cantautrice di cui è appena uscito il singolo “Niagara” e sta per uscire l’album “Terra senza terra”. Mascolo la definisce “la voce del mastodontico progetto di Geoff Westly su De André sinfonico”,  con la London Simphony Orchestra, 70 orchestrali, 30 coristi, e Peppe Servillo oltre lei: è giunto in porto a fine 2019  quando la pandemia ostacolava tante presenze contemporanee, sarà portato anche a Roma. C’è stata una rispondenza inattesa, De Andrè giudicato dai classici troppo “pop” e dai “pop” troppo intellettuale, viene riportato ai  suoi autentici valori epici e lirici e ai contenuti  che hanno avuto un impatto sociale e anche politico negli anni ’60 considerati rivoluzionari per il mondo musicale. Ilaria, parlando del  recital serale, spiega che l’”altalena”, vista come alternanza,  è “l’elemento fondante” della sua canzone ‘A metà’”  uscita nel 2019. Ebbene l’alternanza sarà in 4 blocchi di 2 canzoni ciascuno, una propria canzone con una di De André. Intanto canta, senza alcun accompagnamento musicale, la canzone “Amore che vieni, amore che vai”,  in modo suggestivo. “Bravissima, bellissima, veramente grazie”, commenta Mascolo e gli applausi accompagnano il suo spontaneo riconoscimento. Con questa anticipazione veramente emozionante del recital che concluderà  la maratona poetica termina la prima parte della giornata, si riprenderà alle ore 14,30. 

“In altalena con Faber”, Ilaria Pilar Patassini con Mascolo

La ripresa pomeridiana inizia con le “Idee di carta”, l’incontro di Mascolo con l’editore di “Il Saggiatore”Marco Marino,  e la domanda è d’obbligo: il rapporto della casa editrice con la poesia. Risponde che vi è un rapporto solido con molti poeti, una traccia mantenuta anche con poeti francesi, ora stanno indagando sulla grande poesia internazionale del ‘900, con grande attenzione al mondo poetico, e cita una serie di poeti presenti nelle collane della casa editrice. Non c’è una collana specifica sulla poesia perché la letteratura in generale converge nella collana dedicata alla cultura, non occorre una distinzione di categoria; inoltre anche se finora non hanno pubblicato testi di poeti italiani contemporanei, a maggio uscirà una raccolta di 1100 pagine sugli ultimi 50 anni di poesia italiana con attenzione maggiore verso gli ultimi anni. Mascolo sottolinea l’importanza di dare spazio alla poesia italiana contemporanea che rischia di essere “poco ascoltata” e la risposta è che mancano gli editori in grado di affrontare  il problema delle scarse vendite. La poesia è attrattiva, e questo é un dato reale, ciononostante non si investe davvero sui poeti, non si fa distribuzione né promozione dei libri di poesia; le scarse vendite dipendono dal fatto che non si lavora in modo adeguato a monte. Anche le grandi case editrici, commenta Mascolo, quando pubblicano un libro di poesia lo abbandonano, e non fanno alcuna preparazione per presentarlo in modo efficace. Marino lamenta che nella distribuzione non si tiene conto della peculiarità dei libri di poesia, ma quando si opera correttamente – e cita degli esempi – non mancano ottimi  risultati di vendite. Conclude affermando che alla mancanza di coraggio degli Editori si aggiunge l’assenza di una “intelligenza poetica che consiste nel formarsi poeticamente al mondo per abitare la complessità delle cose”; e informa  che il Saggiatore pubblica cinque libri di poesie l’anno, anche di grandi poeti internazionali, uno sarà in libreria nel 2024 e parlerà di Dio, il suo essere indefinibile tra una realtà e l’altra, oltre alla già citata antologia della poesia italiana degli ultimi 50 anni.

“Idee di carta”, Marco Marino  con Mascolo

Dopo questo interessante annuncio si torna ai poeti con le loro poesie,  nella 3^ parte della sezione “Di penna in penna”, sulla poesia italiana. Mascolo invita a salire sul palco Michele Bordoni con Gianni Gualtieri che presenta il giovane poeta con tante pubblicazioni e riconoscimenti, impegnato anche in un interessante lavoro di ricerca sulle immagini, i suoi testi sono apparsi in una rubrica sui poeti dei trent’anni. Alla domanda su come si rapporta la sua poesia con le immagini, riferendosi  ai risultati delle sue ricerche, risponde tra l’altro che cerca di fermare i flussi di immagini mentre lo attraversano. Alcuni versi della parte finale di una poesia senza titolo sulla “Camera di ascolto” di Magritte,  tratta da “Poeti italiani negli anni ’80 e ‘90”, a cura di Giulia Martini, 2022: “… ascolto senza possibilità di voce/ pittura deprivata di parola,/ silenzio che si incunea nella sala e splende/ nel verde di smeraldo, bocca/ chiusa, morso non dato al mondo fuori/ che dentro il vuoto di finestra aperta/ nel grigio di mattoni lì a sinistra/ racconta del mare.”

Segue Yvonne Mussoni,  viene presentato il suo libro di poesie del 2021 “Sirene”, in cui la creatura Sirena prende la parola e in modo quasi oracolare con una narrazione che riguarda la perdita dell’innocenza. L’autrice spiega che lo ha scritto mentre lavorava alla tesi di laurea, quindi con molti approfondimenti, e cita le “Metamorfosi” di Ovidio con la storia delle Sirene, presenti al rapimento di Persefone per portarla all’Ade con un abbraccio che non era d’amore ma veniva dall’inferno; vengono punite perché innocenti – è questo il paradosso intrigante – dotate di ali per cercare Persefone e di una sguardo capace di penetrare in profondità nel cuore degli uomini, perciò il loro canto è così trascinante. Ecco un  frammento:”Legge naturale è smarrirsi/ per vostra profonda natura/ sentite il richiamo/ dell’essere persi per sempre./ Perderò la mia voce/ per potervi tenere  come il più grande dei segreti./ Solo guardarmi negli occhi è ritornare/ nell’esatto luogo dove/ per la prima volta e senza fine/ avete smarrito al rotta/ e siete davvero, per poco, esistiti”.

“Di penna in penna” 3^, Michele Bordoni a sin. con Gianni Gualtieri

Torna “Poesia sconfinata”, la 2^ parte di poeti stranieri è aperta da Mary Jean Chan,  presentata dalla sua traduttrice  Giorgia Sensi, da poco è uscito il suo libro di poesie. Una vita movimentata e inquieta, prima a Hong Kong per studiare business, poi nel Regno Unito per studiare politica ma non soddisfatta va  negli Usa per studiare di nuovo business, finalmente trova la sua strada nel Regno Unito con la poesia. Nell’Università di Oxford diventa  docente di scrittura creativa, nel 2019 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie,  “Flèche” con  un prestigioso editore inglese,  tradotta in italiano. “Fleche” è un movimento della scherma, l’affondo, lei frequentava un corso di scherma che riteneva importante, una poesia si ispira proprio alla scherma. Due temi metaforici la agitano, l’identità dell’orientamento sessuale e l’identità cinese contrapposta  a quella europea, con contrasti anche familiari e problemi di razzismo. Ma le sue sono poesie d’amore, di diverso contenuto e forma poetica fino ai sonetti, divise in sezioni con titoli cinesi. Da “Fléche”, Interno Poesia” 2023, la parte finale della poesia “(Auto)biografia”, traduzione di Giorgia Sensi: “Quella volta che mia figlia mi disse che amava una donna e/ io mentii e le dissi che era tutto a posto. Tre anni/ di carestia cosa insegnano a una persona? Niente/ Tranne che esiste una cosa che si chiana fame perpetua/ che la perdita batte sulla finestra come pioggia. Tranne che/ mio padre mi amava e ritornò – non appena poté -/nella  farfalla dalla coda forzuta che svolazzava/ nell’appartamento, nel nostro pet Papillon, nella mia amata figlia”.

Yvonne Mussoni

Natascia Sardzoska  viene dalla capitale della Macedonia del Nord, la accompagna l’editore Andrea Cati, docente con dottorato in antropologia, ha pubblicato diverse raccolte poetiche tradotte in 20 lingue, è traduttrice di molti poeti anche italiani, in particolare è la prima traduttrice di Pasolini. Il libro che presenta, di poesie scritte dopo la morte del padre con il richiamo a Dio, è imperniato sul linguaggio del corpo, dà voce ai vari organi, portatori principali della sconfitta e del dolore umano. L’insegnamento è che si può fallire e non sempre avere successo, per questo è un libro di dolore e di pena, ma non solo. Cati le chiede come interagiscono in lei le varie lingue che parla e nelle quali è traduttrice, risponde che la traduzione letteraria è un lavoro difficile per le sue contaminazioni, tutto è molto permeabile, con i vari mondi che si incontrano, ma quando lei traduce un poeta,  pur con tutte le proprie motivazioni,  si immerge nel suo mondo. Da “Osso Sacro, Interno Poesia” 2020, la conclusione della poesia “Giochi senza limiti”: “… perché solo l’illusione ci nutre/ e tutto quello che è niente/  e tutto quello ch’è di nessuno// buttati via da tutti i lati del mondo/ inarrivabili ladri di tempi/ inghiottiamo solo i nostri inganni// ma giammai/ le nostre verità”.

“Poesia sconfinata” 2^, Mary Jean Chan

Di nuovo la poesia italiana con la 4^ parte di “Di penna in penna”, inizia Nadia Agustoni  accompagnata da Maria Grazia Calandrone  che indica i motivi del suo apprezzamento. Il primo è la rarefazione della  scrittura della poetessa che significa densità di fondo di ciascuna parola, pesante e significativa; poi la coesistenza tra uno sguardo che viene da lontano e uno sguardo che si ferma ad analizzare il dettaglio, dalla panoramica del mondo e dell’umano al particolare nei fatti. “Bisogna amare il poco per capire”, il poco fino al dettaglio con il salto nella sua scrittura dalla densità alla rarefazione. C’è  “il non capire che ognuno di loro è ognuno di noi”, si deve pensare a una “permeabilità dell’io che diventa un io collettivo”. Parla a nome della comunità  di lavoro o di vita descrivendo le varie situazioni senza sovrastarle. Da “La casa è nera”, 2021,  la breve poesia senza titolo: “Non portano il prato/ ma l’erba di queste notti/ cura il piangere e il prato/ li raggiunge lontano.// il  cielo degli azzurri imprime/  un cuore alto/ e corrono i conigli allo scoperto/ si respirano da soli.//case senza tetto piene di luce/ i figli nel fuoco di fotografie// con la loro storia/ avranno le domande del viso”.

Natascia Sardzoska

Paola Loreto è docente di letteratura anglo- americana e traduttrice, scrive libri dedicati ai poeti anglicani ed è autrice di diversi libri di poesie. Il suo discorso  poetico è impregnato di natura, animali, umani: “la lirica è natura”, l’approdo è una posizione di parità con gli altri elementi dell’eco sistema, “gli altri della terra” oltre l’elemento umano che non è più predominante avendo la ragione e il linguaggio, ma diventa un elemento tra gli altri. Da “Case/spogliamenti”, 2016, l’inizio e la fine di una poesia senza titolo: “Nella prossima vita/ avremo una casa io e te, / Un orto, un giardino//… Nella vita che viene/ avremo un bambino/ ispido e nero/ selvatico, ardente./ Non avremo  paura. Lasceremo la fine/ agli altri. Inizieremo”.

“Di penna in penna” 4^, Nadia Agustoni con Marta Grazia Calandrone

Poi  Irene Santori con Fabrizio Santori, traduttrice, saggista, ha pubblicato diverse raccolte poetiche, dopo un soggiorno in Cina all’Università di Canton nel  2021 ha creato una collana di poesie bilingue, “Parallela”, che dirige oltre alla collana “Album”  con l’incontro tra testi poetici ed arti visive. Nei  suoi testi l’immagine della caccia, con  preda e predatore,  diventa un racconto spinto da una energia controllata in un  confronto ininterrotto con la coscienza. C’è il senso del finito nella nostra condizione umana in cui preda e predatori tendono a identificarsi in “un paesaggio esistenziale che incontra il vuoto ed è esso stesso il vuoto”, arrivando dai recessi più profondi del nostro essere umano.  Un rapporto predatorio c’è anche tra poeta e lingua nelle due direzioni, ed è alla base della collana, attraverso la traduzione e auto traduzione il poeta “sfugge alla casa circondariale della madre lingua”. Da “Il libro dei Liquidi!, 2021,  la poesia  “Una macelleria in Cisgiordania”: “Una pecora contromano/ da lontano fissa il suo cranio/ accanto a quello/ di un somaro issato per il naso/ nel pronao blu reale/ del macellaio sano di mente/ di schiena col pugnale e non so quale/ taglio di un cammello/scoppiato come/ il copertone/ del blindato.”..// Sgocciolano come se piovesse ma non spiove/ – fa spazio dentro al secchio al mio polmone-// e questa è Nablus/ e questo è niente”.

Paola Loreto

Dopo i tre poeti italiani, due poeti stranieri con la 3^ parte di “Poesia sconfinata”. Viene dagli USA Robyn Schiff,  si presenta con la  traduttrice Giorgia Sensi.  Insegna all’università di Atlanta, ha pubblicato 4 libri di poesie. Il titolo della nuova raccolta è “Un richiamo a chi mi ha lasciato qui”, cioè all’autrice. Poi parla di un poema che nasce dal lavoro nel banco informazioni del museo Metropolitan, dove ha dovuto rispondere alle domande più varie sull’arte e su tanto altro,  e questo le ha dato gli elementi per raccontarne la storia in due volumi.  Dalla poesia “Quattro luglio”, inedita in Italia, traduzione di Giorgia Sensi, l’inizio e la fine: “Ricordo uno spettacolo/ di Antigone in cui lei/ si gettava sul pavimento/ dell’universo  e raccoglieva/ un pezzetto di polvere. E’ quella/ la particella? La cosa mi colpì”//…C’era una particella sfuggita./ Glorificata dalla mia distanza/ Sentii gli zoccoli della polvere/ il ticchettio del copione/ che calibra l’oblio. Vidi/ penzolare la particella/ e Antigone aveva bisogno/ di fare qualcosa con le mani/ e così fece”.

Irene Santori con Fabrizio Santori

Il secondo poeta è il marito. Nick Twemlow, giunto a Roma  ma impossibilitato ad essere presente per un’improvvisa indisposizione, lei legge anche alcune sue poesie. Dalla poesia “Il sonno” inedita in Italia, traduzione di Giorgia Sensi, la parte centrale: “… Troppo stanco/ per sognare come sognano i ricchi. Le mosche si raccolgono/  sulla crosta del sandwich saltando dalla mano,/ così tranquilla, la mano, la mosca/  il sogno ispirato dal girare degli ingranaggi,  leve e livelli, tutta l’astrazione messa/ a fuoco”.

Con la 5^ parte di “Di Penna in penna” , altri 3 poeti italiani.  Riccardo Frolloni  è anche traduttore, vive e insegna a Bologna dove da un anno ha fondato uno spazio letterario molto vivace sulla poesia con incontri e altre iniziative. Nella raccolta “Corpo striato” tratta il tema dell’assenza  con un movimento continuo come un ballo, tra i personaggi la figura paterna, “l’assenza non è di mio padre ma sono io, l’assenza come un fatto che c’era prima e poi,  ma entrambi sono presenti”.  E confida: “Non avrei potuto scrivere della morte di mio padre, ma la poesia è un racconto di chi esiste, come fosse nell’altra stanza diviso solo da una parete sottilissima”, in una presenza-assenza che lascia come traccia una testimonianza. Da “Corpo striato”, 2021, la seconda parte della poesia “Sogni”: “… mio padre già in cima/ del primo promontorio, ce ne sarà poi un altro/ e un altro ancora, ma neanche una parola, aveva il volto/ sereno, da uomo, mi ammoniva di salire, di darmi/ un tono, ma io arrancavo, passavo da altre parti, lo perdevo,/ lentamente gli altri scomparivano nelle nuvole/ e dietro ai sassi, io pure mi facevo più bianco, con la pelle/ fredda di sudore, mi dicevo non svenire ora, resta sveglio, svegliati”.

“Poesia sconfinata” 3^, Robyn Schiff, al centro, con Giorgia Sensi e Mascolo

Gabriella Musetti  viene  presentata come “infaticabile portatrice di poesia e di parola poetica”, fondatrice e direttrice editoriale  di due case editrici, attiva negli incontri internazionali e nelle residenze estive da molti anni, ha curato volumi e riviste letterarie e pubblicato numerose raccolte poetiche.  Nelle sue poesie parla spesso di Tempo, e anche di Spazio, è come “abitare un limbo”.  Tempo inteso non solo in senso  lineare come tempo che passa, e neppure in senso circolare come tempo che  ritorna,  ma come “tempo interrotto, il tempo delle ripetizioni, del pensiero,  elementi che visti in sequenza danno spazio a poesie diverse”; e viene sottolineato lo “spazio”,  che nella sua poesia alla fine si lega con il tempo come avviene nella fisica. Da “Un buon uso della vita”, 2021, una breve poesia senza titolo: “ le storie sono all’inizio/ tutte uguali/ nasci da un ventre aperto/ dal buio vedi la luce/ ma subito la storia cambia/ secondo il luogo lo status/ il modo e l’accoglienza/ non c’è una regola prescritta/ uguale  a tutti/ ognuno trova a caso la sua stanza/ chi bene – felice lui o lei – chi/ con dolore”.

Segue la poetessa  Mariagiorgia Ulbar, nata a Teramo – il capoluogo di provincia del nostro paese natìo alla falde del Gran Sasso, Pietracamela, ci sia consentita la citazione personale  – vissuta a Bologna e ora a Roma con ritorni in Abruzzo, anche in questo ci identifichiamo con lei. Ne parleremo nel prossimo articolo insieme ai rimanenti  poeti della “maratona” fino allo spettacolo conclusivo.  

“Di Penna in penna” 5^,Riccardo Frolloni a dx

Info

Auditorium della Conciliazione, via della Conciliazione 4,  Roma. In televisione l’intera giornata è stata trasmessa in “streaming” su Rai Cultura e Rai Scuola ed è raggiungibile su Rai Play, le singole parti sono su Youtube. Il primo articolo sulla manifestazione è ucito in questo sito il 13 febbraio u.s., il terzo e ultimo uscirà il 18 febbraio p. v..  Cfr. in questo sito i nostri articoli, sulle precedenti edizioni dei “Ritratti di poesia”  20-21 maggio 2022, 12 marzo 2020, 17 febbraio 2019, 1° e 5 marzo 2018,  10 marzo 2017, 10 febbraio 2016, 15 febbraio 2013, 9 maggio 2011 ; su Emmanuele F.M. Emanuele   22 ottobre 2019, 14, 20 aprile 2019; su Pasolini citato, gli articoli nel centenario della nascita il 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 marzo 2022

Gabriella Musetti

Photo

Le immagini sono state tratte dal sito www.ritrattidipoesia.com tsi ringrazia l’organizzazione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Ciascuna fase della manifestazione è documentata con la relativa immagine. In apertura, Un’immagine dal fondo della sala; seguono,  “Di penna in penna 2”, Maria Clelia Cardona con Fabrizio Cantoni, e Cesare Imbriani con Mascolo; poi, “Scoprire la libertà”. Loredana Foresta, e Stefania Rosiello; quindi, “Poesia sconfinata” 1^, Mina Gori , e “In altalena con Faber” Ilaria Pilar Patassini, con Mascolo, inoltre, “Idee di carta”, Marco Marino  con Mascolo, “Di penna in penna” 3^, Michele Bordoni a sin. con Gianni Gualtieri, e Yvonne Mussoni; continua, “Poesia sconfinata” 2^, Mary Jean Chan, e Natascia Sardzoska; poi, “Di penna in penna” 4^, Nadia Agustoni con Marta Grazia Calandrone, Paola Loreto, e Irene Santori con Fabrizio Santori, quindi, “Poesia sconfinata” 3^, Robyn Schiff, al centro, con Giorgia Sensi e Mascolo; inoltre, “Di Penna in penna” 5^, Riccardo Frolloni a dx, e Gabriella Musetti; in chiusura, un’immagine laterale della sala.

Un’immagine laterale della sala

Il bombardamento di Montecassino, 15 febbraio 1944. Dal paradiso all’inferno e ritorno

Dal mensile “Realtà del Mezzogiorno” del febbraio 1984

di Romano Maria Levante

Ottanta anni fa, il 15 febbraio 1944, il terrificante bombardamento u Montecassino con la distruzione dell’abbazia benedettina che svettava sulla piana di Cassino dove i tedeschi arroccati sulla linea Gustav avevano bloccato l’avanzata delle truppe alleate dopo gli sbarchi avvenuti più a sud. Nel quarantennale del terribile evento, nel febbraio 1984, ricostruimmo, oltre al bombardamento, il provvidenziale salvataggio dei tesori dell’abbazia che furono portati in salvo circa tre mesi prima ad opera dei tedeschi e per loro iniziativa, con il fattivo contributo dei frati benedettini impegnati anche nell’impedire che fossero trafugati per la Germania e non portati inVaticano e negli altri luoghi al sicuro, si è trattato di circa mille casse con opere d’arte e valori inestimabili, preziosi documenti di archivio e una biblioteca storica, il tutto evacuato dall’abbazia con una teoria di camion, ciascuno “presidiato” da due frati. La nostra rievocazione avvenne dopo una visita all’abbazia all’inizio del 1984 con la guida illuminata di mons. Martino Matronola, fino a poco tempo prima abate, che nel periodo in questione era segretario dell’abate Diamare ed ebbe un ruolo primario nella vicenda dato che parlava tedesco, era sempre vicino all’abate ottantenne con l’incarico di coordinare e vigilare. E’ una storia in cui i cattivi sembrano dventati “buoni”, per il salvataggio dei tesori di arte, cultura e storia, e i buoni “cattivi”, per il dissennatobombardamento distruttivo. La conclusione è quella che ci consegnè mons. Matronola al termine dell’incontro: l’inferno va dimenticato, Montecassino è tornato ad essere un paradiso. Dopo quarant’anni ripubblichiamo oggi, 15 febbraio 2024, nell’ottantesimo anniversario l’articolo che pubblicammo allora, nel febbraio 1984, sul mensile “Realtà del Messogiorno”, senza alcuna modifica per mantenerne tutta l’immediatezza, aggiungendo soltanto le immagini non contenute nella pubblicazione a stampa di allora. E lo dedichiamo, con comprensibile emozione, a mons. Matronola che si regalò la sua testimoniana preziosa.

A quarant’anni di distanza una rievocazione del dramma del 15 febbraio 1944. “15 febbraio 1944, bombardamento di Montecassino, ore 9,20 – 9,35 – 9,50 – 10,50 – 11,10 – 13,10 – 13,20 (a formazioni di 36) fortezze volanti 142 e bombardieri medi 112”. Non è tratto dagli annali di guerra ma dagli appunti di un teste oculare – l’allora studente Carotenuto -che assistette al dramma dalla collina di San Michele.

E non è finita: nel trigesimo del bombardamento di Montecassino, il 15 marzo, bombardamento di Cassino: “Un ufficiale inglese, amico, mi conferma – annota sempre Carotenuto – che hanno partecipato al bombardamento 1500 aerei sganciando oltre 2500 tonnellate di esplosivo. Subito dopo la fine del bombardamento inizia un terrificante fuoco d’artiglieria che investe la città, la montagna di Montecassino e le zone circostanti”. In quei tragici momenti l’abbazia appare un vulcano in eruzione; nelle immagini successive uno scheletro umano proteso verso il cielo.

E’ stata un’altra distruzione, questa volta totale, dopo quella dei Longobardi nel 577 (allora vi era l’oratorio di San Giovanni Battista), dei Saraceni nell’883 (l’oratorio era stato trasformato dall’abate Ginulfo in una chiesa a tre navate) e dopo quella del terremoto del 1349 (che colpì la basilica costruita con un diverso orientamento e una maggiore estensione dall’abate Desiderio poco dopo l’anno 1000), a cui seguì la ricostruzione sei-settecentesca che tutti conoscono.

Da sempre il cenobio benedettino cassinese ha svolto un ruolo culturale oltre che religioso di grande importanza attraverso la Biblioteca, il Collegio e una intensa attività: un paradiso di fede e di cultura, di arte e di tradizione posto sulla cima della montagna che svetta nella piana cassinese.

Su questo paradiso quaranta anni fa si è scatenato l’inferno (“Inferno a Cassino” ha intitolato il suo libro rievocativo un ufficiale americano tornato a visitare i luoghi della guerra). E’ una storia incredibile ma vera, dove i ruoli si sono rovesciati: i “buoni” sono diventati “cattivi” ed i “cattivi” “buoni”; mentre sono rimasti inermi, lassù nell’abbazia, i frati benedettini sui quali si sarebbe dovuta distendere la mano protettiva della Chiesa, dello Stato, del mondo; ma sono stati lasciati soli.

Su queste drammatiche contraddizioni si può fare chiarezza perché è tutto scritto nel “diario di guerra” tenuto con preveggenza in quei giorni prima da don Eusebio Grossetti, poi da don Martino Matronola, allora segretario dell’ottantenne abate Diamare; diario pubblicato dai monaci cassinesi nel 1980, quando Monsignor Matronola, divenuto abate, celebrava le nozze d’oro con il sacerdozio.

Il prezioso quaderno fu ritrovato tra le macerie dell’abbazia quasi integro: un evento fortunato dopo il vero miracolo del ritrovamento della tomba e della cella di San Benedetto intatte sotto le macerie e l’altro miracolo della salvezza dei monaci usciti illesi dall’abbazia, divenuta il cratere di un vulcano.

Scorriamo il “diario di guerra” tenuto durante l’intera vicenda per cinque interminabili mesi e soffermiamoci sulla cruciale decisione dei monaci: l’accettazione dell’offerta tedesca di procedere allo sgombero del patrimonio di cultura e di arte per metterlo in salvo.

Il salvataggio del patrimonio di cultura e di arte

L’offerta fu tempestiva quanto pressante, ma la richiesta era troppo insistente per sembrare disinteressata, e poi proveniva dalla divisione Goering che non aveva certo la fama di mirare alla preservazione dei patrimoni artistici nelle zone occupate, ma li asportava di forza per scopi evidenti.

I monaci dovevano decidere e decisero per il meglio, rinunciando al facile disimpegno: decisero per lo Stato italiano, del quale custodivano il prezioso Archivio, la Biblioteca e tante opere d’arte; per Napoli, che aveva affidato all’abbazia il tesoro di San Gennaro; decisero per tutti.

E aver collaborato sin dall’inizio consentì a loro di controllare e quasi “gestire” l’intera operazione. Inermi, isolati, e in qualche misura abbandonati da tutti, riuscirono perfino a “imporre” due monaci di scorta ad ogni autocarro che trasportava le preziose casse, tessendo una rete sottile fatta di riconoscimenti e fiducia e insieme di sospetti e sfiducia.

Tutto fu registrato e classificato con cura e puntiglio. La lista del materiale trasmessa da don Matronola a don Leccisotti – inviato nella Capitale per ricevere il materiale e contattare il Vaticano – è un capolavoro di precisione, anzi di pignoleria, rimarchevole date le circostanze.

Le casse della Biblioteca monumentale dello Stato italiano furono 240, casse e capsule dell’Archivio nazionale 154, del Monastero 275 casse della Biblioteca privata, e poi diecine di capsule e codici, corali e pergamene, quadri e reliquie. Infine 187 casse del Museo di Napoli.

Non solo, ma ciò che poteva suscitare maggiori tentazioni e cupidigie fu occultato in vario modo- è il caso del Museo numismatico di Siracusa – dando fondo a tutte le cautele e astuzie che la posta in gioco richiedeva, e non solo nei confronti dei tedeschi: si pensi al gran numero di rifugiati che affollava l’abbazia. Per i nascondigli all’interno – scrive don Matronola – “due o tre monaci diversi furono messi al corrente dell’uno o dell’altro ripostiglio, ma nessuno sapeva ciò che vi era riposto; io solo ne avevo l’elenco completo”.

Interpretazioni sul salvataggio e sui “salvatori” tedeschi

Ma potevano i “cattivi” essere diventati tutto a un tratto “buoni” ed avere – nella tempesta della guerra – quell’interesse autentico per il salvataggio delle opere d’arte e dei tesori della cultura ostentato dal colonnello Schlegel e rivendicato nel suo memoriale “Il mio rischio a Montecassino”?

Certo, l’appartenenza alla divisione Goering non favorisce questa interpretazione; lascia forti perplessità anche il fatto che tutto quanto apparteneva allo Stato italiano – precisamente l’Archivio e la Biblioteca – non fu portato a Roma ma a Spoleto nonostante le rimostranze del monaci, ed era destinato ad andare sempre più a nord, mentre il fronte si spostava, totalmente in mano ai tedeschi. Non solo, ma a Spoleto giunsero in missione speciale esperti d’arte inviati da Berlino, forse da Goering in persona, per scegliere le opere più pregiate ai fini che è facile immaginare.

Su questo aspetto della vicenda seguiamo il memoriale del capitano Becker, l’altro organizzatore – con il colonnello Schlegel – del salvataggio, che sembra animato da propositi più genuini; e “marca” strettamente Schlegel e con lui i superiori della divisione Goering – da Bobrowski a Jacobi fino al generale Conrad – per impedire quello che sospetta stiano tramando.

Becker scrive della propria ferma opposizione a che fossero manomesse o, peggio, depredate le opere che i monaci avevano affidato ai tedeschi e dei sistemi a cui ricorse per scongiurare che fossero trattenute come pegno a garanzia del compenso per l’opera di salvataggio.

E tutto quello che seguì, le interviste, i documentari filmati, lo sfruttamento propagandistico per rovesciare l’immagine di “cattivi” sugli anglo-americani ed attribuirsi quella di “buoni” difensori della cultura e dell’arte fu anche, scrive Becker, un usbergo per sventare il temuto colpo di mano tedesco. Il ritorno da Spoleto a Roma dell’Archivio e della Biblioteca di proprietà dello Stato italiano e la regolare consegna di tutto quanto evacuato da Montecassino sarebbero stati il risultato positivo anche di questa amplificazione dell’operazione-salvataggio, posta in tal modo sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale.

Ne dà conferma il diario di don Leccisotti, puntuale nel descrivere il labirinto dei palazzi vaticani e dei ministeri italiani, da lui percorso con pervicacia fino a riuscire collocare il carico di opere da salvare, prezioso quanto ingombrante sotto tanti profili: “Lo Schlegel successivamente attribuì a sé tutta l’iniziativa di questo sgombero e quindi del salvataggio dell’Archivio e della Biblioteca. Pare invece più verosimile quanto sostiene il capitano Becker”. Se ne deve dedurre che tutti i “cattivi” non diventarono “buoni”, ma dovettero fare di necessità virtù.

Il drammatico epilogo

Ultimato il 2 novembre del 1943 lo sgombero delle opere di cultura e d’arte asportabili e l’evacuazione della maggior parte dei monaci e delle suore, nell’abbazia rimase una pattuglia di dodici religiosi, i cui nomi vanno ricordati: l’abate Diamare e fra Pelagalli ottantenni; don Matronola, don Graziosi e don Tardone quarantenni; don Grossetti e don Saccomanno trentatreenni; fra Zaccaria e fra Ciaraldi trentenni; fra Colella ventiquattrenne; don Falconio del clero secolare e Cianci, oblato.

Difesero Montecassino da qualsiasi intrusione militare ottenendo una zona di salvaguardia di trecento metri all’interno della quale non vi fu mai postazione tedesca; evitarono che fosse posta una unità di avvistamento nel punto più alto dell’abbazia, che ben si prestava e quindi faceva gola all’occupante. La rete di fiducia-sfiducia intessuta con le autorità tedesche a diversi livelli funzionò pure sotto questo aspetto, anche se tutto fu inutile visto l’epilogo della vicenda.

Si sta per consumare il dramma. Il 13 febbraio muore don Eusebio Grossetti per una malattia contratta nelle terribili condizioni in cui era ridotta la vita della comunità, tragico prologo della tempesta che si addensa. I tempi sono scanditi dai bollettini militari. La quinta armata americana lancia dei volantini con l’ultimatum e don Matronola annota nel suo diario: “Il nostro cuore è pieno di sgomento nel leggere tale volantino lanciato dai… Liberatori. Anch’essi hanno gettato giù la maschera”.

L’indomani è il giorno dell’Apocalisse. Lo riviviamo nelle sue parole: “E’ un inferno. Il più crudele generale non si sarebbe accanito con tanto furore contro la più formidabile fortezza, quanto si sono accaniti in questi giorni gli anglo-americani contro un luogo così santo… moriremo avvinghiati all’altare”.

L’immane scempio è ormai compiuto e l’abbazia di Montecassino è un cumulo di macerie dal quale riemergono i sopravvissuti: proprio la pattuglia dei nove monaci rimasti e dei due secolari, con un piccolo gruppo di rifugiati. Sotto l’imperversare dell’artiglieria avanza lentamente una processione spettrale con in testa il grande Crocefisso di legno della Stanza dei vescovi; i soldati “a vedere questo strano corteo preceduto dalla Croce di Cristo sulla linea del fuoco – sono sempre le parole di don Matronola – rimangono stupiti e forse commossi”.

Sono immagini, quelle del bombardamento e queste dell’esodo dalle rovine, che riportano al Cristianesimo delle origini, alle invasioni barbariche con le loro profanazioni e i loro martiri, ma anche con le grandi vittorie della fede. Montecassino è un capitolo luminoso in questa lunga storia.

Dall’inferno al paradiso

Monsignor Matronola ci fa da guida nella visita all’abbazia ricostruita. E’ il 1984, quarant’anni dopo il bombardamento; fino al 25 aprile 1983 e’ stato abate, lui che nel 1944 era il segretario quarantenne dell’ottantenne abate Diamare e, forte anche della sua conoscenza del tedesco, aveva gestito e vissuto da protagonista l’intera vicenda.

Abbiamo cercato di strappargli un giudizio sulle responsabilità della distruzione. I ricordi sono vivi, e anche l’angoscia, ma non ha dubbi. Le colpe erano di Hitler che scelse come caposaldo la zona di Cassino, decisione a seguito della quale Montecassino – posto al centro come bastione naturale – non poteva salvarsi; era il “rischio calcolato” di cui aveva parlato il generale Clark, trasformato in tragedia per l’umanità, i suoi valori di fede, d’arte e cultura.

Sulla solitudine dei monaci dinanzi alle gravi decisioni da prendere, la risposta è altrettanto netta: bisognava riportarsi a quei momenti, allorché lo Stato italiano era ridotto allo stremo, mentre il Vaticano doveva dare credito agli affidamenti ricevuti; e proprio la tragedia di Montecassino aprì gli occhi a tanti e impedì che il dramma si ripetesse a danno degli altri sacrari della fede e della cultura.

Non va oltre queste scarne risposte, vede la vicenda “sub specie aeternitatis”. L’ombra angosciosa del passato si ripresenta davanti ai grandi pannelli della distruzione (“noi eravamo lì sotto”, commenta) e alle gigantesche bombe trovate inesplose ed esposte per memoria e per monito. Ma le meraviglie che ci circondano e l’entusiasmo giovanile della nostra illustre guida esorcizzano il ricordo dell’inferno che, lo dice lui esplicitamente, va dimenticato.

Sottolinea con orgoglio che si era cercato di ripristinare tutto com’era, con il concorso di artisti e artigiani insigni di ogni parte del paese; non c’erano state “riparazioni di guerra” palesi od occulte, l’onere era stato sostenuto interamente dallo Stato italiano.

I preziosi intarsi di marmo della basilica, il coro ligneo, i mosaici, tutto era stato ricreato con amorevole cura; al posto dei dipinti di Luca Giordano quelli di Annigoni e di altri artisti moderni, l’unica modernizzazione a cui si era dovuto far ricorso. Mancava solo la patina del tempo per perfezionare questo ulteriore miracolo cassinese. Non ci sono più dubbi, Monsignor Matronola ha ragione, l’inferno va dimenticato. Montecassino è tornato ad essere un paradiso.

Febbraio 1984

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Come si è premesso l’articolo – esclusa ovviamente l’introduzione in corsivo che ne spiega la genesi e l’intento – è la copia identica di quello pubblicato sul mensile di politica e cultura “Realtà del Mezzogiorno” nel numero di febbraio 1984, ad eccezione delle immagini che non erano contemplate dalla rivista. Le abbiamo inserite per documentare anche visivamente la vicenda e le operazioni che portarono al salvataggio dei tesori di Montecassino: in due immagini le figure dei protagonisti, l’abate Diamare e il colonnello tedesco Schlegel (nella seconda immagine immediatamente dietro l’abate si vede il segretario don Martino Matronola che ebbe un ruolo primario), e nelle immagini che seguono le operazioni di imballo e caricamento sui camion delle preziose opere da salvare, fino all’arrivo a Roma, con i conclusione l’attestato di benemerenza per il colonnello tedesco.: queste immagini sono tratte dal sito web “momenti sospesi”, che contiene un ampio reportage dell’evento. L’articolo si apre e si chiude con le immagini dell’abbazia di Montecassino prima del bombardamento, dopo la distruzione e dopo la ricostruzione, dal paradiso all’inferno e ritorno, tratte dal sito “beni culturali on line”. Si ringraziano i titolari di questi siti e dei diritti sulle fotografie riportate per l’opportunità offerta precisando che le immagini sono state inserite a puro scopo illustrativo senza alcuna finalità economico-commerciale, pertanto se la pubblicazione non fosse gradita saranno subito eliminate dietro semplice richiesta.

1 Commento

Rita Martini Abitbol

Sono figlia di un cassinese (si dice così’?)e dalle parole del Dr. Levante ho potuto rivivere l’amore che mio padre sentiva per Montecassino. Complimenti all’autore. Articolo scritto bene, preciso e dettagliato. Un piccolo capolavoro in questa nostra epoca di decadenza intellettuale e culturale.
Grazie Dr. Levante!
Rita Martini Abitbol

Ritratti di Poesia 16^, 1. L’inizio, con i giovani, le premiazioni, e non solo

di Romano Maria Levante

Tra il 6 e il 10 febbraio 2024 si è svolto il “Festival della canzone italiana” a Sanremo , una maratona canora che per una settimana ha monopolizzato l’attenzione dei media e delle persone di  ogni età e  ceto sociale, ne fanno fede gli ascolti record della trasmissione televisiva.. Alla maratona canora vogliamo far seguire, in questa settimana che segue quella sanremese, la rievocazione della maratona poetica dei  “Ritratti di poesia”, svoltasi il 14 aprile 2023 in una intensa giornata da mattina a sera a Roma, all’Auditorium della Conciliazione. Questo per l’evidente collegamento tra canzone e poesia, le parole unite alle melodie spesso sono poetiche, e per i  punti di contatto tra le due manifestazioni, pur nella differenza abissale tra il gigantismo della kermesse  canora   e la dimensione raccolta di quella  poetica: la cadenza annuale, nell’una le storie espresse in parole e musica e nella seconda  in parole e versi, 30 protagonisti in entrambe  di cui viene evidenziato contenuto e percorso  artistico, testi poetici delle  volte declamati tra le canzoni nella maratona canora,  e le canzoni  a chiusura della maratona poetica, con un concerto che nel gennaio 2010 vide protagonista Roberto Vecchioni e nel febbraio 2013 Fiorella Msnnoia, entrambi presenti al Festival di Sanremo di quest’anno, Vecchioni nell’emozionante serata “cover” con “Sogna ragazzo sogna” e la Mannoia concorrente con la canzone “Mariposa” premiata per il miglior testo..  La rievocazione della maratona poetica del 2023 inizia oggi 13 febbraio 2024 con il primo articolo, che sarà seguito  il 15 e il 17 dagli altri due articoli, nella nostra “settimana della poesia” dopo la “settimana della canzone” nella pari dignità tra le due forme d’arte diverse ma contigue. Il nostro resoconto contiene scampoli di poesie e confidenze dei poeti e le immagini di tutti i poeti e non solo.

La sala , prima dell’inizio, con gli studenti di ‘Caro Poeta

Una scenografia diversa dal solito ha accolto il 14 aprile 2023 a Roma, all’Auditorium della Conciliazione, i partecipanti alla 16^ edizione dei “Ritratti di poesia”, voluti dal prof. Emanuele considerando la poesia un’arte che come le altre va esibita e diffusa. Non più immagini evocative di un tema di fondo – lo scorso anno il riscaldamento climatico – ma parole contrapposte in modo binario, a riproporre le alternative nella nostra vita, anche se la scenografo è sempre Enrico Miglio.

Vincenzo Mascolo, il conduttore, organizzatore e intervistatore della manifestazione

Con questo sfondo l’onnipresente Vincenzo Mascolo, il conduttore, organizzatore e intervistatore di sempre – con il solito garbo dal quale traspare la forte carica ideale di una passione inesausta  – ha ricordato il merito del prof. Emanuele nell’ideare, promuovere e realizzare da 16 anni la manifestazione. Il Presidente  è stato prodigo di riconoscimenti verso Mascolo e la consorte Carla  Caiafa, “senza di loro questo non sarebbe stato possibile” e, aggiungiamo, tanto meno senza di lui.

La maratona sulla poesia contemporanea inizia con la sezione “Caro poeta”  riservata agli studenti dei licei romani, Mascolo sottolinea come la poesia abbia bisogno dei  giovani  per avere un futuro. I poeti  Nicola Bultrini per gli studenti del  Liceo Nicolò Machiavelli,  Maria Grazia Calandrone per il  Liceo Cavour, Laura  Cingolani per il  Liceo Vittoria Colonna hanno presentato i giovani studenti cimentatisi nella poesia  inquadrando l’impostazione data nella scuola al loro impegno prima delle letture poetiche in una incalzante successione al microfono con il tifo dei compagni assiepati nella sala.

 Liceo Machiavelli, lettura poetica della studentessa accompagnata dal ‘rumore di fondo’ dei compagni con il poeta Nicola Bultrini

 Bultrini ha detto di aver preso come base la  poesia “Parole povere” di  Pierluigi Cappello – che si rivolge al mondo della propria infanzia – ogni strofa un personaggio della comunità in cui viveva, con toni anche dolorosi, il tutto  riprodotto dai giovani con una strofa ognuna riferita alla  propria  comunità, ultima la strofa originale del poeta. Un accompagnamento discreto definito da Butrini “rumori di fondo”, in realtà un tamburello e diversi altri strumenti utilizzati per produrre il loro suono, veramente originale e anche suggestivo: ci viene un’associazione di idee ardita, il “flamenco” con i ballerini accompagnati da “rumori di fondo”, i battimani ritmati ai bordi della pista oltre che dalla musica, qui i “rumoristi” sono schierati vicino al microfono. Sfilano i giovani poeti del Liceo Machiavelli,  leggendo ciascuno la propria strofa per comporre la versione personale della poesia presa come base, l’ultima strofa è quella originale del poeta Cappello.

Liceo Cavour, lettura poetiuca dello studente con la poetessa Calandrone

La Calandrone ha ammonito di non confondere la poesia con la fantasia e l’immaginazione perché nasce da fatti reali, e in questo senso nel liceo si erano già esercitati in questa direzione su luoghi di Roma e altro: ha scelto due poesie tra cui una di Pasolini con una visione di questo futuro che lo acceca e di quello che arriverà in cui “decoro coincide con rancore”, e l’altra di un  poeta su una fetta di pane che è l’inizio di tutto, fino all’esortazione  “rompetela”. Con riferimento a queste due poesie l’invito agli studenti del Liceo Cavour ad osservare la realtà e metterla in versi; ognuno  ha letto la propria trasposizione poetica parlando non solo di sé – ha concluso la Calandrone – ma anche dando voce agli altri come avviene nella poesia.

“Caro Poeta” si conclude con  la presentazione da parte della Cingolani delle prove poetiche dei giovani del Liceo Vittoria Colonna, che ha cercato di orientare in base al valore  della “presenza” mettendoli di fronte a delle situazioni e dando degli stimoli facendo superare il timore di essere giudicati più da loro  stessi che da altri in modo da potersi esprimere liberamente. Ne è emerso un mondo fatto di tante cose, gioia e anche sofferenza, soprattutto autenticità, in composizioni caratterizzate da freschezza e brillantezza, cercando di “scavare  per ritrovare quello che già c’è e ci serve e di volare per liberarci di quello che non ci serve”. Vengono lette da alcuni studenti le poesie di tre classi, e la Cingolani ci tiene a sottolineare che c’è stato uno scambio di stimoli reciproco tra lei e gli studenti. Aggiunge che la poesia va considerata come “presenza” rispetto alla realtà e come strumento per raccontarla, ciascuno a suo modo.

Liceo Vittoria Colonna, lettura poetica della studentessa con i compagni

Ha colpito l’impegno e la compostezza dei giovani studenti in veste di poeti, intere classi e non singole individualità, e il succedersi al microfono con i loro abiti casual ne ha marcato l’identità quanto mai attuale.

Si passa ai risultati del concorso per il premio“Ritratti di Poesia  280”, alla 9^ edizione, il numero dei caratteri di Twitter, prima erano 140, un modo geniale di calare la poesia nella contemporaneità anche attraverso il veicolo dei “social” , aggiornandolo con il raddoppio dello spazio pur sempre esiguo. Tema “La natura”, il vincitore, Lorenzo Pataro, parla delle foreste amazzoniche in 8 versi che offrono – secondo la motivazione -“una visione del mondo nel rapporto paritario tra umano e non umano, e l’umano è visto con umiltà in una prospettiva di metamorfosi, una dimensione di sogno, senza perdere la propria identità”.

“Premio Ritratti di poesia 280”, il vincitore Lorenzo Pataro con membri della Giuria

Da un concorso  all’altro, Mascolo presenta la vincitrice del premio “Ritratti di poesia si stampi”, il concorso per l’”Opera prima”, alla 2^ edizione, per la pubblicazione di  un inedito di autore  “under 30 anni”: è Anna Paradisi. La motivazione sottolinea “il timbro di autenticità in versi ruvidi o pieni di grazia, a volte anche con il dolore, sull’esperienza della maternità e lo strazio della perdita”; l’autrice non rinuncia a confidare le proprie esperienze anche drammatiche senza accontentarsi di essere autoreferenziale.  

Mascolo poi presenta “Zeugma, la Casa di poesia di Roma”, iniziativa di Aessandro Anil e Sacha  Piersanti  con pubblicazioni e premi, ha  vinto il premio per l’“Opera prima” lo scorso anno. L’idea nasce dal desiderio di avere un luogo della memoria e delle rimembranze dove parlare di poesia tra giovani, lo associamo agli incontri notturni nella grotta della “Setta dei poeti estinti” nell’indimenticabile film cult “L’attimo fuggente”. Piersanti parla degli incontri avuti sulla poesia  con altre discipline dal vivo, come teatro e musica, per stare insieme collegati alle  eccellenze. Alla domanda di Mascolo se c’è programmazione, la risposta è che nulla è prestabilito, tutto nasce dall’osservazione di ciò che avviene. Non è riservato ai giovani, “l’età non conta”. Si sono incontrate difficoltà nel trovare uno spazio adatto, ci si è riusciti in un luogo idoneo alla Garbatella con appuntamenti ben precisi.

“Premio Ritratti di poesia si stampi”, la vincitrice Anna Paradisi con menbri della Giuria

Dall’iniziativa improvvisata da giovani intraprendenti a quella sperimentata in una sede autorevole  come il “Corriere della Sera”, che ha in comune con la prima la ricerca di una sede, per i giovani la Casa della poesia, per il Corriere l’”Ufficio poesie smarrite”.  Ne parla  Luca Mastrantonio che lo cura nell’inserto “Cultura”, nacque nel 2011  dall’idea di Beppe Severgnini – che dirigeva il supplemento settimanale “7”  alcuni anni fa –   di pubblicare le prime edizioni poetiche del ‘900 e condividere  pezzi di  “poesie smarrite”, cioè senza padri noti. Con il grande afflusso del “popolo dei poeti”  è diventata qualcosa d’altro,  una comunità poetica  – che riceve una “news letter” settimanale – per condividere suggerimenti di poeti contemporanei e anche poesie dei lettori; non sono sui social dato il gran numero raggiunto che si moltiplicherebbe in modo eccessivo. Viene rovesciata la domanda  “a cosa serve la poesia”, che ricorre spesso nella “maratona “ poetica, nell’espressione speculare “come possiamo servire la poesia”. Un modo di servirla è l’ascolto perché la poesia ha bisogno di essere letta, e non solo scritta; è stato verificato negli scambi con i  lettori mediante  il “fermo posta” con il quale vengono messe a disposizione  le poesie di poeti che vogliono essere letti, ci sono le “Poesie amuleto”, definite come la “magia bianca” contro gli eventi negativi. Nella rubrica si risponde a tutti, mentre si pubblicano le poesie più interessanti per la loro consonanza con il momento che si sta vivendo, una sorta di “vitamina P”. Mascolo sottolinea il fatto che dibattiti importanti passano attraverso la poesia, il  mondo dei poeti è molto vivo e la difficoltà risiede nell’incanalare il suo  entusiasmo, le voci dei poeti sono sempre vive.

“Zeugma, la Casa di poesia di Roma” – gli ideatori Aessandro Anil e Sacha  Piersanti, con Mascolo

La conversazione di Mascolo prosegue con Stefano Petrocchi. Direttore della Fondazione Bellonci, Segretario del Comitato direttivo del Premio Strega che ha introdotto dopo tanti anni una grande novità, il “Premio Strega Poesia”. Già nel 1997 con la Fondazione lavorò a una antologia dei poeti degli ultimi 25 anni dal 1970 in poi, mentre la scuola ha sempre ignorato i contemporanei, si ferma a Montale. L’idea è nata dalla volontà di aggiornare il premio Strega – che fino  al 1914  era l’unico premio di narrativa italiana – estendendo lo sguardo agli altri generi, prima la Letteratura straniera, poi la Poesia nella prospettiva di una rinascita considerando anche che è molto adatta alla comunicazione rapida dei “social”. E’ stato chiesto agli Editori di inviare un libro di poesia e ne sono giunti 120, tanti sono quelli che hanno risposto, i 12 componenti del Comitato scientifico del premio ne hanno aggiunti 15, per un totale di 135  tra i quali, mediante l’apposita scrematura, verrà scelta la “cinquina”  da sottoporre al giudizio finale di una Giuria più ampia, come per il Premio di narrativa, parla di 100 persone come ponte tra le scelte del Comitato scientifico e la comunità  dei lettori.  Il Tempio di Venere nel Parco archeologico del Colosseo è stato scelto per ospitare l’evento il 5 ottobre.  L’ultima domanda di Mascolo riguarda lo strano rapporto della Poesia con i “social”, sembrerebbe lontana dalla velocità che caratterizza il nuovo strumento di comunicazione e invece lo utilizza molto; la risposta è che quando  qualche verso va sui social ci si sofferma maggiormente rispetto al resto, anche loro cercheranno di interagire con i“social”.

“Ufficio poesie smarrite” del “Corriere della Sera” – il curatore Luca Mastrantuono, con Mascolo

A sorpresa il poeta della 1^  parte della sezione “Di penna in penna”,dedicata alla poesia italiana, è addirittura Emmanuele F. M. Emanuele, il presidente onorario della Fondazione Roma che  promuove e organizza l’evento da lui ideato 16 anni fa e realizzato ogni anno. Nel dare a Mascolo il suo nuovo libro di poesie recentemente premiato lo ringrazia insieme alla moglie Carla Caiafa per il loro impegno decisivo nella realizzazione dell’evento sin da quando lo ideò 16 anni fa: e questo perché la poesia merita di essere presentata come le altre arti rispetto alle quali è particolarmente significativa in quanto colpisce l’animo del lettore e lo  mette immediatamente in contatto con la sensibilità di chi l’ha scritta. Della sua nuova opera “Versi in cammino” parla il poeta  Boldrini che ne ha scritto la Prefazione, è il sesto libro di poesie di Emanuele, i precedenti sono “Un lungo cammino” e “Le molte terre”, “La goccia nel cielo” e “Pietre e vento”, “Vivere nel cielo”, poi l’attuale “Versi in cammino”. Ringrazia anche l’editore Lucarini per quanto fa nel pubblicare libri di poeti; e alla domanda di Mascolo sulla destinazione dei suoi “versi in cammino” risponde che “la poesia aspira ad andare nel cuore delle persone a cui si rivolge”.  

“Premio Strega Poesia” – il segretario del Comitato direttivo Stefano Petrocchi,, con Mascolo

Parla anche della sua attività di “creatore di bellezze” preannunciando il libro “Vivere nell’arte”  che ripercorre il proprio itinerario di vita nel quale ha promosso e organizzato ben 105 mostre d’arte con lo sguardo rivolto al futuro anche in senso avveniristico come nella mostra di grande successo “Ipotesi Metaverso”, l’ultima da lui ideata e promossa a Palazzo Cipolla. Ma nella sua vita c’è molto altro, la filantropia e l’impegno per i malati psichici, come quelli affetti da Alzheimer e dal morbo di Parkinson, aiutati quando nessuno li considerava, anche con accoglienza in sedi apposite, quali “Il villaggio Emanuele” a lui intitolato. “La sensibilità umana prevale sull’algoritmo”, la modernità sempre più incalzante che circonda il mondo dei giovani e minaccia di annullarla non potrà mai prevalere  sulla “sensibilità culturale, artistica, poetica e, perché no, sentimentale”. Anche in Oriente è giunto ed è stato apprezzato il suo messaggio secondo cui “cultura e bellezza, arte e poesia prevarranno sempre sulla macchina; la poesia è il completamento dell’uomo perché colpisce l’anima del lettore e lo mette in contatto con la sensibilità del poeta”.. E ancora: “La poesia è la speciale medicina che aiuta a guarire lo spirito reso arido quotidianamente dal mondo e dal vuoto che ci circonda”. Con questa precisazione: “La poesia aiuta la riflessione, accompagna la percezione  responsabile della realtà,  facilita la manifestazione del libero pensiero, e delle emozioni, senza nulla togliere ad altre modalità di partecipazione agli accadimenti nell’oggi”.

“Di penna in penna”, 1^, Emmanuele F. M. Emanuele al microfono, con il poeta Boldrini e Mascolo

E lo spiega: la poesia “non ruba il tempo, ma lo potenzia, non è una sottrazione, ma una moltiplicazione di voci, di persone, di ricordi, è la lingua privilegiata per parlare confidenzialmente con l’altro da sé”. Tra tutte le proprie multiformi attività ad alto livello – da professore di scienza delle finanze a top manager, filantropo,  mecenate e altro ancora,  come l’attività sportiva in gioventù a livello olimpionico nella scherma e nella pallanuoto, e poi  nelle relative associazioni sportive  – mette al primo posto “quel poco di poeta che sono”  perché ”quel sentimento che mi muove l’animo e riempie le mie notti mi ha salvato la vita”.  Con toni commossi si rivolge ai giovani  perché ne colgano l’importanza affinché il mondo diventi migliore, pur in un momento di grande preoccupazione per la pandemia ricorrente, la guerra in Europa e la crisi economica. Il saluto a quanti ne hanno condiviso l’impegno conclude l’intervento dalla intensa carica emotiva  di un protagonista spesso “clamans in deserto”  ma dalla voce forte che risuona sempre ammonitrice.

Emmanuele F. M. Emanuele, un’immagine ravvicinata

Boldrini nel commentare il libro presentato, afferma che “noi affidiamo alla poesia il compito di dire qualcosa che è indicibile, questo accade quando c’è una urgenza che viene dal profondo e diventa cruciale. La poesia di Emanuele ha un andamento più discorsivo, in realtà è sempre un’altra pagina di quel diario intimo al quale ci ha abituati nei libri di poesia precedenti, questa volta l’atteggiamento verso il lettore è ancora più confidenziale, ma anche se non si vede, in realtà è un libro pieno di domande, le domande che l’uomo con una esperienza di vita così intensa come quella del prof. Emanuele non può non porsi: cioè il senso del nostro essere nell’esistenza, non il significato delle nostre azioni, non la misura, non i risultati delle nostre azioni, ma come si collocano in un orizzonte più vasto che ci sovrasta dinanzi al quale siamo minuscoli e ammirati, meravigliati. La meraviglia è uno dei toni sempre presenti nelle sue poesie, anche le più amare”. Poi legge alcune poesie tratte dai vari libri di Emanuele, il quale al termine ne legge una intrisa di ricordi della sua infanzia, quando abitava in un palazzo vicino alla cattedrale nel quartiere del grande Federico II del quale viene considerato un continuatore  per la sua visione e la sua azione nei paesi del Mediterraneo che considera la sua patria, nei quali è molto conosciuto e  onorato.

Il presidente Emanuele legge la motivazione del
Premio Fondazione Roma – Ritratti di poesia” nazionale

Da parte nostra vogliamo riportare una sua poesia dalla raccolta “Vivere nel sole” del 2021, che ci sembra evochi poeticamente l’itinerario della sua vita così operosa e ispirata, “La strada”: “Il simbolo più realistico/ della vita è la strada./La si percorre per tutto il/  tempo dell’esistenza./ Impervia a volte e/ piena di imprevisti, / per periodi piatta/ e confortevole ma sempre/ capace di insidie impreviste./ In essa ci si mette alla prova/ si diventa ciò che si è./ Io la strada l’ho percorsa tutta/  confortato dal sole che mi ardeva dentro/ prevedendo le sue svolte, i suoi/ slarghi, i suoi tratti più faticosi/ ho superato gli ostacoli/ e ho raggiunto i traguardi  che mi ero fissato./ E in tutto questo il calore del sole/ mi è stato e mi è compagno fedele./ E la strada,/ pur sapendo che è impossibile, sogno/ di ricominciare a percorrerla”.  Anche in Giorgio Gaber “la strada” ha un ruolo importante, pur nella diversa metafora, ci piace ricordarlo nel ventennale della sua prematura scomparsa.

Emanuele consegna il “Premio Fondazione Roma – Ritratti di poesia”, a Vivian Lamarque

Dopo l’emozionante intervento del  poeta Emanuele, procediamo spediti nel resoconto della mattinata, restando con lui che, tornato nei panni del Presidente,  consegna il “Premio Fondazione Roma – Ritratti di poesia” a Vivian Lamarque dopo aver letto la motivazione nella quale si sottolinea come la sua poesia “tra le più originali e riconoscibili del nostro tempo” è dedicata da sempre  alla “ricomposizione della memoria negli aspetti minuti del vivere quotidiano”. La poetessa “osserva, immagina, riflette, ricorda, racconta di sé e di ciò che la circonda affidandosi  a un linguaggio immediato, un tono colloquiale, che rendono il lettore partecipe, ma non complice, del suo sguardo” in un’opera che rappresenta “poeticamente la vita”.  Qualche verso di “Certe volte i soli” da “L’amore da vecchia” del 2022: “… al mare i soli guardano l’orizzonte e fanno/ ciao con la mano fanno finta di salutare/ qualcuno lontano come per dire/ non crediate sulla battigia sono sola ma/ nel mare oh nel mare ne ho di persone/  care da salutare …/ e le persone del mare ci aprono/ ci salutano, salutano proprio noi/ (e gli altri niente)”.

La premiata Vivian Lamarque legge alcune sue poesie

 Segue il “Premio internazionale Fondazione Roma – Ritratti di poesia”  alla poetessa americana  Tess Gallagher. Emanuele la introduce esprimendo la sua convinzione che “le donne sono migliori degli uomini”, e non lo dice come complimento rituale, afferma che “si deve a loro se siamo qui, non solo perché grazie a loro  abbiamo riprodotto il genere umano,  ma perché nei 2000 anni della storia umana, con la loro competenza, pazienza, intelligenza e i loro suggerimenti hanno cambiato il mondo”. Le consegna il premio e legge la motivazione  nella quale si afferma che “nella poesia raggiunge l’equilibrio tra autobiografia e relazione con il mondo come tratto distintivo”,  mentre  l’impianto narrativo di una autrice di racconti e saggi “intesse una fitta trama di ricordi, di sogni, di visioni che si interseca con la realtà del tempo presente …” traducendo poeticamente la propria esperienza esistenziale. 

Emanuele consegna ill “Premio internazionale Fondazione Roma – Ritratti di poesia”
 a Tess Gallagher

La poetessa, accompagnata dal traduttore Riccardo Duranti,  legge una serie di poesie la cui traduzione, come sempre,  appare in alto sullo schermo.  “Decisioni” da “Viole nere” del 2014, la riportiamo integralmente nella sua brevità: “Vado sul lato della casa che dà/ sulla montagna a tagliare arbusti/ per liberare la vista sulla neve/ della vetta. Ma appena alzo gli occhi/ con la sega già pronta,/ vedo un nido/ aggrappato ai rami più alti./ Quello non lo taglio./ E non taglio neanche gli altri./ D’un tratto, su ogni albero,/ un nido invisibile/ al posto della/ vetta”.

Con questa carrellata di premi, dopo l’inizio dei giovani studenti e l’emozionante incontro ravvicinato con il presidente-poeta Emanuele, concludiamo la prima parte del nostro resoconto:  seguiranno,  nei prossimi due articoli,  altre 6 parti della sezione sulla poesia italiana, “Di penna in penna”, e 5 parti della sezione internazionale, “Poesia sconfinata”, fino all’intenso recital conclusivo.  La maratona poetica è tutta da vivere. 

La premiata Tess Gallagher legge alcune sue poesie

Info

Auditorium della Conciliazione, via della Conciliazione 4,  Roma. L’intera giornata è stata trasmessa in “streaming” su Rai Cultura e Rai Scuola ed è raggiungibile su Rai Play, le singole parti sono raggiungibili su Youtube. Gli altri due articoli sulla manifestazione usciranno in questo sito venerdì 16 e domenica 18 febbraio 2024. Cfr. in questo sito i nostri articoli, sulle precedenti edizioni dei “Ritratti di poesia”  20-21 maggio 2022, 12 marzo 2020, 17 febbraio 2019, 1° e 5 marzo 2018,  10 marzo 2017, 10 febbraio 2016, 15 febbraio 2013, 9 maggio 2011 ; su Emmanuele F.M. Emanuele   22 ottobre 2019, 14, 20 aprile 2019.

Emmanuele F. M. Emanuele, ideatore e anima delle 16 edizioni dei “Ritratti di Poesia”

Photo    

Le immagini sono state tratte dal sito www.ritrattidipoesia.com tranne alcune dalla pagina “Facebook” dei “Ritratti di Poesia”, si ringrazia l’organizzazione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Ciascuna fase della manifestazione è documentata con la relativa immagine. In apertura, La sala ,.prima dell’inizio, con gli studenti di ‘Caro Poeta’”, seguono,  Vincenzo Mascolo, il conduttore, organizzatore e intervistatore della manifestazione, e Liceo Machiavelli, lettura poetica della studentessa accompagnata dal “rumore di fondo” dei compagni con il poeta Nicola Bultrini,; poi, Liceo Cavour, lettura poetiuca dello studente con la poetessa Calandrone, e Liceo Vittoria Colonna, lettura poetica della studentessa con i compagni; quindi, “Premio Ritratti di poesia 280”, il vincitore Lorenzo Pataro con membri della Giuria, e “Premio Ritratti di poesia si stampi”, la vincitrice Anna Paradisi con menbri della Giuria; inoltre, “Zeugma, la Casa di poesia di Roma” – gli ideatori Aessandro Anil e Sacha  Piersanti , “Ufficio poesie smarrite” del “Corriere della Sera” – il curatore Luca Mastrantuono, e “Premio Strega Poesia” – il segretario del Comitato direttivo Stefano Petrocchi,, tutti con Mascolo; continua, “Di penna in penna 1^ Parte”, Emmanuele F. M. Emanuele al microfono, con il poeta Boldrini e Mascolo, ed Emanuele in un’immagine ravvicinata; prosegue, Il presidente Emanuele legge la motivazione del “Premio Fondazione Roma – Ritratti di poesia” nazionale, Emanuele consegna il “Premio Fondazione Roma – Ritratti di poesia”, a Vivian Lamarque, e La premiata Vivian Lamarque legge alcune sue poesie; poi, Emanuele consegna ill “Premio internazionale Fondazione Roma – Ritratti di poesia”  a Tess Gallagher“, e La premiata Tess Gallagher legge alcune sue poesie ; infine, Emmanuele F. M. Emanuele, ideatore e anima delle 16 edizioni dei “Ritratti di Poesia” e, in chiusura, La platea con gli studenti dei tre licei romani protagonisti di “Caro poeta”.

La platea con gli studenti dei tre licei romani protagonisti di “Caro poeta”

Ceccarelli, “Il leone di Milano”, il nuovo romanzo sulle luci e ombre del successo aziendale

di Romano Maria Levante

Con il  nuovo romanzo di Piercarlo Ceccarelli,, “Il leone di Milano”,  si compone una ”tetralogia” di narrazioni che prendono lo spunto da situazioni aziendali al centro delle vicende, si diffondono in  analisi psicologiche e ambientali con intrecci di natura personale e familiare   e fanno entrare nella vita dell’imprenditore e uomo d’azienda facendo luce sui processi  aziendali e le relative scelte e decisioni, legate oltre che ai fattori oggettivi  delle tecnologia, del mercato e quant’altro, anche  – e in molti casi soprattutto –  agli elementi caratteriali.  


La Copertina del libro

E’ una storia coinvolgente che si svolge nel ”sancta sanctorum” delle imprese a gestione familiare. Per questo interessa non soltanto chi segue le vicende aziendali, ma anche il lettore comune che può entrare nel mondo misterioso dei capitani d’azienda,  con la stessa ansiosa curiosità con cui “Sabrina” nell’indimenticabile film spiava le feste della famiglia di imprenditori datori di lavoro del padre. Il protagonista viene seguito nei luoghi “riservati” che frequenta – dai campi di golf al club esclusivo,  alle  aste di oggetti preziosi  – oltre che nelle assemblee societarie,  teatro di contrasti familiari,  e nelle  relazioni di lavoro e personali, con una speciale attenzione ai risvolti psicologici e ai riflessi esistenziali delle scelte sue e dei familiari più stretti con cui il lettore si può confrontare.. 

Con questo nuovo romanzo di una serie che ne conta già tre si compie una “tetralogia” di quello che abbiamo definito a suo tempo  “company thriller”, una sorta di  nuovo genere narrativo  che si affianca ai “legal thriller” nel  portare l’autore a trasferire nel romanzo  quanto  interiorizzato in una lunga pratica professionale ad alto livello. In questo caso qualcosa, anzi molto di  professionale,   c’è non solo nell’ispirazione e nel contenuto, ma anche nel  valore pratico  dell’opera. 

L’Elicottero: “Aveva sempre amato le trasferte in elicottero: gli permettevano di osservare le cose dall’alto, riflettere liberamente e riordinare le idee; lo mettevano, in genere, anche di buon umore”

Gli insegnamenti  per la visione aziendale  e per la vita di tutti

Viene utilizzato il romanzo come  mezzo  appropriato e  quanto mai efficace per approfondire aspetti psicologici per lo più trascurati, se non ignorati,  mentre sono determinanti e spesso decisivi nelle decisioni aziendali. Queste non dipendono, come si ritiene comunemente, solo dai dati di fatto, per lo più quantitativi, e dai modelli  deterministici  utilizzati come ausilio  e  considerati spesso risolutivi, e l’autore ha usato, eccome!, il “Par Roi” con la relativa banca dati a tutto campo, descrivendolo nei suoi scritti aziendali;  bensì dai fattori psicologici che vanno dal carattere dei decisori e dei loro interlocutori, con le emozioni  suscitate, i sentimenti con i risentimenti  che nascono,  tutti elementi che intervengono in modo  preponderante e, ripetiamo, spesso decisivo, nell’insieme  di relazioni che intercorrono all’esterno nella vita aziendale e  personale, e all’interno delle famiglie e di loro stessi. 

Il  romanzo per sua natura può far uscire allo scoperto tali fattori  penetrando nei recessi più nascosti dell’animo umano con l’esplorazione dei diversi ambienti nella vasta gamma delle loro sollecitazioni spesso contrastanti.   Cade così la concezione, spesso un’illusione,  che le decisioni nelle aziende, e anche quelle personali nella vita comune, siano frutto soltanto di valutazioni razionali supportate da elementi oggettivi, quindi deterministiche  e in quanto tali indiscutibili; e si apre un campo  del tutto nuovo nelle analisi aziendali,  nel quale  assumono rilevanza altri fattori apparentemente imperscrutabili, che possono  essere analizzati  con un approccio di  natura diversa;   la lunga esperienza nella consulenza direzionale consente all’autore questa nuova visione. Del resto,  già in un precedente romanzo della serie avevamo trovato un insegnamento valido per tutti, non solo per gli imprenditori e manager: di fronte a una situazione di rischio o comunque a una scelta ardita,  prima di seguire l’impulso bisogna meditare   tenendo conto del proprio carattere, se estroverso e avventato oppure introverso e prudente, quindi regolarsi di conseguenza frenando slanci eccessivi o superando remore paralizzanti nei due diversi aspetti caratteriali.   

La Società del Giardino, il “Gentlemen’s club.: “Bernardo attendeva l’arrivo del suo antico concorrente, anzi rivale, che gli aveva dato appuntamento per cena, accomodato in una delle poltrone retro di cuoio verde della Sala Brasera,  uno degli ambienti che più amava della Società del Giardino,  il gentlemen’s club milanese di cui entrambi erano soci”

Nel romanzo  vengono seguite  attentamente le pressioni psicologiche interiori, le relazioni interpersonali, il modo di dialogare con i diversi soggetti, e anche di trattare nelle diverse situazioni, per chiunque fonte di apprendimento e di riflessione. Il protagonista  è al centro di un quadrilatero di forze – l’azienda e la famiglia, i parenti-coltelli con i colleghi-rivali  e le donne – che  di volta in volta stanno per schiacciarlo e sempre lotta anche con se  stesso per  sottrarsi  alle pressioni  opprimenti con uno sforzo psicologico nel quale lo aiutano fattori  che non valorizza da solo, ma con l’aiuto di chi può dargli consigli validi, e anche questo è un insegnamento. “Ti consiglio di accettare i buoni consigli ”  dice una pubblicità bancaria, per l’azienda il “deus ex machina” è il consulente di direzione,  ma anche nella vita bisognerebbe cercare e trovare un prezioso consigliere. E’  intrigante l’alternanza di situazioni,  che trova corrispondenza nella vita, dalle “stelle”  alle “stalle” e anche l’inverso,  “dalla  polvere agli altari”,  le vive sulla sua pelle il protagonista e il lettore con lui. Se poteva considerarsi un “leone” a Milano in campo aziendale e non una “gazzella” – come gli dice il consulente Fabbroli citando la nota metafora – teme, anzi è consapevole, che possano esserci leoni più forti.

Un romanzo anche didattico ed educativo, dunque,  per l’azienda e la famiglia, la persona e la vita, senza essere pedagogico né tanto meno pedante, anzi tiene in una “suspence “ da “thriller”.  Del resto, anche nelle problematiche di tipo aziendale troviamo elementi divenuti quasi abituali, come i collegamenti a distanza in un sistema integrato del quale abbiamo sperimentato forme diverse, ma paragonabili, con lo “smart working” e la “didattica a distanza”  repentinamente portati dal “lockdown” per il Coronavirus;  e la digitalizzazione , con l’intelligenza artificiale, evocata nel romanzo a livello di alta innovazione industriale con l’illustrazione dei vantaggi rivoluzionari, la cui penetrazione nella vita domestica non è acora avvenuta se non nelle avveniristiche anticipazioni di una “domotica”  fantascientifica o altre applicazioni suggestive. Mentre  la “meccatronica”,  pur essa citata nel romanzo,  riporta il pensiero a “King Kong” e soprattutto a “E.T., le indimenticabili creazioni  del “mago degli effetti speciali” Carlo Rambaldi; i suoi eredi, il gruppo  “Machinarium”, vi hanno innestato la digitalizzazione, in un processo innovativo che ricorda quello del romanzo.

L’appartamento a Milano: “Dalla terrazza del loro appartamento di via Mozart la vista era superba… In lontananza si poteva scorgere il merletto delle guglie del Duomo, che facevano da corona alla statua della Madonnina.”.

L’azienda nella vita del protagonista.

Del quadrilatero di forze che premono sul protagonista Bernardo, l’azienda è la più problematica, connaturata all’intera sua esistenza,  essendo un’azienda di famiglia, i Cerutti,  di cui è il leader sebbene restino ancora  attivi i fondatori nel padre Giulio e nello zio Alessandro; mentre per i figli Fabrizio ed Eleonora la prospettiva è lontana nell’incertezza delle loro scelte non condizionate.

E l’esistenza del leader aziendale non è  tranquilla, movimentata da sollecitazioni opposte: un’occasione di crescita con l’acquisizione di un’azienda concorrente, quella dei Colombo,  che si pone come contraltare, concentrata sul prodotto come quella del protagonista lo è sul  mercato, con il risultato che la sua ha respiro internazionale, l’altra solo nazionale, pur se di eccellenza; e a breve distanza il rischio della catastrofe per l‘improvviso profilarsi dell’inattesa supremazia tecnologica  di un concorrente americano più innovativo che minaccia di espellere la sua azienda dal mercato.

L’asta a Palazzo Amman: “Già salendo lo scalone di Palazzo Amman si riusciva a capire che quella seduta d’asta d’incanto sarebbe stata molto animata: del resto era prevedibile, lui e Benny non erano certo i soli collezionisti con la passione per l’Art Nouveau‘”

Queste opposte situazioni vengono fatte rivivere con una narrazione avvincente – scandita in modo incalzante come un diario giornaliero di eventi ed emozioni – dove in aggiunta  spicca la forza espressiva dell’autore nel descrivere le trattative con l’attenzione psicologica alle mosse dell’interlocutore, moderando e modulando gli accenti a seconda dei momenti, una vera lezione su come condurre i negoziati.

L’azienda ovviamente è molto di più della fonte di soddisfazioni e preoccupazioni per il protagonista: è anche il campo dell’innovazione, dove si  introducono le applicazioni più avanzate, cui abbiamo accennato, in uno “storytelling” particolarmente interessante perché mostra come l’intervento della consulenza direzionale possa essere risolutivo. Solo così soluzioni altrimenti impensabili diventano possibili, è fattibile il reperimento dei fornitori delle tecnologie avanzate richieste e degli ingenti mezzi finanziari necessari, con ardite architetture operative, finanziarie e azionarie che vengono descritte in modo piano e accessibile. In tal modo si possono superare le problematiche psicologiche e quelle collettive nella complessità dell’impresa familiare con  le partecipazioni anche di redditieri senza interesse per l’azienda ma solo per il loro capitale.

L’acquisto all’asta: “Benny riuscì ad accaparrarsi una lampada Tiffany del 1905, un soprammobile che a Bernardo non piaceva troppo…”

La famiglia, croce e delizia

Impresa familiare, dunque, lo è quella del protagonista, della dinastia dei Cerutti, i fratelli Giulio, suo padre, e Alessandro con i loro discendenti, in primis Bernardo.  Lo  è quella dell’impresa concorrente  per la quale si apre la possibilità di un’acquisizione, dei Colombo con il figlio Antonio, l’interlocutore nella trattativa e la cugina Anna, con cui Bernardo ha avuto una storia finita male.

I fondatori restano sullo sfondo, anche se attivi nella vita aziendale, ma riescono a  mettere in  campo la propria saggezza. Questa volta, a differenza dei romanzi  precedenti dello stesso autore, non entrano nelle scelte aziendali, non c’è il dilemma tra accettare i rischi  dello sviluppo accelerato o riposare sugli allori dei traguardi raggiunti con i pericoli relativi; lo si lascia ai figli, in particolare Bernardo, senza interferire. Ma ugualmente riescono a intervenire in modo risolutivo quando sono in gioco aspetti decisivi sul piano umano e non solo. Così quando c’è stata una grave mancanza di un figlio, non il protagonista, è calata la scure della punizione ma lasciando aperta la possibilità di un riscatto, prontamente colta con esiti positivi anche se poi la vicenda ha seguito il suo corso.

Gli  equilibri familiari da preservare da parte dei capistipite non attengono ai rapporti con i discendenti, bensì alle famiglie di questi ultimi e alle relazioni tra loro, sempre movimentate per effetto delle sollecitazioni psicologiche provenienti dai  caratteri di ciascuno. Non solo tra cugini sono continui i dissapori da dirimere, ma la dinamica familiare presenta realtà sempre complesse.

Al Golf Club di Tolcinasco: “Un pomeriggio di vento e di sole come quello era l’ideale per giocare a golf. Era da molto tempo che non si concedeva una partita: anni prima era solito frequentare i green quasi tutte le settimane”

Così tra la seconda e la terza generazione, i nipoti dei fondatori che tendono a sottrarsi alle pressioni dei genitori i quali vorrebbero averli come continuatori dell’azienda di famiglia; mentre c’è Loredana che cerca di crearsi un’altra ben più piccola azienda e si oppone ai tentativi di farla desistere  per dover entrare in quella familiare dedicandosi agli studi appropriati senza diversivi; e Fabrizio che segue la vocazione artistica  rifiutando ogni compromissione aziendale neppure sul piano della commercializzazione delle opere d’arte. Nulla, però, è a senso unico, nei colpi di scena c’è spazio per sviluppi imprevedibili, maturati lungo un percorso meditato, mai unidirezionale.

I problemi e rapporti familiari non sono, però, soltanto di ordine psicologico e comportamentale, attengono anche alla vita dell’azienda in senso stretto. L’azienda familiare, particolarmente diffusa nel nostro paese, è infatti protagonista anche di questo quarto romanzo, e le problematiche sono meramente di ordine proprietario: nel senso che le partecipazioni azionarie sono distribuite tra i due rami della famiglia, i fondatori Giulio e Alessandro  e i loro figli: un intreccio tra chi è operativo nell’azienda e chi ha solo interesse reddituale ed è attento, quindi, anche a possibili rendimenti alternativi, quindi pronto a vendere la propria quota mutando gli equilibri fino alla possibile cessione dell’intera azienda anche contro al volontà del suo leader. E’ una parte interessante perché rende appieno la complessità e le implicazioni di tale forma aziendale, fino all’approfondimento dell’alternativa tra conduzione diretta e management esterno indipendente garante per tutti.

La trasferta negli Stati Uniti: “Il viaggio aereo di ritorno era stato per Bernardo un tormento, il senso di colpa  lo assillava,  sentiva  la spada di Damocle della  meritata punizione, era sconvolto”  

Nella famiglia, allargata alla dinastia, ci sono sempre i “parenti-coltelli”, e qui ne abbiamo uno in particolare evidenza, si tratta di Giuseppe, il cugino del protagonista, ben diverso da lui che appare specchiato e lineare, quanto l’altro sembra ombroso e inaffidabile, rancoroso e vendicativo.

Sulla figura di Bernardo ruota la narrazione, si potrebbe accostare al personaggio tutto milanese della celebre ballata di Giorgio Gaber, “il suo nome era Cerutti Gino [con la variante di Bernardo], ma lo chiamavan drago, gli amici al bar del Gianbellino, dicevan ch’era un mago…”. Diverse  forze lo comprimono in un assedio continuo, e deve destreggiarsi con abilità e sofferenza per non essere schiacciato dall’una o dall’altra; ne deve schivare di minacce alla sua posizione e alla sua azione aziendale. Nel  farlo gli capita di sprofondare in crisi di pessimismo alternate dal ritorno all’ottimismo, mentre  la volontà e la ragione si alternano. La sua è una lotta costante, con la realtà ineludibile della vita aziendale, tra successi presenti e rischi di insuccessi futuri, risultati positivi frutto di bravura ed errori dovuti a presunzione, e con  i problemi della vita, nell’ambito personale e familiare, anche molto particolari. Si seguono le sue vicende immedesimandosi in lui, presi dal susseguirsi di situazioni che, pur nella loro semplicità, sono rese avvincenti dalla maestria narrativa che le fa rivivere al lettore.

L’antagonista Giuseppe impersona i “parenti-coltelli”, il  contraltare del protagonista su tutti i piani, anche su quello della correttezza personale di cui Bernardo è invece un esempio. E’ sua quella che si può definire la più grave infrazione all’etica aziendale e senza aggettivi, è suo anche il recupero della rispettabilità con un valido impegno sul piano professionale. Ma è anche suo il sordo tentativo di rivalsa captando surrettiziamente consensi familiari  per decidere in proprio e non certo in modo positivo, le sorti dell’azienda.  Il tutto mettendo in croce il protagonista su ritardi che lo stesso Bernardo si rimprovera ma cercando di rimediare per salvare l’azienda, a differenza di Giuseppe che invece vorrebbe affossarla in una sorta di “muoio io con tutti i Filistei”, anche se con le tasche piene. Una cosa positiva gli va riconosciuta: la coerenza che lo porta a uno scatto di orgoglio dinanzi a un’offerta seducente ma che andava contro la propria natura  arrogante.

Le macchine per i movimenti di terra: “… il produttore dovrà sviluppare prodotti sempre più intelligenti, attraverso tecnologie digitali integrate, cioè hardware in combinazione con software che offre nuove funzionalità. E concluse: ‘Storicamente, la parte hardware del prodotto era stata alla base della differenziazione sul mercato; ora la situazione è invertita: la componente software diventa sempre più il fattore che porta alla differenziazione e al valore'”

Molto diversa dalla figura di Giuseppe quella di Antonio Colombo, il  leader dell’impresa concorrente  interlocutore nella trattativa per la vendita ai Cerruti rappresentati da Bernardo, la sua abilità nella negoziazione, pur nelle posizione di inferiorità,  si sposa alla accettazione di un’offerta personale che poteva rifiutare per orgoglio o risentimento; invece fa vincere la professionalità e, a dispetto delle insinuazioni e della diffidenza di Giuseppe per lui, è un esempio di correttezza e di impegno per un’azienda che lo aveva sconfitto ma nella quale era entrato senza remore. Anche in questo caso spicca la  lungimiranza di Bernardo, nonché la sua generosità; mostrata addirittura persino nei riguardi di Giuseppe nonostante il suo comportamento ostile e i suoi odiosi sgambetti.

Gli elementi umani, e le componenti psicologiche, si aggiungono a quelli professionali, che non bastano: Giuseppe è molto valido su questo piano per la sua competenza nel settore tecnologico ma pur essendo questo un elemento importante non è decisivo, vale di più la qualità personale.

Competenza e qualità professionale  nell’ altro personaggio, torna il consulente di direzione Nicola Fabbroli, che si trova ad affrontare un problema aziendale spinoso sotto molti aspetti, da quello tecnologico al finanziario, cui si aggiungono le complicazioni di natura familiare dovute a intrecci azionari e motivazioni diverse: da chi non è interessato all’azienda ma al rendimento del proprio pacchetto azionario, a chi come il protagonista le è legato indissolubilmente. Ma l’ amore per l’azienda di famiglia non esclude soluzioni anche impensabili con dei colpi di scena appassionanti.

. Vigevano, lo stabilimento per le macchine:: “La sua azienda aveva il potenziale per vincere la sfida nella quale si sentiva impegnato personalmente e totalmente. Bastava guardare quello che erano riusciti a costruire: Case Rosse aveva cambiato aspetto negli ultimi vent’anni, con la costruzione dei nuovi capannoni destinati alle linee di lavorazione più innovative”. .

Le donne con  grandi e piccoli uomini

E poi ci sono le donne, che non hanno un ruolo secondario, tutt’altro, intervengono nei momenti topici della vicenda dando di volta in volta un tocco di classe e di eleganza, di sensualità e passione, con distacco ma anche condivisione. Si dice che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, non si applica alla nostra vicenda perché non sono mai dietro ma a fianco, anche davanti.

Le stesse zie, Sofia e Maria Paola, intervengono in una fase importante con delle sorprese che si inquadrano in un’attenzione mai venuta meno anche quando non compaiono e sono silenti.

Ma pensiamo ad Anna. forse la  figura femminile che rimane maggiormente impressa  per la sua orgogliosa dignità unita ad una sensualità seducente.  Fa parte dei Colombo – la famiglia  dell’azienda concorrente con cui  c’è stata la trattativa per la cessione tra Bernardo e il cugino Antonio –  ha avuto una storia con Bernardo terminata bruscamente per colpa di quest’ultimo; da parte sua poi un orgoglioso rifiuto a un’offerta accettata invece da Antonio, fino alla ricomparsa in un momento particolarmente difficile per chi l’aveva tradita, una possibilità di infierire per rifarsi dell’umiliazione, una ferita non rimarginata. Assistiamo a una  lezione di amor proprio e fierezza ma nel contempo di comprensione e benevolenza, senza sdolcinature bensì con la dimostrazione di come si possa  entrare nei recessi dell’animo dando una risposta non solo consolatoria ma anche e soprattutto  di incoraggiamento e di stimolo a chi, come Bernardo, ne aveva tanto bisogno. Unita a sferzanti riferimenti ai passati trascorsi e ai pensieri obliqui che percepiva nell’antico innamorato riuscendo ad evidenziarli con espressioni via via, però, sempre più dolci  e persino tenere, forte della sua carica sensuale che sconvolge Bernardo con il ritorno di fiamma dei desideri sopiti.

La birreria della figlia: “… Loredana si è messa a lavorare: insieme con Pietro, il suo ex compagno di liceo – ricordi? – hanno impiantato un birrificio artigianale. Pare che Pietro sia il birraio, mentre lei si occupi della promozione commerciale”

Una donna molto diversa Nadira, come è molto diverso da Bernardo l’uomo a cui si è unita, proprio Giuseppe, come abbiamo visto.  Apparentemente docile e remissiva, ma non ha davanti un grande uomo e non è di certo una grande donna, forse opportunista anche se ha sfoderato un’energia che non le si  attribuiva ottenendo ciò che voleva e dominando poi il suo piccolo uomo.

Ci  piace concludere con la figura di Benedetta, la moglie del protagonista, la più “normale” fra le tre, emblematica della difficile conciliazione tra famiglia e carriera per la donna: Benny c’è riuscita, ha allevato due figli e si è reinserita nella vita professionale in una posizione dirigenziale. Ma non è di questo che vogliamo parlare, bensì della sua femminilità, con l’eleganza e la raffinatezza unite a una sensualità naturale. Nel rapporto con Bernardo c’è di tutto, le liti e le riappacificazioni, le accuse immotivate  e le incomprensioni sull’educazione dei figli, il distacco per motivi di lavoro e per i dissapori familiari,  i dolci abbandoni e gli irrigidimenti, le confidenze e le chiusure. Ma prevalgono i momenti di affettuosa complicità in una visione costruttiva della vita con il coinvolgimento mentale e spirituale, emotivo e sentimentale, fino all’intesa  totale. Ci sono due momenti topici di quest’intesa, nei quali culminano fasi importanti della vicenda, la sessualità esplode una volta con tutta la sua forza prorompente, un’altra con una delicatezza altrettanto intrigante. Si rivivono anche questi aspetti della vita del protagonista, la sua donna è “con”  lui, mai “dietro” di lui per propria scelta volitiva, e sa quando abbandonarsi sulle ali dell’amore.

Dall’azienda alle donne, fino alla donna della sua vita, il protagonista ci appare in tutta la sua umanità, in una storia nella quale emerge la maestria dell’autore nel penetrare la psicologia dei personaggi nelle loro manifestazioni, le più diverse come lo sono per tutti, descrivendo gli ambienti in cui vivono e frequentano con citazioni particolari che ne mostrano la profonda conoscenza. Forse sono gli ambienti che lui stesso frequenta, ma di certo non lo vediamo nei panni del consulente di direzione quale è stato nella sua lunga vita professionale di successo – fondatore  e titolare di una primaria società internazionale – bensì di scrittore a tutto campo.

La premiazione del figlio: “Solo la settimana prima, Fabrizio aveva vinto il concorso interno organizzato ogni anno all’accademia di Brera fra gli allievi dei corsi di pittura e scultura. Era un riconoscimento importante, e lui ci teneva che alla premiazione ufficiale, fissata di lì a qualche giorno, partecipassero anche i suoi familiari”

La “tetralogia”  come “tetrafarmaco” sulle vicende della vita

L’interesse della “tetralogia” dell’autore, oltre alle vicende coinvolgenti che attraversano le quattro  famiglie con le rispettive aziende nasce, come si è detto, da una serie di insegnamenti che se ne traggono anche per la vita comune: su come affrontare le scelte difficili e i traumi di segno opposto dalle stelle alle stalle, dalle polveri agli altari, i contrasti  familiari e i normali colloqui di affari. Insegnamenti frutto di un’intensa attività professionale che lo ha messo a contatto con le situazioni più diverse  avendo in comune l’importanza decisiva dei fattori psicologici. Se ne ricava una sorta di “tetrafarmaco”, non quello epicureo riguardante la morte e gli dei, il dolore e il piacere, ma un aiuto quotidiano che nasce dalla migliore conoscenza di sé stessi per dominare le proprie reazioni. 

Anche sotto questo profilo  il “salto di specie” dell’autore –  se così possiamo chiamarlo dopo tanti libri di tecnica aziendale, da lui scritti e pubblicati a latere della consulenza direzionale – è definitivamente quanto positivamente compiuto. Quella che compone finora una “tetralogia”  narrativa con le peculiarità che abbiamo cercato di evidenziare, viene a formare un vero “poker d’assi”.

Il CdA sulle sorti dell’Azienda: “La prima riunione del CdA, dopo la morte di Alessandro, si era conclusa un’ora prima. Era stata, per lui, disastrosa. Di nuovo, affiorava alla sua mente il pensiero della sconfitta imminente, di una resa inevitabile su tutta la linea…”

Info

Piercarlo Ceccarelli, “Il leone di Milano“, Milano, novembre 2023, pp, 221, Amazon, euro 10,40. In merito alle citazioni nel testo cfr. le nostre recensioni su questo sito: per i primi 3 romanzi, Ceccarelli, Il nuovo romanzo per dire ‘Oggi sono migliore’ 9 ottobre 2021, e Ceccarelli, i Martini e i Gianselmi, storie aziendali e lezioni di vita 14 gennaio 2017; per la “meccatronica”, Rambaldi, il mago degli effeti speciali, al Palazzo Esposizioni 4 gennaio 2020 . I precedenti libri di Ceccarelli della tetralogia di “company’s thriller” sono: “Oggi sono migliore. Una storia imprenditoriale, Editore Interlinea 2020, euro 16,00. “I Martini, Una famiglia, un’azienda: leadership tra ostinto e ragione, Editore Libreria Utopia 2016, euro 19,50; “I GIanselmi. Una storia famigliare”, Mind Edizioni 2015, euro 19,99. I libri di Ceccarelli di saggistica aziendale, prima del “salto di specie” sono: “Le nuove forze della competitività” (con E. Presutti) Editore Sperling & Kupfer, euro 17,82; “Supereroi d’impresa, Creano i prodotti e i servizi che conquisteranno il mondo. Partendo dall’Europa”, Mind Edizioni 2014, euro 19,00; “Azienda, maledetta azienda. Perchè l’Italia non può sopravvivere se non torna a fare impresa”, Mind Edizioni 2012, euro 19,00; “L’urto della crisi. Leader d’impresa alla prova del grande cambiamento”, Mind Edizioni 2011, euro 19,00; “La crescita sostenibile nei mercati maturi, Posizionarsi in modo distintivo per crescere e creare valore nel tempo” (con Andrea Ferri, Carlo Martelli), Editore Il Sole 24 Ore 2008, euro 24,00; ; “I nuovi principi PIMS” (con Keith Roberts), Editore Sperling & Kupfer 2002, euro 18,00; “Gestire l’azienda nell’era di Internet” (con Carlo Martelli), Editore Sperling & Kupfer 2001, euro 17,82; “Il managementinnovativo per riprogettare l’azienda” , Editore Sperling & Kupfer 2000; euro 17,82; “Vincere con il benchmarking” (con Giovanni Calia), Editore Sperling & Kupfer 1995.

Dopo le decisioni finali, l’incontro di famiglia nella villa a Vigevano: “Maria Paola Cerutti aveva molto insistito molto perché Giulio e Sofia, Bernardo, Carlo e Giuseppe partecipassero a una cena a casa sua, a Villa Altea. Quell’incontro, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto svolgerso alcuni mesi prima per riunire la famiglia dopogliieventi degli scorsi mesi e appianare i residui contrasti, in modo che potessero venire superati accantonati una volta per tutte”; in chiusura,

Photo

Le immagini, come di regola, non sono nel romanzo, le abbiamo inserite per favorire l’ambientamento del lettore. Sono state tratte da siti di pubblico accesso, e inserite a titolo meramente illustrativo senza alcuno scopo di natura economica, pronti ad eliminarle su semplice richiesta se la loro pubblicazione non è gradita dai titolari dei siti che si ringraziano per l’opportunità offerta; la didascalia riporta una citazione del romanzo cui la singola immagine si riferisce, le immagini sono inserite nella progressione delle citazioni, tranne l’ultima, posticipata di una posizione. In apertura, la Copertina del libro; seguono, 1l’Elicottero.: “Aveva sempre amato le trasferte in elicottero: gli permettevano di osservare le cose dall’alto, riflettere liberamente e riordinare le idee; lo mettevano, in genere, anche di buon umore”, 16 “La Società del Giardino, il “Gentlemen’s club”.: “Bernardo attendeva l’arrivo del suo antico concorrente, anzi rivale, che gli aveva dato appuntamento per cena, accomodato in unadelle poltrone retro di cuoio verde della Sala Brasera,  uno degli ambienti che più amava della Società del Giardino,  il gentlemen’s club milanese di cui entrambi erano soci”, e 47 L’appartamento a Milano: “Dalla terrazza del loro appartamento di via Mozart la vista era superba… In lontananza si poteva scorgere il merletto delle guglie del Duomo, che facevano da corona alla statua della Madonnina.”; poi, L’asta a Palazzo Amman: “Già salendo lo scalone di Palazzo Amman si riusciva a capire che quella seduta d’asta d’incanto sarebbe stata molto animata: del resto era prevedibile, lui e Benny non erano certo i soli collezionisti con la passione per l’Art Nouveau”; e L’acquisto all’asta: “Benny riuscì ad accaparrarsi una lampada Tiffany del 1905, un soprammobile che a Bernardo non piaceva troppo…”; Al Golf Club di Tolcinasco: “Un pomeriggio di vento e di sole come quello era l’ideale per giocare a golf. Era da molto tempo che non si concedeva una partita: anni prima era solito frequentare i green quasi tutte le settimane”, e La trasferta negli Stati Uniti: “Il viaggio aereo di ritorno era stato per Bernardo un tormento, il senso di colpa  lo assillava,  sentiva  la spada di Damocle della  meritata punizione, era sconvolto”;    Le macchine per i movimenti di terra:    “… il produttore dovrà sviluppare prodotti sempre più intelligenti, attraverso tecnologie digitali integrate,–cioè hardware in combinazione con software che offre nuove funzionalità E concluse:  ‘Storicamente, la parte hardware del prodotto era alla base della   stata la differenziazione sul mercato; ora la situazione è invertita: la componente software diventa sempre più il fattore che porta alla differenziazione e al valore”. Vigevano, lo stabilimento per le macchine:: “la sua azienda aveva il potenziale per vincere la sfida nella quale si sentiva  impegnato  personalmente  e totalmente. Bastava guardare quello che erano riusciti a costruire: Case Rosse aveva cambiato aspetto negli ultimi vent’anni, con la costruzione dei nuovi capannoni destinati alle linee di lavorazione più innovative”. La birreria della figlia: “…Loredana si è messa a lavorare: insieme con Pietro, il suo ex compagno di liceo – ricordi? – hanno impiantato un birrificio artigianale. Pare che Pietro sia il birraio, mentre lei si occupi della promozione commerciale”; La premiazione del figlio: “Solo la settimana prima, Fabrizio aveva vinto il concorso interno organizzato ogni anno all’accademia di Brera fra gli allievi dei corsi di pittura e scultura. Era un riconoscimento importante, e lui ci teneva che alla premiazione ufficiale, fissata di lì a qualche giorno, partecipassero anche i suoi familiari”;  Il CdA decisivo per le sorti dell’Azienda: “La prima riunione del CdA, dopo la morte di Alessandro, si era conclusa un’ora prima. Era stata, per lui, disastrosa. Di nuovo, affiorava alla sua mente il pensiero della sconfitta imminente, di una resa inevitabile su tutta la linea…”. Dopo le decisioni finali, l’incontro di famiglia nella villa a Vigevano: “Maria Paola Cerutti aveva molto insistito molto perché Giulio e Sofia, Bernardo, Carlo e Giuseppe partecipassero a una cena a casa sua, a Villa Altea. Quell’incontro, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto svolgerso alcuni mesi prima per riunire la famiglia dopogliieventi degli scorsi mesi e appianare i residui contrasti, in modo che potessero venire superati accantonati una volta per tutte”; in chiusura, L’intervento risolutivo di Nicola Fabbroli (nell’immagine Piercarlo Ceccarelli): “Nicola Fabbroli prese la parola: ‘Buongiorno, signori. La mia presenza a questa riunione privata è stata richiesta per fornirvi eventuali dettagli tecnici relativi agli interventi in corso. Ma prima permettetemi di aggiungere un elemento… è forse triste, ma vero, che nelle imprese a conduzione familiare si rischia, con il passare del tempo, che i più giovani perdano di vista i valori alla base del progetto imprenditoriale originario'”.

L’intervento risolutivo di Nicola Fabbroli (nell’immagine Piercarlo Ceccarelli): “Nicola Fabbroli prese la parola: ‘Buongiorno, signori. La mia presenza a questa riunione privata è stata richiesta per fornirvi eventuali dettagli tecnici relativi agli interventi in corso. Ma prima permettetemi di aggiungere un elemento… è forse triste, ma vero, che nelle imprese a conduzione familiare si rischia, con il passare del tempo, che i più giovani perdano di vista i valori alla base del progetto imprenditoriale originario”.

Botero, una straordinaria “Via Crucis” al Palazzo Esposizioni

Ci siamo sentiti di onorare la memoria del grande artista Botero, scomparso nei giorni scorsi, ripubblicando le nostre recensioni alle sue due ultime mostre romane. Dopo i 3 articoli degli ultimi tre giorni sulla mostra antologica del 2017 al Vittoriano, concludiamo la nostra partecipazione ripubblicando anche la recensione alla mostra monografica sulla “Via Crucis”, svoltasi al Palazzo delle Esposizioni nel 2016. E’ straordinario come le sue forme ridondanti, ironiche e dissacranti, applicate al tema sacro più struggente riescano a emozionare rendendo partecipi del grande dolore espresso nelle 14 Stazioni della Via Crucis. Questa è vera, grande arte.

di Romano Maria Levante

La Pasqua al Palazzo Esposizioni con la mostra “Botero. Via Crucis, la passione di Cristo”, aperta dal 13 febbraio al 1°maggio 2016. Sono esposti 27 dipinti, la maggior parte di grandi dimensioni, in numero quasi doppio rispetto alle 14 Stazioni canoniche per la reiterazione di una serie di momenti del dramma cristiano con qualche aggiunta,.e 34 disegni a matita ed acquerello, tutti del 2010-2011 in una eloquente immersione dell’artista nel mistero della Passione e Crocifisisone. La mostra è  promossa dall’Ambasciata della Colombia in Italia, organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con il Museo d’Antioquia di Medellin e Glocal Project Consulting, Catalogo bilingue italiano-inglese della “Silvana Editoriale” con un saggio introduttivo di Conrado Uribe Pereira.

“Gesù e la moltitudine”, 106 x 81 cm;

Una Via Crucis come quella di Botero sarebbe un evento straordinario anche per un pittore dedito alle celebrazioni dei momenti della fede, perché non si tratta dei temi consueti della religione trionfante, con la glorificazione della Madonna e il Bambino, Cristo e i Santi, e neppure del solo Crocifisso, ma viene ripercorsa interamente la Passione con tutte le 14 stazioni della Via Crucis, e alcuni momenti reiterati con grande efficacia, in 27  dipinti, la maggior parte  di grandi dimensioni,  con 34 disegni e acquerelli preparatori, anch’essi di elevato livello artistico. 

Ma oltre a questo aspetto pur illuminante,  ne va considerato un altro: l’artista che si è cimentato in un’opera così eccezionale per sua natura e scelta stilistica non è rivolto al dramma e alla sofferenza, tutt’altro. La sua peculiare caratteristica è rappresentare, con figure ridondanti e tranquille, una condizione umana ben diversa nella quale è del tutto assente il dramma e inoltre vi è uno spiccato senso di ironia, anche questo non si addice di certo al tema della Passione.

La formazione e il percorso artistico di Botero

E allora la prima cosa che viene da chiedersi riguarda il motivo che ha portato l’artista a una prova così lontana dal suo orientamento tradizionale, la seconda se abbia mantenuto la sua cifra stilistica delle forme abbondanti, la terza se abbia conservato la sua tendenza all’ironia e alla dissacrazione.

Per l’interrogativo di fondo seguiamo le riflessioni di  Conrado Uribe Pereira che nascono da un’accurata analisi dell’opera del maestro dal primo periodo ad oggi; le altre due risposte vengono dalla visione dei suoi dipinti e dei disegni preparatori, una galleria  fortemente espressiva.

“Il flagello”, 123 x 94

Sull’ispirazione non vi è dubbio che la sua terra, la Colombia, abbia rappresentato il primo  influsso con la solarità e  il clima sudamericano nel quale sono immerse le sue figure corpose e indolenti; ma su questo motivo si è innestata la cultura occidentale della quale è stato imbevuto avendo diviso le sue residenze tra Colombia, la sua Medellin e Bogotà,  Italia e Francia, Stati Uniti a  New York.

In Italia è stato fondamentale il suo contatto con le opere dei grandi maestri dal 400 e Rinascimento in poi, tra quelli che più lo hanno interessato, osserva Uribe Pereira, “nella sua pittura attraverso omaggi e reinvenzioni. Botero si riappropria così di alcuni artisti che hanno lasciato il segno nella storia dell’arte”. Non solo mediante  citazioni, ma “nel far proprie molte, se non tutte, le tematiche di questi artisti”.  La chiama addirittura “ossessione per i i soggetti tradizionali dell’arte”.

Come citazione diretta  indica il suo dipinto del 1972 “Cena con Ingres y Piero della Francesca”, in cui si rappresenta a tavola con i due artisti, comunque la sua attenzione va anche a Paolo Uccello, Rubens e Velasquez, Cezanne e Picasso. Nelle opere religiose dei grandi maestri ritrova gli stimoli che gli provenivano dalla  religiosità della sua terra, espressa negli ambienti  pubblici e privati.  Si realizza, così, un incrocio virtuoso tra i ricordi del passato del pittoresco  mondo sudamericano, e le sollecitazioni del presente di un’arte di livello alto nei temi e nelle forme espressive.

“Il cammino delle sofferenze”, 188 x 146

Pur con questi forti influssi, però, la sua opera non è mai imitativa, perché li traduce nel suo stile personalissimo e inconfondibile.  Abbiamo così anche sue opere religiose, ma si sbaglierebbe se da queste si facesse discendere la “Via Cruicis”  sia per la sua specificità, anzi unicità nella forma seriale della rappresentazione –  un ciclo completo sullo stesso tema – sia per la sua netta diversità.

Infatti anche i temi drammatici sono resi abitualmente dall’artista in modo sereno e tranquillo, il suo è sempre, osserva Uribe Pereira, “un mondo sensuale, popolato da esseri dilatati di un piacere turgido e felice, generalmente immuni dal degrado del tempo e della miseria morale. Tutto in intima relazione con questo modo così particolare di ricomporre le proporzioni ed esaltare i volumi”. 

Perciò gli viene attribuita “la capacità di evocare quella domenica felice della vita in cui ogni essere vivente, ogni pianta, ogni mobile ed ogni casa trovano tranquillamente  e pigramente il posto più adeguato, lontano dal male e dalla meschinità, in un’uguaglianza felice e antigerarchica”.

“Gesù cade per la prima volta”, 139 x 158

Anche nel “Trittico della Via Crucis” del 1969, realizzato quarant’anni prima dei 27 dipinti  del 2010-11,  prosegue Uribe Pereira, “l’elaborazione di questi temi si effettua attraverso l’abbondanza tranquilla e voluttuosa di tutte quelle forme che raggiungono la maturità alla fine degli anni settanta”;  di anticipatorio ci sono le “distorsioni spazio-temporali”, come l’ambientazione moderna e certe inversioni nella sequenza, ma non si sente il dramma: “Questo è un Cristo morto già sceso dalla  croce, come testimoniano le ferite sul costato e sulla mano destra; anche gli occhi chiusi sembrano suggerire l’idea della morte, ma il Cristo non giace accanto alla croce né all’interno del sepolcro: in posizione eretta sembra benedirci con un gesto che conosciamo dalle immagini del sacro Cuore di Gesù e il cui sangue continua a scorrere, come se fosse ancora vivo”.

Nelle stazioni della nuova “Via Crucis”,  in numero quasi doppio delle 14 canoniche, aleggia invece il dramma, anche se le forme sono sempre opulente, i colori delicati, le linee arrotondate, nell’assoluto rispetto del suo stile personalissimo. Si può dire che queste forme turgide, altrimenti segno di  abbandono felice all’opulenza, nella drammaticità della Passione rendono Cristo ancora più indifeso e vulnerabile, suscitando una pena indicibile nel vederlo vilipeso e oltraggiato, ferito e crocifisso.

Abbiamo così dato una risposta alle altre due domande  poste all’inizio: mantiene il suo stile personalissimo delle forme ridondanti  ma ne fa un elemento drammatico; assente  ogni ironia o attenuazione del pathos della “Passione”.

 “Gesù cade per la seconda volta”, 27 x 31

I precedenti della “Via Crucis”, “Violencia in   Colombia” e “Abu Ghraib”

Dobbiamo, però, trovare ancora risposta  all’interrogativo di fondo su come sia stato spinto ad esprimere in modo così drammatico un tema in passato affrontato con la leggerezza che abbiamo ricordato. Uribe Pereira collega la “Via Crucis” ai due  precedenti cicli pittorici sulla  violenza in Colombia e sulle torture nel carcere di Abu Ghraib: “Trasformazioni. La presenza del dramma nell’opera di Botero”; con l’interrogativo: “Un nuovo capitolo nell’opera dell’artista?”

La sua risposta è nettamente affermativa. In passato, anche quando ha affrontato temi politici e sociali, nonché temi religiosi – compresa la  stessa Via Crucis, come abbiamo ricordato – la sua cifra artistica è stata sempre la sensibilità umana con una tendenza verso l’aspetto esistenziale nella sua espressione più serena e tranquilla con inclinazione all’ironia e alla satira. Ciò vale anche per il tema della morte, come in “La corrida”, 1984, dipinto nel quale mancano toni drammatici: i tori pur nella loro imponenza sono inoffensivi, il sangue sembra un ornamento, l’insieme una festa collettiva.

Nei due cicli più recenti anteriori alla “Via Crucis”, invece, il dramma è insito nella violenza delle scene rappresentate. Il ciclo ispirato dal suo paese, “Violencia in Colombia”, è esplicito:  in “Un consuelo”  nel 2000  il grande scheletro che avvinghia dal di dietro una figura bendata, raffigura la morte con la pietà verso il prigioniero  torturato, le mani legate e insanguinato come Cristo.

“Gesù incontra sua madre”, 145 x 160

Appare evidente la  partecipazione dell’artista al dramma del suo paese, sconvolto da decenni da un conflitto  aspro come una guerra civile,  da lui attribuito alla mancanza di giustizia sociale oltre che all’ignoranza; sembrerebbe che non si è sentito di restare estraneo a una vicenda che sconvolge da troppo tempo il suo paese, la sua sensibilità  umana si ribella in un soprassalto di patriottismo.

Ma  non è solo patriottico, la sua è una reazione appassionata alla violenza e all’ingiustizia in ogni latitudine. Lo dimostra la  drammaticità che troviamo anche nelle opere del ciclo “Abu Ghraib”, il carcere nel quale l’esercito americano ha sottoposto i prigionieri a inenarrabili violenze e torture.

Botero si è impegnato in tali cicli contro la violenza per 14 mesi nel 2000, quasi una missione contro le violazioni dei diritti umani ovunque  si verificano, nel suo paese o in altre parti del mondo. tanto più se perpetrate da una nazione come gli Stati Uniti  che si presentano come modello di democrazia mentre si sono macchiati di “cose che sfuggono a qualsiasi norma di civiltà”.  Commenta Uribe Pereira: “Perfettamente consapevole che l’arte non ha il potere di cambiare lo stato delle cose, Botero sa anche che l’arte ha però la capacità sociale di mettere in evidenza, e la potenza storica di promuovere, il ricordo e la memoria”. 

“Simone aiuta Gesù”, 29 x 33

L’arte come testimonianza per non dimenticare

Nel 2004 veniva definito “Testimonio de la barbarie” da Santiago Londono,  riferendosi alle sue nuove donazioni al Museo Nazionale della Colombia; nel 2005  due interviste dai titoli eloquenti, in aprile a “Revista Diners”  è in prima persona, “Fernando Botero. “Botero pinta el hottor de Abu Ghraib: la injustitia  me hace hervir la sangre”,  in giugno a “El Tiempo” è intitolata “Botero: el arte es en accusaciòn permanente”.

In una nuova  intervista del febbraio 2007  al periodico “Revolution”  intitolata  “Fernando Botero y Abu Ghraib: No me pude quedar callando”  ribadisce:  “Quando i giornali smettono di parlare e la gente smette di parlare, l’arte rimane. Ci sono tanti avvenimenti storici conosciuti attraverso l’arte. I dipinti di Goya e ‘Guernica’ sono fatti che potrebbero essere dimenticati se non fosse per le immagini che li raccontano . Spero che questi dipinti fungano da testimonianza per tanto tempo”.

Sono parole eloquenti che Botero ha accompagnato con i fatti. Le due serie di opere che hanno precorso la “Via Crucis”  le ha donate  con l’intento di diffonderne  la visione perché la sua testimonianza svolgesse un ruolo attivo nel muovere le coscienze. “Violencia in Colombia”  la donò al Museo Nacional de Colombia, addirittura con la condizione che fosse presentata in una mostra itinerante nel paese e all’estero. “Abu Ghraib”  fu donata all’Università californiana di Berkley.

Entrambe suscitarono  polemiche, segno che l’iniziativa dell’artista aveva raggiunto il suo scopo: una testimonianza quanto più viene discussa tanto più si diffonde e si imprime nelle coscienze.

Gesù e Veronica”, 114  x 58

Le reazioni alla denuncia dell’artista

Rispetto a “Violencia in Colombia”   le discussioni vertevano soprattutto sul piano artistico. Secondo alcuni critici il suo stile pittorico non era idoneo ai temi drammatici, le sue caratteristiche figure ridondanti non avrebbero potuto esprimere il ripudio della violenza, in particolare Andrés Hoyos ha espresso questa sua convinzione in “El Malpensante” del giugno-luglio 2004, in un articolo intitolato significativamente “Monotonia”.  Mentre per Santiago Londono nel già citato “Testinonio de la barbarie”  proprio la staticità e imponenza delle figure dava al dolore una rappresentazione toccante,giudizio su cui concordiamo; Elkin Robiano  nella rottura con la sua pittura tradizionale placida e beata ha visto una “irradiazione della verità accompagnata da commozione”.

Le reazioni alla donazione di “Abu Ghraib”  all’Università californiana furono invece soprattutto di tipo politico;  fu vista, soprattutto da una parte del pubblico,  come una provocazione agli Stati Uniti, come lamenta Botero in un’intervista a Milena Fernandez  in “Arcadia” del novembre-dicembre 2009  osservando che nel registro dei visitatori ha trovato espressioni di odio e accuse di ingerenza negli affari interni degli americani. Lo stesso artista ne ha ridimensionato la portata dicendo che venivano da gruppi reazionari pericolosi ma ristretti, perché la maggioranza degli americani è contraria alla tortura. Un critico a lui favorevole, Arthur C. Danto in “Body in Pain”, su “La Nation” del novembre 2006,  attribuisce alla serie una forza drammatica addirittura superiore a “Guernica”  che appare decorativo a chi non ne conosce il significato; mentre in Botero “il suo tanto denigrato manierismo rende più intenso il nostro coinvolgimento rispetto alle immagini”.  E ancora: “Raramente il dolore si è avvertito così da vicino o è stato così umiliante per chi lo ha perpetrato”.

“Altra caduta di Gesu“, 139 x 158

Botero, nel già citato discorso con il quale nel 2007 presentò la serie negli Stati Uniti  disse: “Ovviamente è più gradevole dipingere soggetti gradevoli. Durante tutta la vita ho scelto, con convinzione, di dipingere soggetti piacevoli. Nella storia dell’arte la maggior parte dei soggetti sono gradevoli ma, naturalmente, ci sono pittori che riescono a dare piacere attraverso temi drammatici”. E, con riferimento alle immagini “orribili” della Crocifissione dipinte dal pittore tedesco Grunewald, aggiunse: “Niente potrebbe essere più orribile, Lo spettatore vive prima il piacere estetico della bellezza e poi, con il tempo, avverte il dolore”.

Uribe Pereira , nel rievocare questi precedenti, collega la presentazione in America della “Via Crucis”  a quella del ciclo “Abu Ghraib”. Non per la donazione, avendola  donata al Museo della sua città natale Medellin dopo averla realizzata per il proprio 80° compleamnno; ma per la prima esposizione dato che scelse New York – dov’era peraltro una delle sedi del suo gallerista – e suscitò polemiche il fatto che la “Crocifissione”, una delle stazioni più spettacolari della “Via Crucis”, aveva come sfondo i grattacieli come se Cristo fosse stato crocifisso in quella città; per di più  si vedono  persone che passeggiano con carrozzine o fanno jogging, minuscole ma abbastanza nitide per coglierne l’indifferenza rispetto alla sua gigantesca  figura che sovrasta il parco con i filari di alberi, sembra guardare in alto solo una madre con bambino..

“Gesù consola le donne”, 138 x 195

Secondo il critico “l’artista esprime una nuova dichiarazione d’intenti in una duplice ottica: l’una artistica continuando ad andare contro corrente,come già aveva fatto da giovane, scegliendo con convinzione una proposta figurativa, e l’altra in favore della pittura, minacciate di morte l’una dall’astrazione  e l’altra da un presunto storico conseguimento degli obiettivi”.  E lo fa proprio nella terra dell’espressionismo astratto e del  minimalismo, dell’arte concettuale e della Pop Art per citare solo alcune delle avanguardie trasgressive statunitensi, “collocando una crocifissione, un’opera che si oppone al flusso, che va contro le tendenze dominanti, giusto al centro della Grande Mela”.

Il retroterra culturale e il percorso nei due mondi

C’è un vasto retroterra nelle scelte artistiche di Botero considerando la sua costante presenza nei due mondi. In quello  americano è vissuto al Sud, tra la Colombia – dal paese natale  Medellin alla capitale Bogotà – e il Messico, in cui si stabilisce nel 1956 dopo il matrimonio, mentre nel 1958, a 26 anni, è nominato professore  alla Scuola delle Belle Arti dell’Università nazionale della Colombia di Bogotà  dove nel 1971 apre uno studio; ed è stato anche al Nord,  nel 1967 si è trasferito a  New York al Greenwich Village e nel 1971 ha spostato lo studio alla 30ma strada.

“Gesù spogliato delle vesti”, 168 x 130

Nel  mondo europeo lo troviamo ventunenne a Firenze nel 1953, nell’Accademia San Marco  dove vive  un’importante esperienza formativa, ammira maestri come Giotto e Tiziano,Masaccio, Piero della Francesca e Paolo Uccello, nel 1973 va a vivere a Parigi, conservando le altre sedi, nel 1983 si stabilisce  in Toscana per due anni. Mantiene contemporaneamente diversi studi sparsi per il mondo, attualmente si divide tra Medellin, New York e Pietrasanta in continuo  movimento  da una parte all’altra, anche per seguire le sue mostre,  l’elenco negli anni è fittissimo.

Da questa esperienza così vasta e articolata ha tratto la conclusione che “la storia dell’arte è la storia di coloro i quali hanno assunto posizioni forti” e non solo per le tematiche affrontate. Lo ha scritto nel 1990 aggiungendo che  “il soggetto è, nello stesso tempo, molto e poco importante”, ciò che conta è che l’artista  crei un proprio mondo  riconoscibile.  

Uribe Pereira concorda dicendo che “non si può identificare l’artista nell’adesione ad alcune tematiche o nel perdurare delle stesse, bisogna riferirsi, piuttosto, al linguaggio con cui le  affronta e le interpreta”.  E il linguaggio, nel caso di Botero, è così importante da rappresentare il suo sigillo inconfondibile,  più che nella gran parte degli artisti, quale che sia il tema trattato, sacro o profano.

 “Gesù inchiodato alla croce”, 180 x 129

Pur in questa coerenza e costanza nel tempo, qualcosa è cambiato.  “Il mondo boteriano – conclude il critico – è rimasto relativamente immutabile per quasi quattro decenni. Più che un tradimento, come qualcuno ha osservato, questa svolta, in cui fa incursione il dramma, dovrebbe essere considerata come un nuovo sviluppo, nel quale la continuità si accompagna alle trasformazioni che arricchiscono e potenziano l’opera e, di conseguenza, le interpretazioni che ne derivano”. 

Guardando i dipinti del ciclo della “Via Crucis” ci si sente immersi nel grande mistero della svolta di un artista nel quale, comunque, prevale sempre la misura e la fedeltà al suo personalissimo modo di rappresentare l’umanità, con forme esuberanti che generalmente portano al sorriso anche per l’ironia che le anima, ma nella Passione accentuano fortemente  il senso di pietà e di tenerezza.

Le 27  stazioni della “Via Crucis” di Botero

Sono 27 e non le 14  canoniche,  le “stazioni”  della “Via Crucis” di Botero, e  34 i disegni preparatori su carta – di 40 x 30 cm,  20  in matita e colori e 14 in matita e acquerello – che consentono di ripercorrere l’itinerario figurativo dei 27 dipinti, tutti del 2010-2011: per alcuni,  come l’aiuto a Gesù di Simone  il cireneo ci sono tre disegni, mentre i due disegni con Ponzio Pilato e quello nel Giardino degli ulivi non sono stati tradotti in un dipinto; nel Giardino degli ulivi la distanza siderale tra il Cristo orante in ginocchio e i discepoli addormentati nell’indifferenza è accentuata dalla sproporzione tra la sua gigantesca figura svettante e i loro piccoli corpi distesi. Quattro disegni sono sulle cadute di Cristo sotto la croce, due riferiti espressamente alla prima e seconda caduta, gli altri due genericamente intitolati “Gesù cade” non tradotti in dipinti.

“Crocifissione”, 206 x  150

I disegni a matita fanno risaltare ancora di più le forme ridondanti delle sue figure, mentre quelli ad acquerello creano delicati effetti cromatici. La sequenza grafica è  un complemento  alla visione dei dipinti,  in quanto rende partecipi della tensione creativa del Maestro nel suo  primo manifestarsi.

Dei 27 dipinti  8  superano i 2 metri di altezza e 13  il metro, 6 si svolgono in orizzontale, solo 4 sono della dimensione dei disegni. In  4 dipinti Gesù è a terra con la croce, 2 sono intitolati “Gesù cade per la prima volta” e “Gesù cade per la  seconda volta”,  gli altri due  “Simome aiuta Gesù”  e “Gesù e Veronica”, non c’è il dipinto “Gesù cade per la terza volta”.

La figura di Cristo è al centro della composizione  nel “Bacio di Giuda” e in “Gesù e la moltitudine”, in “Gesù consola le donne” è sulla sinistra rispetto al gruppo di pie donne  con le braccia tese parallele e le teste coperte dal velo che si confondono fino a formare un’unica immagine. In “Gesù incontra sua madre” la moltitudine è in secondo piano, fatta di teste sbiadite che non contano,  Cristo guarda solo la genitrice in tunica bianca con un lungo velo nero.

Tre  persone intorno a lui, sono quelle evangeliche, nella “Deposizione dalla croce”  e nella “Sepoltura di Cristo”, a loro nel secondo dipinto  si aggiunge un angelo che evidentemente prepara la Resurrezione, è l’unico segno perché quella che è considerata la 15^ stazione non viene espressa né nei disegni né nei dipinti.

“Deposizione dalla croce”, 229 x 127

C’è  vicino a lui il soldato romano suo aguzzino in Il flagello”e“Il cammino della sofferenza”, in  “Gesù cade per la prima volta” e “Gesù spogliato delle vesti”:  negli ultimi due è presente un’altra persona in atteggiamento diverso. poi il dipinto  “Simone aiuta Gesù”  mostra il cireneo caritatevole  in primo piano;  in “Gesù e la Veronica” si vede la Sacra sindone, il lenzuolo con il volto di Gesù è in primo piano in “Veronica”.

Dalla carità si passa all’amore materno nei tre dipinti  in cui Cristo è solo con la madre, dopo quello in cui c’era anche la moltitudine ma sbiadita e lontana dai suoi pensieri. In  “Maria e Gesù morto” lei lo sorregge amorevolmente quasi volesse rimetterlo in piedi per farlo tornare in vita, in “Pietà” è  preso in braccio dalla madre in piedi monumentale, lui piccolo con la tenerezza di un bambino; mentre in “Cristo è morto”  la Madonna si copre il volto in lacrime vegliando il figlio disteso in una  camera ardente. Due dipinti più piccoli  la mostrano  in raccoglimento a mani giunte,  “Madre di Cristo” a  occhi chiusi,  “Madre afflitta” con gli occhi aperti e il viso implorante rivolto al cielo. Di dimensioni maggiori “Testa di Cristo”, con la corona di spine e le gocce di sangue che gli scendono sul corpo. C’è sempre misura, l’opposto della “Passion” cinematografica  di Mel Gibson, cruenta fino all’orrore. Botero non suscita repulsione da grand guignol, ma tanta tenerezza.

“Sepoltura di Cristo”, 150 x 303

In 8 dipinti Cristo sembra da solo, non ci sono altre figure come la sua, a differenza delle altre stazioni della Via Crucis che abbiamo citato; ma a ben vedere non è mai  solo. In “Cristo alla colonna” e in “Flagellazione di Cristo”  c’è una piccola figura di donna alla finestra e una al balcone della propria casa con le  braccia aperte quasi volesse abbracciarlo, in “Gesù  cade per la seconda volta”  si protende una mano verso di lui; invece  le minuscole figure di passanti nel parco sono indifferenti rispetto alla “Crocifissione” tra i grattacieli che abbiamo già commentato.  Sono piccole le figure dei soldati romani, rispetto a quelle dei dipinti con la flagellazione e le sofferenze, in “Gesù inchiodato alla croce” e “Crocifissione con il soldato”: la figura di Cristo giganteggia, sono i momenti culminanti della Passione, nel secondo si vede la  lancia levata in alto verso il costato.

Andrebbero descritti i colori, che creano un’atmosfera raccolta, e gli ambienti, tipicamente domestici e sudamericani, a parte i grattacieli nella “Crocifissione”, come i volti della gente nei dipinti in cui è presente. Ma a questo punto  soltanto la visione diretta delle immagini può rendere il clima drammatico e insieme sereno e consapevole della “Passione ” di Botero: la  Passione di epoca antica di Cristo nel ciclo della “Via Crucis” che viene dopo le Passioni  della nostra epoca  nei cicli della violenza in Colombia e delle torture ad Abu Ghraib. Una trilogia di cicli della Passione che mostra come questi drammi si ripetono e l’arte ha il dovere e il merito di far rivivere per non dimenticare.

“Cristo è morto”, 134 x 191

Info

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Da domenica  a giovedì, tranne lunedì chiuso, ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-22,30. Ingresso intero euro 10, ridotto euro 8. Catalogo “Botero. Via Crucis. La passione di Cristo”, introduzione di Conrado Uribe Pereira, Silvana Editoriale, febbraio 2016, pp. 92, bilingue italiano-inglese, formato  24 x 30, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Per gli artisti e le correnti richiamati nel testo cfr.i nostri articoli; in questo sito per le mostre su Cezanne 24 e 31 dicembre 2013, Tiziano  10 e 15 maggio 2013, Cubisti e Picasso 16 maggio 2013, le correnti d’avanguardia americane nelle mostre su  Guggenheim 22, 29  novembre e 11 dicembre 2012, ed Empire  31 maggio 2013; in “cultura.inabruzzo.it” per la mostra su Giotto 7 marzo 2009 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su questo sito)..

“La Pietà”, 238 x 147

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano alla presentazione  della mostra , si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti, in particolare il Museo di Medellin con l’artista, per l’opportunità offerta. Tra i 27 dipinti, tutti del 2010-2011, ne presentiamo 14 con i quali abbiamo riunito le 14 Stazioni di una “Via Crucis” canonica; manca  “Gesù cade per la terza volta” che non figura tra i suoi dipinti, le altre immagini in cui è a terra con la croce, oltre alla prima e seconda caduta, sono con Simone il cireneo e  la Veronica; le 14 Stazioni da noi individuate sono precedute dall’immagine di “Cristo tra la moltitudine” e sono seguite da “Christo ha muerto”, “La Pietà” e “Madre afflitta”. In apertura,  “Gesù e la moltitudine”, 106 x 81 cm; seguono “Il flagello”, 123 x 94, e “Il cammino delle sofferenze”, 188 x 146; poi, “Gesù cade per la prima volta”, 139 x 158, e “Gesù cade per la seconda volta”, 27 x 31; quindi, “Gesù incontra sua madre”, 145 x 160, e “Simone aiuta Gesù”, 29 x 33; inoltre, “Gesù e Veronica”, 114  x 58, e “Altra caduta di Gesu“, 139 x 158; ancora, “Gesù consola le donne”, 138 x 195, e “Gesù spogliato delle vesti”, 168 x 130; continua, “Gesù inchiodato alla croce”, 180 x 129, e “Crocifissione”, 206 x  150; infine, “Deposizione dalla croce”, 229 x 127, e Sepoltura di Cristo”, 150 x 303; in chiusura, “Cristo è morto”, 134 x 191,  “La Pietà, 238 x 147 e “Madre afflitta”, 71 x 58.

“Madre afflitta”, 71 x 58

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Botero, 3. Politica e Circo, Vita latino-americana, Nudi e Sculture, nella mostra al Vittoriano

Ripubblichiamo, come preannunciato, il terzo articolo – uscito a suo tempo come i due precedenti – sulla mostra antologica di Botero del 2017 al Vittoriano per onorarne la memoria a pochi giorni dalla sua scomparsa. Si conclude così la parata del suo mondo artistico e umano: dopo le Versioni da antichi maestri, Nature morte, Religione, sfilano idealmente nella sua inconfondibile interpretazione pittorica, Politica e Vita latino-americana, Nudi e Circo. Domani completeremo l’omaggio – e la sfilata dei suoi temi – ripubblicando l’articolo sulla mostra del 2016 al Palazzo delle Esposizioni interamente dedicata alla “Via Crucis”.

di Romano Maria Levante

Concludiamo il racconto della visita alla mostra  “Botero”, al  Vittoriano, dal 5 maggio al 27 agosto 2017,  con le ultime 5 delle 8 sezioni tematiche, che seguono le prime 3 sezioni già commentate: 48 opere, di cui 43 grandi dipinti  e 5 sculture imponenti, realizzate per lo più dal 2000 in poi, nel personalissimo stile dell’artista in un insolito figurativo dai volumi dilatati. Patrocinata dalla Regione Lazio, promossa da Roma Capitale, la mostra è prodotta e organizzata da “Arthemisia” con MondoMostreSkira, e curata, insieme al Catalogo Skira, da  Rudy Chiappini.

“Il presidente”, 1987

Abbiamo già ripercorso la formazione di Botero per evidenziare le matrici del percorso artistico alimentato dalla cultura latino-americana della sua terra con l’arte tradizionale precolombiana e quella portata dalla dominazione spagnola con il barocco; poi nel contatto con l’Europa, Italia e Spagna, l’influsso dei grandi maestri, in particolare Piero della Francesca, cui i 15 anni vissuti negli Stati Uniti hanno aggiunto il contatto con le avanguardie dell’espressionismo astratto. Poi abbiamo cercato di penetrare nella peculiare cifra stilistica e contenutistica della sua arte e di comprendere da dove nascono quelle forme gonfie e ridondanti e come riescano a non suscitare il riso delle caricature, ma tenerezza e un senso di serena condivisione da parte dell’osservatore.

Dopo questa analisi preparatoria abbiamo dato avvio alla visita alla mostra descrivendo le prime 3 sezioni pittoriche, “Versioni da antichi maestri”, “Nature morte”, “Religione”. Ora passiamo alle ultime sezioni del nostro percorso, con le 4 sezioni pittoriche restanti, da “Politica”  e “Circo”, a “Vita latino-americana” e “Nudi”, e in conclusione alle “Sculture”  – collocate in modo ambivalente sulla rampa da cui si accede alla mostra e se ne esce – perché le abbiamo collegate ai “Nudi”.  Entriamo così ancora di più nel mondo di Botero, nell’umanità popolare fino all’intimità personale.

“Il presidente e i suoi ministri”, 2011

Politica

Iniziamo con la “Politica”,la  4^ sezione pittorica della mostra con 5 dipinti, di cui 4 dedicati al vertice delle istituzioni, il Presidente con la “first lady”, e 1 a un ambasciatore.  Hanno come caratteristica comune, oltre alla ridondanza delle forme e ad una certa fissità di espressione, la presenza di particolari nei soggetti, che sembrerebbero marginali ma riducono la solennità del loro “aplomb”.

Così “L’ambasciatore inglese”, 1987, stringe nella mano sinistra una bandierina minuscola, contrastante con le sue dimensioni e la postura, quasi una sua scelta per ridurre l’imbarazzo; dello stesso anno “Il Presidente”, analoga postura in contrasto con la mano destra che tiene tra le dita una minuscola sigaretta, mentre la sinistra stringe un foglio arrotolato.

E nella “Famiglia presidenziale”, 2003, la composizione in un interno che richiama le foto ufficiali dei regnanti, è resa meno pomposa e solenne dal  gesto del presidente di sistemarsi la cravatta con la mano destra, e anche il cagnolino in primo piano crea una maggiore familiarità; mentre la “first lady” –  la chiama così nel quadro successivo – lo tiene sottobraccio con la destra, ha un ventaglio nella sinistra e sul volto  un’espressione attonita,  quasi che l’immagine ufficiale la spaventasse, temendo di non apparire all’altezza di un ruolo così elevato. Il gesto di sistemarsi la cravatta, qui con la mano sinistra, lo ritroviamo in “Il Presidente”, 1990,  stesso abbigliamento ufficiale ma con cappello,  invece del quadro alle spalle, la vista dei tetti e dei monti dal balcone dietro di lui. 

L’opera successiva è il dittico “Il Presidente e la first lady” , 1989, entrambi con i loro grossi corpi rigonfi su cavalli dalle zampe tozze, davanti a lussureggianti piante di banano, il particolare che si distacca dal resto è il frustino che impugnano, minuscolo rispetto all’animale che cavalcano.

“Pagliaccio”, 2007

Dalle immagini presidenziali personale e familiare a quella corale in “Il Presidente e i suoi ministri”, 2011, anche qui la solennità è rotta dai gesti quasi imbarazzati con le mani al petto del Presidente, di un ministro e del Cardinale, con un cagnolino a terra, soltanto il generale in divisa e decorazioni saluta militarmente sull’attenti, in una composizione rappresentativa del potere. Nel “Ritratto militare della Giunta Militare”, 1971, non in mostra, il potere era raffigurato  in modo ancora più pomposo, il Presidente in rosso, quanto mai debordante, con un prelato e i generali, di cui uno addirittura  a cavallo, ma la scena marziale era ingentilita dal cagnolino, il bimbo in braccio in divisa però con un trenino a terra. Anche nel dittico del 1990, “Visita di Luigi XVI a Maria Antonietta a Medellin”, non in mostra, l‘immagine del  potere era ingentilita dal minuscolo uccellino nella mano sinistra della Regina e dalla testa che si affaccia timidamente dalla porta socchiusa dietro la monumentale figura del sovrano.  

Niente a che vedere con la forte denuncia del potere dittatoriale di Larraz, la cui “pittura della libertà” mette alla berlina i satrapi sudamericani rappresentandoli impettiti in modo ridicolo negli atteggiamenti più diversi; e neppure con il nostro Enrico Baj che ridicolizza i generali tronfi nelle loro medaglie.  Botero è interessato allo sfarzo e ai colori,  nulla di grottesco pur nelle forme ridondanti. “Il tono di Botero, commenta il curatore Rudy Chiappini, è quello di un narratore indipendente, di un affabulatore dall’accento libertario la cui caratteristica  risiede nella saggezza temperata dal sorriso e da un innato  senso di ironia”; che qui, forse, si manifesta maggiormente che sugli altri temi. Ma nei due cicli di cui abbiamo già parlato, “Violencia in Colombia” e “Abu Ghraib”, la denuncia del potere è invece quanto mai aspra, non c’è ironia ma condanna senza appello.

“Numero da circo”, 2007

Circo

Vi colleghiamo, quasi provocatoriamente, la 5° sezione pittorica sul“Circo”,  perché troviamo un’analogia nelle figure singole con una punta di imbarazzo, e nelle composizioni collettive ugualmente colorate e rappresentative del mondo del circo. “Pierrot”, 2007, e “Pagliaccio”, 2008, sembrano altrettanto  imbarazzati del “Presidente”, mentre “Numero da circo”, 2007, e  “Contorsionista”, 2008, rivelano la straordinaria capacità dell’artista di rendere agili anche le sue forme dilatate e ridondanti impegnandole addirittura in acrobazie, il primo un nudo.

Le due composizioni collettive, Musici”, 2008,e “Gente del circo con elefante”, 2007, riassumono il mondo del circo, durante lo spettacolo la prima in un cromatismo tenue, nei momenti di pausa la seconda, in un cromatismo molto intenso, con l’elefante e l’acrobata che si esercita, la donna cannone con una scimmia vestita e il clown. “Un universo variopinto e un caleidoscopio di colori che innalzano la meraviglia a principio essenziale di comprensione”, commenta il curatore, e aggiunge: “Se il circo è il luogo fisico e mentale in cui lo stupore è la regola indispensabile al funzionamento del suo articolato meccanismo, il particolare atteggiamento creativo di Botero con le sue invenzioni ne favorisce il trasferimento sulla tela”.

Così ne parla l’artista nel ricordare che l’idea iniziale gli venne assistendo alla sfilata dei carrozzoni e poi allo spettacolo serale con la moglie Sophia in una piccola città del Messico: “Io ho cercato di rendere armonici i colori che qui sono esagerati. Di questa gente mi ha colpito il nomadismo che si traduce in poesia. In tale clima appare leggera anche l’enorme donna trapezista sospesa sorprendentemente nel vuoto. Dunque io dipingo qualcosa che è improbabile ma non è impossibile”. E lo vediamo nel “Contorsionista”, 2008, altrettanto enorme e sospeso nell’aria acrobaticamente appoggiato a una testa: l’improbabile trasformato in realtà, del resto è questo il messaggio del circo con i domatori di bestie feroci e gli uomini volanti, gli equilibristi e i giocolieri.

“Contorsionista”, 2008

Vita latino-americana

Mentre il ciclo del “Circo” nasce da una circostanza occasionale, la “Vita latino-americana”, cui è dedicata la6^ sezione pittorica, è permeata dal profondo legame dell’artista con la sua terra, mantenutosi intatto, come lui stesso ricorda, pur essendo vissuto molti anni in Europa e 15 anni negli Stati Uniti, a New York. “Le esperienze personali che ho vissuto in Sudamerica  e che hanno caratterizzato la mia giovinezza – sono le sue parole – si ritrovano nella maggior parte dei miei lavori. L’anima latino-americana permea tutta la mia arte”.

Non ne fa una propria peculiarità, bensì un connotato generale: “Quello che un artista vede nel corso della sua giovinezza resta fondamentale per gli sviluppi di tutta la sua opera futura… Credo che un artista che lavora senza tener conto delle proprie radici culturali non possa giungere a un’espressione autentica, universale”.  E lo spiega: “Da una parte emerge costantemente un sentimento di nostalgia per certi momenti della gioventù e dall’altra si ha sempre la tendenza a dipingere la realtà che si conosce meglio: il vissuto dell’adolescenza. Bisogna descrivere qualcosa di molto locale, di molto circoscritto, qualcosa che si conosce benissimo, per poter essere capiti da tutti”.  In termini personali: “Io mi sono convinto che devo essere parrocchiale, nel senso di profondamente, religiosamente legato alla mia realtà, per poter  essere universale”.

“Le sorelle”, 1969-2005

Così descrive questa realtà: “L’essere cresciuto a Medellin mi ha consentito di vivere in una sorta di microcosmo in cui erano rappresentate tutte le componenti sociali, dalla borghesia benestante alle classi più povere, in cui il vescovo era per noi come il Papa e il Sindaco come il Presidente della Repubblica.” E  confida come l’ha metabolizzata: “Medellin era una piccola città, ai tempi contava circa centomila abitanti, oggi ne ha quasi tre milioni. Proprio questa sensazione di vivere in un mondo a parte ha contribuito a sviluppare la mia ispirazione, perché nell’arte spesso ci si affida alla memoria per costruire il proprio immaginario”.

Ed ecco come questo si traduce in immagini nelle parole del curatore: “Il tessuto narrativo di Botero proviene dai racconti e dai climi della terra natale in cui egli continua a specchiarsi e da cui trae alimento. Nelle scene di vita quotidiana ricondotte sulla tela le persone raffigurate sono profondamente comprese nel loro ruolo di dispensatrici di immagini così lontane dal nostro vivere attuale: ci osservano dal loro paesaggio incantato, esibendo una compunta impassibilità. Le azioni godono di una lenta armonia e di una espansione osmotica capace di coinvolgere gesti, atteggiamenti, ambientazione e oggetti”.

Degli 8 grandi dipinti esposti in mostra, 4 sono scene all’aperto e 4 in interni molto raccolti.

Tra i primi il più recente, “Carnevale”, 2016,  presenta un folto gruppo di gente del popolo, in maschera o meno, con le più diverse fattezze, posizioni e colori, dietro al grande suonatore di tromba, in primo piano di profilo, con le due gambe dei
pantaloni dalle tinte differenti, figura che ricorda il ciclo del “Circo”, mentre a terra sono sparse le cicche di sigarette come in molti interni.

“La strada”, 2000

“La strada”, 2000, mostra invece poche persone ben caratterizzate; la donna con bambino per mano e il cane, il grosso uomo che cammina visto di spalle e l’altrettanto ridondante donna di colore con un grande vassoio di frutta sul capo che viene avanti; mentre sulla destra un uomo piccolo sta per uscire dalla porta di  una casa dal muro di un viola intenso, sulla sinistra una grossa donna si affaccia a una piccola finestra di una casa dall’altro lato della strada con un muro giallo, nello sfondo case e un campanile, poi una collina. Come la finestra, così la strada sembra troppo angusta rispetto ai passanti, lo ritroveremo negli interni più intimi, quelli dei “Nudi”.  L’evoluzione verso il più marcato stile boteriano rispetto al dipinto con lo stesso titolo del 1988 è notevole, le proporzioni erano quasi quelle reali con la prospettiva corretta, gli spazi adeguati, i volumi poco dilatati. 

Le altre due scene all’aperto sono molto diverse. “Il club del giardinaggio”, 1997, .presenta cinque donne quasi in posa per una foto ricordo, con vasi di fiori e alberi, due sedute e tre in piedi, due delle quali con un cappellino, tutte con in mano strumenti del loro lavoro, pompa, rampini, palette.

Invece “Picnic”, 2001, mostra una coppia, con lei che si appoggia a lui, entrambi distesi a terra su una coperta viola stesa sul prato verde, a lato un cesto di frutta con una bottiglia e un bicchiere, sullo sfondo un paese a sinistra, alberi e più dietro dei monti sulla destra, scena placida e dolce. Era ancora più delicato il  “Picnic in montagna”, 1966, non in mostra, coppia quasi infantile, con i viveri già apparecchiati per lo spuntino, il tutto su improbabili rocce aguzze, senza sfondo. I viveri riempiono addirittura l’intera scena in “Picnic”, 1989, non in mostra, sulla tovaglia un grande cesto ricolmo di frutta, banane e arance, mele, uva e altro, un bottiglia e 4 bicchieri, due piatti con salami e altro, un’arancia tagliata, peperoni o cetrioli, un filoncino di pane tagliato; a destra  la testa dell’uomo addormentato, a sinistra spuntano solo le mani della donna ben sveglia  che beve e fuma.

“Il bagno“, 1989

Siamo in un ambito sempre più personale, che troviamo nei 4 dipinti in interno, il primo dei quali, “Le sorelle” , 1969-2005, richiama, come struttura compositiva e atteggiamenti, “Il club del giardinaggio”: quattro donne e una bambina schierate  come in posa, anche se di una seminascosta si vede solo la testa, tre di loro hanno in mano qualcosa, i ferri per la maglia di cui si vede il gomitolo a terra, il rosario, un gatto, altri due sono a terra e un altro sul mobiletto dietro di loro, sulla parete di fondo la parte inferiore di un grande quadro e dei quadretti, il tutto con forti contrasti cromatici. Più raccolta “Una famiglia”, 1989, non in mostra, lei seduta in poltrona con la bimba in braccio sotto un albero dal quale cadono frutti,  lui in piedi che tiene per mano un altro bambino, a lato l’immancabile cane.

Mentre altri due dipinti mostrano i soggetti intenti nel loro lavoro quotidiano: “Atelier di sartoria”, 2000, con quattro donne, due sedute e due in piedi con abiti di colori diversi, impegnate a cucire, a macchina e con l’ago, davanti a un’esposizione di tessuti anch’essi di vari colori, a terra un gatto sopra a un tappeto verde sul pavimento di legno. “La vedova”, 1997, è una composizione altrettanto affollata, con la protagonista in piedi in nero e tre bambini, due in piedi, di profilo e di spalle, una seduta a terra con il bambolotto, e a fianco dei giocattoli, dietro un tavolo con sopra due teli, rosso e  verde, e un  ferro da stiro collegato da un filo elettrico che il bimbo in piedi prende in mano, stesi su un filo dei panni di vari colori. Un’instancabile operosità addolcita dal gatto in braccio alla vedova. Al contrario “La casa di Mariduque”, 1972, non in mostra, presentava cinque donne di cui si può immaginare l’attività anche dall’uomo disteso a terra addormentato sotto la sedia,  che gozzovigliano gaudenti con venti cicche di sigarette a terra,  mentre una  piccola fantesca a destra, con la ramazza in mano, sembra attendere il via per ripulire il pavimento.   

“Il bagno“, 2001

Ancora più personale “Fine della festa”, 2006, quattro figure, un uomo disteso sul letto stremato a occhi chiusi con la sigaretta tra le dita, sul pavimento  le  cicche sparse, ancora venti, testimoniano le molte presenze alla festa, è nudo con gli abiti a terra, seduta sul letto davanti a lui una donna che si è tolta il reggiseno e si copre quasi fosse stata sorpresa da un estraneo, l’altra discinta con una gamba appoggiata sul letto, mentre in piedi dietro al letto un uomo con il cappello continua a suonare la chitarra guardando avanti come se la festa proseguisse, in primo piano a terra un bimbo che si protende. Un letto era anche al centro di “La casa di Armanda Ramirez”, 1988, ma invece dell’uomo addormentato è raffigurato un amplesso con una bambina di spalle che guarda e un uomo in primo piano alza sulla spalla una minuscola donna nuda, a lato la piccola fantesca con ramazza. 

Con queste immagini entriamo in una intimità che viene disvelata appieno nei “Nudi”.

I Nudi

Nella  7^ sezione pittorica, quasi da 7° sigillo,  sonoesposti 4 “Nudi” rappresentativi di unaproduzione ampia, di cui della mostra del 1991-92 ricordiamo “Donna sdraiata”, 1974, e “Omaggio a Bonnard”, 1975, “La lettera”, e “Donna seduta”, 1976, “Donna che si sveste”, 1980, e “Colombiana che mangia una mela”, 1992,  “Donna di fronte alla finestra” e il trittico “L’Atelier”, 1990, fino a “Il modello maschile”, 1984, e “Autoritratto con bandiera”, che ritrae l’artista in piedi con tavolozza e pennelli nella mano sinistra e una bandierina rossa nella destra  quale pudica foglia di fico.

C’era anche “Il Bagno”, 1989, esposto pure nella mostra attuale, nel quale la sproporzione tra le forme straboccanti in modo quanto mai vistoso della donna di spalle che si specchia contrastano visibilmente con le dimensioni ridotte della vasca e del WC, per non parlare del minuscolo rotolo di carta igienica rosa, nell’impossibilità palese di utilizzarli. Ripensiamo ad “Alice nel paese delle meraviglie” con il corpo ingigantito dai prodigi della favola rispetto al resto, sedia e tavolo minuscoli rispetto a lei e uscio divenuto una strettissima porticina da cui non può uscire. Mentre in “Omaggio a Bonnard” del 1975 la donna era distesa dentro la vasca, la dilatazione dei volumi era ancora contenuta, l’effetto favola non si dispiegava come nelle opere più recenti in mostra.

L’altro nudo che vediamo esposto con lo stesso titolo “Il Bagno”, 2001, è successivo di 12 anni, la donna è sempre in piedi ma di fronte, con nella mano sinistra un asciugamano cremisi e al polso un orologino miniscolo, a lato si intravede l’orlo di una vasca visibilmente di dimensioni ridotte ma la sproporzione non è così palese come nel precedente.

 “Donna seduta“, 1997

Testimonial della mostra, che figura in grandi cartelli pubblicitari nelle strade del centro, sui bus, nelle stazioni della metropolitana, per citare i più vistosi, è il terzo nudo esposto, “Donna seduta”, 1997, figura frontale su una panca rivestita di verde con un panno bianco e dietro una tenda viola, quasi in posa da concorso di  bellezza con il braccio sinistro dietro la testa in un gesto vezzoso ed esibizionista. Il dipinto dallo stesso titolo del 1976  ha somiglianze nella positura, ma la  capigliatura è molto diversa e nel lato destro spunta una mano maschile con un cerino per accendere la sigaretta che lei ha nella mano destra, c’è il minuscolo orologino al polso di “Il Bagno” del 2001.

Il quarto nudo esposto, “Adamo ed Eva”, 2005, reca in piedi, di profilo, le due imponenti figure che si dividono la minuscola mela, tra loro si insinua come una rossa saetta dal cielo  il serpe tentatore. 

La raffigurazione dei primi esseri umani nell’Eden, fatta già in precedenza, ha fatto dire a Paolo Mauri nel 1991: “Il mondo di Botero è un ormai un universo provvisto  persino dei suoi Adamo ed Eva (sono quadri del 1989). Un mondo sornione, intrigante, divertente anche ma soprattutto filosofico. Il mondo è forma, sembra gridare Botero, perché non ve n’accorgete?  Il mondo è carne, ma la carne cos’è?”.

Nello stesso anno Fabrizio D’Amico, riguardo ai nudi: “I loro amplessi saranno di fatto resi impossibili dall’ingombro del ventre sui minuscoli sessi, dai letti inadatti a contenerne la mole…”. E Dacia Maraini, con l’iperbole della scrittrice: “Sono curiosamente privati di sessualità, maschile o femminile, androgini perfetti nella sospensione attonita di quelle carni talmente simili fra di loro da apparire, più che fratelli, parti smembrate di una stessa grande persona divina in forma di globo”.

“Ballerina”, 2013

Noi vi troviamo tanta tenerezza, in un ritorno all’innocenza primigenia, concordiamo con la visione del curatore Chiappini che parla dei “volumi ammantati della straordinaria grazia muliebre, nonostante l’abbondanza rubensiana dei corpi, le storie sembrano immerse in una sorta di Eden primordiale che non contempla la malizia e il peccato”.

D’altra parte, se la sessualità dei nudi è bandita dalla loro innocenza, la sensualità in quelle forme morbide e offerte non manca, lo afferma l’artista collegandola con la peculiarità della propria arte: “In un’opera la forma, il colore, la composizione del tema e la sensualità devono coesistere, ma ogni artista privilegia sempre uno di questi aspetti”. Ancora più direttamente: “L’obiettivo del mio stile è esaltare i volumi, non solo perché questo amplia l’area dove posso applicare il colore, ma anche perché trasmette la sensualità, l’esuberanza, la profusione della forma che sto cercando”.

Le Sculture

Un discorso a parte va fatto per le  “Sculture” di bronzo, l’apposita sezione ne espone 5,  di cui 4 nella rampa interna di ingresso-uscita, una all’esterno, nel largo antistante.  Non  c’è il colore, che rende spettacolari i dipinti insieme ai caratteristici volumi dilatati dei quali l’artista diceva che “la plasticità tridimensionale e volumetrica delle forme è molto
importante”, quindi  metteva anche sulla tela il rilievo spaziale tipico della scultura. Ma anche senza colore spicca il suo timbro  inconfondibile: “Botero ha risolto il problema – commenta il curatore – rivolgendo una particolare attenzione al volume e alla tipologia delle immagini per ottenere una conquista armonica e suadente dello spazio che talora si impreziosisce di una affascinante solennità, di un intimo mistero”. La chiave risolutiva è nella materia, come dice l’artista: “Non potrei intervenire sulla pietra, il gesso mi dà l’idea della morte, la creta significa la vita, mentre il bronzo è sinonimo di resurrezione”.

“Donna a Cavallo”, 2015

Lo vediamo in “Ballerini”, 2012,  due figure nude erette e distanziate che ricordano più il dipinto “Adamo ed Eva”  prima citato che “Ballerini“, 1967, non in mostra, in cui erano allacciate e dinamicamente lanciate nella danza.  Ha rappresentato due figure affiancate ma distese nella scultura “Insonnia”, 1990, non in mostra.  Mentre “Ballerina”, 2013, con la mossa vezzosa alla Degas, è ben diversa dall’omonima scultura del 1998, nuda, in un passo di danza molto dinamico.

Torna il nudo in “Donna a cavallo”, 2015, fa parte di una serie di sculture su temi analoghi non in mostra, come “Donna in piedi”, 1981 e “Donna che fuma una sigaretta”, 1987, “Uomo e cavallo”, 1984 e “Uomo e donna”, 1988, “Il pensiero”, 1988 e “Il Cavaliere”, 1989.

Con “Leda e il cigno”, 2006, entriamo nel mito e nella classicità, cui ha dedicato una serie di sculture, quali “Venere”, 1988 e  “Ratto di Europa”, 1989, “Venere dormiente”, 1990,  e “Guerriero romano”, 1985; ha scolpito anche il “Torso”, 1983 e il busto “Omaggio a Canova”, 1989,  perfino “Natura morta con anguria”, 1976, tutte opere non in mostra.

Usciamo dal Vittoriano, nell’area antistante domina l’imponente  “Cavallo”, 1999, soggetto che ritroviamo in altre sculture, per lo più cavalcato o anche sellato, nel 1990, ma di dimensioni molto minori, altezza fino a poco più di un metro  rispetto ai 3 metri e 25 cm di quello esposto. Le zampe tozze e possenti non rimandano al cavalluccio per i giochi infantili come quello del dipinto “Pedro a cavallo”, 1971, non in mostra, mentre la dimensione gigantesca e la collocazione all’esterno ce lo fa associare istintivamente al Cavallo di Troia.

Ma Botero non ne ha bisogno per introdursi nel Vittoriano, vi è entrato ricevendo l’omaggio che merita la sua figura di grande artista nell’incontro con la stampa; e soprattutto lo ha conquistato con le sue opere così insolite e sorprendenti, e per questo inconfondibili e affascinanti, coinvolgenti nella tenerezza e nell’umanità che emanano, lasciando nella città eterna un segno incancellabile.

“Leda e il cigno”, 2006

Info

Complesso del Vittoriano, lato Fori Imperiali, Ala Brasini, via San Pietro in carcere: tutti i giorni, compresi i festivi, apertura ore 9,30, chiusura da lunedì a giovedì ore 19,30, venerdì e sabato ore 22,00, domenica ore 20,30, festivi orari diversi, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.  Ingresso (audioguida inclusa) intero euro 12,00, ridotto euro 10,00 per 65 anni compiuti, da 11 a 18 anni non compiuti, studenti fino a 26 anni non compiuti, e speciali categorie, riduzioni particolari per le scuole. Catalogo “Botero”, 2017, a cura di Rudy Chiappini, Skira Arthemisia, pp. 144, formato 22,5 x 28,5. Dal Catalogo sono tratte alcune delle citazioni del testo, altre sono tratte dai Cataloghi delle due mostre romane precedenti: “Botero Via Crucis. La passione di Cristo”, Silvana Editoriale – Palazzo delle Esposizioni, 2016, pp. 92, formato  24 x 30; e  “Botero. Antologica 1949-1991”,  Edizioni Carte Segrete”, 1991,  pp.214, formato 24 x 28.  I primi due articoli sulla mostra sono usciti in questo sito il 2 e 4 giugno scorsi, con altre 13 immagini ciascuno. Per i riferimenti citati nel testo cfr.: in questo sito i nostri articoli “Botero, una straordinaria ‘Via Crucis’ al Palazzo Esposizioni”, 25 marzo 2016, “Larraz, la pittura della libertà al Vittoriano”, 15 ottobre 2012; in www. culturainabruzzo.it, “A Teramo De Chirico, Rosai, Campigli, De Pisis, Capogrossi, Baj, Fontana”, 23 settembre 2009 (sito non più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti in altro sito). 

Foto

Le immagini, relative alle ultime sezioni della mostra  commentate nel testo meno la sezione con la scultura le cui immagini sono riportate nell’articolo precedente, sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano alla presentazione della mostra, si ringrazia Arthemisia con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura, “Politica”: “Il presidente” 1987; segue, “Il presidente e i suoi ministri” 2011; poi, “Circo”: “Pagliaccio” 2007, “Numero da circo” 2007 e “Contorsionista” 2008; quindi, “Vita latino-americana”: “Le sorelle” 1969-2005 e“La strada” 2000; inoltre, “Nudi”, “Il bagno“ 1989, “Il bagno“ 2001, e “Donna seduta“ 1997; ancora, “Sculture”: “Ballerina” 2013, “Donna a Cavallo” 2015, “Leda e il cigno” 2006; in chiusura, “Cavallo” 1989.

“Cavallo”, 1989

Pubblicato dawp_3640431 Giugno 6, 2017 in Uncategorized