25 luglio 1943, ne parlano “quattro amici al bar” su FB

di Romano Maria Levante

E’ l’8 settembre, 80 anni fa l’armistizio con la fine della “guerra fascista”, ma non degli inenarrabili tormenti, con l’inizio di una nuiova fase confusa e segnata da eccidi, con l’occupazione tedesca, la continuazione della guerra al Sud dei tedeschi contro gli eserciti sbarcati divenuti nostri “alleati”, al Nord dei “repubblichini” con i tedeschi contro i partigiani. Un anniversario da ricordare e non celebrare come invece si dovrebbe celebrare il 25 luglio che ha segnato la fine del regime fascista. Invece l”80° anniversario del 25 luglio 1943 è passato assolutamente inosservato, non solo dalle istituzioni e dalle organizzazioni politiche di ogni oriuentamento, ma anche dai media, televisione in particolare, con l’ececzione giornalistica in particolare di “Repubblica” – e non so se anche altri – che ha pubblicato un ampio servizio. Ma niente celebrazioni, comunque, eppure c’è stata la svolta epocale della fine del regisme fascista con l’arresto e la “deportazione” di Mussolini, la devastazione delle sedi fasciste con l’abbattimento di statue e busti di Mussolini dalla folla esultante. E’ vero che le speranze della fine di tante sofferenze furono frustrate, come già accennato, dopo l’amistizio dell’8 settembre ci fu l’occupazione nazista del Paese, l’insediamento a Salò della Repubblica Sociale Italiana con a capo Mussolini – fatto liberare da Hitler a Campo Imperatore sul Gran Sasso dove era recluso – un regime fantoccio sotto stretto controllo dei nazisti; il trasferimento a Brindisi del nuovo governo italiano con la “fuga di Pescara” del Re e dei governanti si aggiunge a un quadro così tormentato. Di questo parlano i “quattro amici al bar” in Facebook – tra cui noi stessi che abbiamo lanciato una “provocazione” il 26 luglio subito raccolta – in una animata discussione con 21 post dal 26 luglio al 12 agosto . Riteniamo utile pubblicare l’intero scambio di opinioni dinanzi al vuoto informatico e al silenzio assordante, inserendo illustrazioni per far rivivere le fasi convulse da cui sono derivati gli sviluppi successivi.

Il Gran Consiglio del Fascismo

& Friends

·  Romano Maria Levante

Ieri, 25 luglio 2023, è stato l’80° anniversario della caduta e fine del regime fascista avvenuta il 25 luglio 1943 con l’arresto di Mussolini, che il Re destituì da capo del governo nominando al suo posto Pietro Badoglio. Mussolini gli aveva portato a Villa Savoia i risultati della votazione nella notte precedente dell’O.d. G. Grandi al Gran Consiglio del Fascismo che lo aveva sfiduciato per l’andamento disastroso della guerra, c’era stato poco prima lo sbarco degli alleati in Sicilia . Nei Tg di ieri, come nei talk show, nemmeno una citazione della ricorrenza, come nessuna celebrazione, manifestazione pubblica o altro, nulla di nulla. Eppure si trattava di celebrare gli 80 anni dalla “liberazione” dal fascismo, come il 25 aprile si celebra la ricorrenza della “liberazione” dall’occupazione tedesca e dalla guerra – avvenuta poco meno di due anni dopo, nel 1945, mentre il regime era finito nel 1943 – e lo si fa nel modo solenne che sappiamo, con la giornata di festività nazionale. Il 25 luglio 1943 esplose l’esultanza popolare per la fine del regime, le piazze festanti, le sedi fasciste devastate con i documenti gettati al vento, le statue e i busti del Duce divelti, mentre Mussolini imprigionato veniva portato prigioniero lontano da Roma. Non meritava di essere ricordato questo dopo 80 anni? Che venga ignorato dai nostalgici del fascismo lo si può capire… dei monarchici si è persa ogni traccia, ma le Istituzioni? E soprattutto, perchè il silenzio assordante degli antifascisti sempre pronti e agguerriti, mentre 80 anni fa esplosero in modo così vistoso? Ho posto delle domande, non mi posso dare anche delle risposte, non siamo a “Mezzanotte e dintorni” con Marzullo…..

L’arresto di Mussolini all’uscita dall’udienza con il Re in un disegno

 ·  Gelasio Giardetti

Caro Romano, hai proprio ragione, l’anniversario della defenestrazione di Benito Mussolini, che tanti dolori e lutti aveva causato all’Italia, meritava di essere ricordato e celebrato dalle nostre Istituzioni come una data fondamentale che aveva messo fine al potere assoluto di un dittatore che si era illuso di governare il mondo insieme al suo degno compare Adolf Hitler.

·  Tonino Bonavita

Romano amico carissimo, purtroppo come certamente sai la cultura storica degli italiani soprattutto di centro sinistra che dovrebbe manifestare ed esultare per questa indimenticabile ricorrenza in tutte le piazze ‘Italia ha gravemente taciuto facendo un favore grande al governo fascista che certamente ne ha goduto.

Una riconoscenza al giornale Repubblica che ha pubblicato in 3 pagine minuziosamente la cattura, l’arresto di Mussolini su ordine del Re in persona e la fine della dittatura fascista

Anch’io sono rimasto dispiaciuto.

Grazie.

·  Anna Renzi

Pienamente d’accordo: la memoria storica è volutamente corta e le nuove dittature avanzano facilmente senza grosse opposizioni…

L’inizio dei festeggiamenti per la fine del regime fascista, la prima di 7 immagini

·  Romano Maria Levante

Una settimana fa, nell’80° anniversario del 25 luglio 1943, ho condiviso il ricordo della caduta di Mussolini fatto arrestare dal Re dopo la sfiducia del Gran Consiglio del fascismo con la nomina di Badoglio a capo del Governo che segnò la fine del regime. E mi sono posto la domanda, che giro ancora a chi è interessato al tema, sul perché del silenzio assordante non solo delle istituzioni, ma anche e soprattutto dagli antifascisti, compresi quelli di professione, per così dire, come l’Anpi il cui presidente della sezione di Viterbo il 25 aprile scorso si è perfino rifiutato di stringere la mano a Sgarbi sottosegretario alla Cultura nelle celebrazioni della Liberazione. La risposta sulla scarsa memoria storica degli italiani di alcuni commenti non mi sembra dia una spiegazione convincente perché le ricorrenze vengono onorate eccome, e non serve citarne degli esempi noti a tutti. E allora ripropongo la mia domanda sul perché soprattutto l’antifascismo militante ignora tale data fatidica, disposto a dare una mia risposta dopo aver conosciuto quelle degli amici.

·  Agostino Nori

Io credo che alle nuove generazioni anni 80 in poi l’antifascismo non interessa minimamente…in quelle dei miei genitori (anni 60) l’antifascismo non solo non è mal visto ma anche denigrato in quanto molti sognano un ritorno a quel tipo di stabilità..…

La folla plaudente, c’è anche l’immagine del Re

·  Romano Maria Levante

Mi riferisco al mio post iniziale del 25 luglio. Ha ragione Agostino, l’antifascismo sembra non interessare e ne dà conferma il fatto che soltanto lui nell’intera settimana trascorsa dal mio post successivo ha risposto alla domanda del perché è passato inosservato l’80° anniversario della caduta di Mussolini con la fine del regine fascista nel nostro paese, dopo generici accenni alla memoria storica corta degli italiani. Ma c’è un antifascismo di professione, per così dire, lo stesso che utilizza l’accusa di fascismo come arma politica. Ed è a questo antifascismo che si rivolgeva la mia domanda: perché non viene celebrato e neppure ricordato il momento così dirompente della defenestrazione e arresto di Mussolini da parte del Re e il nuovo governo Badoglio, mentre il fascismo si dissolveva? Ho detto che avrei fornito la mia risposta e mantengo la promessa. Io penso che l’evento del 25 luglio 1943 viene ignorato perché viene spostato in avanti di quasi due anni, al 25 aprile 1945. In questa ricorrenza viene proclamato con clamore ogni anno, nella festa nazionale e non soltanto nelle cadenze decennali, con la liberazione, l’abbattimento del regime a quella data. E questo perché a quella data c’erano anche gli antifascisti e i partigiani che hanno meritoriamente combattuto contro gli occupanti tedeschi e contro il ridotto fascista della Repubblica sociale italiana arroccata nel Nord a Salò del tutto avulsa dal resto del territorio nazionale dove il fascismo di fatto non esisteva più. Soltanto così gli “antifascisti” possono dire di avere “abbattuto” il fascismo, perché il 25 luglio 1943 i partiti antifascisti erano fuori gioco e ancora non era nata la Resistenza con i Partigiani insorti dopo la dissoluzione del regime avvenuta per il voto del Gran Consiglio del fascismo e soprattutto dopo l’armistizio dell’8 settembre. Invece, celebrando il 25 luglio 1943 verrebbe riconosciuto che il regime è imploso al suo interno con l’approvazione dell’O.d.G. Grandi che sfiduciava Mussolini e dava al Re la possibilità di destituirlo, come avvenne nella stessa giornata nella quale fu anche arrestato. Con questo non vengono ridotti i meriti della Resistenza e dei Partigiani, ma doverosamente precisati: la loro battaglia contro gli occupanti tedeschi è stata un aiuto prezioso agli alleati, ai quali però va il merito prevalente di aver liberato l’Italia, con i 90 mila giovani americani morti nella campagna d’Italia seppelliti in quasi 50 cimiteri di guerra sparsi nella penisola, e questo non viene ricordato come si dovrebbe il 25 aprile a causa della celebrazione dell’abbattimento del fascismo tanto inappropriata da diventare di comodo. La festa nazionale del 25 aprile fu istituita all’art. 1 del decreto del 22 aprile 1946 n.185 con questa motivazione:”A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1945 è dichiarato festa nazionale”; e anche lo sciopero generale dichiarato quel giorno dai sindacati fu “contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”. Nessun riferimento al fascismo nel decreto, solo per la guerra nello sciopero. Le manifestazioni di giubilo del 25 aprile 1945 furono infatti essenzialmente per la fine della guerra e in omaggio agli alleati, mentre le esplosioni di gioia per la fine del regime, con la distruzione delle statue e dei busti di Mussolini e la devastazione delle sedi fasciste, ci furono il 25 luglio 1943. Ma c’è un significato che mi sembra ancora più importante nella vicenda di allora, e verrebbe rimarcato se si celebrasse anche il 25 luglio: le nostre istituzioni hanno reagito, sono stati decisivi perfino un organo di regime come il Gran Consiglio del fascismo e la vituperata monarchia, sotto la spinta dall’andamento della guerra è vero, ma operanti nell’ambito delle rispettive funzioni. La capacità delle nostre istituzioni di rigenerarsi è stata importante, come il trasferimento a Brindisi per assicurare la continuità dello Stato. Per il modo in cui avvenne fu definita “la fuga di Pescara” ma questo dipese da inefficienze e incapacità dei vertici, non dall’operazione in sé e per sé che altrimenti sarebbe stata provvidenziale, mentre fu seguita dal caos di “tutti a casa”. Lungi da me entrare nei controversi meandri di questa storia , ho voluto soltanto esprimere la mia modesta percezione – non certo una analisi storica ma una semplice riflessione – per rispondere a una domanda che mi è sembrato lecito pormi in tale ricorrenza e condividerla con gli amici. Tutto qui.

La demolizione dei simboli dl Fascismo

  Tonino Bonavita

Condivido la ricostruzione e le motivazioni

Ricordo che per l’occasione il Giornale Repubblica ha pubblicato in due pagine e per diversi giorni la esatta e dettagliata vicenda storica del periodo in cui fu arrestato Mussolini, gli spostamenti e la liberazione con conclusione definitiva del fascismo

·  Romano Maria Levante

“La Repubblica” ha confermato la sua alta qualità giornalistica, ma credo sia stata un’eccezione, i Telegiornali che ho visto non hanno neppure citato la ricorrenza come semplice notizia, ed è stato l’80° anniversario, e così i talk show che ho seguito, nulla, figurarsi se potevano esserci celebrazioni, è stata ignorata del tutto. Come non sorprendersi?

L’esplosione di esultanza, ci si arrampica sempre più in alto…

·  Tonino Bonavita

Il giornale la Repubblica l’ha potuto ricordare con ampia e dettagliata informazione confermando di essere stato l’unico giornale che i governanti non sono riusciti a imbavagliare dando ai suoi lettori informazioni esatte e dettagliata degli ultimi momenti di Mussolini e del fascismo

Viva l’Italia libera e democratica

·  Romano Maria Levante

Ma gli “antifascisti” di professione, che dovevano celebrare la fine del regime e l’arresto di Mussolini, si sono “imbavagliati” da soli, e non soltanto quest’anno con il governo di destra, ma anche nelle ricorrenze decennali precedenti quando al governo c’era la sinistra e alla Presidenza della Repubblica Pertini o Napolitano….

Si inneggia anche al Re che ha destituito il Duce

·  Gelasio Giardetti

Caro Romano, io non penso che la data della caduta di Mussolini avvenuta il 25 luglio del 1943 debba essere ricordata o festeggiata, per il semplice fatto che, pur essendo caduto il capo di un regime sanguinario, il fascismo restava in carica anche se osteggiato dal popolo italiano con dimostrazioni di giubilo per la defenestrazione del dittatore. In effetti il regime, attraverso la radio, diede il seguente annuncio: ” Il re ha accettato le dimissioni del cavalier Benito Mussolini, l’Italia, con il nuovo governo Badoglio, continuerà la guerra a fianco dell’Asse”. Non c’è niente da festeggiare oggi per un evento, pur significativo, che all’epoca seminò paura ed apprensione non solo fra politici ed oppositori, ma anche all’interno del CLN, poiché i tedeschi non avevano fiducia nel governo Badoglio che l’8 settembre del 1943 firmò l’armistizio con gli Alleati passando al nemico così come accadde molti anni prima nell’ambito della Grande guerra. Hitler non perdonò all’Italia il tradimento poiché non solo le divisioni di Rommel conquistarono l’Italia centro settentrionale, ma rimise in piedi Mussolini dopo la liberazione dal Gran Sasso dando vita al governo fantoccio di Salò che portò alla guerra civile che straziò il Paese per ben due anni. Cosa vuoi festeggiare, caro Romano, un evento tragico che fece migliaia e migliaia di vittime? Cosa vuoi festeggiare con il 25 luglio la caduta di un dittatore rimesso in piedi dai tedeschi che, con le sue bande repubblichine partecipò a tutte le stragi perpetrate dai tedeschi sul suolo italiano? E’ in questo periodo che il CLN diede il meglio di sé con i Partigiani che, insieme agli Alleati,, combattevano per ricacciare i tedeschi oltre le Alpi ed abbattere definitivamente il regime fascista di Salò e il suo capo Benito Mussolini. Come dimostra la storia la caduta del Duce il 25 luglio del 1943 non ha alcun effetto limitativo sul prosieguo della guerra anzi si accende una vera e propria miccia che innesca una brutale guerra civile. Con il 25 aprile del 1945, invece, si ha la piena liberazione: Mussolini è definitivamente sparito e con lui anche il fascismo, i tedeschi sono stati ricacciati oltr’Alpe, la Germania e il nazismo sconfitti su tutti i fronti dalle forze alleate… è la libertà definitiva. Qui ha senso festeggiare, ricordare ogni anno il 25 aprile del 1945 in cui il mondo si liberò dalla tirannia e dalla dittatura ed è ciò che è successo da quella data sino ad oggi. Nessuna scusante, poi, per la fuga del governo, del re, della regina, di tutto lo stato maggiore dell’esercito che per salvare le loro vite abbandonarono l’esercito italiano senza direttive né ordini lasciando che venissero catturati e deportati nei lager nazisti circa 800 mila soldati italiani, solo i Carabinieri e i Granatieri di Sardegna si opposero ai tedeschi nella conquista di Roma, Sì, ci fu una fuga vergognosa, e non un trasferimento come tu affermi, poiché Badoglio ed il re erano stati informati dell’ira di Hitler il quale aveva ordinato al suo capo di stato maggiore generale Jodl di catturare in blocco i vertici politici e militari italiani: “Ordino di catturare il re, il governo e tutta la banda fascista”. I Nostri, in preda al panico, si dettero a precipitosa fuga solo ed esclusivamente per salvare le loro vite e non per assicurare la continuità dello Stato, uno stato pavido e tremante che in pratica non esisteva più.

·  Romano Maria Levante

Ma gli “antifascisti” di professione, che dovevano celebrare la fine del regime e l’arresto di Mussolini, si sono “imbavagliati” da soli, e non soltanto quest’anno con il governo di destra, ma anche nelle ricorrenze decennali precedenti quando al governo c’era la sinistra e alla Presidenza della Repubblica Pertini o Napolitano….

Un’altra immagine della folla plaudente

·  Gelasio Giardetti

Caro Romano, io non penso che la data della caduta di Mussolini avvenuta il 25 luglio del 1943 debba essere ricordata o festeggiata, per il semplice fatto che, pur essendo caduto il capo di un regime sanguinario, il fascismo restava in carica anche se osteggiato dal popolo italiano con dimostrazioni di giubilo per la defenestrazione del dittatore. In effetti il regime, attraverso la radio, diede il seguente annuncio: ” Il re ha accettato le dimissioni del cavalier Benito Mussolini, l’Italia, con il nuovo governo Badoglio, continuerà la guerra a fianco dell’Asse”. Non c’è niente da festeggiare oggi per un evento, pur significativo, che all’epoca seminò paura ed apprensione non solo fra politici ed oppositori, ma anche all’interno del CLN, poiché i tedeschi non avevano fiducia nel governo Badoglio che l’8 settembre del 1943 firmò l’armistizio con gli Alleati passando al nemico così come accadde molti anni prima nell’ambito della Grande guerra. Hitler non perdonò all’Italia il tradimento poiché non solo le divisioni di Rommel conquistarono l’Italia centro settentrionale, ma rimise in piedi Mussolini dopo la liberazione dal Gran Sasso dando vita al governo fantoccio di Salò che portò alla guerra civile che straziò il Paese per ben due anni. Cosa vuoi festeggiare, caro Romano, un evento tragico che fece migliaia e migliaia di vittime? Cosa vuoi festeggiare con il 25 luglio la caduta di un dittatore rimesso in piedi dai tedeschi che, con le sue bande repubblichine partecipò a tutte le stragi perpetrate dai tedeschi sul suolo italiano? E’ in questo periodo che il CLN diede il meglio di sé con i Partigiani che, insieme agli Alleati,, combattevano per ricacciare i tedeschi oltre le Alpi ed abbattere definitivamente il regime fascista di Salò e il suo capo Benito Mussolini. Come dimostra la storia la caduta del Duce il 25 luglio del 1943 non ha alcun effetto limitativo sul prosieguo della guerra anzi si accende una vera e propria miccia che innesca una brutale guerra civile. Con il 25 aprile del 1945, invece, si ha la piena liberazione: Mussolini è definitivamente sparito e con lui anche il fascismo, i tedeschi sono stati ricacciati oltr’Alpe, la Germania e il nazismo sconfitti su tutti i fronti dalle forze alleate… è la libertà definitiva. Qui ha senso festeggiare, ricordare ogni anno il 25 aprile del 1945 in cui il mondo si liberò dalla tirannia e dalla dittatura ed è ciò che è successo da quella data sino ad oggi. Nessuna scusante, poi, per la fuga del governo, del re, della regina, di tutto lo stato maggiore dell’esercito che per salvare le loro vite abbandonarono l’esercito italiano senza direttive né ordini lasciando che venissero catturati e deportati nei lager nazisti circa 800 mila soldati italiani, solo i Carabinieri e i Granatieri di Sardegna si opposero ai tedeschi nella conquista di Roma, Sì, ci fu una fuga vergognosa, e non un trasferimento come tu affermi, poiché Badoglio ed il re erano stati informati dell’ira di Hitler il quale aveva ordinato al suo capo di stato maggiore generale Jodl di catturare in blocco i vertici politici e militari italiani: “Ordino di catturare il re, il governo e tutta la banda fascista”. I Nostri, in preda al panico, si dettero a precipitosa fuga solo ed esclusivamente per salvare le loro vite e non per assicurare la continuità dello Stato, uno stato pavido e tremante che in pratica non esisteva più.

·  Tonino Bonavita

Gelasio carissimo, sono molto contento della tua esatta e corretta ricostruzione con date e nomi, circostanze e motivazioni del periodo dall’inizio alla fine di Mussolini e della dittatura fascista vicenda molto dettagliata fatta dal giornale Repubblica per alcuni giorni su 2 pagine

La visione e parere di Romano con minori informazioni e quindi pareri incompleti ma altrettante interessante perché la conoscenza storica di chi ha direttamente vissuto il male del fascismo possa comunque trasmetterlo ai giovani che spero leggano questo post che considero interessante

Grazie.

Si demoliscono i busti di Mussolini

·  Romano Maria Levante

La minuziosa ricostruzione storica di Gero si contrappone solo apparentemente alle mia critica che nasce dalla istintiva sorpresa della assenza di citazioni, e non solo di celebrazioni, di un evento che non mi sembra così secondario: la fine del regime fascista in Italia fu segnata dalla caduta di Mussolini e così’ fu festeggiata allora. Non dobbiamo ricordare neppure le manifestazioni popolari antifasciste del 25 luglio 1943 – distruzione dei busti e delle statue di Mussolini e devastazione delle sedi fasciste – che non ci furono dopo il 25 aprile quando si festeggiarono gli alleati liberatori cui si aggiunsero i partigiani? Ricordo quei festeggiamenti al paese in cui abitavo, Colonnella: “Evviva Churchill, evviva Roosevelt! !” nessun “abbasso Mussolini” gridava la folla, era già dimenticato, forse sono influenzato dai miei ricordi di allora. Ho detto, e lo confermo, che non mi sono addentrato in un’analisi storica e non intendo farlo ora, ma ho espresso soltanto una percezione che, evidentemente, tanti non hanno, e li rispetto come credo rispettabile la mia percezione. D’altra parte, che con il trasferimento a Brindisi fu assicurata la continuità dllo Stato italiano non lo dico io, ma importanti storici, mentre il modo con cui avvenne la “fuga di Pescara” è certamente deprecabile e lo è ancora di più l’assenza da parte del nuovo governo di indirizzi soprattutto per le forze armate che portò il paese allo sbando, il “tutti a casa” cui ho già accennato. La disposizione di Hitler riportata da Gero “Ordino di catturare il re, il governo e tutta la banda fascista” conferma, sempre a mio avviso, che fu provvidenziale non farsi catturare salvando la continuità dello Stato, altrimenti sarebbe stata rappresentata dai “repubblichini” di Salò, mai assurti a dignità nazionale proprio per la sopravvivenza di un governo legittimo anche se inetto. E’ la forza delle nostre istituzioni, rivelatasi decisiva per la caduta di Mussolini, che mi sembra legittimo rivendicare. Come è legittimo ritenere che tale evento “non ha alcun effetto limitativo sul prosieguo della guerra anzi si accende una vera e propria miccia che innesca una brutale guerra civile”, ma la storia non si fa con i se, quindi inutile ipotiuzzare cosa sarebbe avvenuto senza la defenestrazione di Mussolini. A me sembra un fatto che qualifica il nostro paese rivelatosi capace di liberarsi dalla dittatura con la forza delle istituzioni, cosa rara se non unica. E’ ovvio che solo il 25 aprile 1945 segnò la fine di tuutti i mali, con la fine della guerra e dell’occupazione tedesca – o se si vuole “nazi-fascista” – e la “liberazione” del nostro paese, ma non dal fascismo dal quale si era già liberato con la forza delle istituzioni, la ridotta “repubblichina” era un corollario dell’occupazione tedesca. Per questo la festa nazionale fu istituita all’insegna della “liberazione” senza qualificazioni limitative che sarebbero state fuorvianti. E così la festeggiamo tutti senza distinzioni.

·  Tonino Bonavita

I nostri ricordi di adolescenti vissuti direttamente in luoghi e mezzi di informazione non sempre uguali e quindi le considerazioni e le valutazioni sulla storia di quel periodo forse presentano delle piccole differenze

Gelasio, Romano e il sottoscritto amano la storia del proprio paese:

L’Italia libera e democratica.

Ci si accanisce sui busti del dittatore deposto

·  Gelasio Giardetti

Caro Tonino ti ringrazio per gli apprezzamenti che fai nei confronti della discussione scaturita da questo post pubblicato da Romano in cui anche noi abbiamo dato il nostro contributo nell’interpretazione di quel terribile periodo buio e prevaricatore che io spero non ritorni più in Italia. Bisogna ringraziare Romano che spesso da il là per parlare di fatti che non debbono assolutamente essere dimenticati, ma ricordati per mettere al corrente le giovani generazioni dei dolori e dei lutti generati da un megalomane che credeva di essere il novello Cesare. Naturalmente le opinioni possono divergere ed io noto nell’atteggiamento di Romano una percezione più indulgente della mia nei confronti di quel periodo. Romano parla “della forza delle nostre istituzioni” che determinarono la caduta del Duce. Le istituzioni fasciste come il Gran Consiglio non erano le “nostre istituzioni” poiché non scaturite dalla volontà popolare e l’ordine del giorno Grandi rispondeva al solo timore di perdere la guerra con tutte le conseguenze per la loro incolumità ed allora giù il Duce. Certo all’epoca il popolo festeggiò l’evento poiché si sperava che la defenestrazione di Mussolini portasse anche alla fine del fascismo, ma così non fu anzi ci fu una devastante guerra civile. Napolitano, Pertini, ambedue eletti Presidente della repubblica, non “antifascisti di professione”, ma antifascisti convinti con le armi in pugno, non si “imbavagliarono” volontariamente perché semplicemente non potevano celebrare una caduta del regime fascista che il 25 luglio del 1943 in effetti non era avvenuta. Per quanto attiene alla fuga del re e del governo a Brindisi non mi trovo d’accordo con Romano poiché nessun governo eticamente e moralmente sano abbandona il suo popolo al proprio destino causando la deportazione dell’intero esercito italiano nel lager nazisti. E poi io non sono al corrente di questa fantomatica “continuità dello stato”, evocata dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi, in quanto non conosco leggi o interventi che i fuggiaschi presero da Brindisi per rimediare almeno alla conseguenze nefaste della loro fuga. So solo che vissero tranquillamente con tutti i vantaggi del loro lignaggio reale all’ombra della protezione degli Alleati. Per fortuna nel referendum del 2 e 3 giugno del 1946 il popolo italiano defenestrò la monarchia anche per la ignobile fuga da Roma a Pescara sulla via Tiburtina e da Pescara a Brindisi a bordo della corvetta Baionetta.

L’albergo di Campo Impertore sul Gran Sasso, dove fu portato Mussolini arrestato

·  Tonino Bonavita

Gelasio carissimo condivido che a Romano va il merito di aver aperto un dialogo poco conosciuto dai nostri giovani e meno giovani

Esprimere le nostre esperienze e conoscenze sperando che vengano lette e che siano utili per la conoscenza di un periodo buio della storia del nostro paese. Argomento di cui né nella scuola né in famiglia si parla della cultura civica fondamentale per la conoscenza storica della nostra bellissima Italia

Grazie a Romano per questa opportunità e grazie anche a te per il prezioso supporto con precisazioni storico/documentate.

Mussolini appena liberato dal commando tedesco su alianti con Otto Skorzeny

·  Romano Maria Levante

Mi permetto di fare alcune semplici precisazioni dopo il fiume di parole che – come per il significato dei colori della bandiera – è seguito ai miei due post evocativi, e ringrazio chi ha colto l’occasione di discuterne in modo civile e appassionato, in particolare Gelasio, che chiamo Gero da amico, e Tonino.

Sul 25 luglio 1943 e sviluppi successivi, in primo luogo mi dispiace di aver dato l’impressione di essere indulgente – o almeno più indulgente di Gero che me lo attribuisce – nei confronti di quel periodo veramente tragico della nostra storia che suscita esecrazione ma anche riflessione. Non è indulgenza rilevare dei fatti, quali la imprevista reazione delle istituzioni che pro-tempore – al di là di ogni ovvio giudizio – erano “nostre” ,anche se “non scaturite dalla volontà popolare”; anzi l’essere “fasciste” , come sottolinea Gero – e monarchiche – non ne annulla il valore come non lo annulla la motivazione del disastroso andamento della guerra: nella realtà il dittatore fu rovesciato non da un golpe militare o una insurrezione popolare e neppure da una congiura di palazzo ma con la procedura istituzionale, e sebbene il voto di sfiducia del Gran Consiglio fosse consultivo Mussolini lo portò al Re che ne prese atto destituendolo da capo del Governo e sostituendolo con Badoglio senza che ci fu alcuna reazione, neppure all’arresto e “deportazione” questo sì fuori dalle “regole”. Sono fatti, che mi sono sentito di sottolineare perché insoliti, direi unici nelle dittature. Come sono fatti i festeggiamenti popolari iconoclasti per la caduta del fascismo che fu effettiva a livello nazionale anche se poi ci fu il colpo di coda dei “repubblichini” di Salò, confinati al Nord del paese.

L’aliante del commando tedesco con il quale Mussolini sarà portato a Pratica di Mare

La seconda precisazione riguarda gli “antifascisti di professione” che si sono “imbavagliati” da soli: era una risposta, che forse è stata fraintesa, alla notazione di Tonino secondo cui, se ho interpretato bene, li avrebbe “imbavagliati” l’attuale governo di destra; il riferimento ai governi anche di sinistra e a Pertini e Napolitano, presidenti in anteriori ricorrenze decennali, la 40° e la 70°, ignorate alla pari delle altre, era soltanto per indicare precedenti del tutto insospettabili. Che poi la caduta del fascismo “il 25 luglio del 1943 in effetti non era avvenuta” è il rispettabile punto di vista di Gero dato che c’è stato il colpo di coda finale al Nord, ma mi permetto di averne uno diverso riferito al “regime fascista” a livello nazionale come governo del paese e non al fascismo genericamente inteso.

Mussolini sta per salire sull’aliante

La terza precisazione riguarda il seguito della vicenda nazionale innescata dal 25 luglio, l’armistizio dell’8 settembre sempre del 1943 e la “fuga del re e del governo a Brindisi” ricordata da Gero. L’armistizio indica che il governo di Badoglio fece pure qualcosa di molto rilevante, almeno all’inizio, addirittura l’uscita dalla “guerra fascista” e l’intesa con gli alleati in chiave antitedesca. Poi ci fu l’abbandono della Capitale la stessa notte dell’8 settembre, con il “trasferimento a Brindisi” o, da un altro punto di vista, la “fuga di Pescara”. Quella che Gero chiama “la fantomatica ‘continuità dello Stato’” non è stata evocata soltanto nel 2006 dal presidente della Repubblica Ciampi – che pure soffrì da militare di quella situazione di sbando – ma da una diecina di storici, tra i quali Lucio Villari che si è espresso così nel 2001: “Sono, in proposito, assolutamente convinto che fu la salvezza dell’Italia che il Re, il governo e parte dello Stato Maggiore abbiano evitato di essere ‘afferrati’ dalla gendarmeria tedesca, e che il trasferimento (il termine ‘fuga’ è, com’è noto, di matrice fascista, però riscuote grande successo a sinistra) a Brindisi gettò, con il Regno del Sud, il primo seme dello Stato democratico e antifascista, ed evitò la terra bruciata prevista, come avverrà in Germania, dagli alleati”. D’altra parte non fu una “fuga” all’estero, come per altri regnanti europei, ma uno spostamento dalla capitale di poche centinaia di chilometri, oggi poco più di 600. Certo, le conseguenze furono tragiche per la mancata difesa di Roma – anche a causa della rinuncia da parte del gen. Eisenhower all’azione militare avio trasportata su Roma promessa per l’8 settembre e poi annullata – e soprattutto per l’assenza di valide direttive ed iniziative politiche e militari che hanno esposto colpevolmente il nostro esercito, pur consistente, all’aggressione tedesca senza potersi difendere; di qui i 600 mila internati, in questo sono d’accordo con Gero che ne ha parlato ampiamente e appassionatamente nel suo libro “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”. Però non vi è controprova, se restando il Re e il governo a Roma difendendola ad oltranza il nostro paese poteva uscirne meglio opponendosi con le armi del suo esercito all’ordine di Hitler di arrestarli oppure si sarebbe creata “terra bruciata” come avverte Villari in base a quanto previsto dagli alleati.

L’incontro di Mussolini con Hitler a Rastenburg dopo la liberazione sul Gran Sasso

Ma non sono qui per un’analisi storica che non mi compete, queste sono semplici citazioni, ho voluto soltanto condividere una mia percezione e reazione di stupore perché sia stato sempre del tutto ignorato anche dagli antifascisti più accaniti – e non solo nell’80^, ribadisco, ma anche nelle ricorrenze decennali precedenti – l’evento del 25 luglio1943 che ha innescato le epocali vicende successive. Ho dato nel post del 9 agosto una mia risposta, rispetto alla quale le argomentazioni portate in replica non mi sono sembrate convincenti, ma ringrazio Gero che le ha formulate e Tonino che ha partecipato, apprezzandola espressamente, alla nostra discussione senz’altro civile e garbata nel pieno rispetto personale e nella grande stima reciproca.

Il Re a Ortona tappa intermedia nella “fuga di Pescara” per il trasferimento a Brindisi

Tonino Bonavita

Dopo la lettura degli articolo sulle vicende della caduta del potere di Mussolini pubblicati su Repubblica la mia speranza che vengano dai giovani lette le nostre riflessioni che è certamente un valido contributo alla storia buia del nostro paese grazie a Romano che lo ha iniziato e a Gero che lo ha arricchito con il supporto dettagliato.

La corvetta “Baionetta” che porta il Re e il suo seguito a Brindisi

Info

Testi tratti da Facebook, pagina “Romano Maria Levante”, nei post pubblicati dal 26 luglio al 12 agosto 2023 su questo tema in risposta al primo post del 26 aprile: integrali anche nelle spaziature dei capoversi. Sono state aggiunte invece le immagini.

Photo

Le immagini, non contenute nei post di Facebook sono state inserite a mero scopo illustrativo, senza alcun intento economico nè pubblicitario, quelle sui festeggiamenti popolari e l’abbattimento dei busti del Duce rono eloquenti nel sottolineare la rilevanza dell’evento del 25 aprile. La “fuga di Pescara” nella notte dell’8 settembre trascorsa dal Re e dal suo seguito a Ortona, seguita dal trasferimento a Brindisi il giorno successivo sulla corvetta “Baionetta”, precede la liberazione di Mussolini avvenuta il 12 settembre, ma le immagini del Gran Sasso sono poste in sequenza con quelle dei festeggiamenti e dei busti divelti, perchè la reclusione nell’albergo di Campo Imperatore precede gli sviluppi successivi. Tutte le immagini sono tratte dai siti di seguito citati, dei quali si ringraziano i titolari, con la precisazione che se l’inserimento in questo articolo di qualche immagine non fosse gradito verrà subito eliminata, basta una semplice richiesta. I siti sono, nell’ordine di inserimento delle immagini nel testo: patriaindipendente.it, larepubblica.it, patriaindipendente.it, amplissone.overblog.it 4^ e 5^ immagine, fattiperlastoria.it, istoreco.it, , museotorino.it, storiaememoriabassaromagna.it, patriaindipendente.it, wikipedia.org, 10^ e 11^, virtuquotidiane.it, lecodibergamo.it, italianinguerra-wordpress.com, ortona.italiana.it, 15^ e 16^ , mole24.it, Di nuovo grazie a tutti.

Il Re a Brindisi dove si è trasferito con il governo Badoglio

Spalletti e De Laurentis, ne parlano “due amici al bar”su FB

di Romano Maria Levante

Oggi 1° settembre 2023 inizia la nuova avventura di Luciano Spalletti alla guida della nostra nazionale di calcio, dopo le improvvise dimissioni di Roberto Mancini, il quale dopo il trionfo nel Campionato europeo 2021 ha dovuto subire l’eliminazione dai mondiali del Qatar cui l’Italia non ha potuto partecipare per colpa… di due rigori sbagliati da uno dei suoi giocatori. Dalle dimissioni di Ferragosto alla fine dello stesso mese Mancini è diventato Commissario Tecnico dell’Arabia Saudita con un contratto faraonico di 100 milioni di euro per 4 anni, una tombola, dimenticata l’italianità che lo portò a fare il giro di campo dopo la vittoria del suo Manchester City nel campionato inglese con il tricolore al collo, e la successiva accettazione della panchina azzurra rinunciando ai 13 milioni di euro del contratto con lo Zenit di San Pietroburgo. In questi 15 giorni di emergenza creata dalla sua inattesa e repentina rinuncia la Federcalcio ha scelto come nuovo Commissario Tecnico della Nazionale Luciano Spalletti, reduce dalla memorabile vittoria del Napoli – da lui allenato per i due ultimi anni – nel campionato italiano, tanto straordinaria da fargli rinunciare a proseguire con la squadra vittoriosa non sentendosi di sopportare lo stress derivante anche dall’impazzimento cittadino per il successo atteso da 33 anni. A questo punto è scoppiato il caso perchè il presidente da venti anni del Napoli, Aurelio De Laurentis, paradossalmente ha preteso il pagamento di una penale di 3 milioni di euro in base al “patto di non concorrenza” fatto firmare a Spalletti per liberarlo dell’anno restante di contratto dopo la conquista dello scudetto. Tutte cose note, almeno agli appassionati, le abbiamo ricordate per introdurre, a celebrazione di questo 1° settembre di inizio dell'”era Spalletti” nella Nazionale – nella quale auguriamo che abbia lo stesso successo ottenuto nel Napoli – la discussione, avviata dal Post su Facebook del 17 settembre, si è svolta in 17 Post fino al 30 agosto, con un amico ed ex collega, siamo stati come “2 amici al bar”. . In più, rispetto al testo di Facebook – riprodotto identico, anche nella diversa spaziatura dei capoversi – ci sono le immagini, importanti per evidenziare l’impazzimento cittadino che mostra come chi lo ha suscitato – l’allenatore vittorioso – ne ha sentito con la profonda soddisfazione l’immancabile contraccolpo nello stress accumulato. . I “2 amici al bar” la vedono in modo completamente diverso, anzi opposto, li accomuna solo la determinazione, o, se si vuole, la pervicacia nel sostenere la propria tesi.

La squadra del Napoli con la Coppa della vittoria nel Campionato di calcio 2022-23

& Friend

Romano Maria Levante

Non capisco come i napoletani possano essere d’accordo con l’azione del Napoli calcio il cui comunicato si conclude così: “Per il club Napoli 3 milioni non sono certo molti, e per Aurelio De Laurentiis sono ancora meno. Ma la questione nel caso di specie non è di ‘vil denaro’ bensì di principio”. I 3 milioni sono la pretesa di De Laurentiis secondo cui l’allenatore uscente del Napoli Luciano Spalletti dovrebbe pagare 3 milioni di euro per poter allenare la Nazionale italiana, per effetto della clausola firmata allorché ha deciso di non proseguire ad allenare il Napoli dopo la travolgente vittoria del campionato per un anno sabbatico di riposo. Non entro, se non per un accenno, nelle questioni giuridiche del “patto di non concorrenza” liberatorio dal precedente contratto, mi limito ad osservare in base alle poche notizie disponibili che comunque la Nazionale non è in concorrenza con il Napoli e anche se fosse inclusa esplicitamente nella clausola questa sarebbe nulla perché immotivata e troppo limitatrice della libertà di lavoro, secondo le sentenze della Corte di Cassazione. Mi interessa invece la “questione di principio” evocata dal presidente del Napoli: ebbene, l’unica “questione di principio” è la riconoscenza che non solo la società e il suo Presidente, ma anche l’intera popolazione napoletana devono a Spalletti per aver realizzato il sogno impossibile della vittoria nel campionato trentatre anni dopo il secondo dei due scudetti dovuti a Maradona, mentre questo scudetto è dovuto a Spallett; ed è una vittoria con risultati economici che surclassano i 3 milioni, quindi è giusto che nel comunicato si dica che “non sono certo molti” per il Napoli, sono molti di più quelli che Spalletti ha fatto e farà guadagnare alla società e al suo Presidente. A stare ai festeggiamenti ininterrotti imperversati molto a lungo in una città letteralmente impazzita dalla gioia per merito di Spalletti, il sentire che invece di fargli un monumento e altri regali adeguati gli si chiedono 3 milioni di euro lascia sbalorditi e increduli. Come nel leggere che “non si tratta di ‘vil denaro’” dato che i 3 milioni di euro “per il presidente sono ancora meno”, resto esterrefatto dinanzi a una simile sfacciata ostentazione in una città che presenta il record dei “Redditi di cittadinanza” per un denaro non certo “vile”. Questa è la “questione di principio”, non l’eventuale cavillo contrattuale, che credo comunque perdente, e lo spero. Aurelio De Laurentis per quanto sopra, essendo uomo di cinema, merita di essere insignito del “Premio Oscar dell’ingratitudine”: invito i Napoletani, che in queste cose sono maestri, a farlo senza indugio.

Il presidente del Napoli Aurelio De Laurentis dopo la vittoria del 3° Scudetto

Tonino Bonavita

Provo a esprimere le mie interpretazioni su questa « strana « vicendaSe Spalletti a portato il Napoli a vincere lo scudetto è facile immaginare che sia stato aiutato da una squadra di soggetti e denari messi a disposizione dal presidente De Laurenti il quale avrà programmato con il contratto di ripetere la vittoria per il prossimo torneoSe Spalletti lascia il Napoli per la Nazionale ne avrà un vantaggio economico e di immagine e costo lo dovrebbe pagare al danneggiatoSu questa storia non possono essere i napoletani a decidere anche se, secondo me, meglio che resti con il NapoliE qui non ci szzeca niente né il Reddito di cittadinanza e tantomeno De Laurenti figlio di un produttore di cinema e della meravigliosa Anna MagnaniNessun giudice può annullare un contratto di lavoro senza giusta causa, Cassazione o non!!

Un’altra immagine della squadra del Napoli con la Coppa della vittoria

Romano Maria Levante

Caro Tonino, condivido la tua definizione di “strana vicenda”, e hai ragione nel ricordare i meriti del presidente del Napoli Aurelio De Laurentis che non riguardano soltanto l’attuale scudetto quanto soprattutto il salvataggio e il rilancio alla grande della sociatà dopo il fallimento e la retrocessione in serie C con l’acquisto nel 2004 e la risalita nelle classifiche fino alla vittoria nella Coppa Italia. Ma lo scudetto è restato un miraggio per i 20 anni quasi della sua presidenza, raggiungerlo dopo 33 anni dal precedente, come è avvenuto nello scorso campionato, è stato un immenso regalo ai tifosi e all’intera cittadinanza, e lo si è visto dai festeggiamenti senza fine. Per questo ci si aspettava che la riconoscenza fosse altrettanto immensa per l’allenatore Spalletti che ne aveva il grande merito soprttutto da parte di un presidente tifoso così appassionato. L’impegno di Spalletti è stato tale da richiedere il distacco da una competizione in cui lui e la squadra avevano dato tutto, di qui la rinuncia a proseguire con il Napoli, tutto questo è umano. La Nazionale è un’altra cosa, “selezionatore” più che “allenatore”, poche competizioni sia pure di alto livello a distanza nel tempo e non lo stress settimanale, si può comprendere che questo impegno Spalletti lo può assolvere e il Napoli con il suo Presidente dovrebbe essere orgoglioso di tale incarico prestigioso nato dallo scudetto conquistato. Non si poteva prevedere la rinuncia dell’allenatore uscente Mancini, con ancora almeno due anni di contratto, quindi nulla di preordinato, tutt’altro. Naturalmente Spalletti non potrebbe comunque restare con il Napoli, come tu auspichi, al contratto è subentrato il “patto di non concorrenza” di cui ho già detto che “non c’azzecca” con la Nazionale che non compete con il Napoi. Non “c’azzecca” neppure Anna Magnani, la grande attrice di tempi lontani, che citi, e neppure la “giusta causa” in un contratto di lavoro già chiuso; mentre “c’azzecca” il Reddito di cittadinanza come battuta dinanzi a una ostentazione sfacciata che offende i tanti napoletani alla ricerca del “vil denaro” per vivere. Sono d’accordo che “su questa storia non possono essere i napoletani a decidere”, ma possono benissimo conferire al grande produttore cinematografico Aurelio De Laurentis il “Premio Oscar dell’ingratitudine” da me evocato.

L’allenatore del Napoli Luciano Spalletti con la coppa e la medaglia dello Scudetto conquistato vincendo il Campionato di calcio serie A 2022-23

Tonino Bonavita

Romano caro, non ripeto quanto già espresso ampiamente di cui sono fermamente convintoSottolineo comunque che Spalletti senza i sostegni che De Laurentis gli ha messo a disposizione non avrebbe potuto raggiungere il successo per i napoletani ma anche per lui che lo ha reso oggi successore inaspettato di ManciniEcco perchè è Spalletti che deve ringraziare De Laurentis e i napoletani che senza il loro sostegno sarebbe rimasto un semplice allenatoreI napoletani sono folcloristici, geniali nella filosofia della creatività per sopravvivere e qui il Reddito pagato con le nostre tasse per chi non ha lavoroNel 2004 meriti a De Laurentis per la risalita e vittoria della coppaChiudi confermando da parte dei napoletani il “Premio Oscar dell’ingratitudine” a De Laurentis “Come si conciliano queste due opinioni?

I festeggiamenti iniziano fuori dalla stadio di Napoli

Romano Maria Levante

Non sta a me misurare, caro Tonino, i meriti di allenatore e Presidente rispetto ai risultati ottenuti dalla squadra, ho sottolineato quelli di De Laurentis nell’aver tirato su il Napoli dopo il fallimento portandolo in quasi 20 anni di presidenza ai livelli alti della classifica; ma lo scudetto con gli altri allenatori, anche di grande caratura, è stata sempre una chimera mentre Spalletti ha realizzato il sogno dei napoletani dopo 33 anni dal secondo scudetto con Maradona. Legittimo che tu ritenga essere “Spalletti che deve ringraziare De Laurentis”, anzi nel tuo post precedente mi sembra di aver letto che lo deve risarcire avendolo “danneggiato” – però potrei aver capito male- io la penso in modo opposto, ma “de gustibus non est disputandum”. Oggi Spalletti è stato nominato Commissario Tecnico (e non allenatore…) della Nazionale, e questo dovrebbe porre fine ad ogni diatriba. A meno che il Presidente non lo citi in giudizio perchè paghi la penale di 3 milioni di euro, allora saranno i giudici a decidere, ma De Laurentis meriterebbe un altro Oscar che non definisco per carità di patria, mentre il “Premio Oscar dell’ingratitudine” se lo è già meritato e spero che i napoletani con la loro atavica saggezza mista ad ironia si decidano a conferirlo.

I festeggiamenti a Piazza Plebiscito

Tonino Bonavita

Se fossi napoletano non avrei dubbi a chi dare l’oscar della gratitudineIl napoli è resuscitato fino a vincere un campionato grazie a chi ci ha messo le risorse per pagare profumatamente allenatore, giocatori e team Nei giudici ho poca fiducia perché da tuttologhi spesso sbagliano valutazioni.

Romano Maria Levante

Ho capito, caro Tonino, che tu da napoletano daresti al Presidente del Napoli l'”Oscar della gratitudine”, io da italiano gli dò l'”Oscar dell’ingratitudine” per pretendere una “penale” di 3 milioni di euro dall’allenatore che gli ha fatto vincere lo scudetto dopo quasi 20 ann di presidenza, 33 anni dopo il secondo scudetto con Maradona; e questo per la “colpa” di andare a fare il Commissario Tecnico della Nazionale italiana. Ma tengo in serbo un “Oscar” ben più… pesante se avrà il “coraggio” di portare in tribunale l’allenatore che ha fatto impazzire di gioia per settimane una citta’ intera, la sua città. Ripeto, “de gustibus non est disputandum”, finiamola così.

Tonino Bonavita

L’italiano per l’intera nazione. Il napoletano per la sua città. Non penso che De Laurenti desideri portare Spalletti in tribunale visto che non lo ha ancora fatto sapendo anche che l’ex allenatore del Napoli potrebbe non avere 3 milioni di Euro. Passo e chiudo.

Romano Maria Levante

E soprattutto De Laurentis potrebbe non portare Spalletti in tribunale sapendo che perderebbe la causa per l’orientamento consolidato della Cassazione di non ammettere limiti troppo stringenti alla libertà di lavoro riservandoli alla concorrenza vera e propria che in questo caso non esiste, tra Nazionale e Napoli calcio. Comunque è sempre pronto il mio “Oscar” ben più … pesante dell'”Oscar dell’ingratitudine” che gli ho già dedicato.

Tonino Bonavita

La Cassazione non può avere orientamenti ma traduce e applica la legge soprattutto in SU qui chi crea danno alla al popolo di una nazione o di una Città non va distinto: il bianco e bianco – il nero è nero e nessuna legge può dire grigio. Il desiderio soggettivo, noi due lo dimostrato, in Cassazione non viene considerato, la legge si. Confermo quanto già detto sopra.

Romano Maria Levante

Caro Tonino, non sono io che ritengo decisivi gli orientamenti consolidati della Cassazione, negli studi giuridici mi hanno insegnato che la giurisprudenza ha di fatto, e non certo di diritto, forza di legge – anche se questo è un’espressione impropria – tanto più se si tratta della Cassazione perchè i giudici di primo e secondo grado sanno che una sentenza difforme verrebbe cassata. Non capisco quale sia “il danno al popolo di una nazione” che creerebbe Spalletti, nè qui si tratta di “desiderio soggettivo” ma, a quanto dicono, di “patto di non concorrenza” che non può limitare oltre l’ammissibile il diritto al lavoro per il capriccio di un Presidente… Sei liberissimo di restare della tua opinione, la mia non la considero un’opinione quanto la logica conseguenza che posso trarre dalle premesse. Poi, chi vivrà vedrà…

·  Tonino Bonavita

Come tu stesso hai scritto che De Laurentis non porterebbe Spalletti in tribunale sapendo che perderebbe la causa per l’orientamento consolidato della cassazione, io confermo che la cassazione preposta a tradurre le leggi e non ha interpretare ruolo che spetta ai giudici di primo grado e di appello [ ricordi dei miei studi di scienze politiche] e di frequentazione di un mio fraterno amico giudice penalista e Consigliere di Cassazione

Bianco è bianco

Nero è nero

Senza orientamenti che tu hai evidenziato

La distinzione tra noi

-io napoletano e tu italiano riferito esclusivamente all’oscar e non al danno economico, desideri da noi non condivisi

Il diritto al lavoro previsto dalla Costituzione viene regolamentato dalle leggi con l’istituzione di contratti nazionali sottoscritti dalle parti interessate con accordi specifici notarili e privati contenenti accordi dettagliati che solo gli interessati di comune accordi possono modificare

Nè con il tuo legittimo desiderio di italiano e neanche con il mio da napoletano per l’occasione

La logica richiede conoscenze ed esperienze altrimenti ognuno resta con la sua logica interpretazione o lettura del problema

Mi piacerebbe conoscere anche il parere del nostro amico G…..

·  Romano Maria Levante

Caro Tonino, non so come mai ti accanisci sulla mia battuta che De Laurentis difficilmente citerà Spalletti in tribunale temendo di perdere la causa per l’orientamento – che dicono sia consolidato – della giurisprudenza, in particolare della Cassazione, nel limitare l’ampiezza del “patto di non concorrenza” all’essenziale per non condizionare troppo la libertà di lavoro. Non serve citare il presidente Maddalena per dire che i giudici sono soggetti solo alla legge e non sono tenuti a seguire gli orientamenti giurisprudenziali – i quali oltretutto sono in continua evoluzione – neppure quelli della Cassazione a Sezioni Unite. Ma gli orientamenti suddetti danno l’interpretazione più consona della legge, dinanzi ai diversi significati che possono esserle dati, e chiaramente pur senza esservi tenuti i giudici vi si adeguano per non veder cassate le loro pronunce. Ma il punto essenziale che io ho posto non è giuridico, anche se ho parlato di quella che mi appare una eventualità scontata dato l’orientamento della Cassazione. Ho posto un problema morale proprio per l’immenso valore che ha avuto per la cittadinanza napoletana la conquista dello Scudetto dopo 33 anni, e allora c’era Maradona… . E’ proprio l’intensità dei festeggiamenti ininterrotti che sottolinea l’enorme stress accumulato dal protagonista allenatore in un anno così impegnativo; e la sua onestà intellettuale lo ha portato a dire al suo Presidente che non se la sentiva più, proprio per quel carico di emozioni, di proseguire l’anno successivo. Cosa ci si aspettava? Che De Laurentis lo ringraziasse per aver confidato una difficoltà personale a proprio danno, perché non avrebbe avuto il lauto emolumento previsto, mentre gli avrebbe fatto comodo restare anche se con uno stato d’animo non all’altezza, che avrebbe danneggiatola squadra, come avvenne nel Leicester l’anno dopo il “miracolo” della vittoria nel campionato inglese di una squadra per lo più impegnata nella lotta per non retrocedere. Invece cosa ha fatto il Presidente? Per liberarlo dall’anno di contratto lo ha fatto passare sotto le forche caudine di un “patto di non concorrenza” di cui non si conosce l’estensione, ma soltanto la penale di 3 milioni di euro che avrebbe dovuto pagare al Napoli andando ad allenare un’altra squadra, per la quale non aveva le remore psicologiche di cui ho detto. E a che titolo De Laurentis avrebbe incassato 3 milioni di euro? Non per un debito pagato, non come corrispettivo di un danno inesistente, Spalletti non è il dirigente che porta al concorrente segreti aziendali. Ma se ritengo già molto negativo avergli fatto sottoscrivere tale patto in un momento simile, volerlo applicare anche per aver accettato di essere il CT della Nazionale italiana con la quale il Napoli non ha alcuna concorrenza, è inconcepibile, ha dell’incredibile. Di qui la mia previsione che De Laurentis non citerà Spalletti perr non venire sconfessato platealmente dalla giustizia, almeno in Cassazione, anche se potrebbe trovare in primo e secondo grado giudici che la pensano come te, caro Tonino. Almeno questo è il mio pensiero. Ma ora il tema sembra superato nell’interesse, alla ribalta c’è ora il CT della Nazionale che Spalletti sostituisce, Mancini, però questo caso lo definirei l’opposto, “canone inverso”, per usare un termine cinematografico.

·  Tonino Bonavita

La visione della situazione rapporti Spalletti, De Laurentis la tua è diversa dalla mia per diverse interpretazioni dei fatti: investimenti, superpagato, popolarità/celebrità, carriera etc tutto ha portato a De Laurentis, Spalletti e ai napoletani innegabili

Sottolineo, i giudici di primo e secondo grado interpretano sulla base della loro conoscenza e coscienza

La cassazione in Sezioni Unite traducono e non possono interpretare le leggi fatte dai legislatori e approvate dal Presidente della Repubblica quale garante della Costituzione

Non conosco né il contratto tantomeno le clausole o accordi verbali

La giustificazione della stsnchezza fisica non ci sta visto che non va in pensione ma dovrà affrontare un lavoro certamente più impegnativo e quindi più faticoso fisicamente e mentalmente

Sull’orientamento della Cassazione non so la tua fonte di informazione, io ne ho uno diretto e personale al quale ho posto la domanda con risposta secca:

Tony noi non non interpretiamo ma applichiamo la legge non scritta da noi senza influenze. Se è scritto rosso è rosso, se è scritto nero è nero e tutte le sentenze devono avere lo stesso comportanento.

·  Romano Maria Levante

Caro Tonino, non credo ai miei occhi nel leggere il tuo ulteriore accanimento su un tema secondario nella nostra discussione, rispondo soltanto perché il mio silenzio non sia equivocato. Aggiungo a quanto già ho scritto sull’efficacia delle pronunce della Cassazione interpretative delle leggi pur senza vincolare, un esempio: dopo la sentenze Grilli-Leister della Cassazione che modificava l’orientamento sull’assegno di mantenimento al coniuge divorziato, Berlusconi chiese la revisione alla Corte d’Appello in base a quella sentenza e la ottenne con lo stop all’assegno mensile e la condanna della moglie a restituire 60 milioni di euro… non sono quisquiglie. Ma è troppo elementare per insistervi e non ne parlerò più., mi sorprende la risposta che dici di aver avuto, che nega la realtà. Altrettanto sconcertante che attribuisci a De Laurentis – se ho capito bene – il merito di aver dato a Spalletti “superpagato popolarità/ celebrità, carriera”: anche qui i fatti: allenatore di lungo corso dal 1994, di parecchie squadre, anche di Roma e Inter, negli anni ha vinto diverse Coppe Italia, 4 premi come migliore allenatore italiano e addirittura con lo Zenit di San Pietroburgo ha vinto 2 campionati russi, nel Napoli c’è stato solo 2 anni e nel secondo anno ha vinto lo Scudetto che De Laurentis inseguiva invano da 20 anni e i Napoletani da 33 anni, a chi il merito maggiore? Ma rispetto le tue simpatie e antipatie, però presto molta attenzione ai fatti, e ne ho ciato solo alcuni, per me sono quelli che contano. Finiamola qui. The End.

·  Tonino Bonavita

Tralascio la vicenda Spalletti con interpretazioni non condivisibili.

Preciso che la Cassazione non “interpreta” le leggi ma le applica traducendole.

Se le leggi sono fatte male è colpa dei politici.

Sulla sentenza delle SU della Cassazione in Italia esiste la possibilità di poter ricorrere alla Corte di Appello organo giurisprudenziale del Ministero di Grazia e Giustizia che può modificare completamente, in alcune parti o completamente la sentenza della Cassazione.

Così come Nordio ha modificato la legge Cartabia sulle intercettazioni etc.

La precisazione aiuta a capirci e non a interpretarci.

·  Romano Maria Levante

Caro Tonino, ho concluso con “the End” il post precedente  per segnare la fine del Film…della nostra discussione, protrattosi già troppo a lungo, fino a stancare. Ma il tuo post successivo mi fa pensare che dopo il Film c’era il Documentario, mettiamola così, per questo posso dare un’ultima risposta, poi credo che non ci sarà un seguito, come avveniva alla fine delle proiezioni. Continui ad accanirti sulla Corte di Cassazione che – lo ripeto e me ne dispiace –  citai soltanto incidentalmente conoscendone gli orientamenti in materia di “patto di non concorrenza”, che a mio modesto avviso avrebbero dissuaso il presidente del Napoli De Laurentis a citare in giudizio l’ex allenatore Spalletti, lo dicevo solo come ipotesi e concludevo, “chi vivrà vedrà”. Ma non mi sottraggo a rispondere al tuo reiterato  “preciso che la Cassazione non ‘interpreta’ le leggi ma le applica traducendole”, dicendomi d’accordo sul fatto che “le applica”. Rispetto a “non interpreta le leggi”, tuttavia,   non posso che riferirmi alla norma sull’ordinamento giudiziario, che all’art. 65 attribuisce alla Corte di Cassazione il compito di “garantire  l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale” . Quindi non solo la Cassazione “interpreta” le leggi ma ne garantisce “l’uniforme interpretazione” , e questo in aggiunta alla normale applicazione cui tu ti riferisci. In tal modo, oltre a garantire l’attuazione della legge, fornisce indirizzi interpretativi uniformi  alla giurisprudenza per  mantenere per quanto possibile l’unità dell’ordinamento giuridico.  Tutto ciò trova la sua massima espressione nelle pronunce a Sezioni Unite che possono essere richieste quando le linee interpretative delle diverse Sezioni sono difformi .  E poi, non so come puoi fare a dire che sulle sentenze “delle SU della Cassazione in Italia esiste la possibilità di poter ricorrere alla Corte di Appello organo giurisprudenziale del Ministero di Grazia e Giustizia che può modificare completamente, in alcune parti o completamente la sentenza della Cassazione”;  a quanto so io non potrebbe esistere nessuna “Corte d’Appello organo giurisprudenziale del Ministero di Grazia e Giustizia” per la divisione dei poteri, e tanto meno un organo sovraordinato alle SU che sono la massima espressione della giurisdizione, le cui pronunce non possono essere modificate in alcun modo. Nordio e Caltabia “non c’azzeccano”, quella sulle intercettazioni che citi è una  normale modifica normativa sottoposta al Parlamento. Ma puoi continuarla a pensare come vuoi, dato che persisti nella tua opinione, però io non posso condividere il tuo pensiero per quanto ho accennato, e non è una mia opinione che conterebbe ben poco, è il funzionamento del nostro sistema giudiziario.. In conclusione, però,  vorrei tornare sul motivo del nostro “ping pong” con un’ultima citazione: l’intervista che il presidente del Napoli rilasciò a Marco Cattaneo per Dazn, pubblicata il 29 aprile 2022. In essa, su Spalletti allora verso il termine del primo anno di allenatore del  Napoli, disse, tra le altre cose: “… Andai a Milano di nascosto a casa sua e gli feci firmare il biennale più un’opzione per il terzo anno a mio favore, che non voleva sottoscrivere.. Poi l’ho convinto, facciamo un secolo e mezzo in due. Poi quando e se vorrà andare via ci daremo la mano e non succederà nulla”.  Ci si poteva spettare che per riconoscenza gli avrebbe perfino pagato il terzo anno, anche se “sabbatico”, da meritare l’”Oscar della gratitudine”; ma sarebbe stato troppo;  invece a Scudetto epocale conquistato  lo ha “convinto” a firmare il “patto di non concorrenza” addirittura con penale di 3 milioni di euro per liberarlo dal terzo anno.  Continuo a trasecolare dinanzi a una simile…. metamorfosi. 

Supplemento anche “scaramantico” di Post del 4, 5, 6 settembre, dopo i 17 Post di commento al primo post del 17 agosto.

Tonino Bonavita

Romano caro la metafora della partita di Ping Pong dove da ragazzo nel circolo della parrocchia ero tra i più bravi mi piace e con te uno pari in quanto le nostre opinioni e pareri li abbiamo dettagliatamente espressi nel link che riproponi

Confermo anche in questo post che molti miei amici napoletani sono riconoscenti a Spalletti ma filosoficamente ed egoisticamente per noi Spalletti non doveva lasciare il Napoli squadra delusa dopo un lungo percorso insieme per arrivare allo scudetto.

·  Romano Maria Levante

Caro Tonino, il fatto che Luciano Spalletti abbia lasciato il Napoli dopo la vittoria epocale dell’ultimo campionato ha deluso tutti, non soltanto i napoletani, ma solo sul momento, perché quando se ne sono capite le ragioni si è apprezzato ancora di più: non si sentiva di continuare e ha rinunciato ai milioni di euro di un anno di contratto, mentre poteva per convenienza restare anche se pensava di non poter ottenere lo stesso risultato conoscendosi e conoscendo l’ambiente. Fece il bis di allenatore e di vittoria del campionato – allora russo – con lo Zenit di San Pietroburgo nel 2010 e 2011-12 e forse da quell’esperienza nasce la sua decisione dieci anni dopo; avrà anche pensato al collega Claudio Ranieri che nel 2016 ha portato miracolosamente alla vittoria del campionato inglese il Leicester, mentre lo aveva iniziato impegnandosi come sempre per non retrocedere, ed è rimasto l’anno successivo, ma la squadra è andata così male al punto da venire sostituito. Spalletti è’ stato molto corretto, ha comunicato di voler lasciare subito a fine campionato dando tutto il tempo al Presidente di cercare il successore, e ha firmato il “patto di non concorrenza” che gli è stato sottoposto, o imposto, da un presidente rivelatosi invece freddo e calcolatore, almeno ai miei occhi: non si chiede una penale di 3 milioni di euro a chi ha rinunciato ai milioni di euro del contratto, senza che a questa penale vi fosse una contropartita accettabile oltretutto nella situazione di immensa riconoscenza dovutagli; tanto più che nel Comunicato ufficiale si afferma – lo ripeto di nuovo testualmente – che “per il club Napoli 3 milioni non sono certo molti, e per Aurelio De Laurentiis sono ancora meno. Ma la questione nel caso di specie non è di ‘vil denaro’ bensì di principio”. Appunto, un principio, nel quale manca il più umano dei sentimenti, la gratitudine. L’offerta di fare il Commissario Tecnico della Nazionale era inimmaginabile, avendo il CT in essere Mancini altri due anni di contratto, ma a differenza di Spalletti si è dimesso all’improvviso a Ferragosto mettendo in seria difficoltà la Federcalcio nel trovare il sostituto solo poco più di due settimane prima di una partita decisiva; e ha fatto discutere la coincidenza con i 100 milioni di euro del contratto firmato repentinamente per allenare l’Arabia Saudita da parte di chi, Mancini appunto, aveva dimostrato un grande attaccamento ai colori nazionali facendo il giro di pista al termine della partita che segnò la vittoria nel campionato inglese del suo Manchester City con il tricolore al collo e rinunciando a 13 milioni di euro del contratto con lo Zenit di San Pietroburgo – sempre questa squadra russa … – per i soli 2 milioni da CT della Nazionale italiana, poi portati a 4 milioni nel 2021. Né mi sembra che la Federazione per liberarlo del contratto gli abbia fatto firmare un “patto di non concorrenza” – come ha fatto invece De Laurentis con Spalletti – che in questo caso avrebbe funzionato, dato che nei prossimi Campionati mondiali l’Italia potrà trovare come avversaria l’Arabia Saudita allenata dal suo precedente Commissario Tecnico, mentre il Napoli non potrà avere mai come avversaria la Nazionale….. Altre storie, intanto chiudiamo la nostra piccola “storia”, un bel “ping pong” – anch’io lo praticavo nell’adolescenza – senza colpi proibiti, nell’amicizia e stima reciproche. Eppoi, immedesimandoti nei napoletani, con il tuo ultimo commento, caro Tonino, hai superato i 17 “colpi” seguiti al mio primo Post, un numero poco piacevole, così andiamo a 19 “colpi”, oltre la maggiore età.. Inserirò questi nostri due commenti conclusivi, anche scaramantici, nel sito che li riporta tutti in sequenza, e ti ringrazio di avermene dato l’occasione con il tuo post finale.

Luciano Spalletti mentre festeggia la vittoria al campionato russo
con lo Zenit di San Pietroburgo nel 2011

·  Tonino Bonavita

Romano caro, mi sono messo al posto di un napoletano amante del calcio che non è a conoscenza delle clausole del fantomatico contratto Spalletti-DevLaurentis che, se Mancini non avesse lasciato per l’Arabia Saudita, Spalletti sarebbe rimasto con il Napoli magari con tante altre vittorie per la felicità dei napoletani che ora si sentono abbandonati

Credo sia umano questo sentimento per un napoletano sportivo, amante della sua squadra

Le beghe legali e morali al popolo non, a conoscenza, non interessa. La gratitudine dei napoletani a Spalletti è stata manifestata osannandolo subito, sminuita con il sentirsi abbandonati (e non traditi)

Il ping pong partita simpatica e amichevole

·  Romano Maria Levante

Caro Tonino, Mancini ha lasciato la posizione di C.T. della Nazionale mesi dopo che Spalletti ha lasciato il Napoli perchè non si sentiva di continuare in quelle condizioni del tutto particolari dopo la vittoria epocale, e le dimissioni di Mancini sono state assolutamente inattese, aveva ancora due anni di contratto. Quindi anche se Mancini fosse rimasto alla Nazionale, Spalletti aveva già lasciato il Napoli e ho spiegato come lo abbia fatto per motivi ammirevoli. La gratitudine dei napoletani per Spalletti, quindi, non dovrebbe essere sminuita, anzi accresciuta, avendo rinunciato a continuare per senso di responsabilità verso la squadra e la città. Almeno io la penso così, potrebbe non essere stato compreso, ma lui lo ha detto con chiarezza nell’immediato della vittoria e si è sobbarcato anche a firmare il “patto di non concorrenza” richiestogli dal presidente freddo e calcolarore, sempre ai miei occhi. I veri sportivi sapranno giudicare.

·  Tonino Bonavita

Squadra vincente non si cambia

·  Romano Maria Levante

Caro Tonino, nel calcio non è sempre così, il Leicester dopo la vittoria del campionato inglese nel 2016, la prestigiosa “Premier League” – ancora più memorabile di quella del Napoli, dato che a inizio campionato la sua vittoria dai bookmaker era pagata 5000 volte la posta – aveva adottato il motto che citi, ma stava per retrocedere, tanto che l’allenatore Claudio Ranieri, omaggiato l’anno precedente quasi come nuovo re d’Inghilterra, fu esonerato. Ma nel Napoli non si è scelto di “cambiare squadra vincente”, l’allenatore vittorioso non se l’è sentita per il troppo stress e con grande onestà ha lasciato invece di continuare l’anno successivo con i cospicui emolumenti cui ha rinunciato, avrebbe potuto proseguire pur non sentendosi più in grado danneggiando il Napoli a proprio vantaggio. Non lo ha fatto, considero il suo comportamento esemplare e non solo per il mondo del calcio! Mi sembra non ci sia altro da aggiungere, la penso così.

·  Tonino Bonavita

Amen

Claudio Ranierim “incoronato” simbolicamente dopo aver portato il Leicester alla inimmaginabile vittoria nella Premier League inglse, pochi mesi dopo fu esonerato

Info

Testi tratti da Facebook, pagina “Romano Maria Levante”, nei post pubblicati dal 17 al 30 agosto 2023 su questo tema in risposta al primo post del 17 agosto: integrali anche nelle spaziature dei capoversi molto diverse dei post pubblicati, in uno dei “due amici al bar” compatte, nell’altro molto aperte. Sono state aggiunte invece le immagini.

Photo

Le immagini, non contenute nei post di Facebook, sono state inserite a mero scopo illustrativo, senza alcun intento economico nè pubblicitario, una ogni post, per sottolineare come la partecipazione popolare sia stata pervasiva e prolungata, facendo da sfondo alla questione di cui si discute nei post riportati. Le prime 4 immagini sono dei protagonisti, la squadra del Napoli vincitrice del Campionato di calcio 2022-23, il presidente Aurelio De Laurentis e l’allenatore Luciano Spalletti; seguono 12 immagini con i festeggimenti popolari che iniziano fuori dello Stadio, poi a Piazza Plebiscito e quindi nelle altre zone della città, di giorno e di notte; si conclude con i due protagonisti della vicenda e con Spalletti nella vittoria del campionato russo, in chiusura lo stadio di Napoli “Diego Armando Maradona” già “San Paolo” al centro della grande impresa calcistica.Tutte le immagini sono tratte dai siti di seguito citati, si ringraziano i titolari con la precisazione che se la pubblicazione in questo articolo di qualche immagine non fosse gradita verrà subito eliminata, basta una semplice richiesta. I siti sono, nell’ordine di inserimento delle immagini nel testo: larepubblica.it, eurosport.it, ansa.it, guerinsportivo.it, fanpage.it, grandenapoli.it, avvenire.it, calcionapoli24.it, corrieredellosport.it, ilnapolista.it, napolike.it, positanonews.it, siamoilnapoli, gazzetta.it, fanpage.it, corrieredellasera.it, napolirepubblica.it, skysport.it, goal.it, quotidiano.net, ilnapolista, fanpage.it.

Di nuovo grazie a tutti.

Mancini a Riad dopo la firma del contratto di C.T. dell’Arabia Saudita fino al 2027

A Pietracamela “La farfalla di Andrea”, di Gelasio Giardetti

di Romano Maria Levante

Domani, sabato 19 agosto 2023, alle ore 18, viene presentato a Pietracamela nella Sala Consigliare Comunale in via XXV luglio 18, il romanzo “La farfalla di Andrea”, di Gelasio Giardetti, ambientato in questo borgo dell’Appennino abruzzese, versante teramano, alle falde del Gran Sasso d’Italia, sotto le vette di Corno Grande e Corno Piccolo, uno scenario definito “il gigante che dorme”. Presiederà il sindaco Antonio Villani, intervengono, oltre all’autore, Pietro Piccioni presidente dell’Anc di Teramo,Corrado Bellisari e Paride Tudisco, presidenti rispettivamente dell’Asbuc di Intermesoli e di Pietracamela; nel corso dell’ncontro verrà presentato il cortometraggio “Testimonianza dialettale pretarola”.e sarà distribuito un limitato numero di copie omaggio ai cittadini nativi di Pietracamela. Nella trama avvincente del romanzo sono rievocati gli usi e costumi del borgo, isolato nei lunghi e gelidi inverni, e la vita negli anni della seconda guerra mondiale con le irruzioni e razzie dei tedeschi dalle quali nasce un colpo di scena altamente drammatico che avrà sviluppi impensati nel prosieguo della storia narrata. Di Gelasio Giardetti abbiamo recensito negli anni, in vari articoli, tre libri di saggistica, il più recente sull’epopea dei Carabinieri nella storia italiana,i due libri precedenti sui grandi misteri della religione e della vita.. Sul romanzo che sarà presentato domani non pubblichiamo una recensione, ma la Prefazione posta in apertura del libro scritta su richiesta dell’autore: lo ringraziamo ancora della sua fiducia.

PREFAZIONE

Curiosità unita a interesse suscita la nuova fatica letteraria di Gelasio Giardetti. Curiosità perché dopo 4 volumi di impegnativa saggistica questa volta si tratta di un romanzo; ed è  vero che la saggistica riguardava temi quanto mai elevati –  da “Gesù l’Uomo”, a “L’uomo il virus di Dio”, e “Dio, fede e inganno”, seguiti da “I Carabinieri nella storia italiana”  – ma è altrettanto vero che il romanzo rappresenta un “salto di specie” e incuriosisce vedere l’autore all’opera. Interesse perché la storia è ambientata nel comune paese natìo, Pietracamela, il “nido di aquile” di cui vengono rievocati usi, costumi e vicende in tempi lontani. Si tratta in parte di vita vissuta impressa nella memoria personale e analizzata con la profondità e l’accuratezza del ricercatore, tale l’autore è stato in campo scientifico nella sua vita professionale.

La curiosità e l’interesse hanno riscontri nettamente positivi. Il “salto di specie” non ha creato problemi perché già nella saggistica il modo di esporre era avvincente, nulla di didascalico ma tutto presentato come una storia in divenire; e a questo punto l’interesse non può che acuirsi, dinanzi alla saldatura tra i ricordi personali e le memorie familiari che si vede affollano la mente e il cuore dell’autore con la storia narrata e i suoi sviluppi. Mente e cuore perché alla accuratezza espositiva unisce una passione che si accende quando si toccano tasti di valore morale e civile: la vicenda personale è inserita nella vita familiare, a sua volta inquadrata nella storia collettiva. E il lettore ne riceve una serie di messaggi, per il passato e per il presente.

Una inquadratura dall’alto del centro storico, nella piazza si svolge una scena chiave del romanzo

Nella parte iniziale i ricordi sembrano avere il sopravvento, con una condivisione quasi autobiografica, e si stenta a immaginare come dalla “famiglia”, dall’”infanzia” e dai “freddi mesi invernali” possa nascere una trama avvincente; ma nello stesso tempo si è coinvolti nella rappresentazione di un mondo rimasto così fortemente impresso al punto che ci si lascia trascinare dalla rievocazione dimenticando che si è solo all’inizio, quindi senza avere l’impazienza di superare i preliminari per entrare nel vivo della vicenda. La storia si sviluppa in dieci capitoli dai titoli icastici che danno già un’idea precisa del percorso narrativo.

I preliminari su “La famiglia”  sono particolarmente accurati, ne viene descritta anche nei dettagli la vita difficile nel paese di montagna dove occorreva provvedere a tutto nell’isolamento e nelle precarie condizioni ambientali, per cui si dovevano accumulare le provviste e la legna per difendersi dal freddo; e si sentono anche i valori della solidarietà tra gli abitanti, da cui veniva un grande aiuto nei momenti difficili. e soprattutto il calore dell’affetto reciproco. Una famiglia che cresce e con la nuova vita che ne entra a far parte vede accresciute le responsabilità e le difficoltà, ma anche lo slancio vitale.

Il bivio di Ponte Arno in una foto d’epoca, dopo 9 km di salita l’arrivo a Pietracamela

Altrettanto accurato il racconto su “L’infanzia”, con la descrizione minuziosa dei giochi di allora -spicca l’inventiva dei ragazzi montanari nell’escogitarli non avendo i giocattoli cittadini – e della vita spensierata a quell’età, ma anche con le impressioni dolorose che si provano e i dubbi che nascono dinanzi ad eventi imperscrutabili come la morte di un bambino travolto da una roccia in contrasto con la bontà divina. L’autore tornerà su questi dilemmi, ma solo sfiorandoli; nei suoi libri saggistici citati all’inizio ha già esposto compiutamente il suo pensiero.

In un crescendo rossiniano, “I freddi mesi invernali” – è evidente  che l’autore li ha vissuti di persona negli stessi luoghi del protagonista – fanno sentire il peso dell’inclemenza stagionale nell’isolamento della montagna. L’autore descrive gli animali, presenta la caccia analizzandone le modalità da ricercatore non solo negli aspetti pratici ma nelle ripercussioni sulla sensibilità del bambino di certi aspetti considerati efferati. E vediamo le lunghe serate intorno al focolare con i racconti favolistici a sorprendere bambini e adulti. C’è anche la rievocazione di eventi che sconvolsero la vita paesana, come la tragica fine di due donne sopraffatte dalla bufera nel ritorno da un paese a valle dove si erano recate per le normali esigenze di vita, ricordo rimasto nella memoria di tutti.

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L’evento epocale che sconvolse il paese come il mondo intero, “La guerra”, viene introdotto con delicate immagini della crescita del nuovo nato, ci si avvicina all’inizio della storia, che diventerà incalzante. Lo soccorrono non più i ricordi personali – l’autore non ha l’età per aver vissuto quegli anni – ma le memorie familiari. Si ispira ai racconti di genitori e nonni, sempre con l’accuratezza e la minuzia del ricercatore, applicata al macrocosmo del grande affresco storico come al microcosmo del paese nel quale, pur nell’isolamento dell’alta montagna e nella distanza dai luoghi caldi del conflitto, non si stava affatto tranquilli e venivano escogitate misure di protezione quanto mai elaborate e ingegnose.

La guerra non risparmia gli inoffensivi montanari, ed è di straordinaria efficacia la descrizione di momenti nei quali si sono trovati di fronte a situazioni estreme cui hanno fatto fronte mantenendo la loro consapevolezza e la loro dignità, un vero affresco di vita paesana nella tempesta scatenatasi a livello mondiale. Anche le normali esigenze quotidiane diventano impegni sovrumani con cui devono misurarsi, come devono fronteggiare le emergenze della vendicativa occupazione tedesca con l’appoggio fascista: dalle efferate esecuzioni alla requisizione delle provviste alimentari della popolazione, isolata e inerme, condannandola alla fame.

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Nel cuore del centro storico di Pietracamela

Alla guerra è collegata “La morte”, nella realtà e nel romanzo nel quale si passa dagli espedienti per salvare le provviste alimentari per l’inverno dalle requisizioni dei tedeschi al cupo irrompere della tragedia individuale e collettiva in una descrizione che sembra la sceneggiatura di un film, tanto è incalzante. Siamo sempre nel piccolo paese di montagna, anzi nella piazza principale divenuta teatro di un dramma che vede come protagonisti gli spietati tedeschi e la popolazione – allora numerosa, lo spopolamento è di epoca successiva – con le vittime e gli eroi che vengono intensamente ricordati, in una esposizione tanto avvincente da evocare come vera una realtà solo immaginaria.

Non ci si attendeva un cambiamento così brusco, dalla tranquillità all’angoscia e non solo dinanzi ai comprensibili timori legati all’occupazione tedesca, ma in presenza di fatti che portano al diapason la drammaticità di quei momenti; il pensiero va al film “La vita è bella” allorché una cappa di orrore cala all’improvviso su una comunità tranquilla e operosa.

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Altra foto d’epoca di Ponte Arno con la “corriera”, al centro vestita di chiaro la “mitica” Luigina

La presa diretta con la realtà porta a “riveder le stelle” riemergendo dall’inferno della guerra, ma non torna per tutti l’antico “modus vivendi” scandito dal cambio di stagioni sul quale si misurano le povere attività agricole di una comunità che vive, non va mai dimenticato, nell’isolamento dell’alta montagna. Il “miraggio” di una promozione sociale e personale altrimenti inimmaginabile agita l’animo di uno dei personaggi, con i duri dilemmi che comporta: emigrare per dare una svolta alla propria vita sostenendo il peso di una scelta che porta a tagliare le radici con la propria terra allontanandosi dai propri affetti, oppure restare in paese fidando sulle nuove occasioni create dalla ricostruzione, che già avevano portato alle assunzioni della società impegnata nei lavori per la grande centrale idroelettrica alimentata dalle acque che scendono dal Gran Sasso imbrigliate tra dighe e gallerie? 

Nelle pagine del libro si vive, anzi si rivive tutto questo, muovendosi tra la cronaca e la storia, con le tessere di un mosaico che si va a poco a poco componendo, ma neppure quando si supera la metà del libro si ha un’idea di quali possano essere gli sviluppi, anzi un evento fa sorgere un interrogativo sullo stesso titolo del libro perché non si vede come possa restare valido, dopo quanto accaduto, eppure lo sarà e se ne avrà conferma più avanti, fino al termine.

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Intanto “Lo scorrere veloce della vita” ci presenta il protagonista nelle diverse fasi della crescita, prima nella sua montagna con la passione per le scalate e lo sci anche a livello agonistico e un impegno particolare che gli fa vivere di nuovo momenti tragici, quali sono le sciagure montane con il passaggio repentino dalla gioia al dramma. Poi nel mondo del lavoro preso da un’altra passione non meno sentita, quella per la ricerca scientifica dove l’intensa attività a livello avanzato gli dà soddisfazioni e successi, anche per le esperienze  a livello internazionale che ne scandiscono le varie fasi.

In queste descrizioni si sente la partecipazione personale dell’autore, in un’immedesimazione che fa pensare all’autobiografia, ma è solo una sensazione transitoria, quando avviene la “rivelazione” la storia del protagonista e della sua famiglia sovrasta con la sua intensità narrativa ogni altra considerazione e impressione nate nelle parti evocative della vita di allora.

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Un tratto del centro storico con le caratteristiche arcate

Con “La rivelazione” un vero colpo di scena, fa tornare indietro nel tempo, senza che ci sia Superman a modificarne il corso ruotando l’asse terrestre all’incontrario, come nell’avveniristica scena del film, basta un racconto inimmaginabile nel contenuto e nella drammaticità, che irrompe sulla trama fino ad allora volutamente statica.

La narrazione compie un salto di qualità introducendo una “suspence” coinvolgente in quello che era un affresco ambientale e di costume percorso da un’evocazione di tipo storico, facendo lievitare l’interesse fino a non potersi staccare dalla lettura.  Il “salto di specie” dell’autore trova così la sua consacrazione con un cambio di tono che lo distingue sempre di più dalla saggistica rendendo incalzante il prosieguo della storia sotto il segno di una imprevedibilità che nella “rivelazione” si è espressa al massimo e promette nuove emozionanti sorprese.

La “corriera” che sale verso Pietracamela, Luigina con le altre al finestrino

Perché di vera emozione si tratta quando ciò che sembrava definitivamente sepolto torna alla ribalta in modo prepotente facendo immedesimare nella fase successiva, “La ricerca”, in cui ci si sente coinvolti al pari dei protagonisti, nel loro impegno appassionato che fa sentire direttamente partecipi. E qui veramente la narrazione cambia di nuovo marcia, seguendone passo passo i movimenti e registrando con cura l’altalena di speranze e delusioni, in un clima coinvolgente di ansia  data la posta in gioco. Così anche l’inizio della ricerca in un ufficio burocratico diventa emozionante, e si fa sempre più incalzante quando ci si muove sul territorio, ben lontani dal piccolo paese montano, in una industriosa città tedesca. Muta radicalmente  l’impianto narrativo, prima basato sulle descrizioni ambientali necessariamente statiche, ora su un percorso conoscitivo, anzi investigativo  quanto mai dinamico.

Nell’accuratezza con cui ne vengono resi i particolari interviene una “suspence” di tipo diverso da quella che finora è stata una trama avvincente, sembra di essere entrati in un giallo poliziesco, di quelli che “non fanno dormire”, e in effetti così è stato per noi. Naturalmente, come è d’obbligo per i gialli, non diciamo nulla né sul percorso né tanto meno sulla conclusione, alla quale ci si avvicina passando a un’altra sconvolgente sorpresa dopo una telefonata con cui si riapre una prospettiva che sembrava chiusa.

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Con ”la rivelazione” si è presi dalla “suspence” per tutto il tempo in cui viene rievocato un episodio chiave ma con contenuti del tutto diversi e sconvolgenti da quelli che erano apparsi; e nell’immersione in un contesto storico nel quale torna la mano del saggista che avevamo conosciuto nei libri precedenti. “Suspence” che si alza di livello con “La scoperta”, altrettanto inattesa e sconvolgente della rivelazione, su un piano ben diverso che ha riferimenti diretti all’attualità e non più a un evento nel passato anche se si matura nel tempo; il piano è quello interiore, attiene a certe pulsioni umane genuine quanto insopprimibili.

Anche qui si segue un percorso che non dà risposte immediate, ma fa sentire partecipi di una paziente quanto appassionata ricerca, passando dal piccolo paese montano all’industriosa città tedesca dove ci si immedesima pure nelle questioni aziendali in cui è impegnato il protagonistai. E qui torna la visione autobiografica perché siamo proprio nel settore in cui l’autore ha speso la propria attività professionale. Quindi ai ricordi d’infanzia e familiari si aggiungono quelli personali della piena maturità lavorativa.

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La “storica” chiesa di San Giovanni

Fino all’”agnitio” definitiva con “L’incontro”, in una sorta di “Metti, una sera a cena…”, pur se di diverso contenuto ma di analoga valenza, che apre ulteriormente all’attualità più viva e porta alla conclusione il tormentato itinerario che abbiamo seguito fin qui sommariamente. Non abbiamo dato alcuna chiara indicazione sulla vicenda cercando di rendere il clima e lo sviluppo narrativo, per non togliere l’interesse che nasce da una trama avvincente aperta alla rivelazione e alla scoperta finale, con l’incontro conclusivo.

Che dire al termine della lettura?  Il “salto di specie” ha avuto esiti altamente positivi  e lo si vede nei dialoghi serrati che affollano l’ultima parte del libro in un crescendo quanto mai coinvolgente, senza far perdere all’autore il rigore del ricercatore manifestato nella saggistica che abbiamo citato all’inizio; e lo ritroviamo nelle descrizioni molto precise in cui continua a indulgere nel suo affresco ambientale e di vita. Torniamo alle nostre abitudini quotidiane dopo esserci immedesimati in una vicenda appassionante che ci ha riportati al nostro “natìo borgo selvaggio”, il “nido d’aquile” alle falde del Gran Sasso d’Italia, e ci ha fatto rivivere stagioni lontane percorse da angosce e inquietudini fino a farci volare nell’industriosa città tedesca con problemi manageriali di stretta attualità per poi ritornare nel paese montano alla conclusione. Cosa si può volere di più?

La maggiore “pittura rupestre” di Guido Montauti – tra quelle sopravvissute alla frana del 2010 – all’inaugurazione dopo il restauro, davanti il restauratore Corrado Anelli in camicia celeste

Info

Gelasio Giardetti, “La farfalla di Andrea”, Narrativa, Arduino Sacco Editore, 2022, pp. 210, euro 22,90. Le nostre recensioni ai precedenti libri di saggistica dell’autore sono le seguenti, in questo sito, alle date che vengono indicate. Sui Carabinieri nel 2018: Giardetti, 1. “I Carabinieri nel Risorgimento e nella 1^ Guerra mondiale” 4 novembre, 2. “I Carabinieri nel regime fascista e nella 2^ Guerra mondiale” 6 novembre, 3. I Carabinieri dopo l’8 settembre ’43, nella difesa di Roma e nella RSI 8 novembre, 4. “I Carabinieri nelle deportazioni e nella Resistenza fino alla Liberazione” 10 novembre, con un richiamo nel 2019 “I Carabinieri nella storia italiana” 7 gennaio. Sui temi religiosi: “Gelasio Giardetti, ‘L’uomo e Dio nel corpo universale 13 giugno 2015, “Dio, mistero senza fine, in un libro di Gelasio Giardetti” 2 febbraio 2014. (negli articoli prima del 2019 sono saltate le immagini nel passaggio a questo sito, sono da reinserire).

Foto

Nel romanzo non vi sono illustrazioni, come sempre, ma noi abbiamo voluto inserire delle immagini per ambientare il lettore. Inseriti nel testo si succedono tre blocchi di illustrazioni costituiti da un’immagine del borgo com’è oggi, in particolare del centro storico, da un’immagine d’epoca al bivio di Ponte Arno, la “porta” di accesso al borgo, e da una composizione di 4 immagini d’epoca di Pietracamela; la sequenza si conclude con una terna diversa. Le immagini attuali del borgo sono tratte dal sito dei “Borghi più belli d’Italia”, di questo prestigioso “club” Pietracamela fa parte dal 2007, per sottolinearlo abbiamo operato questa scelta e ringraziamo i titolari del sito. Le immagini d’epoca sono dell'”Archivio Bonaduce”, di Aligi Bonaduce che ringraziamo, sono state già pubblicate in articoli precedenti di Romano Maria Levante: le 3 di Ponte Arno nell’articolo “Pietracamela 2019, 1. Ponte Arno, il ricordo della mitica Luigina” 15 agosto 2019; le 3 a quartetti nell’articolo “Pietracamela, 2019, 2. Il Borgo in Arte, pittura e musica, teatro e tradizioni” 31 agosto 2019, fotografate sempre dall’autore come erano esposte nella manifestazione; l”immagine della “pittura rupestre” di Guido Montauti restaurata, è stata ripresa e pubblicata sempre da chi scrive, nell’articolo “Guido Montauti, nel centenario, il recupero delle ‘Pitture rupestri'” 19 agosto 2018″ (negli articoli ante 2019 sono saltate le immagini nel passaggio a questo sito, sono da reinserire).

Pietracamela, nel Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, sotto “il gigante che dorme”

In memoria di Sebastiano Vinci, vittima delle BR

di Romano Maria Levante

Oggi, 19 giugno 2023, ripubblichiamo il nostro articolo del 2009, per ricordare il sacrificio del vice questore  Sebastiano Vinci, ucciso dalle Brigate Rosse in un vile attentato a un semaforo nel 1981 da un commando di cui faceva parte Roberta Cappelli con altri tre brigatisti della colonna romana comandata da Adriana Petrella. Come ogni anno,  a parte l’interruzione per il Covid,  al Commissariato Primavalle che dirigeva si è tenuta stamane la commemorazione celebrativa, con la partecipazione del Presidente del Municipio e del Questore di Roma.

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Sebastiano Vinci, vittima delle Brigate Rosse,
19 giugno 1981

 Nell’introdurre il nostro articolo che ripubblicammo nel quarantennale del 2021 parlavamo dell’arresto in Francia di 10 brigatisti, tra cui – oltre a Giorgia Pietrostefani, condannato per l’uccisione di Luigi Calabresi –  anche Marina Petrella e Roberta Cappelli, condannate all’ergastolo per l’uccisione di Sebastiano Vinci, essendo finita  la “dottrina Mitterand” che aveva protetto fino ad allora la loro latitanza  in Francia, augurandoci una pronta estradizione, e riportavamo i forti dubbi del fratello di Sebastiano. Purtroppo aveva visto giusto.  Meno di 3 mesi fa, il 28 marzo 2023 è stato comunicato che  la Cassazione francese ha definitivamente respinto la richiesta di estradizione già negata dalla Corte d’Appello il 29 giugno 2022, dopo il nuovo arresto del 28 aprile 2021, motivando il rifiuto con il rispetto della vita privata e familiare ristabilita in Francia da quarant’anni e con il diritto a un processo equo, secondo  gli articoli 8 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. essendo stati processati in contumacia. A questa pronuncia si era opposto pubblicamente  il presidente Emmanuel Macron, il cui governo rappresentato dal procuratore generale della Corte d’appello di Parigi, Rémy Heitz, presentò subito ricorso alla Corte di Cassazione, contestando l’irragionevole argomento della violazione della vita privata e familiare degli imputati, e chiedendo di accertare  se i terroristi già condannati in Italia in contumacia potevano ottenere un nuovo processo . La Cassazione francese è stata lapidaria nel respingere il ricorso considerando “sufficienti” le motivazioni dei giudici nel loro “apprezzamento sovrano” (sic!) e definendo “definitivo” questo “parere sfavorevole sulle richieste di estradizione”

Non aggiungiamo un nostro commento, tanto è evidente la irragionevolezza della pronuncia, ma riportiamo alcune reazioni delle vittime di familiari: Il presidente dell’Associazione nazionale vittime del terrorismo Roberto Della Rocca ha dichiarato: “È una vergogna che non ha fondamento giuridico. Io e la mia associazione facciamo appello al ministro Nordio affinché la giustizia italiana intervenga. E chiedo alla Francia: se fosse successa la stessa cosa al contrario con le vittime del Bataclan?”. E  Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi assassinato nel ’72:  “C’è un dettaglio fastidioso e ipocrita: la Cassazione scrive che ‘i rifugiati in Francia si sono costruiti da anni una situazione famigliare stabile … e quindi l’estradizione avrebbe provocato un danno sproporzionato al loro diritto a una vita privata e famigliare’. Ma pensate al danno sproporzionato che loro hanno fatto uccidendo dei mariti e padri di famiglia. E questo è ancora più vero perché da parte di nessuno di loro c’è mai stata una parola di ravvedimento, di solidarietà o di riparazione. Chissà…”.  Non conosciamo la reazione del fratello di Sebastiano, ma l’aveva avuta subito alla notizia dell’arresto con i suoi forti dubbi sulla concessione dell’estradizione ed è stato purtroppo pr eveggente.  Adriano Sabbadin, figlio di Lino,  ucciso nel 1997 ha commentato: “Non c’è giustizia così! E’ tuttavia una decisione che ci aspettavamo dalla Francia. Ci dicano allora, i giudici, quali sono i colpevoli? Ci sono dei morti sulla coscienza di queste persone”. Condanna sacrosanta a giudici quanto mai  ingiusti e irragionevoli.  Una nuova  palese manifestazione di certa ostilità dei cugini francesi che nella celebrazione di oggi del sacrificio di Sebastiano Vinci risalta ancora di più’ per il rinnovato dolore che arreca tale eclatante ingiustizia.

Segue l’introduzione alla ripubblicazione dell’articolo il 19 giugno 2021, nel quarantennale, e poi l’articolo del 2009 che scrivemmo quando, in una rimpatriata tra compagni di scuola, apprendemmo della triste sorte di Sebastiano, compagno nelle scuole medie a Teramo, assassinato a Roma nel vile agguato delle Brigate rosse.

Sono trascorsi 40 anni dalla morte di Sebastiano Vinci, vice-questore a Roma, vittima delle BR il 19 giugno 1981 a 44 anni, e vogliamo ricordarlo, da compagni di scuola e soprattutto da cittadini che si inchinano dinanzi al suo eroismo, ripubblicando il nostro servizio sulla celebrazione del 19 giugno 2009 al Commissariato di Prinmavalle di Roma che Vinci dirigeva nei terribili anni di piombo. Per la sua forte azione di contrasto al terrorismo eversivo entrò nel mirino dei brigatisti che in quattro gli tesero un vile agguato sparando sulla sua auto ferma al semaforo e colpendolo a morte ferendo gravemente l’agente Pacifico Vuotto al volante, per fortuna sopravvissuto. Nel nostro ricordo siamo risaliti agli anni di scuola per trovare le radici del suo intemerato impegno civile in una formazione in cui, oltre alla scuola, troviamo a sorpresa gli eroi dei fumetti che si battono contro la malavita per far trionfare la legalità e la giustizia. Viene celebrata oggi la triste ricorrenza, ma mentre ogni anno vi è stata una cerimonia ufficiale nel Commissariato di Primavalle, con la partecipazione di Sindaco e Questore di Roma, nel quarantennale, a causa della pandemia, ci si limita ad officiare una messa di suffragio dal Reverendo cappellano della Questura di Roma. Il Liceo classico Delfico-Montauti di Teramo dove compì i suoi studi, ricorda oggi nel proprio sito la sua figura e il suo sacrificio con un profilo dell’antico alunno divenuto eroe. Nel risalire agli anni di scuola riviviamo la commozione e lo sgomento con cui scoprimmo l’eroica fine del nostro compagno; e facciamo rivivere l’emozione di familiari e colleghi unita all’indignazione per i responsabili di quei crimini efferati condannati all’ergastolo. C’è stata di recente la fine della lunga latitanza di Marina Petrella, che comandava la colonna BR di Primavalle, e di Roberta Cappelli, una dei quattro terroristi del commando assassino, condannata all’ergastolo, come la Petrella, anche per l’omicidio del generale dei carabinieri Enrico Galvaligi e dell’agente di polizia Michele Granato, sono tra i 9 arrestati di recente in Francia, finora protetti dalla “dottrina Mitterand”. Ma sull’estradizione e l’esecuzione della pena già sono sorti dubbi e incertezze. Così ne ha parlato Aldo Vinci, fratello di Sebastiano, l’unico rimasto della sua famiglia: “Si dice che sono vecchi. ma pure io sono vecchio, anche più di loro, e da oltre quaranta anni mi è stato portato via un fratello e nessuno ha pagato per questo: siamo tutti invecchiati, solo che noi siamo invecchiati senza che giustizia sia stata fatta. Di conseguenza non provo pena nei confronti di queste persone. Non si può che considerare questa gente una schifezza e di conseguenza come ci si può impietosire davanti all’età avanzata o all’eventuale malattia di qualcuno di questi?”. E ha aggiunto: “Spero che il nostro Governo tiri fuori gli attributi e pretenda che questi tornino, anche se purtroppo tutta questa gran fiducia non la ho. Parlano di due-tre anni e comunque in generale ci credo poco. Quando avverranno i fatti, allora ci crederò, ma fino ad allora non mi fido, anche perché siamo un Paese affetto da bontà costituzionale. O interessi, sia quello che sia. Ci saranno processi, psicologi, certificati di malattia. Rischia di diventare, come sta già diventando, una tragica farsa”. Poi ha ricordato il fratello con parole commosse, nell’articolo che ripubblichiamo ne è delineata la figura dalla fomazione all’approdo nella polizia, l’impegno generoso fino all’estremo sacrificio. Al termine ripubblichiamo anche i commenti che nei giorni successivi vennero “postati” da ex compagni di scuola, colleghi e altri, all’articolo riportato di seguito che uscì il 20 giugno 2009 nel sito cultura.inabruzzo.it, con l’ultimo commento del gennaio 2011 e la nostra risposta finale.

Celebrato a Roma Sebastiano Vinci, vittima nel 1981 delle BR

di Romano Maria Levante

– 20 giugno 2009

Studente a Teramo al “Melchiorre Delfico”, vice-questore a Roma, un eroe borghese

E’ un luogo inconsueto quello in cui ci troviamo nella calda mattinata del 19 giugno 2009, a un passo dall’inizio dell’estate. Siamo nel Commissariato di Primavalle alla periferia nord di Roma dove tra poco, con la partecipazione delle autorità e di un reparto d’onore delle forze dell’ordine già schierato, si celebrerà l’anniversario del sacrificio di Sebastiano Vinci, che dirigeva il commissariato, assassinato dalle Brigate Rosse ventotto anni fa, il 19 giugno del 1981.

I ricordi per noi dell’agente Pacifico Votto

Siamo giunti in anticipo sull’orario della celebrazione delle ore 10 perché il sostituto commissario Isolabella ci ha promesso di rintracciare un agente di allora, cosa non facile dato il tempo trascorso. Non crediamo ai nostri occhi, è andato ben al di là della sua promessa, ci presenta addirittura l’altra vittima designata oltre al vice-questore Vinci, l’agente Pacifico Votto che guidava l’auto il giorno dell’attentato, salvatosi miracolosamente con tante pallottole in corpo.

Lo prendiamo in disparte, il sostituto commissario ci accompagna in una saletta, c’è ancora da attendere. Ne approfittiamo per fargli qualche domanda, ecco le risposte che ci ha dato su quei tempi lontani che sente ancora così vicini sulla sua pelle.

“I ricordi di allora sono tanti”, ci dice, e si vede che ha una gran voglia di parlare, e alla fine capiremo perché. Iniziamo con la figura di Vinci: “Oltre che un dirigente preparato e scrupoloso era un amico dei suoi uomini. La sua porta era sempre aperta per tutti noi che lavoravamo con lui. E anche con la gente del quartiere aveva un ottimo rapporto, da tantissimi era considerato un amico. Sul lavoro era sempre presente, non mancava mai e il suo impegno era sempre massimo”.

Qualche parola sugli antecedenti dell’attentato: “Da parecchio tempo eravamo nell’occhio del ciclone, almeno da molti mesi ci sentivamo seguiti, erano stati trovati in un covo delle Br anche dei numeri di targa delle nostre autovetture, di servizio e private. Davamo fastidio ai terroristi perché il nostro Commissariato era molto impegnato contro le Brigate rosse e i gruppi eversivi neri, oltre che contro la criminalità comune. Hanno scelto quel giorno ma la preparazione è stata molto lunga”.

Il ricordo va subito al tragico momento: “Eravamo appena giunti all’incrocio tra via Battistini e via della Pineta Sacchetti, e ci eravamo fermati al semaforo rosso, accodati a due auto in attesa del verde. Si sono accostate alla nostra macchina quattro persone con dei giornali ripiegati su un braccio, come volessero venderli agli automobilisti, due dalla parte destra e due dalla parte sinistra. In quel momento un tremendo dubbio mi ha attraversato la mente, chiedermi ‘Perché vengono tutti qui e non vanno dalle due auto ferme davanti da noi?’ e dire ad alta voce ‘Attenzione, attenzione…’ è stato tutt’uno. Come prendere la pistola, ma si era affiancata un’auto con una donna e poi hanno cominciato subito a sparare, due contro di me e gli altri due dall’altro lato contro il Vice-questore”.

L‘agente Votto si sente miracolato: “I proiettili mi hanno trapassato il polmone e il fegato, rotto delle costole, graffiato il rene, oltre che colpiti la mano e il braccio”, e mostra segni evidenti. “Sono stato sottoposto a tre difficili interventi chirurgici, mi hanno dichiarato fuori pericolo solo dopo cinquanta giorni. Forse nessuno si è salvato con ferite simili a organi vitali”. Ma non sono quelle del corpo le ferite che sente oggi, bensì altre.
“Aver vissuto un’esperienza simile vuol dire aver perduto la tranquillità, non solo quella personale ma anche quella familiare. Siamo coscienti del rischio che corriamo ad ogni perquisizione, ad ogni inseguimento, ma essere bersaglio di un vile attentato è troppo. Perché lascia i segni per sempre anche su chi è sopravvissuto. Mi sento abbandonato da tutti, forse per il fatto che vivo posso dare fastidio. E poi il poliziotto è solo un numero, gli ex terroristi sono dei personaggi, tutti in libertà ricercati e riveriti. Non è giusto”.

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I funerali di Sebastiano Vinci

Le parole del fratello Aldo Vinci

In questo momento l’altra grande sorpresa, entra il Primo dirigente del Commissariato, il dottor Todaro con Aldo Vinci, il fratello di Sebastiano, appena sbarcato dall’aereo da Palermo, la moglie ha dovuto rinunciare all’ultimo momento per un’indisposizione, altrimenti come in passato ci sarebbe stata anche lei. Un bell’uomo, figura eretta, espressione bonaria ma insieme decisa, una grande somiglianza con il fratello e soprattutto un grande affetto per lui.

ldo è sempre presente alle commemorazioni, a Roma come a Torino, sede di lavoro precedente del Vice-questore, impegnato a ricordarne la memoria e a far sentire la sua voce e la sua protesta quando serve, e avviene spesso. E’ un fiume di parole, dice cose pesanti con un’espressione serena. Come quando ricorda le performance televisive della Petrella che fa boccacce e del compagno Novelli che parla in Tv, terroristi assassini del fratello “ricercati e riveriti” come ci aveva appena detto l’agente Votto. Addirittura Pancelli, altro componente del commando omicida, oltre ad essere in libertà come gli altri si fregia del lavoro in una Onlus che è tra quelle del 5 per mille.

Ha i ricordi molto vivi del processo “Moro-ter” nel quale furono giudicati e condannati gli assassini del fratello, il clima da “kermesse” con gli atteggiamenti strafottenti degli imputati, che ebbero però un sussulto quando lo videro per la sua somiglianza con il fratello. C’era anche Curcio nella gabbia.

“Chi è andato in galera è stato quasi un volontario” dice con “humor” amaro, perché “per una ragione o per l’altra hanno potuto evitarla, addirittura la Petrella ci sta riuscendo anche senza doversi pentire, anzi avendo proclamato di essere irriducibile”.

Riguardo quest’ultima, nel rievocare l’assurdo diniego francese all’estradizione rivendica la sua scelta di non andare all’Eliseo dal presidente Sarkozy con l’Associazione dei familiari delle vittime, non voleva essere preso in giro; scelta rivelatasi giusta non solo per l’inutilità della visita ma perché il presidente francese ebbe un visibile quanto intollerabile moto di stizza rigirandosi sulla sedia, e un gesto di fastidio simile rispetto a una sacrosanta indignazione passava davvero la misura.

Non sono solo amare le parole dette con tono amabile da Aldo Vinci. Il suo volto si illumina quando parla dei riconoscimenti al fratello, la strada intitolata a lui a Roma, l’intitolazione del nuovo Centro polifunzionale della Polizia a Torino per volontà del Questore, anche lui come il fratello Sebastiano con una tale vocazione da fargli lasciare una posizione molto ben remunerata e di prestigio per entrare in Polizia e ricominciare da capo; del questore dott. Faraoni parla con affetto, oltre che con rispetto, la celebrazione a Torino sembrava la “Festa dell’amicizia”, dice, tanto il clima era aperto e confidenziale. Aggiunge che il questore per lui è “quasi il terzo fratello”. E poi la Medaglia d’oro e le attenzioni della Polizia a Roma dove ogni anno l’anniversario viene celebrato dalle autorità con la deposizione della corona dinanzi alla lapide all’ingresso del Commissariato. Non manca mai di esserci con la moglie, ci tiene a precisare, è un modo per sentirsi quel giorno con Sebastiano.

Ma anche qui la sua sincerità, che si unisce alla squisita amabilità, ci fa scoprire un particolare che dà un’altra conferma alle parole dell’agente Votto. Si parla dell’apposizione della lapide diversi anni dopo il tragico evento. “Non fu automatico, dice con un mesto sorriso, un giorno in cui mi sentivo più insofferente del solito rispetto alla rimozione che era stata fatta dell’episodio, ormai ignorato del tutto, ho scritto al Presidente della Repubblica, era Pertini, lamentando che il sacrificio di mio fratello era stato dimenticato. Poco dopo, miracolosamente, ci fu l’apposizione della lapide”. Ed ecco la rivelazione: “Passò del tempo, mi trovavo in Questura parlando di mio fratello quando un funzionario mi fece vedere una lettera scritta dal presidente Pertini in persona, diceva: ‘Il fratello di Sebastiano Vinci ha lamentato l’abbandono della memoria’. Da allora c’è stata la lapide e la memoria non è stata più abbandonata. Ed è stata per noi una vera consolazione”.

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La lapide in memoria del vice-questore Sebastiano Vinci al Commissariato Primavalle di Roma

La cerimonia di commemorazione

Tutti presi dalle parole di Aldo Vinci, veniamo avvertiti che è giunto il momento della cerimonia. Usciamo dalla saletta, è giunto il Questore di Roma dott. Caruso, ci sono le altre autorità: il Presidente del Consiglio comunale di Roma, on. Marco Pomarici in fascia tricolore come delegato del sindaco di Roma Alemanno; il Comandante provinciale dei Carabinieri Tomasone, il Comandante del Gruppo carabinieri Casarsa; per la Guardia di Finanza il col. Razzano in rappresentanza del Comandante De Gennaro; per la Polizia di Stato oltre al Questore Caruso il Vice-questore aggiunto Caggiano e, naturalmente, il dirigente del Commissariato Todaro, con il sostituto Isolabella e gli agenti presenti. Il picchetto d’onore è schierato con la Bandiera tricolore.

La cerimonia è semplice e toccante. L’attenti, lo squillo della tromba, la benedizione del diacono del Commissariato, l’Ass. C. Piccione. Il Questore depone la corona d’alloro davanti alla lapide, due agenti sull’attenti ai lati come scorta d’onore. Siamo tutti compunti, presi dalla solennità del momento, nel ricordo di un eroe borghese, il Vice-questore di Roma del 1981 Sebastiano Vinci.

Al termine abbiamo avvicinato il Questore. Al dott. Caruso non abbiamo posto domande di circostanza, ci ha dato lui il messaggio: “Non ci sono parole adatte per un momento come questo. Ma una cosa si può dire: guai a dimenticare questi fatti, la memoria serve a costruire un futuro migliore”.

Poi la mattinata è proseguita in un intrattenimento delle autorità e dei presenti, il Questore ha parlato lungamente con il dirigente del Commissariato e con tutti gli altri, è stato un incontro amabile con al centro Aldo Vinci; in un clima confidenziale che ha ricordato quello di Torino nella sua descrizione; anche oggi, come nel Centro polifunzionale, sembrava la “Festa dell’Amicizia”.

39^ Commemorazione, 19 giugno 2020, l’arrivo delle autorità, con la sindaca di Roma Virginia Raggi

Dalla cronaca alla storia

Questa la cronaca attuale di una giornata particolare, che abbiamo voluto descrivere momento per momento. Ma chi era Sebastiano Vinci? Ne raccontiamo la storia, capirete perché siamo qui con una commozione tutta nostra e ve ne renderemo conto.

“A due giorni dalle elezioni: offensiva elettorale delle BR. Quattro ore di sangue a Roma. Ucciso un Vice-questore, ferito l’avvocato di Patrizio Peci”, così il titolo di un quotidiano di sabato 20 giugno 1981. Ed ecco la notizia: “Alle 13,20 di ieri un commando uccide Sebastiano Vinci e ferisce il suo autista. Ore 16,50: terroristi sparano a un rappresentante di una casa editrice. Ore 17: colpito in un agguato il legale De Vita. Pochi minuti dopo un attacco contro la P.S.”. La segnalazione quasi di “routine” nella sala operativa della questura, di “colpi d’arma da fuoco in Via Pineta Sacchetti, angolo via Mattia Battistini” diventa ad un tratto concitata: “E’ uno dei nostri, è uno dei nostri. E’ il dottor Vinci. A tutte le auto, a tutte le auto: attuare il piano di emergenza di primo, secondo e terzo grado”.

E’ il linguaggio di tante avventure degli eroi dei fumetti, di cui Vinci era appassionato nella sua adolescenza trascorsa a Teramo dove la sua famiglia si era trasferita da Palermo al seguito del padre assegnato alla locale Banca d’Italia. Le sue collezioni suscitavano l’invidia di noi compagni di scuola, entrare nella stanza dov’erano pile di “giornalini” in perfetto ordine era come visitare il paese dei balocchi. Però l’invidia era mista a un senso di compatimento perché il fumetto era visto allora come disimpegno se non diseducazione, visione infantile e non coscienza matura della realtà, gli veniva addossata la “colpa” di spegnere la fantasia alimentata invece dalla parola scritta.

39^ Commemorazione, 19 giugno 2020, l’omaggio della sindaca di Roma Virginia Raggi

L’agguato mortale

Torniamo alla notizia giornalistica, illustrata proprio da fumetti disegnati nella prima pagina del “Messaggero”. Nel primo l’attentato al Vice-questore, un’auto ferma per far passare una colonna di autovetture, alle portiere i terroristi che fanno fuoco all’interno. La cronaca: “Due giovani a piedi, che fino a pochi minuti prima vendevano copie di ‘Paese Sera’, si sono avvicinati all’auto impugnando le pistole, una calibro 9 e una ‘357 magnum’, coperte dai giornali. Il Dr. Vinci, raggiunto da proiettili di tipo speciale con enorme potere penetrante, ha abbozzato un tentativo di reazione (la sua pistola è stata trovata sotto il sedile, l’aveva estratta e non aveva fatto in tempo ad usarla). L’agente al volante ha aperto la portiera e si è gettato a terra, ma dall’altro lato erano pronti altri due terroristi che hanno sparato contro di lui. Il commando è poi fuggito a bordo di una 128 di colore blu”.

Ricovero immediato al vicinissimo Policlinico Gemelli. Ancora dalla cronaca: “Per Vinci, colpito da sette proiettili di cui due mortali non c’è nulla da fare, muore dopo pochi minuti. L’autista, l’agente Pacifico Votto, in condizioni gravissime, con polmone, reni e fegato trapassati da un proiettile, viene operato e resta in rianimazione, tra la vita e la morte”. Fortunatamente sopravvive.

38^ Commemorazione, 19 giugno 2019, l’arrivo delle autorità, con la sindaca di Roma Virginia Raggi

La vocazione

Questo l’epilogo della storia di Sebastiano Vinci, Nello per gli amici e per noi suoi compagni di scuola a Teramo, alle medie e al Liceo-ginnasio “Melchiorre Delfico”. Ma come si era dipanata la sua vita dopo l’infanzia e l’adolescenza vissute nel segno delle magiche avventure degli eroi dei fumetti, suoi personaggi prediletti?

Conseguita la laurea in giurisprudenza era entrato nella Banca Nazionale del Lavoro, dove aveva lavorato undici anni prima di vincere nel 1968 il concorso per vice-commissario di polizia, la sua aspirazione di sempre, come sanno i suoi compagni di allora. Non ebbe dubbi, fece una grande festa con familiari e amici: “Finalmente mi sono liberato di un lavoro oppressivo e faccio la professione che mi è sempre piaciuta. Oggi sono felice”, aveva detto.

Ma qual è stata la molla che gli ha fatto coltivare quest’aspirazione facendogli lasciare, dopo undici anni, il lavoro bancario da tanti ambito, cambiare città e ricominciare da capo per un’attività così esposta e difficile, nelle file della polizia, in prima linea nella lotta alla delinquenza? Quali valori, assimilati nell’adolescenza, lo avevano portato a una inconsueta scelta di vita che lo rendeva felice?

Il ricordo torna alla sua passione per i fumetti, ai personaggi delle “strisce” strenuamente impegnati nella frontiera tra il bene e il male a far trionfare i valori positivi. Una lotta senza quartiere nella quale il bene è destinato a sconfiggere il male, ma attraverso inenarrabili vicissitudini, tremendi pericoli e tanta fatica. Ripensiamo in particolare all’Uomo Mascherato, il suo eroe prediletto, il personaggio da lui più amato. Ebbene, da “giustiziere della giungla” divenne “giustiziere della giungla d’asfalto” delle metropoli, agiva nel Golfo del Bengala ma era richiesto dalle polizie di tutto il mondo ed era sempre pronto ad accorrere dove era necessario affrontare situazioni intricate e pericolose. Andò in America per lottare contro bande criminali, nel mondo violento degli anni ’30, approdò anche in Inghilterra: lui con la polizia da una parte, le bande criminali delle metropoli dall’altra. Sulla frontiera tra il bene e il male irrompeva con la sua forza per far prevalere il bene.

Cominciamo a riflettere sui nostri giudizi di allora, si stringe il cuore nello scoprirne la vocazione.

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38^ Commemorazione, 19 giugno 2019, il raccoglimento delle autorità

La carriera nella Polizia

Abbiamo lasciato Vinci felice alla festa in famiglia per l’ingresso in polizia. Di qui prende avvio una brillante carriera. La parte iniziale a Roma, poi a Modena dove diviene presto Vice-capo della Squadra mobile. Di lì alla questura di Torino, vi resta sette anni, prima come funzionario addetto alla Criminalpol, poi aggregato alla Squadra mobile come dirigente della 1^ Sezione omicidi e rapine; quindi dirige il Commissariato “Barriera Milano” della periferia Nord di Torino.

Finalmente, questa sarà stata la sua esclamazione, il trasferimento a Roma nel 1979. Regge il Commissariato “Monteverde”, ma dopo due mesi i gradi superiori ritenendolo “un poliziotto con la P maiuscola”, come dissero, lo spostarono all’ufficio di gabinetto della Questura come diretto collaboratore del dirigente e infine – proprio infine, purtroppo – gli affidarono il Commissariato “Primavalle”, uno dei più “caldi” della capitale, con il grado di Vice-questore.

Un territorio molto vasto da presidiare disponendo di soli 60 uomini: dalla Pineta Sacchetti e dal quartiere Aurelio fino a Bracciano, Anguillara e Formello, con oltre 800.000 abitanti. E un commissariato di frontiera dove delinquenza comune e criminalità politica s’intrecciavano pericolosamente: spaccio di stupefacenti e rapine, malavita organizzata e racket, e in più un centinaio di autonomi, rivoluzionari violenti contigui al terrorismo, per metà clandestini.

Quasi quotidianamente veniva segnalato alla questura il reperimento di volantini, opuscoli e striscioni eversivi “che ormai – dissero gli agenti – avevano riempito una delle stanze del Commissariato”. Qualche giorno prima dell’agguato un pregiudicato, che non si era fermato a un posto di blocco, era stato colpito a morte dagli agenti del Commissariato nell’inseguimento. Un quadro non meno fosco dell’America degli anni ’30, una “giungla d’asfalto” non meno rovente di quella nella quale si batteva il “giustiziere mascherato” dei suoi fumetti preferiti.

E anche per Vinci la lotta sembrava impari. Il numero di agenti del Commissariato era rimasto lo stesso da trent’anni pur con la crescita esponenziale della popolazione nel territorio e per di più spesso il personale veniva dirottato in altri commissariati. Lui non chiedeva rinforzi ma diceva: “Vi chiedo solo di lasciarmi i miei uomini, non ho bisogno di rinforzi, purché mi lasciate loro”.

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37^ Commemorazione, 19 giugno 2018, un momento della cerimonia

La sua figura

Non aveva i poteri straordinari del suo eroe, ma tanta umanità unita a una sperimentata professionalità. Così lo hanno ricordato i suoi collaboratori: “Un funzionario colto, deciso, preparato. Qui al commissariato Primavalle si era fatto apprezzare dal personale costruendo un clima di amicizia e collaborazione”.
La sera prima dell’agguato mortale aveva diretto il servizio d’ordine pubblico alla manifestazione del PCI con Berlinguer e Petroselli, che nelle imminenti elezioni amministrative a Roma si contrapponeva a Galloni: Secondo una segnalazione anonima ci sarebbe stato un attentato, ma tutto filò liscio, come lui aveva previsto, e a notte inoltrata poteva cenare tranquillamente con i collaboratori in un’osteria della zona.

Ed ecco un’altra prova della sua umanità, che ci riporta ai banchi di scuola: “Il Commissario Vinci aveva agito con particolare decisione contro le infiltrazioni di gruppi eversivi nelle scuole – raccontò allora il maresciallo capo della squadra giudiziaria – soprattutto al liceo Fermi, ed era riuscito in parte ad arginarle. I muri del quartiere si erano riempiti di minacce contro di lui.” Allorché fu assassinato stava per testimoniare contro un docente del Fermi, accusato di istigare alla violenza; nei giorni precedenti l’udienza era stata rinviata.
Ma allora il nostro compatimento per la sua “mania” per i fumetti, la nostra aria di sufficienza per il disimpegno e la superficialità che questa passione “eccessiva”” sembrava esprimere? Non lo avevamo giudicato male, pur con l’affetto, la simpatia e un po’ d’invidia provata per i frutti proibiti che custodiva nella stanza magica delle sue collezioni di fumetti? Allora…

Il suo sacrificio appare in una luce sempre più umana secondo altre testimonianze: “Non puntava alla spettacolarità dell’azione. Una persona corretta, uno che il suo lavoro lo amava, uno che sapeva affrontare sempre le situazioni nel modo giusto con cautela ma, se occorreva, con decisione”.

Un esempio di questo modo di comportarsi si ebbe quando gli autonomi occuparono un locale dell’Istituto case popolari, non ordinò lo sgombero con la forza, e li convinse ad allontanarsi “usando civiltà e persuasione”, così le cronache; ma non esitò ad arrestarli allorché, credendo che non vi fosse più sorveglianza, tentarono una nuova occupazione.

Nessun piglio da giustiziere, dunque, nessuna imitazione dell’eroe prediletto della sua adolescenza se non nei valori. Ma equilibrio unito a fermezza; e, insieme, forza d’animo e soprattutto serenità. Aveva “passione per il mestiere inteso anche come rapporto con la gente e i suoi problemi”. Elena, la proprietaria del baretto vicino al Commissariato, disse: “Il dottore si faceva voler bene da tutti, era sempre sorridente, pieno di entusiasmo”.

I suoi colleghi di Torino rievocarono così l’ultima visita che fece alla Questura dove aveva lavorato per sette anni, pochi mesi prima dell’agguato: “‘Tutto bene, ragazzi? – disse – Non lamentatevi. Vedeste a Roma, lì non c’è un solo attimo di pace. E pensare che poco tempo fa mi hanno anche minacciato di morte!’. Aveva riso, sicuro e allegro come sempre”. Ricordavano che il suo nome era stato trovato alcuni mesi prima in un covo delle BR nel capoluogo piemontese. Era entrato nel mirino dei terroristi per il lavoro svolto a Torino: citano la scoperta dell’armeria clandestina di un nucleo delle BR, pistole, bombe a mano, candelotti di dinamite, in un alloggio vicino al Commissariato che aveva diretto.

Così “L’Unità” descrisse la sua figura: “Vinci era il simbolo di quella che dovrebbe essere una polizia moderna e democratica, fatta di uomini preparati, consapevoli, soddisfatti di servire le istituzioni democratiche, la collettività. E proprio per questo l’’infaticabile’, come affettuosamente lo chiamavano i colleghi, era odiato non solo dalla malavita ma anche dai terroristi. ‘Attento, Vinci’, si leggeva ancora ieri sera in una via di Primavalle, quartiere tra i più difficili della grande periferia romana. Accanto alla scritta una sigla del terrorismo rosso: MPRO”.

Una morte annunciata, dunque, ma da lui non temuta. Non ha la vettura blindata, non adotta particolari precauzioni nei ritorni quotidiani da Via Maglione dov’è il Commissariato all’abitazione di Via Cecilio Stazio, tragitto che a volte compie su un’auto di servizio, a volte sulla propria autovettura. Ha fiducia nel suo rapporto con la gente, consapevole di svolgere con correttezza oltre che con passione il suo delicato lavoro.

Non lo ha ucciso l’odio personale di delinquenti e terroristi, perché aveva saputo meritare il rispetto di coloro che lo avevano conosciuto, anche se si trovavano al di fuori della legge; lo ha assassinato l’aberrazione criminale degli anni di piombo, che si scatena con cieca virulenza nel giugno angoscioso del 1981 anche contro di lui considerato un simbolo da abbattere.

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37^ Commemorazione, 19 giugno 2018, gli onori militari

Il rispetto degli avversari

Un autonomo di Primavalle, subito dopo la sua morte, disse: “Sono stato in carcere fino a poco tempo fa, ho sfiorato il partito armato, ma questo inutile delitto mi ha aperto gli occhi. Conoscevo Vinci da avversario e, pur considerandolo tale, lo stimavo per come svolgeva il suo lavoro. Ucciderlo è stato un atto gratuito, inconciliabile anche con la più aberrante logica rivoluzionaria”. L’umanità che penetra nel cuore indurito da ideologie deliranti è un miracolo che scaturisce dal sacrificio: “Tutti adesso esprimono la loro esecrazione rituale – continua l’autonomo – io esprimo una condanna sentita e sofferta”.

Non sappiamo se questi propositi siano stati mantenuti. Sappiamo però che altre certezze furono scosse, altri cuori furono toccati.

La moglie di un terrorista condannato a 16 anni nel 1975, sposato in carcere, portò un mazzo di fiori sul feretro ed espresse con coraggio, in televisione, una condanna anch’essa sentita e sofferta e lanciò un appello: “Chi vuol cambiare le cose uccidendo persone, come hanno fatto con il Dr. Vinci, non ha capito niente di come si deve fare per cambiare perché in questo modo non si cambia proprio niente”. Ed ancora: “Le persone che commettono questi omicidi, avessero anche il coraggio di mostrare la faccia. Se vogliono cambiare le cose uccidendo, mostrino la loro faccia. Io sto dicendo queste cose perché uccidere non serve a niente, serve solo a creare panico, paura, a vivere male… sulla morte delle persone non si costruisce niente né di positivo né di negativo, assolutamente niente”.

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36^ Commemorazione, 19 giugno 2017, le autorità, con la sindaca di Roma Virginia Raggi

La sua memoria

Vi fu esecrazione ufficiale con le autorità schierate al completo, il Presidente Pertini in testa, ai funerali di Stato officiati dal Cardinale Poletti nella chiesa di S. Vitale a Roma.

Ma già nei giorni successivi l’attenzione dell’opinione pubblica fu attirata da altri eventi: i risultati delle elezioni amministrative, il nuovo governo presieduto da Spadolini, nuovi crolli in Borsa, gli strascichi della P2, altri scandali, le vicende dei sequestri terroristici, un ricovero d’urgenza in ospedale di papa Wojtila che era tornato il 6 giugno in Vaticano dopo l’attentato che lo aveva ferito gravemente, le polemiche sulla fine di Alfredino Rampi dopo i vani tentativi di salvataggio a Vermicino, e perfino l’arrivo dei bronzi di Riace al Quirinale.
La stampa si limitò a brevi notizie in cronaca sull’andamento delle indagini. Normale, certo. Ma a scorrere oggi i giornali del tempo, fa male vedere che Sebastiano Vinci era dimenticato pochi giorni dopo l’assurdo crimine, dopo l’“esecrazione rituale” delle autorità.

Poi qualcosa si è mosso, e dalle parole del fratello Aldo abbiamo ora capito perché. A Roma fu posta una lapide all’ingresso del Commissariato di Primavalle, gli è stata intitolata una strada del quartiere dove abitava; inoltre, è cronaca recente, gli è stata intitolato il Centro polifunzionale della Polizia a Torino. Ogni anno viene celebrato l’anniversario del 19 giugno con una cerimonia alla quale partecipano le autorità, Questore in testa. La famiglia è rappresentata sempre dal fratello Aldo con la consorte; la moglie di Sebastiano dopo la tragedia entrò in depressione e non si riprese più, si spense dopo un triste andirivieni con l’ospedale.

35^ Commemorazione, 19 giugno 2016, l’omaggio del Vice-questore vicario De Angelis

La riapertura della ferita

Quest’anno l’anniversario si celebra mentre un’autorevole componente del commando assassino, pur condannata e arrestata di recente, si è sottratta alla pena. Segno dei tempi? Forse sì, in tutti i sensi, per il tempo trascorso e per una specie di indulgenza che di fatto si è diffusa dopo l’esecrazione. Ormai sono fuori dal carcere quasi tutti gli autori dei più efferati attentati, e non solo degli anni di piombo, anche di molte stragi mafiose. Dove non sono intervenuti i benefici carcerari ci sono stati i benefici concessi per il pentimento.
Ma né l’uno né l’altro si sono verificati per la responsabile dell’atroce delitto, la brigatista Marina Petrella, a capo del commando costituito dalla colonna Primavalle; non si è pentita né dissociata, è rimasta sulle sue deliranti posizioni. Si è invece verificata un’incredibile concatenazione di eventi nei quali la burocrazia giudiziaria ha prevalso sulla giustizia: un’anomalia perversa, vincente per l’assassina, perdente per le vittime. Abbiamo sentito prima Aldo Vinci, ora diamo la parola ai fatti.

Implicata nel delitto Moro e in altri fatti di sangue, la Petrella fu arrestata ripetutamente, l’anno precedente e l’anno successivo l’attentato a Vinci e rimessa in libertà per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Fu processata nel “Moro-ter” per l’assassinio di Vinci, di cui fu riconosciuta colpevole. Nel corso del lungo procedimento, iniziato circa dieci anni dopo il fatto, fu ancora rimessa in libertà per decorrenza dei termini. Quando dalla Cassazione arrivò nel 2003 la condanna definitiva all’ergastolo non la trovarono più al suo domicilio essendosi rifugiata nella Francia che dava asilo ai terroristi per effetto della “dottrina Mitterand”.
Ha condotto una vita normale fino a quando, decaduta tale dottrina con la fine del governo socialista, e ripresa la collaborazione dei francesi nel perseguire i fuorusciti, è stata individuata e fermata dalla polizia. L’Italia ha chiesto l’estradizione e il presidente Sarkozy in un primo momento ha dato l’assicurazione che sarebbe stata concessa, con la richiesta irrituale al governo italiano di prendere in considerazione il conferimento della grazia per le sue condizioni di salute.

Fino all’ultima beffa, allorché nell’ottobre 2008 l’estradizione è stata addirittura negata motivando il diniego con la motivazione che le condizioni di salute della terrorista sono incompatibili con la detenzione; e ciò per l’intercessione della consorte del presidente francese Carla Bruni a sua volta sollecitata dalla propria sorella che aveva visitato la Petrella in carcere.

Una grottesca “pochade” che ha fatto protestare giustamente le istituzioni italiane. Il capo della polizia Antonio Manganelli, nell’inaugurare a Torino il Centro polifunzionale della polizia intitolato a Vinci, ha contestato “un sistema che dà la certezza della quasi assoluta impunità” e consente alla Petrella “condannata all’ergastolo con l’accusa di essere stato il capo del Commando che uccise proprio Vinci, di non essere estradata versando in uno stato di depressione grave. Noi ne abbiamo preso disciplinatamente atto – ha concluso – ma non senza sommovimenti interni in ciascuno di noi”. E nel dire questo ha reclamato l’esigenza della “certezza della pena”.

Il fratello Aldo Vinci, con dolore misto a rabbia, ha dichiarato nella stessa circostanza a Torino: “Si uccidono poliziotti e carabinieri e poi si fugge all’estero e finisce tutto. Non è giustizia. Non è un messaggio positivo. Lei è fuggita in Francia, dove ha potuto condurre una vita normale, mentre mio fratello è al cimitero crivellato di proiettili solamente perché era al servizio dello Stato”. E con sofferenza ancora maggiore: “Paola, la moglie di mio fratello, quando ha visto Sebastiano crivellato di proiettili al Policlinico Gemelli, ha subìto un tale trauma che non si è più ripresa. È caduta in depressione. Si è trascinata per qualche anno fino a morire in ospedale di crepacuore. Nessuno ha mostrato pietà per lei vedova di un servitore dello Stato. Mio fratello è stato ucciso per il lavoro che faceva”. Poi la conclusione:”Marina Petrella è stata la mandante e l’esecutrice materiale. Lei era a capo della colonna Primavalle delle Brigate Rosse e mio fratello era il dirigente del commissariato di quel quartiere. Ha commesso un reato di sangue: deve rispondere con l’ergastolo”.

Ricordando questi precedenti ripensiamo alle parole dette oggi da Aldo, con una serenità mista alla determinazione di battersi sempre e dovunque per la memoria del fratello Sebastiano. Anche lui ha reclamato l’esigenza della “certezza della pena” per i responsabili di crimini così efferati.

Sostiamo commossi dinanzi alla sua lapide, usciamo dopo averla accarezzata, per noi è tornato ad essere l’antico compagno di scuola appassionato di fumetti, caduto nell’esercizio del dovere. Nella strada vicina, alla fermata dell’autobus chiediamo un’informazione a una signora anziana e le domandiamo se si ricorda del capo del Commissariato di trent’anni fa, Sebastiano Vinci: “Me lo ricordo benissimo, ci dice, non è morto in un conflitto a fuoco ma in un vile agguato, lo hanno aspettato al semaforo i terroristi”. E poi aggiunge: “Dovrebbero ammazzarli tutti quei delinquenti, invece stanno tutti fuori liberi mentre il povero Commissario sta sotto terra…”.

Il Commissariato Primavalle diretto da Vinci, via Luigi Maglione, 9 Roma

L’umanità di un eroe borghese

L’ultima immagine che vogliamo lasciare di Nello – ci piace ora chiamarlo come nell’adolescenza – è familiare ai lettori di fumetti, come le immagini drammatiche di sparatorie ed attentati.

E’ quella di un cane, l’inseparabile compagno che lo accompagnava sempre quando tornava a casa. Così la cronaca dell’epoca: “Illeso il cane che, guaendo, era saltato sulle gambe del Dr. Vinci, come per proteggerlo”. Poi aveva abbaiato furiosamente dal finestrino frantumato ed era infine restato a guaire disperato accanto al corpo del padrone in fin di vita: così lo ricordavano i testimoni, così apparve nelle istantanee pubblicate sui giornali.

Un cane era anche il compagno inseparabile dell’eroe prediletto. Si chiamava “Diavolo” ed era impegnato nelle imprese epiche dell’Uomo Mascherato. Il cane di Nello si chiamava “Ciccio” e la sua presenza contribuiva a creare quel clima familiare che si respirava nel Commissariato, come dissero i suoi collaboratori.

Torniamo alle cronache di allora:“Ed in questo era aiutato anche dal suo inseparabile Ciccio, il cane di razza ‘beagle’ che tutti avevano imparato a conoscere. Dove c’era Ciccio c’era anche Vinci. Ciccio era lì accanto al suo padrone anche ieri mattina sulla Ritmo bianca , seduto sul sedile posteriore coperto di giornali. Mentre gli assassini sparavano”.

Un compagno fedele come quello dell’eroe dei fumetti, ma domestico e mansueto. Del resto, nella sua lotta contro la delinquenza, Nello non aveva le sembianze e i modi del giustiziere, lo abbiamo ricordato, bensì dell’uomo comune. Dell’“eroe borghese” che ogni sera portava a spasso il suo Ciccio e per ciò stesso, dissero i vicini, ispirava serenità quando lo vedevano passare.

Con questa immagine serena vogliamo concludere il ricordo del compagno di scuola nostro e di tanti coetanei teramani. Un ricordo che ci ha fatto ripercorrere un’avventura purtroppo tragica, intrisa di profonda umanità. Le strisce dei fumetti, gli eroi della sua e nostra adolescenza, fanno da sfondo ad una vicenda realmente vissuta che assume ora dimensioni mitiche e valori simbolici.

Una vicenda nella quale spicca la figura di un eroe, un “eroe borghese”. Per noi c’è un motivo in più di rimpianto. L’incomprensione di allora del suo spessore umano nascosto da quella che sembrava una “mania” per i fumetti. Era invece una condivisione profonda dei valori positivi incarnati negli eroi dell’adolescenza; che lo ha portato a una vita di frontiera, fino all’estremo sacrificio.

Come nel romanzo di Fred Uhlmann del 1971, tradotto nel film “L’amico ritrovato” del 1989 – una di quelle storie che non si dimenticano e molti hanno visto certamente – lo abbiamo scoperto purtroppo molto tardi, troppo tardi per dirglielo mentre era in vita. Ma non troppo tardi per rendere omaggio oggi, che è diventato un eroe, a un amico della nostra adolescenza. L’amico ritrovato.

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Liceo-ginnasio Melchiorre Delfico frequentato da Vinci a Teramo, oggi IIS Delfico-Montauti

Info

L’articolo sopra riportato, con i commenti che seguono, è stato pubblicato il 20 giugno 2009 sul sito”on line” cultura.inabruzzo.it , non più raggiungibile, gli articoli, che sono disponibili, vengono trasferiti su questo sito.

Foto

Dopo le prime due fotografie – una foto tessera di Sebastiano Vinci e una scena dei suoi funerali – abbiamo inserito nell’articolo del 2009 sopra riportato una serie di immagini delle celebrazioni annuali svoltesi negli ultimi cinque ann, con la partecipazione del Questore e della sindaca di Roma Virginia Raggi, davanti alla sua lapide presso il Commissariato Primavalle di Roma, che dirigeva nel 1981, quando fu assassinato nell’agguato terroristico da quattro brigatisti rossi. Tali immagini sono tratte da siti web di pubblico dominio, ma qualora non ne fosse gradita la pubblicazione dai proprietari dei diritti, su semplice loro richiesta provvederemo ad eliminarle, facendo doverosamente presente che sono solo accessorie avendo mero intento illustrativo senza alcuna implicazione di nessun tipo di natura economica o pubblicitaria. I siti, di cui si ringraziano sentitamente i titolari per l’opportunità offerta, sono i seguenti, nell’ordine in cui le rispettive immagini sono nel testo: wikipedia, romalive.org, primapaginanews.it, questura.poliziadi stato.it, lavocedellazio.it, comunediroma.it, ilcaffe.tv, agvilvelino.it , 3 in fila da questura.poliziadi stato.it, le ultime 2 da lecodellitorale.it., facebook.com.

11 Comments

  1. Romano Maria Levante

Postato gennaio 11, 2011 alle 9:29 PM

Sono io a ringraziare Bartolo, che non conosco, per aver ricordato Sebastiano Vinci in questo inizio di 2011 con il suo commento di poche parole quanto mai toccanti. Lo ha “visto arrivare al Commissariato Primavalle e purtroppo anche morire”; rende “onore al dr. Vinci Sebastiano, anche a nome di molti ex del Comm.to Primavalle”.
Che si può dire di più, c’è memoria e commozione, in questo inizio di anno che riporta in primo piano la sua figura e ha fatto tornare nella prima pagina della nostra rivista anche il ricordo dei tanti i cui commenti precedono nel tempo quello di Bartolo.
Rileggiamo l’orgoglio di Giorgio, che purtroppo non c’è più, di averlo avuto compagno, il rimorso di Franco per non aver saputo battersi contro la barbarie, l’esempio per le giovani generazioni evocato da Luigi, l’impegno di Corrado a raccontarne la storia ai colleghi perché “narrare vuol dire resistere”, la condivisione di Enzo e Domenico, l’appello di Rosanna alla memoria pubblica per il “passato che non passa” nelle parole di Primo Levi.
Giorgio e Fabrizio, Franco e Luigi, Rosanna e io stesso lo ricordiamo avendo condiviso con Sebastiano Vinci, per noi Nello, la frequenza del liceo-ginnasio Melchiorre Delfico di Teramo.
In questo spirito posso dare a tutti una notizia, ringraziando il suo ex collega di commissariato Bartolo per avermene fornito l’occasione con il suo fresco commento di inizio anno.
La possibilità che Nello venga ricordato, come chiede l’ex collega di liceo Rosanna in un gemellaggio ideale con Bartolo, mi è stata confermata in questi giorni dal prof. Roberto Ricci, che si è adoperato al riguardo dopo il mio incontro a questo fine con il preside del Delfico. Soltanto l’avvicendamento al vertice dell’istituto ha creato un rallentamento, la nuova preside sarà sensibile a questa esigenza sentita così intensamente.
Ancora tutto è da definire, ma le premesse poste dal preside precedente ci sono, confidiamo che si traducano nel riconoscimento dovuto a un eroe autentico che sin dall’adolescenza ha sentito nascere l’insopprimibile bisogno di schierarsi dalla parte della giustizia.
In questo la scuola, e quindi il Melchiorre Delfico dove si è formato, ha avuto un ruolo importante, oltre alle sue letture che sembravano infantili, mentre rispondevano a un’esigenza profonda che solo dopo si è compresa appieno, come dimostra la storia della sua vita.
Un grazie ancora a Bartolo per aver ricordato il nostro eroe – un bell’inizio per il nuovo anno – dopo l’omaggio di tanti di noi orgogliosi di averlo avuto come compagno al Melchiorre Delfico.
Questo prestigioso istituto saprà esprimere, a sua volta, l’orgoglio di aver avuto un allievo come Vinci che ha saputo incarnare fino all’estremo sacrificio i più alti valori.

  • Bartolo

Postato gennaio 9, 2011 alle 9:04 PM

Grazie per aver ricordato il mio Dirigente – dott. Sebastiano VINCI. L’ho visto arrivare al Comm.to Primavalle e purtroppo anche morire.
Onore al dr. Vinci Sebastiano, anche a nome di molti ex del Comm.to Primavalle.

  • Rosanna Polidori Iacovoni

Postato agosto 11, 2009 alle 11:52 AM

L’articolo di Romano Levante del giugno 2009, sulla morte del commissario di polizia Sebastiano Vinci ucciso nel 1981 dalle B.R. , ha riproposto inevitabile, a 30 anni circa di distanza, l’immagine dei sentimenti e risentimenti legati ad un fenomeno storico, il terrorismo, che ha segnato in modo irreversibile la società italiana.
Premesso che non ho conosciuto S. Vinci, leggendo la ricostruzione della sua vita sono rimasta colpita dalle coincidenze tra le sedi scolastiche e lavorative del Commissario e le mie: Teramo, Torino e Roma. Teramo: liceo “M. Delfico” che abbiamo frequentato nello stesso periodo. Torino. E infine Roma: quartiere Primavalle. Nel 1981 infatti insegnavo presso una scuola statale di Primavalle. La storia della vita di S. Vinci e la sua morte lo collocano nella lunga lista di cittadini che le B.R, seguendo una precisa strategia, hanno ferocemente eliminato a causa del ruolo e del rigore morale e professionale con il quale lo esercitavano. La memoria pubblica non può chiudere i conti con il passato perché dal passato non si esce, ma si continua a portarselo dietro come un tratto della costruzione della nostra personalità. Primo Levi parlava di un “passato che non passa”. Ma le vittime delle B.R. andrebbero sempre commemorate per collaborare alla ricerca di un superamento della violenza. E i tempi della memoria dovrebbero anche andare del senso di una giustizia “giusta” cosi come R. Levante sottolinea.

  • Domenico Moschetta

Postato agosto 10, 2009 alle 8:01 PM

Articolo ben documentato! congratulazioni

  • Corrado

Postato agosto 6, 2009 alle 7:50 PM

lavoro al Comm.to Primavalle da molti anni, credevo di conoscerla tutta la storia dell’omicidio del Dott. Vinci, invece…. farò in modo di narrare la memoria del Dott. Vinci ai miei colleghi xchè narrare vuol dire resistere.
Sig. Levante, grazie del suo prezioso contributo.

  • Luigi Marini

Postato luglio 21, 2009 alle 8:48 PM

La memoria ed il ricordo di Nello Vinci possono, anzi, devono essere di stimolo alle nostre generazioni ed a quelle future, affinché una vita umana a difesa delle Istituzioni e dello Stato non sia stata sacrificata invano.

  • Franco Tomassini

Postato luglio 15, 2009 alle 4:05 PM

Il sacrificio di Nello Vinci, simile a quello del Commissario Esposito, assassinato a Genova, dove vivo, dalle BR, a quello del Giudice Alessandrini di Pescara, e a quello di tante altre vittime di una follia alla quale assistemmo inermi, impotenti ma, forse, e soprattutto, colpevolmente indifferenti, oggi viene ricordato da Romano Levante con una voce che stimola noi vecchi a frugare nelle nostre coscienze, alla ricerca di qualche salutare rimorso.
Le BR furono le figlie anomale dell’esaltazione di un ’68 infantile, privo di visioni politiche, e, quindi, il naturale sbocco di utopie impossibili. Mentre altri Paesi riuscirono ad assorbire il fenomeno, noi in Italia producemmo una guerra civile che seminò il Paese di morti ammazzati, persone come noi, della nostra età, dei nostri sentimenti.
E noi non facemmo nulla per impedire tutto questo.
L’articolo dell’amico Romano ha fatto rinascere in me un profondo rimorso, quello di non aver saputo oppormi con la dovuta forza a tanta barbarie.

  • Enzo

Postato luglio 12, 2009 alle 5:48 PM

anche se ho un flebile ricordo della vicenda che coinvolse Nello, apprezzo e condivido le considerazioni di Levante

  • Fabrizio Iacovoni

Postato luglio 8, 2009 alle 10:31 AM

Ho letto con attenzione l’articolo di Romano M. Levante la cui onestà intellettuale è nota ne condivido completamente l’analisi sociologica del ns. “Eroe” e le conclusioni per una giustizia più giusta. Spetterebbe alle istituzioni dare un segnale tangibile per ricordare alle generazioni future la nobiltà di questo servitore dello Stato ammazzato barbaramente da una vendetta priva di ideologia.

Fabrizio Iacovoni
Via Luigi Cadorna, 67
64100 TERAMO
Tel. 340 8512341 – 0861 244810

  1. Giorgio Di Pancrazio

Postato luglio 1, 2009 alle 9:32 PM

Sono orgoglioso di aver avuto Nello Vinci compagno al
Liceo Melchiorre Delfico di Teramo.

Il caso Ruby, prima del diluvio

di Romano Maria Levante

Nella giornata odierna, 14 giugno 2023, con i funerali di Stato di Silvio Berlusconi e il lutto nazionale, di nuovo ripubblichiamo i nostri due articoli del 2011 e del 2014 sul “caso Ruby” per contrastare – con gli elementi di fatto e la nostra motivata interpretazione – le infamie che si continuano a perpetrare nei suoi riguardi anche senza il rispetto dovuto nel momento supremo, con la gogna di aver violato l’articolo della Costituzione sull’obbligo di adempiere alle funzioni pubbliche con “disciplina e onore” e aver calpestato i valori morali e la dignità delle donne. Un falso palese ma ricorrente che si basa proprio sulle “cene eleganti” del “caso Ruby” equivocate in modo paradossale con un accanimento investigativo e giudiziario vergognoso sbugiardato dalla sentenza finale assolutoria, un accanimento fuori da ogni logica e correttezza elementare, come dimostrano i nostri due articoli scritti per amore di verità.

La sentenza di assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo “Ruby ter” perchè “il fatto non sussiste” ha cancellato l’accusa di corruzione in atti giudiziari del processo per prostituzione minorile e concussione intentato nel 2011 in cui era stato assolto in appello nel 2014. Sembra avviarsi a conclusione un’odissea giudiziaria di 12 anni, anche se resta aperto un processo a Bari per il quale si prevede la stessa conclusione per insanabili vizi apparentemente formali, dove la forma è sostanza. Per questo ripubblichiamo i due nostri articoli usciti nel 2011 quando si aprì l’azione giudiziaria e nel 2014 allorchè ci fu l’assoluzione (e ripublicammo anche quello dl 2011, come si legge nell’introduzione che segue). Ci sembra un “come eravamo” interessante e coinvolgente, almeno per noi è stato così, anche perchè i commenti dei lettori all’articolo del 2011, e le nostre considerazioni del 2014, rendono il clima che si viveva in quel periodo, oggi forse è intervenuta l’inevitabile stanchezza.. Di seguito il primo articolo del 2011, domani il secondo del 2014..

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Un’immagine, come le tre seguenti, della trasmissione televisiva “Drive in”

.Siamo nel luglio 2014, nell’imminenza della sentenza di appello sul “caso Ruby” riproponiamo l’articolo pubblicato in “cultura.inabruzzo.it” nel gennaio 2011 per condividere alcune nostre riflessioni con i commenti che hanno suscitato, un modo per rientrare nel clima di allora “dopo il diluvio” della condanna a 7 anni di reclusione  che viene ora sottoposta all’esame della Corte d’Appello. Il Pubblico Ministero ha chiesto la conferma della condanna, la difesa ovviamente l’assoluzione. Ma non è su questo che richiamiamo l’attenzione, e neppure sugli aspetti specifici della vicenda. Sul contesto in cui  è maturata nuovi elementi di interpretazione sono venuti dal retroscena dell’assegnazione dell’accusa da parte del procuratore capo alla Bocassini invece che a Robledo, al quale sarebbe spettata secondo le regole interne della procura, ma sono aspetti  che esulano dal nostro punto di vista. esclusivamente culturale, ora come allora quando scrivemmo l’articolo che ripubblichiamo.  

Da: “cultura.inabruzzo.it” 

Abruzzo » Culturalia » Caso Ruby, riflessioni a scena aperta

Scritto il 19 gennaio 2011 Autore: Romano Maria Levante Culturalia

Dopo i fatti di sangue di Cogne, Avetrana e la scomparsa della giovane Iara le prime pagine dei giornali e i talk show sono monopolizzati da un’altra emergenza mediatica, il caso Ruby. La storia si ripete ma la volta successiva passa dalla tragedia alla farsa; in questo caso lo fa anche la cronaca, perché nelle tre vicende ricordate alla base della sovraesposizione c’era un fatto drammatico, a danno sempre di minori, omicidio nei primi due, sparizione nel terzo. Qui la farsa inizia dalla “minore” protagonista, vicina ai canonici 18 anni al momento del “delitto”, per di più sembra siano stati molto vissuti.

Il codice e la minore età, la Costituzione e la competenza del giudice

Non dà certo un’immagine di bisognosa di quella protezione che il codice accorda a un’età in cui si presume si sia ingenui e indifesi; peraltro ci hanno sempre parlato della precocità delle donne di quei paesi, tanto che la madre della suddetta risulta essersi sposata a undici anni. La farsa prosegue con il “delitto” che viene imputato in termini giuridici e quello più grave in termini morali; una farsa a cui corrispondono toni apocalittici e visi accigliati, anzi con il sopracciglio del supercensore.

Sul piano giuridico la farsa inizia nel balletto del giudice naturale: il Tribunale di Milano secondo l’accusa, quello di Monza o il Tribunale dei Ministri secondo la difesa. Monza perché è il luogo del “delitto” per la difesa e Arcore è in quell’ambito; Milano per l’accusa perché nella presunta “concussione” il luogo del “delitto” è Milano e assorbirebbe la competenza di Monza; né ci sarebbe competenza del Tribunale dei Ministri perché la famigerata telefonata con cui si sarebbe consumato il reato sarebbe stata fatta “nella qualità” e non “nelle funzioni” di Presidente del Consiglio.

Lana caprina o mera semantica, si direbbe, può mutare competenza la “qualità” invece delle “funzioni”? E poi un magistrato è sempre magistrato dovunque esso operi, o no? Però il diritto sancito dalla Costituzione al proprio “giudice naturale” non è un fatto solo ordinatorio, bensì serve ad evitare la persecuzione giudiziaria, fatto umano pur se escluso dalla deontologia. Infatti, cosa porterebbe un giudice “non naturale” a perseguire un cittadino, se non lo spirito di persecuzione?

C’è tanto arretrato, all’inaugurazione dell’anno giudiziario è stato fatto il numero di milioni di cause penali, che portano alla prescrizione, quindi all’impunità, oltre 200 mila processi l’anno, il 95% dei furti non perseguiti, così il 50% degli omicidi. Non sarebbe l’inattività a far debordare i magistrati dalla loro competenza, ma altro, il che rende oggi oltremodo necessaria tale garanzia costituzionale.

I benpensanti e il clima imperante, da “veline” e “letterine” a Sanremo

Ma lasciamo stare il lato giudiziario sul quale c’è questo primo macigno da rimuovere, e andiamo sul terreno morale dove si sono accaniti i benpensanti, incitando la Chiesa a dire la sua: proprio quelli che hanno fatto a gara nel denunciare l’inammissibilità di ogni sua ingerenza nella politica, finché il severo fondo dell'”Avvenire”, il giornale dei Vescovi, li ha soddisfatti; e così la giacca tirata al Presidente della Repubblica che alla fine è intervenuto chiedendo di fare presto chiarezza.

Finiscono qui le cose serie, torniamo alla farsa che però a sua volta rischia di trasformarsi in tragedia. “Dobbiamo vergognarci di fronte al mondo” e “il mondo si vergogna di noi”, ha detto pressappoco Bersani, il leader del maggiore partito di opposizione. Ed è senza dubbio vero. Come è comprensibile l’ondata di riprovazione diffusasi, insieme a un “voyeurismo” di antica data. Chi appartiene alla nostra generazione ricorderà il caso Montesi, non c’erano i talk show, ma parecchie pagine dei giornali ne furono monopolizzate per mesi e il “voyeurismo” si scatenò anche lì, con l’evocazione delle “notti brave”, ma allora erano in ballo i democristiani timorati di Dio: era il clima nel quale lo Scalfaro poi presidente schiaffeggiò in pubblico una signora – non “escort” ma moglie di un colonnello – per le sue spalle scoperte, spinto da un’indignazione irrefrenabile.

Oggi non c’è più quel clima, le “veline” e le “letterine” sono diventate gli oggetti del desiderio degli italiani, concupite da persone sole e in astinenza, ma anche sposate da attori e calciatori famosi. La stessa Rai servizio pubblico ha provato con le “schedine”, nella trasmissione domenicale in contemporanea con le partite, per non parlare delle presenze conturbanti diffuse a piene mani. Per l’imminente Sanremo la Rai non ha scelto delle sperimentate intrattenitrici ma due che appartengono al mondo effimero per cui c’è riprovazione. La prima ex “velina” ma compagna dell’attore famoso; la seconda confessa di aver provato gli stupefacenti, “peccato” per il quale ebbe l’ostracismo con ignominia nel precedente Sanremo l’artista Morgan di ben altro spessore, per di più viene dalla “scuderia” del reietto Lele Mora, a noi non è piaciuto neanche prima, non solo ora.

L’indignazione a orologeria e l’intelligenza di Renzo Arbore

E allora la farsa dell’indignazione pubblica a orologeria di questi giorni, con il sopracciglio dei politici trasformati in Inquisitori lascia allibiti, è come se venissero da Marte e non partecipassero anche loro al Circo Barnum televisivo, comprese le scosciate star e starlette promosse a opinioniste. Il clima da “basso impero” che viene lamentato è generale e non lo si scopre adesso, sempre che lo si ritenga tale e il giudizio non risenta di un moralismo opportunistico: ed è un clima indubbiamente introdotto o favorito dalla televisione commerciale, ma al quale la Rai si è accodata ben volentieri.

Ricordiamo che l’intelligenza di Renzo Arbore lo portò a popolare le sue trasmissioni cult in seconda serata delle colleghe e in parte antesignane di “veline” e “letterine”, con la coda e l’impagliata del “balletto coccodè”, e l’ammiccante balletto del “Cacao Meravigliao”; ma non solo, in “Tagli, ritagli e frattaglie”, se non erriamo – e in questo caso chiediamo venia in anticipo – una prosperosa Lori del Santo veniva inquadrata dal retro appoggiata a un bancone basso con il “lato B” che data la posizione quasi prona appariva in bell’evidenza. Satira di un andazzo della Tv commerciale e ironia, nelle corde dell’intelligenza di Arbore. Ma con un effetto di “voyeurismo”.

L’inventore di questa televisione ha un nome preciso, è alla ribalta in queste ore: non come antesignano di un genere discutibile quanto si voglia, ma sempre forma di spettacolo ammesso sugli schermi che entrano in ogni famiglia, per di più con la gratuità della Tv generalista; bensì come sfruttatore della prostituzione anche minorile e organizzatore di un mercimonio dei corpi. E questo non perché abbia dato scandalo pubblico andando oltre i limiti ammessi anche in Tv, per entrare nel territorio proibito della pornografia: nulla di pubblico o esterno, visibile o noto, riprovevole o meno.

Tutto nel chiuso della propria residenza: nei “festini” disinvoltamente descritti come orge di un insaziabile malato del sesso; in una telefonata per la comica vicenda della “nipote di Mubarak”.

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Le “vite degli altri” messe in piazza in una mobilitazione sproporzionata

E allora perché dobbiamo vergognarci di fronte al mondo e il mondo deve vergognarsi di noi, e questo può essere senz’altro vero? Chi ha diffuso immagini non viste dal buco della serratura – che sarebbe stato già grave, però avrebbe avuto il pregio dell’autenticità e della certezza – ma ricostruite sulla base di sovreccitati racconti trasversali e fatti passare per cronache da “dieci giornate di Sodoma”? La vergogna nasce dal quadro che è stato diffuso, non dai fatti che si pretende di svelare.

Il “foro interno” e il “foro esterno” in cui la Chiesa distingue gli atteggiamenti, interiori o “coram populo”, assume qui aspetti da “pochade”, è vero; ma quando l’onorabilità del paese è minacciata c’è poco da scherzare. Si dirà del diritto all’informazione che è sacrosanto; infatti non critichiamo i giornalisti che fanno il loro lavoro con le paginate di intercettazioni, oltretutto fanno vendere più copie sia per “voyeurismo” sia perché è sempre piaciuto fare il “pollice verso” , sin dal Colosseo. Critichiamo chi ha alimentato un “foro esterno” devastante, non dal foro della serratura ma con una strumentazione investigativa che dovrebbe lasciare perplessi anche gli antiberlusconiani accaniti.

Non ci riferiamo tanto ai cento uomini mobilitati nelle perquisizioni all’alba non di pericolosi terroristi, ma di “starlette” e magari “escort”, a diecine, per acquisire chissà quali preziosi “reperti”, forse la “veste macchiata” che fu la “pistola fumante” nel caso di Clinton; quanto all’apparato investigativo che per un anno ha “accerchiato” la villa di Arcore intercettando i visitatori, pardon, le visitatrici; si è parlato di cento controllate. Con microfoni direzionali per l’esterno, e per l’interno – non potendo fare rilevazioni – con le intercettazioni telefoniche alla pletora di donnine più o meno allegre e agli omini – diminutivo o dispregiativo secondo i gusti – che le organizzavano.

Risultato: una montagna di conversazioni telefoniche tra tali soggetti diligentemente trascritte per oltre seicento pagine, di cui circa trecentottanta allegate all’atto di accusa e quindi rese pubbliche: le “vite degli altri” messe in piazza come neppure la Stasi; che le custodiva negli archivi. Vorremmo conoscere risorse impiegate e costi, e fare una valutazione costi-benefici limitando questi ultimi a quelli giudiziari senza considerare quelli politici che non andrebbero ammessi come tali; e valutare i possibili impieghi alternativi per la lotta alla delinquenza e per lo smaltimento dell’arretrato. L’obbligatorietà dell’azione penale non escludeva di certo una valutazione”a priori” di questo tipo.

Da dove viene il discredito e la vergogna

Consideriamo quest’operazione giudiziaria. Se occorreva allegare i mezzi di prova, averli diluiti in 380 pagine vuol dire che non c’è una vera prova ma si intende rappresentare un clima. E questo non considerando che sarebbero divenute di pubblico dominio portando il discredito al Paese che Bersani e tanti altri giustamente lamentano. Non nasce dunque da questa incomprensibile operazione tale discredito? Se qualcuno riprende un amplesso in un luogo chiuso, poi lo pubblica nei suoi particolari in prima pagina, si può accusare di oscenità il protagonista dell’amplesso, o chi diffonde l’immagine che il soggetto invece aveva tenuto rigorosamente nascosta nella sua casa?

Ancora ci chiediamo e chiediamo quale legittimazione abbia la vagonata di fango di quelle 380 pagine date in pasto alla stampa; e se la magistratura non deve valutare gli effetti delle sue operazioni la politica può farlo, con il dovuto rispetto per le istituzioni, tutte e non solo alcune. Non si possono dare responsabilità per lo scandalo internazionale a chi, comunque, si è guardato bene dal far trapelare tali notizie, rese pubbliche invece non attraverso una rappresentazione dei fatti ma con le affabulazioni sovreccitate e deliranti che hanno fatto degenerare in pornografia conclamata. Con l’ulteriore riflesso di mettere in piazza conversazioni confidenziali di persone non indagate.

Ma perché tale degenerazione? Perché le “fonti” utilizzate – riverite come l’Erodoto delle antiche battaglie – sono le più improbabili corrispondenti di “guerra”: ascoltate nei loro colloqui telefonici dove “voyeurismo” e protagonismo, ignoranza e superficialità si mescolano a invidie e delusioni o quant’altro. Si potrebbe dire che proprio per questo le 380 pagine, fior da fiore delle presunte 600 complessive, vengono offerte alla valutazione di chi riuscirà a separare il grano dal loglio; ma si poteva immaginare che non sarebbe stato così, l’informazione fa titoli ad effetto di poche parole, il “voyeurismo” gode dei particolari più piccanti, senza interrogarsi sulla veridicità; e neppure sulla qualità dei protagonisti di uno spettacolo che diviene degradante per il modo con cui è presentato.

La villa di Arcore e il “Drive in 2010”

E’ questo l’aspetto che ci interessa considerare maggiormente, alla ricerca di una spiegazione di qualcosa che appare altrimenti incredibile. Si è scomodata la storia antica citando Nerone, ma stiamo a quella contemporanea con Gheddafi, che sembra l’ispiratore del famigerato “bunga bunga”, e questo può essere un punto di partenza. Ma soltanto quale omaggio al leader di un paese importante per l’Italia, come lo è la Russia del “lettone di Putin”. Perché secondo noi, al di là della denominazione delle serate, l’ispirazione è ben diversa dalla riproduzione di un harem africano, e non perché la villa di Arcore non è una tenda nel deserto anche se il leader libico può aver influito.

Ed è proprio per questo che abbiamo parlato di spettacolo, equivocato come realtà dalle stesse protagoniste, e non poteva essere altrimenti data la loro età e qualificazione professionale e umana. Uno spettacolo che il tycoon televisivo si fa organizzare nei fine settimana in cui cerca serate “rilassanti”, come ha detto, dopo impegni di governo che lo assorbono e lo stressano totalmente negli altri giorni della settimana, tra Palazzo Chigi e gli incontri internazionali, nei quali non si può dire non sia partecipe attivo rivelando energia e vitalità.. Mentre dalle cronache sembrerebbe che l’orgia da “dieci giornate di Sodoma” ad Arcore sia l’occupazione permanente del premier.

Una precisazione va fatta per la rispondenza alla realtà, premettendo che anche una sola orgia – nei termini che si vuol far credere con l’equivoco contenuto delle intercettazioni – sarebbe esecrabile e meritevole non solo di riprovazione, ma della più assoluta condanna; però pur sempre con il distinguo, di valore e importanza dirimente, su come e da chi sarebbe stata resa pubblica svolgendosi nel chiuso di una villa definita con disinvoltura dimora del sultano con il vicino harem.

Ad Arcore, da cronache passate se non ricordiamo male, risulterebbe esservi una sala attrezzata a discoteca e lì si sarebbero svolte le presunte “orge” da “basso impero” denunciate dalla procura e “raccontate” negli ammiccamenti telefonici tra starlette, “escort” e aspiranti “veline”. Chi ricorda “Drive in” non ha dimenticato la procacità delle starlette “fast food” che esibivano un seno “quarta misura” debordante anche se non esibito integralmente. C’erano scenette e barzellette in quantità, da Gianfranco d’Angelo aEzio Greggio, da Erico Beruschi a Carlo Pistarino, da Francesco Salvi all’attuale scrittore di successo Giorgio Faletti. Si vedevano travestimenti che lasciavano scoperta l’epidermide di finte infermiere e poliziotte; canzoni e imitazioni, situazioni esilaranti e grottesche portate al limite. Ebbene, nei racconti tratti dalle intercettazioni abbiamo ritrovato una parte di quel clima e di quei “quadri”, di quelle figure e di quella crassa comicità, di quelle starlette e di quelle performance: in definitiva quel misto tra il disinibito, il cattivo gusto e il rivoluzionario.

Tanto rivoluzionario che la produzione non approvò il “numero zero” e decise di non farne nulla. Intervenne il Presidente, a cui i comici erano riusciti a far visionare una cassetta, ne capì la presa e la carica innovativa, e dispose per l’andata in onda la settimana successiva. Il Presidente era proprio il personaggio di cui parliamo, il tycoon divenuto premier e ora inquisito, anzi messo in croce.

Deprecabile, direbbe qualcuno, certo non tutti e forse neppure tanti se viene ricordata come trasmissione “cult” e non come degrado e degenerazione; e se il personaggio che si identifica da sempre in tutto questo continua ad avere tanti suffragi che lo hanno fatto prevalere nella gran parte delle elezioni degli ultimi 15 anni, vuol dire che il suo modo di essere non suscita riprovazione.

E allora, perché non pensare che il tycoon divenuto parlamentare e primo ministro, dopo quasi vent’anni di ininterrotta leadeship politica e di instancabile attività di governo – con la “traversata nel deserto” di lunghi anni all’apposizione – abbia voluto improntare le serate “rilassanti” di cui ha bisogno a quella creazione televisiva di Antonio Ricci che però sente sua per averla “salvata” dalla bocciatura portandola così al trionfo? E abbia voluto far rivivere in qualche misura un clima fatto di barzellette e travestimenti, per i quali non ricordiamo proteste delle categorie come quelle di questi giorni, sebbene il presunto dileggio fosse pubblico mentre ora è stato all’interno di una residenza?

Teatri casalinghi e serate musicali, lo spogliarello di Aichè Nanà al “Rugantino”

La messa in scena di Arcore è ben diversa, opposta rispetto al teatro nella casa all’Aventino di Gassman e al “quartetto del Vittoriale” che allietava le serate di D’Annunzio, nelle quali peraltro qualche bella ospite si “fermava” per la notte e al mattino trovava dei bei regali. Ma ognuno fa rivivere nella propria casa le situazioni predilette, quelle di “Drive in” sembrano esserlo per il tycoon suo “salvatore”. Il passaggio dagli schermi nelle case, in orario da visione familiare, al chiuso di una sala-discoteca in una villa immersa nel verde nel circondario di Monza può aver fatto cadere qualche reggiseno coprente ben poco nella trasmissione e le barzellette possono aver forzato le tinte; ma di qui alle vere orge che si lasciano intravedere e alla qualifica che termina in “aio” ce ne passa.

Anche l’indignazione per lo spogliarello di Aichè Nanà nel locale “Rugantino” di Roma – e non ci riferiamo allo spettacolo attualmente al “Sistina” con Enrico Brignano – che già allora scatenò un puritanesimo da inquisizione, nasceva dal luogo pubblico in cui avvenne l’esibizione della spogliarellista turca con gli astanti entusiasti nel mettere le proprie giacche come tappeto per accoglierne le morbide forme. Neppure questo è avvenuto, il “Rugantino” di Arcore non è un luogo pubblico né lo “spettacolo” è stato pubblicizzato dai protagonisti ma da altri. Ed era l’epoca in cui per vedere “il primo seno nudo di donna bianca” al cinema ci volle “L’uomo dal banco dei pegni” con le immagini delle ebree spogliate nel lager, sappiamo cos’è successo poi al cinema e in Tv.

Un lavoro d’indagine ciclopico con il rischio sopravvenuto di ricatti

Purtroppo l’operazione mediatica – largamente distorsiva per quanto finora noto – è stata possibile per il lavoro d’indagine ciclopico, degno di miglior causa, della procura, se si pensa all’ascolto e trascrizione per un anno e alle verifiche sulle celle telefoniche delle posizioni dei telefonini delle starlette per accertarne i movimenti e gli spostamenti “day by day” e farne un’incredibile agenda da “catalogo” del Don Giovanni. Non solo, ma l’operazione ha comportato sequestri in massa di valanghe di computer e di quant’altro rastrellato nelle moltissime abitazioni perquisite nella retata!

Potrà suscitare divertimento a qualche moralista, sembrerà una punizione anche meritata in ossequio alla morale puritana violata dai festini di Arcore; rispettiamo i giudizi, nei fatti è stata una operazione quasi di controspionaggio per la sicurezza nazionale contro lo Spectre; mentre è proprio la distorta divulgazione a minacciare la sicurezza dando nuovi motivi alla speculazione finanziaria.

Non solo, ma si è scatenata l’orgia, ora sì, di possibili ricatti da parte delle “intercettate” le cui parole disinibite ed equivoche al telefono vengono prese per oro colato, figurarsi presunte rivelazioni di convenienza. Ricordiamo i dieci pentiti che accusarono ignobilmente Enzo Tortora anche per i benefici che questo dava loro, siamo su un terreno scivoloso in cui ci si può impantanare. E non si può dire che è colpa di chi si è messo in questa situazione: Non ha mai nascosto, anche nei consessi internazionali, atteggiamento disinibiti, la sua predilezione per le belle donne è proverbiale e ostentata, lo sono anche certi eccessi spettacolari fatti per stupire gli ospiti; tutti ricordano il vulcano che erutta a Villa Certosa.

Per questo non sarebbero nulla le esibizioni e anche gli eccessi del “Drive in 2010”, se la magistratura non ci mettesse il carico da undici del reato penale infamante: fa diventare ricattabile ciò che prima non lo era, basta un’invenzione presa – lo ripetiamo – per oro colato come le intercettazioni – per affossare lui e il governo, con gli effetti negativi per il paese da tutti paventati. Né dimentichiamo la “protezione” della minorenne di 17 anni e mezzo di cui tutti hanno visto e giudicato la “fragilità” e l'”innocenza”, per “salvaguardare” la quale si cono mobilitati mezzi da film di James Bond che servivano a scongiurare minacce inenarrabili di perfidi nemici dell’umanità.

I pagamenti sono sempre mercimonio?

I particolari “piccanti” delle telefonate non mutano la valutazione dello spettacolo organizzato nella discoteca privata di Arcore; basta l’evocazione di “Drive in”. Si spiegano anche gli appartamenti con parcheggiate le starlette, la “compagnia stabile” di questi spettacoli andava sistemata per essere mobilitata all’occorrenza; si spiegano i ruoli al procacciatore di starlette e all’addetta ad occuparsi in qualche modo di loro – ahimè eletta nel “listino” della regione Lombardia – gli stessi compensi nelle “buste”. Tutto appare in linea con l’organizzazione del “Drive in 2010” pur se di gusto discutibile, ma non degradato a un’orgia definita collettiva nei soggetti femminili bensì incentrata su una sola persona, ovviamente il presunto Sultano, senza rendersi conto della contraddizione.

E poi, non sono pagati gli ospiti delle trasmissioni televisive, anche starlette non molto diverse da quelle incriminate? E gli stessi “figuranti” dei programmi con il pubblico in studio, cioè quelli che non fanno nulla, assistono e magari straparlano o applaudono a comando? Se a loro va un legittimo compenso, non può andare a chi partecipa a un “Drive in” riveduto e corretto nei termini di una visione privata non ostentata? Il fatto che vi fosse un “ufficiale pagatore” addetto alla bisogna non prova in alcun modo l’improbabile harem personale, può confermare invece la “compagnia stabile”. E se inopportunità e scorrettezze possono rilevarsi, vanno a carico di “cortigiani” non all’altezza.

Il livello certo era basso, ma che l’entourage del premier non sia di prima qualità è ben noto; e come poteva mancare il procuratore delle starlette Tv , fino alla precedente inchiesta giudiziaria da tutti riverito, e comunque depositario delle prestazioni professionali – sedicenti di immagine e spettacolo – di quelle della sua “scuderia”? Tale livello si manifesta nelle intercettazioni, cosa che serve anche a scagionare: è emersa l’attesa spasmodica della serata successiva, ma com’era per le comparse a Cinecittà, non attendevano di essere chiamate di nuovo per guadagnare? Lo sparlare del “benefattore” per la cupidigia di avere di più non esclude alcuni caratteri che nella ricostruzione di “orge” da “basso impero” sono incentrati sulla condiscendenza del “Sultano” ad ogni richiesta e la totale sottomissione delle ospiti dell’harem in attesa di essere proclamate come le favorite?

Si è detto di qualche sexy-struscio con il il tycoon-presidente di ammiccanti e disponibili starlette, ma non avviene lo stesso nei locali con spettacoli di spogliarello e con il rito delle banconote nella giarrettiera? Nel revival di “Drive in” non ci stupirebbe ci fosse anche questo, né scandalizzerebbe.

Con disponibilità economiche come le sue le banconote in euro hanno tre zeri, equivalenti, per una persona normale che a mala pena sbarca il lunario, a qualche monetina. Molto squallido tutto ciò, diranno i benpensanti, e non ci sentiamo di contraddirli, ma la logica del denaro purtroppo è questa, pensiamo ai calciatori, e chissà cosa si troverebbe in altre pur rispettabili categorie! Il riferimento ad altri più meritevoli destinatari di elargizioni assistenziali viene contraddetto dai generosi contributi con un numero di zeri ben più alto dati a organizzazioni caritatevoli e anche dall’aiuto a tanti bisognosi. Se si entra nel clima, nel “revival” di “Drive in” in chiave moderna, tutto si tiene.

Un reato? Un peccato? Entrambi o nulla di tutto ciò?

Tutto trova una spiegazione nel “Drive in”, anche l’altrimenti incomprensibile comportamento di un presidente del Consiglio che per i suoi vizi privati farebbe altrimenti, come Kennedy e Clinton, sfogandoli nel chiuso di una stanza e non ponendoli sotto i riflettori, sia pure esclusivi, di una discoteca anche se domestica ma con tanti ospiti. O per pagare le eventuali “escort” che dovevano alleviare – non illegittimamente – la sua solitudine di single stressato, aveva bisogno del contorno orgiastico che viene delineato? Il “voyeurismo” patologico è privato, non pubblico, lo ricorda la tragica storia della Casati Stampa prima proprietaria della stessa villa di Arcore. Mentre pubblica è la voglia di spettacolo di un tycoon televisivo che intendesse rinverdire i fasti della sua disinibita televisione, per scrollarsi di dosso le angosce della politica e le gravose cure di governo.

E’ un reato? E’ un peccato? Sono entrambi o non è nulla di tutto ciò? Ognuno potrà dare la sua risposta, ci auguriamo che lo faccia spogliandosi delle contrapposte posizioni di berlusconismo e antiberlusconismo; nonché di un insincero moralismo estraneo al clima e al mondo d’oggi.

Noi abbiamo cercato di farlo, ragionando sui fatti. Se non ci siamo riusciti assicuriamo di averci provato. L’occhio della cultura non può essere partigiano. Ci auguriamo sia così per tutti.

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12 Responses to Caso Ruby, riflessioni a scena aperta

  1. Fabrizio Bastianelli 19 giugno 2011 a 00:21 Apprezzo e condivido completamente l’articolo di Romano Levante e mi chiedo: in quale Stato al mondo il Capo di un Governo avrebbe mai potuto essere spiato da oltre 150 agenti addetti a controllare e fotografare chi fosse entrato e uscito dalla sua residenza privata di Arcore? Sembra siano state scattate 100.000 fotografie agli ospiti del Presidente del Consiglio dei Ministri che sono entrati nella villa di Arcore; sembra siano state intercettate le conversazioni telefoniche di 630 persone sol perchè hanno avuto accesso alla villa di Arcore. Mi domando, che ne è del diritto alla privacy? Eppure ho vivo il ricordo di quale attenzione ho dovuto prestare – avendo lavorato in un’impresa multinazionale ed essendo responsabile per un certo settore della privacy – all’infinità di norme che tutelano, giustamente, la privacy dei dipendenti per cui, non poche volte mi sono dovuto recare personalmente presso l’Ufficio del Garante per verificare la correttezza del mio comportamento nell’adempiere.
  2. fabrizio iacovoni 3 marzo 2011 a 17:27 Nel leggere i tanti articoli sul caso Ruby, cosi’ come quello di Romano Levante, mi e’ sorta tanta tristezza.Perche’? tristezza per la vita condotta prima dei recenti accadimenti dalla giovane donna che,vissuta in un contesto familiare gia’ molto precario,ha subito all’eta’ di 14 anni uno stupro da parte di un parente e dopo altre forti vicissitudini inserita in una comunita’.Di tutto questo neanche R.Levante,persona sensibile,purtroppo non ne parla.
    Ma ancora piu’tristezza,amara, mi ha destato l’uso strumentale che alcuni fede(li) del premier hanno fatto del corpo della ragazza,allettandola con il facile guadagno,al fine che la stessa arrivasse all'”utilizzatore finale”.Ed e’ qui l’atroce cinismo piu’ abietto cui sie’ arrivati.La corruzione la stabilira’ la magistratura,se le sara’ consentita.
    Ma il capo del Governo non dovrebbe fortemente impegnarsi con le leggi ed esempi per la garanzia di valori alti,quali punti di forza soprattutto per le giovani generazioni? Moralismo il mio o passone civile?.
    Possenti Iacovoni Michelina
  3. fabrizio iacovoni 3 marzo 2011 a 11:49 Romano puo’ avere ragione sul “consumismo” investigatorio e su un certo esibizionismo-protagonismo dei P.M.La risonanza mediatica e’ colpa del sistema di cui il ” presunto” colpevole e’ un tra i piu’ importanti fondatori, con le sue tv.Gli accostamenti con gli altri”scandali” non mi sembrano appropriati,sono di altre epoche,in contesti differenti.Sa di tutti colpevoli=nessun colpevole.E poi in essi “scandali”, che io ricordi, non c’e’ stato un protagonista come un Primo Ministro(parlo dell’Italia) come vittima o colpevole.Ma solo un figlio ed il padre dette subito le dimissioni,Attilio Piccioni appunto.
    A noi non interessa scrutare dal buco della serratura il privato relax di Berlusconi.Che sia vittima o colpevole ,in uno stato di diritto, ci pensino i Magistrati,pur con i loro limiti.
    A noi interessa che durante il quotidiano governi,se e’ capace, questo Paese ingessato e ormai alla deriva e i suoi relax notturni sessuali o meno non servino a smaltire lo stress(ma quale?) accumulato di giorno per incassare alla fine dell’anno astronomici profitti delle sue holding da spartire con i propri familiari,frutto di un capitalismo selvaggio.
  4. Franco Tomassini 28 febbraio 2011 a 10:30 Ho già avuto una modesta corrispondenza mail con Piero Ostellino, che, sul Corriere tiene la stessa posizione di Romano Levante, e ho già avuto la mia risposta, con la sufficienza e il sussiego del giornalista affermato che, da buon liberale, non tollera opinioni diverse dalle sue.
    Con Romano, invece, si potrà parlare e argomentare senza sentirsi dare dell’ignorante.
    Io, che credo nell’habeas corpus (ci si ricorderà di quel Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb, uscito dal carcere dopo 12 mesi, e adesso ai domiciliari, ma ancora in attesa di processo: autentico orrore), devo dire che l’amico Romano (ma, tutto sommato, anche Ostellino) ha ragione.
    Però, vorrei, senza troppo indugiare in ricordi del passato, far presente che nel caso Montesi, il mi-nistro Attilio Piccioni si dimise dall’incarico di Ministro degli Esteri, malgrado nello scandalo fosse coinvolto solamente suo figlio Piero (la cui responsabilità non era neppure del tutto chiara: infatti, quattro anni dopo fu assolto).
    E Gassmann, oppure D’Annunzio, pur importanti personaggi, non erano il Presidente del Consiglio.
    Il quale non ci pensa neppure a passare la mano, sicuro di avere, come sempre, ragione.
    E, mi sia permesso di fare un po’ di moralismo, l’art. 54 della Costituzione (comma secondo) recita testualmente “I Cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con di-sciplina e onore……”.
    Definita però come impropria quest’invasione della privacy, ma anche tenuto conto che l’errore giu-diziario è sempre dietro l’angolo (per questo siamo contro la pena di morte, che non dà scampo al-l’errore), la persona normale affronta il processo e si difende (vedi Andreotti, Mannino e, recente-mente, Cuffaro).
    La sua innocenza, se è vera, sarà plateale, e palmare, attestata da un processo svolto nel rispetto del-le leggi e delle procedure del nostro ordinamento.
    Berlusconi, con i mezzi d’informazione che possiede, avrà ogni possibilità di conclamare la sua, a questo punto, attestata innocenza, risultando così ancora più acclamato dal suo popolo.
    Invece, e qui i miei timori di cittadino per bene si fanno veramente forti, egli si difende attaccando la Magistratura, definendola un covo di comunisti, arrivando al discredito pubblico persino della Corte Costituzionale, ovviamente non credibile, poiché anch’essa di sinistra.
    Tanti anni di fango gettato, e da sempre, sulla Magistratura, hanno ingenerato nel popolo l’idea che i magistrati sono una categoria di persone orientate politicamente nei loro giudizi e irresponsabili, da-to che non pagano per il male che fanno.
    Infine, e qui la cosa letteralmente mi terrorizza, egli propone una riforma della Giustizia con il solo scopo del suo salvataggio, con ciò dimenticando i reali problemi ai quali si dovrebbe mettere mano, e con urgenza. Adesso ci troviamo con un Ministro della Giustizia il quale è, come detto da qualcu-no, il Capo dell’Unità di Crisi dei processi contro Berlusconi, e passa il suo tempo a inventare scap-patoie giudiziarie, piuttosto che a occuparsi dei gravi problemi organizzativi del suo Ministero.
    Mi piacerebbe che Romano ci ricordasse anche questo lato, non poco importante, del problema.
  5. Marco Ciriello Vancouver 31 gennaio 2011 a 01:21 Prima di entrare nel merito dell’argomento, vorrei precisare che la mia posizione non dipende da quali saranno le conclusioni del caso: in altre parole se il Presidente del Consiglio verra’ riconosciuto colpevole od innocente. Per quanto possa sembrare assurda la mia affermazione, nel contesto di quello che scrivero’ tale fatto e’ irrilevente. La ragione per la quale ho affermato tale irrilevanza risiede nel fatto che penso che questo caso possa offrire lo spunto per riflessioni che sono ben piu’ importanbti del comportamento di un singolo uomo (o “omuncolo”, termine che ho sentito usare coloquialmente da altri riferendosi al Presidente del Consiglio).Vediamo ora di entrare nell’ambito del tema.Ho trovato l’articolo di Romano Levante estremamente interessante (come altri che egli ha scritto). Cio’ che lo rende tale e’ il taglio estremamente pragmatico che espone contraddizioni insite nella cultura e nella societa’ le quali sono allarmanti.La chiarezza della direzione verso la quale una cultura e, di conseguenza, una societa’ si dirigono e’ di fondamentale importanza perche’ tale cultura e tale societa’ offrano dei punti di riferimento affidabili.Penso che l’umanita’ debba decidere se voglia creare un ambito socio/culturale che segua leggi nelle quali “la supremazia del piu’ forte”, “lo sfruttamento del singolo o di un gruppo ‘, “l’inequalita’ degli individui”, “l’assenza del riconoscimernto dei diritti umani”, “la mancanza di rispetto verso se stessi e verso gli altri” siano principi sui quali costruire il futuro, o se invece le basi per il progresso siano quelle nelle quali si pongano queste tematiche e l’essenza etica della risposta ad esse sia rivelata da un dibattito filosofico.E’ una decisione di base che ha un effetto sul tipo di considerazioni che si possono fare sull’affare “Ruby”.Rispetto al caso Ruby, se la decisione e’ quella di perseguire un progresso culturale che non contempli etiche di nessun tipo, non esistono ulteriori considerazioni. La posizione sociale diviene chiara e il tipo di comportamento diviene non contradditorio.Diversa e’ la valutazione in un contesto che aspiri al chiarimento etico del proprio modo di essere e della nostra relazione con altri esseri. In questo caso, se le accuse avanzate dalla magistratura si dovessero dimostrare fondate, le contraddizione tra gli atti od il comportamento e quelli che sono i principi sui quali la nostra cultura e societa’ idealmente si fondano sono evidenti e notevoli. In questo caso, tuttti i principi elencati precedentemente (come esempio perche’ non ci si dovrebbe limitare solo ad essi) sarebbero stati violati.Nessuno mette in dubbio la difficolta’, non solo di creare una societa’ senza contraddizioni, ma di formarne una logicamente ed eticamente funzionante. Fermo restando questo fatto, abdicare a tale aspirazione sarebbe veramente disastroso. In un certo senso e’ quello che avviene quando il costume modifica la percezione di quello che sia appropaito e quello che non dovrebbe succedere.Quando una delle piu’ alte cariche dello stato, che dovrebbe stabilire i parametri di riferimento per il resto dei cittadini, viene a mancare nel fornire tale esempio (e non sappiamo ancora se questo sia vero o no) e questo viene in qualche modo condonato definendo l’atto stesso come fatto di costume, allora c’e’ il rischio d’aver abdicato.Ritornando.al fulcro del tema prededente, non ci puo’ essere contraddizione tra gli ideali di una cultura e societa’ (i quali si traducono in leggi ed istituzioni) ed il comportamento degli individui. Se la prostituzione e particolari atti espletati con una minore sono condannati dalla legge, il costume od il denaro non li possono giustificare.Forse un principio fondamentale chiarisce piu’ di tutti un comportamento di questo tipo: non fare agli altri cio’ che non vorresti che fosse fatto a te.Se Il Presidente del Consiglio avesse una figlia, la vorrebbe vedere coinvolta con individui che si possano essere comportati allo stesso modo (anche senza arrivare ai rapporti sessuali ma semplicemente per quello che e’ stato ammesso)?Nel caso la sua risposta fosse no, allora i problemi diverrebero ancora piu’ profondi perche’ ammetterebbero una disuguaglianza di considerazioni le cui radici porterebbero molto lontano rispetto a quello che la nostra societa’ idealmente propone.Per quanto riguarda l’articolo di Romano Levante penso che alcuni dei commenti siano stati ingiusti ed emozionali. A parte la liberta’ di espressione dell’individuo, la conclusione dello scritto pone i temi trattati dall’autore sul piano della discussione ed in un certo senso apre il dialogo ad opinioni contrarie delle quali non si teme l’effetto, sempre che esse vengano espresse sullo stesso piano culturale.Credo sia importante, anche nel disaccordo, non perdere di vista la positivita’ del dialogo e quanto questo sia necessario per un avanzamento culturale. L’opportunita’ per progredire puo’ essere scoperta in qualsiasi situazione.
  6. Francesco Ascani 21 gennaio 2011 a 19:36 Dal 6 aprile 2010 non fornivo mie considerazioni su scritti del dott. Levante e questo non per aver smesso di gustarli, ma per essere stato assorbito da tanti impegni, chiamiamoli “famigliari”, fortunatamente quasi tutti lieti.
    Per la verità, da qualche tempo, avevo notato una diminuzione dei suoi scritti su questa Rivista culturale e l’avevo addebitata alla necessità umana di “respirare”, di tanto in tanto; ciò perché, chi è a conoscenza del suo grande impegno in servizi culturali e sociali per diffondere “conoscenza”, ha bene appreso il dispendio di energie intellettuali e fisiche necessario.
    Mi sono, invece, reso conto che il dott. Levante non ha ridotto la sua attività, ma l’ha estesa ad altre Riviste online (ArcheoRivista e AmalArte), sempre con scritti abbastanza estesi, ma che non stancano perché ricchi di notizie, con approfondimenti che creano sempre cultura.
    In effetti, il dott. Levante, anche con questo articolo ha fornito, con la solita singolarità e brillantezza, su un argomento all’apice dell’attenzione della collettività, elementi di conoscenza completa al lettore (opportuno il ricordo del “Drive in”), lasciandolo libero di trarne le conclusioni.
    Questa mia affermazione trova rispondenza nelle conclusioni dell’autore che, dopo aver fornito tanti elementi da analizzare e valutare, pone degli interrogativi e si augura che ognuno dia la propria risposta, ragionando sui fatti, perché ” L’occhio della cultura non può essere partigiano. Ci auguriamo sia così per tutti”.
    Francesco Ascani
  7. Direttore 20 gennaio 2011 a 02:18 Gentile signora Rita, la sua supponenza e la sua mancanza di educazione, che qui si chiama scostumatezza, imporrebbero ben altra risposta. Dato che io coltivo l’educazione come bene primario dell’uomo evengo chiamato in casua dal suo commento mi limiterò a dirle che io, Giovanni Lattanzi, sono il direttore responsabile di questa testata giornalistica; il dr. Romano Maria Levante è l’autore dell’articolo; l’opinione espressa in esso è una “opinione” e come tale è degna del massimo rispetto al pari di tutte le altre, sia quelle che le piacciono sia quelle che non le piacciono; se desidera cancellarsi dalla nostra rivista, oltre a farlo liberamente, mi deve spiegare come fa a cancellarsi da una rivista gratuita e libera diffusa su internet; la rivista è sovvenzionata da me stesso con i soldi che provengono dal mio conto corrente personale e che sono frutto esclusivo del mio lavoro, soldi che invece di essere spesi in profumi, vacanze e altre amenità consumistiche vengono utilizzati per mantenere in vita un luogo di cultura dove tutti quelli che hanno qualcosa di sensato da dire possono esprimerlo liberamente in maniera educata. Detto questo, se intende avanzare dei dubbi sul finanziamento di questa testata insinando eventuali “direzioni politiche” privilegiate frutto di un ipotetico finanziamento (che ho appena sopra ufficialmente smentito), deve avere il coraggio di dirlo qui, qualificandosi con nome, congome e indirizzo, e poi di ripeterlo ovviamente quando ci vedremo in un’aula di tribunale dove risponderà del reato di diffamazione.
  8. lnavv 20 gennaio 2011 a 00:08 E’ una questione di “onore”. Provo a spiegarmi.La zoccolaggine, ben al di là di ipocriti moralismi, è croce e delizia dell’essenza femminile. E’ l’istinto primario della femmina in genere, e l’humana donna non sfugge a questa naturale e biologica legge. Ricordo sempre quella stupenda fotografia dell’essere umano tratteggiata da Nietzsche: l’uomo educato alla guerra, la donna al riposo del guerriero, e tutto il resto è stupidità. Spesso la zoccola (che qui non è una pantegana) non è una prostituta.La prostituzione, si sa ben al di là del luogo comune, è uno dei mestieri più antichi del mondo. Nulla da obiettare. La prostituta vende qualcosa che è indiscutibilmente di sua proprietà, e chiede giustamente il corrispettivo della merce noleggiata e del servizio prestato. Così come un operaio vende le sue braccia e vuole giustamente perciò essere retribuito. Così come il cliente spesso non si atteggia a guerriero, altrettanto spesso la prostituta non è una zoccola (men che meno una pantegana).Il problema nasce quando la prostituta e la zoccola (e qui chiedo scusa alle innocenti e bistrattate pantegane) convivono nella stessa persona. Allora l’uomo che si finge guerriero per allietare il suo riposo, ben sapendo di essere uno dei tanti delegati a ricordarci che non siamo noi a distinguerci dagli altri animali per il raziocinio, ma gli altri animali a distinguersi da noi per il diritto all’alibi del ridottissimo raziocinio… ebbene, quest’uomo va preso a pedate; a prescindere.Poichè, per me, il problema sta tutto qua: incontrare una di queste prostitute-zoccole e doverla chiamare “onorevole”. Le avesse soltanto pagate e buonanotte, affari suoi. Ma non tollero che possano diventare anche affari miei.
    E non c’è, per me, fine ed erudita e fondatissima disquisizione giuridica (reato) o morale (peccato) che tenga. E lo ammetto, sono partigiano della mia stessa ira.
  9. assunta 19 gennaio 2011 a 23:26 Sarà chiaro a lei come a chiunque la confutabilità di ogni tesi. Ma – sarà la stanchezza personale oltre che storica e concettuale – non intendo confutare alcunché, perché  se devo dirla tutta a me che Berlusconi organizzi festini secondo il format Drive in, Porta a Porta o Annozero non importa nulla, come non m’importa chi si sia portato o intenda portarsi a letto. Noto tuttavia due grandi anomalie in questa arringa-valanga: la prima è la totale assenza del concetto di dovere di tutti di sottostare e rispondere alla legge; la seconda (non in ordine d’importanza) è che la morale sembra essere che il lercio sia scusabile se sommerso, ammantato da un chador nazionalpopolare.Mi creda non ne faccio una questione morale, ché i moralismi non servono a niente e a nessuno tantomeno ad un’opposizione rozza e incapace di controbattere sul fronte politico tanto da leccare le briciole a luci rosse. Ne faccio però una questione di pudore. E chi ne conosce ancora il significato sa bene che esso investe la sfera dell’intimo e del personale. Non m’importa che il premier di questo Paese stampi il suo sorriso voglioso sulle gote di generose e procaci fanciulle sedute sui suoi ginocchi. Io, sono fortunata: ho termini di paragone dal contenuto umano e culturale elevato. Penso – come contrappunto e meglio di ogni tentativo di sterile confutazione – a certi uomini della mia vita: a mio nonno Domenico, a zi’ Custantin, al preside del liceo, a zio Matteo. Penso a loro e ringrazio la vita per avere avuto esempi di onestà, decoro, pudore, rispetto. 
    Spero che le minorenni di oggi abbiano anche loro questa opportunità e non si lascino convincere che sono solo carne fresca e appetitosa che, comunque, prima o poi sarà violabile dalla maggiore età.   
  10. rita orlando 19 gennaio 2011 a 23:23 Avevo aggiunto qualche parola sulla totale mancanza di riflessione da parte del Sig. Levante della pessima rappresentazione della donna da parte del nano sia nelle sie tv che nel suo privato…mi è stato dato un messaggio di errore…ci riprovo. Rita orlando
  11. rita orlando 19 gennaio 2011 a 23:19 Aggiungo una postilla a quanto già scritto: ma il Sig Levante ha per caso riflettuto per un attimo alla rappresentazione della donna che ne ha sempre dato già nelle sue tv ed ora ancor di più nei suoi “momenti rilassanti” il “drago” di Arcore…nel suo scritto non ce n’è neppure un minimo cenno…direi che forse è arrivata l’ora di cominciare a considerarla! Rita Orlando
  12. rita orlando 19 gennaio 2011 a 22:59 Dopo aver letto con attenzione il dotto scritto del Sig.Levante, aver valutato con la dovuta imparzialità le tesi da lui sostenute, non posso fare a me di sospettare e di arricciare il naso in merito a quello che lui sostiene…come si può ancora stare dalla parte del peggior bugiardo e del più grande imbroglione che la storia repubblicana ricordi…non so chi sia il direttore di questa rivista, se per caso fosse la stessa persona che ha scritto questo “editoriale”, bene La pregherei di comunicarmelo…mi cancellerò da questa rivista che non riceve denaro pubblico ma qualcuno lo sovvenzionerà…chissà chi?

Info

A questo articolo, riportato dal sito citato, ne seguirà un secondo di risposta ai gentili lettori, anch’esso scritto allora e tornato di attualità, ma, a differenza del primo, finora non pubblicato.

Foto

Le immagini sono della trasmissione televisiva “Drive in” di Mediaset che si ringrazia, come si ringraziano i titolari dei siti web da cui le abbiamo tratte per inserirle nel testo a mero scopo illustrativo senza alcun intento economico o pubbliicitario, pronti ad eliminare quelle di cui non fosse gradita la pubblicazione su semplice richiesta.

Il caso Ruby, dopo l’assoluzione

di Romano Maria Levante

Ecco il secondo articolo sul “caso Ruby” che ripubblichiamo di nuovo nel giorno dei funerali di Stato e del lutto nazionale per la scomparsa di Silvio Berlusconi, al fine di contrastare – con elementi di fatto e le conseguenti interpretazioni – le infamanti accuse sul piano morale che anche in questo momento supremo vengono perpetrate dopo il vergognoso accanimento investigativo e giudiziario finito nel nulla con l’assoluzione ma che è costato tanto a lui e anche al Paese. E’ un contributo di verità dovuto alla sua memoria.

In occasione dell’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo “Ruby ter” , come preannunciato nell’introduzione all’articolo del gennaio 2011 all’apertura del “Caso Ruby” ripubblicato ieri, facciamo seguire il nostro secondo articolo del 2014, pubblicato allorchè ci fu la sentenza di assoluzione dal reato di prostituzione minorile e concussione, nel quale si risponde anche alle note critiche rispetto alle considerazioni espresse nel primo articolo. Si può rivivere così il clima di allora in un momento che sul piano economico, politico e sociale è molto diverso, ben altre sono le preoccupazioni degli italiani. Ma sembra utile fare tesoro di una vicenda che ha segnato il nostro paese perchè ha toccato aspetti molto delicati, dall’azione della magistratura alla moralità pubblica e privata..

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Un’immagine, come le tre seguenti, della trasmissione televisiva “Drive in”

Da www.arteculkturaoggi.com, 10 settembre 2014

Questa nota – siamo nel settembre 2014 – è stata scritta dopo i commenti piovuti sul mio articolo del 21 gennaio 2011 in “cultura.inabruzzo.it relativo al “caso Ruby” poco dopo che scoppiò,  ai quali intendevo rispondere, poi non ritenni di tornarci sopra. Parlo in prima persona, mentre nei miei servizi uso il noi per coinvolgere  lettori e sito nelle visite alle mostre e negli eventi culturali che commento, perché le mie precisazioni sono a titolo strettamente personale.

Ho tenuto la nota nel cassetto ma ora ritengo di pubblicarla con questa premessa  perché  la sua validità  resta, anzi è accresciuta dalle circostanze, in particolare dall’assoluzione in appello con formula piena sia per la prostituzione minorile che per la concussione, il tutto dopo la condanna a 7 anni di reclusione in primo grado.

Una sola aggiunta nel merito mi sento di fare, dopo aver letto per l’ennesima volta – l’ultima nell’articolo del direttore di “Repubblica” Ezio Mauro a commento della sentenza – che la prova logica incontrovertibile della concussione era l’imprescindibile esigenza che aveva Berlusconi  di far rilasciare immediatamente  Ruby perché se avesse pernottato in questura avrebbe potuto rivelare i “bunga bunga” con lui. Ma come non ci si accorge che le telefonate a mezzanotte dalla Francia dove era impegnato in vertici internazionali, quelle sì rivelavano  stretti contatti della ragazza con tale alto personaggio, dai contenuti tutti da scoprire, altrimenti impensabili. Tra questa certezza e il dubbio che lei “parlasse” è più  forte la prima anche perché, se avesse parlato di stretti contatti col Presidente del Consiglio non sarebbe stata creduta. Questa è la prova logica semmai dell’inesistenza della volontà di copertura nell’intervento telefonico notturno, e quindi dell’assenza dell’elemento soggettivo della concussione, e non può servire , quindi, a ribaltare la sentenza di appello, anzi ne rafforza le conclusioni. Anche la sua singolarità resta, ma la spiegazione va trovata nell’impulsività del personaggio, agli antipodi del “politically correct”, e non solo in questo caso.  

Ed ora,  il “come eravamo” di tre anni fa nel testo allora preparato per la pubblicazione non vvenuta.

Il caso Ruby. Una risposta 

Il “caso Ruby”  ha scosso gli animi  e può portare a un benefico esame di coscienza sul’etica pubblica e privata. Prima di ritornarci, mi siano consentite alcune notazioni di costume, sulle reazioni al mio scritto.

La cultura contro il degrado dei valori

Non replico ai legittimi commenti critici di alcuni lettori, ma non posso far passare senza una mia messa a punto  certi toni  sopra le righe nei quali è compreso un giudizio morale.

Ebbene, ho denunciato il venir meno della Rai al suo dovere di promuovere la cultura – al quale la Corte Costituzionale lega la legittimità del canone – per appiattirsi sulla peggiore televisione commerciale, dove certo valori risultano degradati; e l’accenno che ho fatto al “cast” di Sanremo voleva evocare qual è  il “drive” televisivo, la stessa “scuderia” di starlette, le stesse “veline” e “letterine”, epigone delle “ragazze fast food” di “Drive in”.  Non ho avuto nessun commento, nessuna partecipazione, nessun aiuto alla piccola crociata che ho ritenuto di fare in difesa della cultura.

Lo stesso è avvenuto con gli articoli sullo scandalo dei contributi a giornali e giornaletti politici e non, anche fantasma, ignorando del tutto quelli culturali, sebbene con l’informazione e l’approfondimento non solo svolgono un servizio prezioso alla crescita civile del Paese, ma contribuiscono anche ai ritorni economici su cui le autorità culturali fanno leva come risorsa preziosa da valorizzare essendo venuta meno la competitività in molti dei settori produttivi tradizionali. Anche qui nessun commento, e non ne è venuto nessuno neppure nel secondo articolo pubblicato dopo quello sul “caso Ruby”; che assorbe evidentemente tutte le capacità di indignarsi dei cortesi lettori.

Come i politici non dovrebbero mai prendersela con gli elettori così i giornalisti non debbono farlo con i lettori che hanno sempre ragione. E il pregio della rivista “on line” è che possono manifestare la propria opinione, come hanno fatto meritoriamente per il caso Ruby. Resta al giornalista il diritto di replica non per contrastare le libere opinioni che gli vengono contrapposte ma per spiegare meglio le proprie.

E allora dico che non mi riconosco in una certa immagine che mi verrebbe data di compiacenza con quel mondo. Ma non perché mi impanco ad elevare giudizi morali, non ne ho l’autorità e neppure la vocazione; il mio giudizio sulle inammissibili inadempienze della Rai a proposito della cultura  – che purtroppo stanno bene a tutti coloro che si sono indignati invece per il “caso Ruby” – non nasce da un giudizio morale su certa “Isola dei famosi” e quant’altro ma sul fatto che sono “obbligato” come tutti al pagamento del canone che ne alimenta il degrado al livello della Tv commerciale la quale invece usa il “voyerismo” deteriore per sostentarsi, vedi “Grande Fratello”, che, peraltro, è una delle trasmissioni più viste. Ma lo è stata anche “Vieni via con me”  di Fazio e Saviano per non citare la lettura di Benigni dell’ultimo canto del  Paradiso, un pieno di ascolti. Significa che non è colpa del pubblico il degrado della Tv pubblica ma di chi la gestisce.

Non ho bisogno di prendere le distanze da certi ambienti e non mi riconosco nelle allusioni di alcuni cortesi commentatori, il gossip non è nelle mie corde, e lo si può vedere su questo sito e sugli  altri, da cultura.inabruzzo. it a www. antika.it a http://www.fotografarefacile.it/.  E’ difficile assoggettarmi a ricevere lezioni quando, anche per spirito autenticamente liberale, non intendo darne ad alcuno, a parte mio figlio che ha tutto il diritto di non ascoltarle.  Relativismo morale? No, rispetto dei ruoli, e il mio è quello di cronista che, nello spirito di Montanelli, guarda senza pregiudizio e racconta ciò che ha visto, cercando di capire trasmettendo poi ciò che ha acquisito.

E ho trovato quella che potrebbe essere una spiegazione di accadimenti lontani mille miglia dalla nostra comprensione. Perché  nessuno di noi per “rilassarsi”  armerebbe un “ambaradan” di quella natura, con i “nani” e le “ballerine” che sembrano fare a gara nelle espressioni da trivio, e il protagonista che viene fatto passare come pervertito se non malato di mente come si è fatto passare per frodatore fiscale e tanto altro.

Ho citato “Drive in” come chiave di volta di tutto questo perché era la sua creatura prediletta, un “Mosè salvato dalle acque” – spero che l’irriverente associazione non mi scateni contro una valanga di proteste –  perché il numero zero destinato alla distruzione con il programma abortito prima di nascere fu da lui imposto e per di più in prima serata. Chi di noi penserebbe a far rivivere l’atmosfera, scollacciato quanto più si può, di una trasmissione già di per sé trasgressiva? Nessuno, certo non chi scrive che oltre le mostre d’arte e i grandi eventi culturali è solito dar conto di ben altre atmosfere, come quelle che si respirano nelle giornate al Tempio di Adriano che la Fondazione Roma Museo dedica ai “Ritratti di Poesia”,  o quelle, a livello familiare, nei simposi annuali in casa Iacovoni a Forca di Valle, con due relazioni colte su un tema del ‘900 da parte di due commensali; o ancora gli appuntamenti con la poesia di “Rai Notte”  che, fino a quando Gabriele La Porta ne è stato direttore, vedevano un gruppo di appassionati riunirsi in ore antelucane in letture poetiche: nessun commento “postato” dei lettori, a parte alcuni partecipanti.

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“Il bene non fa notizia” si intitolava  l’ultimo articolo di Aldo Moro su “Il Giorno”, quindi comprendiamo la mancanza di reazioni positive in questi casi. Ma possiamo rivendicare come da parte nostra invece di denunce moralistiche ci sia stato qualche tentativo di reagire in modo attivo all’andazzo corrente denunciando soprattutto la deriva del servizio pubblico in quanto è obbligatorio pagarlo, quindi vederlo: mi sono impegnato per la cultura con i soli mezzi di cui dispongo, la parola scritta,  e questo attraverso l’approfondimento costante, direi spasmodico, dei temi e delle mostre d’arte senza alcun ritorno o vantaggio personale. Come non lo ha chi è titolare dei siti mobilitato con le proprie risorse personali, lottando contro la colpevole discriminazione della cultura rispetto alla  politica, che esclude dai generosi contributi  pubblici le riviste culturali; per l’autore e il direttore un generoso volontariato culturale.

Dal “Drive in” di Arcore alla mobilitazione su Ruby

Ma torniamo alle “cene” di Arcore, rispetto alle quali, ripeto, mi sono posto nella posizione di cronista che, dinanzi a notizie così eclatanti, cerca di capire. E ho avuto l’associazione di idee con il “Drive in”, tutto qui. E’ l’unica spiegazione? Certamente no, ci sono quelle più degradanti sotto gli occhi di tutti, la mia non l’ho vista né sentita per quello che ho potuto riscontrare nello tsunami sul tema, quindi ho creduto bene uscire dalla “total immersion” culturale per farne partecipi i lettori. E sono lieto che abbiano risposto.

Hanno trovato che manca un mio giudizio morale su tutto questo? Non è nelle mie corde di cronista, ho detto, né penso che abbia la benché minima rilevanza il giudizio singolo, influenzato dalle condizioni ed esperienze personali. Non sono un “tycoon” televisivo e non posso mettermi nei suoi panni, però non mi è sembrata peregrina l’ipotesi prospettata: per capire, non per giustificare che non sta a me fare o meno.  Il livello morale è suscettibile certamente di giudizi personali, ma non interessano, tanto meno quelli del cronista. Altri ne hanno l’autorità, in particolare la Chiesa che sia attraverso il Pontefice che attraverso i cardinali preposti, dopo “Avvenire”, ha fatto sentire la sua voce sul degrado nell’intera società al quale le istituzioni pubbliche dovrebbero reagire invece di lasciarsi andare sullo stesso piano inclinato. E questo richiamo va ascoltato, stando attenti a non cadere nella morale di Stato dando via libera ai fondamentalisti.

Il giudizio morale dei singoli diventa rilevante quando si traduce in fenomeno collettivo, nella perdita di fiducia in una leadership che è venuta meno alle aspettative. Ma questo non si manifesta attraverso i “crucifige”  a cui abbiamo assistito, molti dei quali interessati per motivi politici, l’occasione per abbattere il “caimano” era troppo ghiotta, dopo che aveva evitato le tante altre trappole, fino a incorrere nella condanna per frode fiscale, discutibile per tanti versi tra cui la doppia assoluzione della Cassazione per analoga fattispecie e la dichiarazione pro-veritate a suo favore. Anche ad alcuni discutibili interventi legislativi si può  trovare una spiegazione non nella cronaca ma nella storia: al “voi suonerete le vostre trombe”  ha  risposto il “noi suoneremo le nostre campane”, alla stonatura delle prime il frastuono delle seconde, laddove sarebbe stato preferibile alla cacofonia durata troppo a lungo l’approccio alla Franco Coppi, l’avvocato difensore, risultato ora vincente, della difesa “nel” processo e non quello perdente “dal” processo.

Dicevo che la riprovazione sul piano collettivo si manifesta altrimenti che nei violenti attacchi giornalistici e televisivi necessariamente di parte. La strada maestra sono le elezioni: che però i più aspri censori non chiedono, anzi continuano a voler evitare ad ogni costo. Allora abbiamo intanto i sondaggi  che misurano i movimenti dell’opinione pubblica. Piepoli, uno dei più accreditati, ha detto che i giudizi su Berlusconi sono come “pietrificati”, nessun mutamento indotto dal “caso Ruby”; comprensione della diversa dimensione in cui si pone lo straricco “tycoon” televisivo mentre la colpa viene data alla sua squallida “corte dei miracoli” da un lato, relativismo morale diffuso o senso di appartenenza politica dall’altro, la situazione è questa.

Allora il discorso torna all’aspetto giudiziario del quale, lo ripetiamo, colpisce lo spiegamento di mezzi sproporzionati rispetto alla qualificazione giuridica del reato attribuito all’indagato. Se tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, lo sono anche di fronte alla  giustizia, e la Corte Costituzionale giustamente ha respinto le norme “ad personam” volte a creare dei privilegi, dopo l’abolizione dell’immunità parlamentare prevista dai Costituenti, come eccezione all’articolo 3, per impedire un incontrollata “persecuzione” da parte dei giudici contro gli eletti dal popolo. Poi se n’è abusato e dopo Tangentopoli è stato soppresso, ripristinarlo sarebbe stato la strada maestra, magari trovando un meccanismo per impedirne l’abuso. Ma il comportamento dei giudici nel “caso Ruby” è stato così eclatante da evocare il “fumus persecutionis”.

Per quale cittadino normale si sarebbero mobilitati tre magistrati, cento-centocinquanta agenti dell’ordine per le perquisizioni, centocinquanta mila intercettazioni in un anno fino a riempire tra le 600  o  le 900 pagine secondo le notizie ballerine, di cui 389 trasmesse in Parlamento e così divenute di pubblico dominio? E questo con il grave discredito internazionale che viene giustamente lamentato, ma da chi provocato?  Abbiamo citato nell’articolo i  5 milioni di processi penali pendenti e i 200 mila l’anno che vanno in prescrizione, come l’elevatissima percentuale di quelli non puniti, per furti negli appartamenti e di autoveicoli in barba all’obbligatorietà dell’azione penale non ci sono neppure indagini elementari. E allora? Ripetiamo che la maggiore attenzione al Presidente del Consiglio e  al politico non spetta ai giudici che devono considerarlo un cittadino come tutti, e non come un pericoloso delinquente da controllare.

Era necessario allegare 389 pagine “piccanti” non per la richiesta di autorizzazione a procedere, che non c’è più, ma per la semplice richiesta di perquisire un ufficio dove, ad autorizzazione eventualmente accordata, è presumibile che non vi sarebbe più nulla di compromettente, anche se ci fosse stato in origine? Era necessario farlo quando tale perquisizione veniva ritenuta ininfluente sulla decisione già presa del giudizio immediato, che i pubblici ministeri chiedono, e hanno chiesto, quando si ritiene di avere prove sufficienti?

La stessa avocazione a Milano della competenza per i “delitti” compiuti ad Arcore nella competenza di Monza, in quanto assorbita dal reato più grave di “concussione”, sa di lana caprina  per cui si riaffaccia il “fumus persecutionis”, essendo il giudice naturale la garanzia costituzionale perché questo non accada.

Non sembra che con la mobilitazione di mezzi in un anno di indagini alla James Bond assolutamente sproporzionata al reato ascritto e con il causidico spaccare il capello in quattro tra “in qualità” e “nelle funzioni” di Presidente del Consiglio, nonché con l’allegato di 389 pagine di intercettazioni  a gogò divenute discredito internazionale  i magistrati milanesi abbiamo fatto di tutto per accreditare il sospetto del “fumus persecutionis” tanto più che segue la miriade di perquisizioni e procedimenti contro la stessa persona?

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Ma sembra altrettanto che la “corte dei miracoli” intorno al Presidente, nell’organizzargli in privato  i “Drive in” scollacciati che già nella trasmissione erano alquanto osè, abbia fatto di tutto per esporlo alla più facile delle crocifissioni, quella dell’indegnità morale. Non dimentichiamo che Nixon nello scandalo Watergate fu costretto a dimettersi non tanto per la tentata copertura del reato compiuto dal suo partito e non da lui con lo spionaggio nella sede del partito democratico in previsione delle elezioni; ma per il discredito che gli venne dalle registrazioni che faceva fare lui stesso di tutte le conversazioni avvenute nello studio ovale con i suoi consiglieri, non per la sostanza delle cose dette ma per il turpiloquio segno di bassezza morale. Si pensa che questo possa avvenire anche da noi, per il turpiloquio non del Presidente ma delle miserabili protagoniste degli spettacoli che la “corte dei miracoli” gli preparava e che lui, lo si deve anche dire, a torto accettava di buon grado se non promuoveva; ma anche qui non sono un “tycoon”  riccone, e tutt’al più ne posso criticare la colpevole accondiscendenza.  

Anche su questo il giudizio politico va agli elettori, come quello sulla legittimità sotto il profilo penale ai magistrati; purché non mostrino, come avvenuto in questo caso, un’ingenuità di segno opposto, un accanimento “ad personam” che evoca il “fumus persecutionis”  che i padri costituenti ritennero idoneo a  far scattare addirittura l’immunità.

Se era la sensazione avuta dinanzi all’inchiesta, la requisitoria dei PM nel duplice processo “Ruby”- quello contro Berlusconi e quello contro il trio Fede-Minetti-Mora – ne ha dato conferma eclatante; per le sette ore sette della Bocassini tutte impregnate di moralismo degno di miglior causa, per le immagini di Sangermano, che ha parlato addirittura di “assaggiatori”  suscitando voyerismi anch’essi del tutto fuori luogo.

Accanimento su Ruby, altro che protezione di minorenne!

Ma c’è un aspetto particolare che mi ha colpito e sul quale intendo richiamare l’attenzione dei cortesi lettori, anche perché nessuno ne ha parlato: attiene ai due reati di cui è accusato il “tycoon” leader politico: la concussione per avere interferito sulle procedure di tutela dei minori e lo sfruttamento della minore per aver compensato prestazioni sessuali.

Abbiamo sollevato nell’articolo precedente qualche dubbio di sostanza sulla necessità di uno scudo protettivo come quello in discussione nella serata alla questura milanese su una minore come Ruby, vicina al 18° anno, in un’età che nel suo paese non è minorile, tanto che la madre si era sposata a 11 anni, a parte che tutto è sembrata fuorché ingenua e indifesa anche se, come tante, può essere stata bisognosa di aiuto. Ma  non discutiamo, la minorenne viene giustamente protetta anche oscurandone l’immagine, la foto del viso fino al fatidico giorno del 18° anno è stata mascherata. Se questo è stato il lodevole intento, perché appena compiuti gli anni si è operato all’opposto, dandole la patente di prostituta che lei, a torto o a ragione,  ha rifiutato con forza, come l’eventuale “utilizzatore” finale?

Ha respinto l’accusa, ha detto di non essere stata toccata neanche con un  dito, e si è sorbita le sarcastiche battute di Travaglio, “ma con la mano sì”, e per fortuna non si è spinto oltre, lui che è solitamente duro nella polemica e graffiante, ma mantiene un suo rigore e stile. E dopo la deposizione avanti ai giudici in udienza pubblica l’atteggiamento verso di lei non è migliorato, le si vuol dare per forza la “patente” che lei respinge,  e per questo andrebbe rispettata.

Non è uno stupro collettivo quello a cui Ruby viene sottoposta, con la spasmodica ricerca dei magistrati attraverso centinaia di migliaia di intercettazioni, prima, prove testimoniali poi, delle parole che dimostrino come abbia fatto sesso a pagamento, quindi si sia prostituita? La presentazione in Tv del notes di una di quelle dove c’è scritto “Ruby troia”.  non è uno stupro su chi non è più minorenne ma è stata “marchiata” dalla giustizia che doveva proteggerla appena superato il Rubicone dei 18 anni?  A quel momento se non si voleva continuare la protezione almeno non andava trasformata in caccia all’uomo, anzi alla donna, o se si vuole alla prostituta.

Gli alti lai sulla dignità femminile sfregiata dove sono finiti? Si vuole dare la patente di prostituta ad una ragazza fino a poco tempo fa minorenne, a dispetto del fatto che lei la respinga, senza alcun riguardo per la donna. E non è anche questo un motivo che fa pensare al “fumus persecutionis” antoberlusconiano? Non solo di certa magistratura ma anche di chi, come qualche lettore, si indigna sull’altare della dignità della donna. E cos’è Ruby, la sua dignità è più calpestata dall’avere accettato dei regali da chi comunque nega di averci fatto sesso come lo nega lei, oppure da coloro che la mettono in croce sul sesso a pagamento che deve essere dimostrato ad ogni costo, ne va dell’esito della crociata antiberlusconiana?  Che fa venire meno anche il rispetto per la terza età con le espressioni sferzanti sul vecchio al quale “la badante cambia i pannoloni”  e sempre ad opera del pur finissimo Travaglio;  come se non si offendessero così gli altri della stessa età che sono la maggioranza del paese in cui la crisi di natalità fa invecchiare la popolazione.

Un antiberlusconismo al quale si vuole arruolare anche la Chiesa da parte dei più incalliti mangiapreti che respingono ogni altro suo messaggio, a parte questo. Ebbene, si risponda ora sulla sincerità della tutela della minorenne, e sul fatto se non è stata messa alla berlina proprio con la pressione violenta per dimostrarne la prostituzione minorile che lei ha il diritto comunque di respingere con forza.

Chi è che sta perpetrando il “macchiamento del suo nome”? Per citare l’espressione che lei avrebbe usata, secondo le accuse, per ottenere “utilità” smisurate – addirittura quantificate in 4 milioni di euro – da chi potrebbe rovinare ammettendo, in modo veritiero o meno, ciò che i giudici vogliono sentirsi dire. E non è questo un dare,  pur se inconsapevolmente,  un’arma di ricatto potentissima, quasi sperando che venga usata?

Tanti dovrebbero fare l’esame di coscienza, in ogni modo ognuno potrebbe almeno provare a dare una risposta al di fuori di ogni ideologia o prevenzione. Noi abbiamo provato a darla ragionando in piena libertà di coscienza e serenità di giudizio.

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Info

Il nostro articolo al quale ci riferiamo, e al quale rinviamo come necessaria premessa alla presente nota, anche in relazione ai commenti on line che ha suscitato, è stato pubblicato in “cultura.inabruzzo.it”, con il titolo “Il caso  Ruby”, e ripubblicato con una breve introduzione, in questo sito, il 18 luglio 2014, alla vigilia della sentenza di appello. 

Foto

Le immagini sono della trasmissione televisiva “Drive in” di Mediaset che si ringrazia, come si ringraziano i titolari dei siti web da cui le abbiamo tratte per inserirle nel testo a mero scopo illustrativo senza alcun intento economico o pubbliicitario, pronti ad eliminare quelle di cui non fosse gradita la pubblicazione su semplice richiesta.

“Sul mare”, il film di D’Alatri: a Ventotene un’emozione “senza fine…”

di Romano Maria Levante

da cultura.inabruzzo.it – 24 luglio 2010

La scomparsa del regista Alessandro D’Alatri annunciata ieri, all’età di 68 anni, mi ha fatto ripensare alla magica serata a Ventotene nel luglio 2010 quando vidi il suo film “Sul mare”, che aveva ultimato da poco e presentava insieme all’autrice del libro cui si era ispirato ai presenti nell’isola in cui era ambientato. Mi trovavo a Ventotene raggiunta sulla barca del caro amico Ciro Soria per l’annuale Palio sul mare di Sant’Anna della vicina Ischia come nel 2009. Al viaggio del 2009 dedicai un articolo ripubblicato il 21 aprile scorso per il Trigesimo della scomparsa dell’amico Ciro, che ha preceduto di un mese e mezzo quella del regista che associo al suo ricordo; del resto a Ciro piaceva essere sempre, qunado poteva, “sul mare”, al timone della sua barca, di nome “Luna”. Non ho mai recensito film, nè questa è un’eccezione, non è una critica cinematografica ma il racconto di una serata così emozionante che l’articolo lo scrissi alle 2 di notte tornato in barca, subito dopo la fine della proiezione all’una. Del resto, anche per D’Alatri è stato qualcosa di speciale, non solo per la sede dove aveva girato il film, ma perchè il film veniva da sei anni di assenza dal cinema e, possiamo dirlo ora, fu seguito da altri sette anni di assenza. Ed ebbe per quel film nel 2010 il premio “Alabarda d’oro”!

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Il regista Alessandro D’Alatri e il manifesto del suo film “Sul mare”

Isola di Ventotene, è la calda serata di venerdì 23 luglio 2010, la piazzetta affacciata sul porticciolo brulica di locali e villeggianti. Sarà proiettato un film girato nell’isola, pensiamo ad uno dei soliti documentari, ma ci incuriosisce la presentazione con il regista, l’attore protagonista e l’autrice del libro dal quale è stata tratta la storia. “Sul mare” il titolo del film, quanto di più adatto per una serata come questa. Immaginiamo qualcosa di molto leggero, promozionale e al più vacanziero.

Ci troviamo qui quasi per caso, uno scalo, per così dire, nell’avvicinamento ad Ischia dove ci attende la “Festa a mare agli scogli di Sant’Anna”, alla quale il 18 agosto 2009 dedicammo un ampio servizio su http://www.abruzzocultura.it/.: raccontammo il viaggio nella barca “Luna” dell’amico Ciro Soria e la manifestazione, con le dichiarazioni strappate a volo a Lina Sastri e Giampiero Mughini, in tribuna tra i Vip.

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Lo abbiamo fatto anche quest’anno, siamo tornati invitati di nuovo da Ciro sulla sua barca, e abbiamo visto la novità, “sirena” della festa sul mare è la bella italiana Paola Saluzzi. Il resoconto della gara dei carri nel Palio marinaro 2010 ha preceduto questo del film, è stato pubblicato il 3 agosto scorso sulla presente rivista.

Ma Ventotene non può considerarsi uno scalo, ci fermiamo tre giorni, per poi tornarci, nell’isola del vento dai nobili ascendenti romani come testimoniano i resti a Punta Eolo di Villa Giulia, della figlia di Cesare, l’acquedotto e l’antichissimo porto, nonché i ruderi degli insediamenti millenari e i reperti soprattutto marini del piccolo ma rappresentativo “Museo archeologico”; oltre alla vicina isola di Santo Stefano con l’antico penitenzirio . A tutti questi luoghiu abbiamo dedicato un articolo. Per di più abbiamo la fortuna di partecipare ad un evento cinematografico inatteso che ricorderemo a lungo.

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La presentazione da parte dei protagonisti: “Sul mare”

La presentazione è sobria e stimolante, parla anche l’assessora comunale alla cultura, poche parole brillanti, senza la pedanteria dell’ufficialità; il conduttore è di qualità, riesce a creare l’atmosfera giusta con tono sommesso, nulla di quanto propinano in queste circostanze gli imbonitori di turno. Sentiamo la sincerità nelle parole del regista Alessandro D’Alatri, non è esordiente, al suo attivo i noti “Casomai” e “Commediasexi” ma per lui – lo ha detto esplicitamente – è stato “un nuovo inizio, un rimettersi in gioco” stimolato dal romanzo “In bilico sul mare” (edizioni e/o, Roma 2009) di Anna Pavignano, la bionda scrittrice che dal palco ne racconta la genesi.

Un film girato con pochi mezzi ma con tanta passione: una macchina da presa digitale da ottomila euro, senza gruppi elettrogeni né luci artificiali, le riprese sono avvenute in diretta in due mesi nei quali l’isola con il suo mare è diventata una seconda pelle, in una simbiosi creativa con la popolazione che ha assecondato il lavoro della troupe. La stessa Pavignano, che ha scritto la riduzione e sceneggiatura a quattro mani con il regista, ha rivelato che alla prima visione del film non ha pensato che era la sua storia e la sua sceneggiatura ma è stata presa dal modo con cui il regista è riuscito a trasfigurarla rendendone la profondità di contenuti e l’intensità di accenti.

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Ha colpito in modo particolare il protagonista, Dario Castiglio, un giovane che studia da attore e non ha mancato la grande occasione, il regista lo ha scelto, l’isola lo ha adottato e nel ritornarci per la prima volta si commuove al punto da incontrare difficoltà ad andare avanti nel saluto. E’ giusto che sulle sue parole sincere si chiuda la presentazione e scenda il buio in una platea all’aperto affollatissima. Rimasta tale fino alla fine, all’una di notte che anche d’estate è sempre un’ora tarda. La stanchezza e il sonno non si avvertivano, la platea nel piazzale sopra la baia ha applaudito con calore il film “Sul mare”, presa dall’emozione di una storia intensa in uno scenario incomparabile.

L’isola, il cuore di una storia di solitudine

Si spengono le luci, è calata la notte, si ripete la magia del cinema mai dimenticata nonostante l’overdose di film in televisione, la partecipazione personale e insieme collettiva ha un suo fascino tutto speciale. Dopo il marchio storico della Warner Bros si è subito proiettati nell’isola vista dal motoscafo che si avvicina sempre più veloce, divorando le onde e insieme i nomi che si susseguono rapidi. Così irrompe quello che possiamo definire il cuore della storia, l’isola accompagna il protagonista con la sua logica e le sue regole inesorabili, potrebbe avere qualunque altro nome o essere l’isola senza nome, ma non l’“isola che non c’è”.

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Perché l’isola c’è con la sua storia passata e il suo presente che non la dimentica, la libreria “Ultima spiaggia” nella piazza principale espone in bella mostra il “Manifesto di Ventotene” di Altiero Spinelli con Ernesto Rossi, ma non solo: una vera “isola” libraria accoglie all’ingresso con una sorta di “opera omnia” degli illustri confinati e imprigionati a Santo Stefano – da Spinelli a Pertini, da Amendola a Di Vittorio-– più molti libri sul lungo confino fascista che fu di ben 16 anni per Spinelli e sul carcere, del quale troviamo, appena uscito datato luglio 2010, il libro di Luigi Settembrini “L’ergastolo di Santo Stefano” edito dalla stessa “Ultima spiaggia” che nel 2009 ha pubblicato “Memorie di un ex terrorista” di Giuseppe Mariani, l’anarchico rinchiuso nel carcere; c’è un grosso libro anche su Gaetano Bresci, l’uccisore di Umberto I, recluso e poi “suicidato”.

E’ un modo encomiabile di trasmettere la storia locale che è anche nazionale e rendere onore alle privazioni subite mantenendone la memoria attraverso gli scritti. Lo fa anche un piccolo monumento con sbarre simboliche di una reclusione della libertà di pensiero non annullata dal fascismo dato che – si legge nella lapide – “cospirativamente autogovernandosi condussero la loro vita di sacrificio e di studio preparandosi alla lotta per un’Italia rinnovata nella libertà” e produssero il “Manifesto” ricordato dal regista D’Alatri con le parole: “Qui a Ventotene è nata l’Europa”. E’ rievocato anche il confino nell’isola del sindacalista Giuseppe Di Vittorio.

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Nella piazzetta adiacente, il monumento alle vittime dell’affondamento da parte inglese nel luglio ’43 nelle acque di Ventotene del postale Santa Lucia che collegava Napoli alle isole: 61 civili sacrificati nella convulsa fase finale del regime e della guerra dove si confondono buoni e cattivi.

La vicina isola di Santo Stefano è dominata dal penitenziario chiuso da tempo dove fu imprigionato Sandro Pertini: il grande edificio a ferro di cavallo con l’ora d’aria tra le alte mura del cortile intercluso e le finestre delle celle poste in alto in modo che i reclusi non potessero vedere il mare; chissà se l’umanizzazione odierna ammetterebbe una simile privazione, anche se vedere il mare sarebbe stato un supplizio di Tantalo, ci riferiamo a tutti gli ergastolani non solo ai “politici”.

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Da “Sapore di mare” di Vanzina a “Sul mare” di D’Alatri

A queste associazioni di idee alla fine della proiezione se ne sovrapporrà un’altra: a Ventotene è nato una modo più meditato di raccontare il mare e i giovani, la vacanza e il lavoro; non lo ha detto il regista che ha citato la nascita dell’Europa, lo diciamo noi catturati dalla storia e dai personaggi. Soltanto al termine abbiamo fatto delle comparazioni, la tensione che percorre il film non lascia spazio ad altri pensieri. Riaccese le luci sono tornate alla mente le immagini dei film di Vanzina, i celebri “Sapore di mare”: anche lì il mare, anche lì i giovani, anche lì gli amori estivi com’erano allora. Anche lì c’è tutto. O niente?

Ci sembrava tutto quando li vedemmo, ci sembra niente ripensandoci ora alla luce – nell’autentico significato del termine – del film di D’Alatri. O almeno niente di quello che c’è in profondità, nel conscio e nell’inconscio sotto la superficie patinata del sole e del mare in una prospettiva speciale. Vanzina puntava la macchina da presa sulla superficie patinata, D’Alatri la fa penetrare nei recessi più nascosti, con un’operazione di grande maestria, partendo proprio da quella superficie.

Tutto il film è percorso dalle immagini di Ventotene, ma non come segno di liberazione, bensì come prigione dorata che intrappola il giovane isolano in una condizione di privilegio e discriminazione insieme. Un confinato anche lui che ne gode fino a quando non ne diventa consapevole; mantiene la libertà di Spinelli nel concepire il “Manifesto di Ventotene” ma lo sconta nell’urto impietoso con la realtà.

Sul mare” va visto e rivisto, e l’uscita in settembre del Dvd ci fa pregustare una “moviola” nel 52 pollici del televisore domestico; anche se il fascino della visione collettiva nell’affollata piazzetta di Ventotene aperta sulla baia ci resterà impresso. Mai lo avevamo pensato per i pur godibili “Sapore di mare” sebbene fossero rivolti alla nostra generazione che ci si rispecchiava perfettamente.

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Forse perché questa era l’“isola che non c’è” mentre D’Alatri ce la fa toccare con mano facendoci calare come degli speleologi negli anfratti dell’inconscio che diventa coscienza e autocoscienza. Ci viene da definirlo l’anti Vanzina non come contrapposizione ma come l’altra faccia dell’estate e dei giovani, come Ventotene è altro rispetto a Rimini e alla Versiglia; D’Alatri ha fatto scoprire l’altra faccia della luna, che si aggiunge a quella nota e non la sostituisce né tanto meno la nega, però reca in sé il valore aggiunto e il fascino inedito e suggestivo che hanno le grandi scoperte.

La duplicità isolana

Dunque, la duplicità isolana: privilegio e discriminazione , comunicazione e isolamento. Si comunica con un turismo senza confini, nell’appuntamento stagionale di sempre quando nascono e si disfano amori passeggeri, in una tela di Penelope che può ricevere strappi profondi, e quando una tela si lacera definitivamente può essere impossibile il rammendo dell’intero tessuto.

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Mentre si comunica, nello stesso tempo si è isolati nella condizione isolana dove il turismo da strumento di apertura può diventare anche forma di sottile discriminazione: caratteristica di ogni località vacanziera, sfiorata anche nei film di Vanzina, che qui si somma al complesso tipico dell’isolamento, rotto soltanto dall’arrivo degli aliscafi e degli altri traghetti dalla terraferma.

L’invocazione canora che ci torna in mente, “per quest’anno/ non cambiare/ stessa spiaggia/ stesso mare”, dava il segno della ricerca di una precaria continuità nell’effimero, il film ne è la visione poetica con le improvvise ricomparse alternate alle altrettanto inattese sparizioni; in più una sorprendente aggiunta su cui meditare, lo sguardo sul “dopo”, il “lato invernale” del materasso.

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Così il protagonista definisce il suo “fuori stagione”, la prosecuzione annuale della breve “stagione” nell’isola. E qui con pochi tratti di rara intensità, quando si rompe l’isolamento con il lavoro invernale nei cantieri edili del continente, ci si imbatte in altre più drammatiche forme di isolamento, il lavoro nero e l’immigrazione di colore che possono arrivare fino alla tragedia.

Come è nata e si sviluppa la storia

E’ arduo inserire questi temi così duri nel clima vacanziero, pur se esplorato in profondità, ma il regista c’è riuscito con leggerezza unita a intensità. Parte del merito va alla scrittrice Pavignano autrice del romanzo e coautrice di riduzione e sceneggiatura con il regista al quale vanno la magia delle immagini e l’azione scenica, il ritmo narrativo e le sequenze cinematografiche.

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Nella presentazione, anzi, l’autrice ha detto che la sua idea iniziale era scrivere un libro sulle “morti bianche”, e lo ha ambientato a Ventotene dopo un casuale giro dell’isola sulla barca di un giovane locale con il lavoro invernale in nero nei cantieri della terraferma dove allignano gli infortuni sul lavoro anche mortali in un’edilizia spesso di rapina senza le prescritte misure di sicurezza.

Il canovaccio è stato offerto dalla realtà, è bastato riempirlo dei particolari narrativi con la fantasia: come nella commedia dell’arte, aggiungiamo noi, con la differenza che qui aveva tra le mani un personaggio vero, in una storia esemplare e peculiare. E’ nato in questo modo Salvatore, e come in “Centochiodi” di Ermanno Olmi l’intenso viso del protagonista contornato dalla barba alla Nazzareno era una metafora religiosa, così qui dietro quel nome forse c’è qualcosa di simile: “sul mare” e poi ancora di più “dentro” il mare dove il bianco riconquista il suo vero valore simbolico.

Ne parleremo al termine pur senza rivelare la trama del film, come hanno fatto saggiamente nella presentazione, evitiamo chi lo fa al punto da interrompere la lettura delle recensioni quando entrano nella trama. Qui il compito è facilitato: più che una trama di vicende intrecciate è una trama dell’anima che viene allo scoperto, e di questo ci piace parlare.

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Il giovane protagonista Salvatore-Dario Castiglio

E’ tutto nella freschezza giovanile e nella spontaneità del protagonista, sembra preso dalla realtà, non diciamo dalla strada, dovremmo dire dal mare tanto è calato in esso nel corpo e nello spirito. Mentre studia da attore e si ritrova protagonista: un sogno che si avvera, e lo dice espressamente nell’emozione per il ritorno all’isola che lo ha adottato e lanciato in questa bella interpretazione.

L’anima è racchiusa in un corpo da esposizione, tale è nella scena in cui Salvatore viene fotografato disteso come la “Maya” di Goya alla guisa di un’attrazione isolana per le turiste, una sorta di turismo sessuale alla rovescia con i ragazzi barcaioli locali nelle vesti di prede. “Preferisco lui che ha il tendalino più grosso”, dice una di loro con fare allusivo; mentre due si fanno spargere la crema sulla schiena insieme (“hai due mani, non è vero?”), ed è solo l’inizio, poi dissolvenza; una posizione privilegiata da scontare amaramente allorché la prospettiva cambia e si ricerca l’amore.

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La calamita della bellezza, della natura e della persona è l’ingrediente costante della storia nella quale emerge l’altra bellezza: quella di un’anima imprigionata nel cliché vacanziero e nella morsa invernale mentre cerca la propria libertà fino all’epilogo. Del quale diciamo solo che sorprenderà per le vette espressive raggiunte con una semplicità unita ad una notevole profondità di ispirazione.

Vi abbiamo trovato il senso di liberazione del finale di “Papillon”, ci siamo permessi di dirlo al regista al quale è piaciuta la nostra associazione di idee, non ci aveva pensato ma la condivide. E non ci riferiamo al “maledetti bastardi, sono ancora vivo!”, che in questi giorni leggiamo come didascalia ad una copertina con il volto di Roberto Saviano, bensì al mare liberatorio con le sue acque profonde, in un lavacro dell’anima, quasi una Resurrezione. E se viene dopo la caduta nell’abisso fa pensare al binomio inscindibile della Cristianità: la Crocifissione e la Resurrezione.

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Le abbiamo sentite evocate entrambe nel film, che si snoda tra i due estremi sui quali si dividono cattolici e protestanti: i cattolici sottolineano il primo aspetto, con il sacrificio e la morte, i secondi l’altro aspetto, con la resurrezione e la vita, ne avevamo parlato nella mattinata con il compagno di barca Aldo Visco, di religione valdese. Con questa associazione di idee non vogliamo portare fuori strada, il film è quanto mai terreno, l’ambiente è un “set” per il corpo prima che una palestra per l’anima: il corpo preso dalle occasioni d’amore e di evasione, l’anima stretta nel groviglio di contraddizioni.

Colonizzazione virtuale da spirito nordista

In questo quadro esistenziale fa capolinea certa disinvoltura “nordista” da colonizzazione virtuale, nei comportamenti del principale personaggio dopo il protagonista, Martina, intensa e non solo vacanziera, sincera e reticente al tempo stesso, essa pure stretta dal viluppo socio-antropologico.

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La reazione a chi le ha mancato di rispetto, nella sua violenza – “lo hai quasi ammazzato!” – esprime qualcosa di più di un normale rifiuto e del sacrosanto diritto a voler scegliere; torna tranquilla solo quando l’altro isolano che la rintraccia, il nostro Salvatore, resta al suo posto di barcaiolo, sarà lei a portarlo alla sua altezza di turista in cerca di emozioni, a prendere l’iniziativa pur se non è la solita cacciatrice vacanziera ma ha un animo sensibile alla gentilezza e al rispetto che prevale sul resto.

Poi nella vicenda sarà la potenza maieutica dell’isola a far esplodere le contraddizioni, a rendere il “non ti dimenticherò…” una rivelazione bruciante peggiore di un abbandono, la conferma di ciò che il segreto svelato dal telefonino spiato faceva percepire; ma occorreva l’interpretazione autentica a quel “anche se non…” lasciato in sospeso. E la sospensione di parole porta a quella dell’anima.

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Una eco, sempre nelle nostre libere associazioni di idee, di “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, tematiche diversissime ma un Nord e un Sud in comune, lì la barca dell’agiatezza, qui l’“Erasmus” dell’istruzione, e un’isola anch’essa in comune pur se diversamente raggiunta e raggiungibile. Lì l’isolamento assoluto anche fisico che avvicina fino all’annullamento delle differenze, qui l’isolamento relativo che accosta anch’esso ma mantiene le distanze di fondo.

Sono i due volti dell’isolamento, del corpo e dell’anima, che convergono nel rivelare complessità interiori in ambedue i versanti di una reciproca sincerità che allontana allorché vorrebbe avvicinare. Nulla di vacanziero bensì di profondamente umano. Che va poi ad intrecciarsi con il “fuori stagione” dandogli una piega inattesa sullo sfondo dell’altra discriminazione che sul lavoro impatta i drammatici problemi dell’integrazione e dello sfruttamento sul lavoro fino allea “morti bianche”.

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Leggerezza e diapason nell’epilogo ispirato

Anche qui la leggerezza del regista e dell’autrice raggiunge livelli da sottolineare, quando il protagonista si chiede perché il “lavoro nero” deve dar luogo alle “morti bianche”, un ossimoro, e cerca un colore più adatto per definirle scartando ad uno ad uno i colori principali finché resta un innocuo “morti marroncine”. Leggerezza che nel finale tocca il diapason dell’ispirazione superiore.

Cosa dire ancora se non confessare che questo nostro scritto non va considerato una critica cinematografica voluta? Non vuole esserlo perché è stato uno sfogo dell’anima, scritto la sera stessa della proiezione, alle due di notte, nella barca “sul mare”: sullo stesso mare di Ventotene, senza altra sollecitazione che la spinta interiore. E’ vero che il cronista è sempre in servizio, ma nella circostanza non c’era altro motivo, è stata la carica emotiva “sul mare”, in quanto mare dell’anima.

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Attendiamo il Dvd, ripetiamo, per centellinarlo alla moviola, anche considerando le bellezze dell’isola solo sfiorate che vanno riscoperte. Intanto possiamo dire che quando vorremo lasciarci cullare da una musica “sul mare” non ci risuonerà nelle orecchie e nell’anima il “sapore di sale”, la sigla dei film di Vanzina della nostra generazione, ma “senza fine” che chiude il film di D’Alatri.

Entrambi hanno posto come sigla un Gino Paoli diverso nell’intensità e nel colore. In “Senza fine” il poeta della canzone dà il tocco finale a un film che solo un poeta del cinema poteva concepire: perché tale riteniamo vada considerato il regista Alessandro D’Alatri dopo il film “Sul mare”.

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Alessandro D’Alatri con il premio “Alabarda d’oro” per “Sul mare”

Photo

Sono state inserite nuove immagini in questa ripubblicazione, essendo andate perdute quelle originali nel passaggio dal sito iniziale chiuso a quello attuale. Sono intervallate immagini del film “Sul mare” e immagini di Ventotene dove l’azione si svolge, tratte dai siti web di cui si ringraziano i titolari. Si precisa che l’inserimento delle immagini è a puro titolo illustrativo senza alcun intento economico, commerciale o pubblicitario, e qualora non fosse gradita la pubblicazione di alcune di esse saranno eliminate prontamente su semplice segnalazione. I siti da cui sono state tratte le immagini verranno presto indicati nell’ordine di inserimento.

Ciro Soria, 40° di matrimonio con il sostegno a Ibby

di Romano Maria Levante

cultura.inabruzzo.it – 19 luglio 2010 – Postato in: Culturalia, Letteratura

Facciamo seguito ai due articoli pubblicati nei due giorni scorsi, 21 e 22 aprile 2023 per ripubblicare un terzo articolo nel Trigesimo della scomparsa di Ciro Soria, l’amico da un quarto di secolo che se n’è andato il 21marzo. Il primo dei due articoli contiene il nostro saluto prima del funerale e l’orazione funebre dell’amico Aldo Visco Giraldi al termine della funzione religiosa; il secondo articolo rievoca il viaggio sulla sua barca “Luna” di uomo di mare appassionato per Ischia alla festa di Sant’Anna del 2009 con il Palio del mare e i Carri di Tespi, scene di vita e di navigazione. L’articolo di oggi è sulla festa del 40° di matrimonio nel 2010 e illumina su uno dei suoi pregi, la generosità, qui manifestata nell’appoggio concreto all’attività benefica dell’associazione internazionale dove è impegnata la figlia Deborah e della quale descriviamo l’impegno meritorio. Al termine dell’articolo c’è il commento che Ciro “postò” allora, come sempre generoso, lo ringraziamo oggi, certi che lo ripeterà da Lassù. Si conclude così il nostro triduo celebrativo nel Trigesimo, con il saluto memore e commosso che rinnoviamo: Ciao, Ciro, amico carissimo, buona navigazione lassù, nell’alto dei cieli!

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Non sappiamo quanti conoscano l’Ibby, e non la confondano con un’organizzazione che vende apparecchi per la casa con il “network marketing”. A quelli che sanno di cosa si occupa questa meritoria associazione vale la pena rinfrescare la memoria; ai tanti altri, quasi tutti, che non ne hanno mai sentito parlare è bene dare la notizia della sua attività, e una rivista culturale come la nostra è orgogliosa di farlo rivolgendo un appello perché la si sostenga.

Per il nostro 40° anniversario di matrimonio vorremmo invitare tutti i nostri amici a festeggiare con noi”, così l’inizio dell’invito in un elegante corsivo, accompagnato da una piantina sulla località nei pressi di Nettuno, vicino al campo dei paracadutisti, dove si sarebbe svolta la serata conviviale di sabato 19 giugno 2010.

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Ma quello che ha suscitato subito una forte curiosità, oltre alla festa dei coniugi amici, Ciro Soria e Dilys, è stato il seguito dell’invito: “Per favore niente regali! Apprezzeremmo molto al posto di un regalo una piccola donazione all’Ibby (International Board on Books for Young People”), della quale nostra figlia Deborah è rappresentante per l’Italia. La donazione andrà a sostegno dei loro progetti per fornire libri ai bambini di paesi sconvolti da guerre e altre catastrofi quali Haiti, Afghanistan, Colombia. Alla festa saranno disponibili ulteriori informazioni sull’Ibby e se volete potrete dare il vostro contributo direttamente durante la serata o tramite il conto corrente bancario Iban: II 46 Q 01030 02400 00000 4685 463 Ibby Italia. Grazie mille”.

L’uomo che morde il cane

Ci vuol poco a capire come sia scattato l’interesse giornalistico. In un “mondo di ladri”, come ama cantare Antonello Venditti, dove spiccano le appropriazioni indebite di denaro pubblico e privato a fini esclusivamente personali, nelle forme più fantasiose e invereconde come lo sono le destinazioni, questa sì che è una notizia! E’ l“uomo che morde il cane”, il “sogno all’incontrario”, direbbe Paolo Rossi, il graffiante cabarettista non il campione calcistico della Coppa del mondo vinta dall’Italia che abbiamo rievocato nel nostro recente “Rebus dell’estate 1982”.

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Si rinuncia a ricevere omaggi personali all’altezza della ricca serata conviviale, un vero pranzo di nozze in un locale all’aperto accogliente, con il cantante e tutte le delizie fino alla torta conclusiva, brindisi e hip hip urrah alla marinara, per dirottare i tanti pensieri e riconoscimenti, provenienti dalla platea dei sessanta amici distribuiti in cinque tavoli da dodici, all’Ibby Italia, organizzazione che opera nel sociale troppo spesso depredato e qui invece aiutato da questa generosa iniziativa.

Da giornalisti culturali attenti anche al sociale ci andiamo a nozze, è il caso di dire, tanto più che intendiamo sottrarci alla consuetudine fin troppo diffusa secondo cui “il bene non fa notizia”, lo abbiamo detto altre volte citando l’ultimo articolo di Aldo Moro su “Il Giorno” poco prima del tragico sequestro. Qui la notizia c’è eccome, e va data tanto più in quanto riguarda il “bene”, nella speranza che altri seguano l’esempio.

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Lo facemmo anche per la serata culturale di un compagno di scuola teramano, Fabrizio Iacovoni, già primario cardiologo, che riunisce parenti e amici ogni anno a novembre a Forca di Valle accompagnando la serata conviviale con un incontro nel quale vengono illustrati e discussi dei temi: nel 2009 ci furono il Futurismo e Benedetto Croce, per quest’anno è stata già preannunciata la tragica odissea degli Armeni. Lì è la cultura a dominare, qui è un sociale nella cultura di respiro internazionale, una bella accoppiata le due serate che proponiamo come esemplari per tutti. Perciò questa attuale merita non solo la citazione, ma anche un servizio come fu per quella ora ricordata.

Facciamo conoscenza dell’Ibby

Si entra nel mondo dell’Ibby scorrendo il materiale disponibile a lato della cassetta dove gli invitati inseriscono le buste come si fa ai matrimoni americani, anche se senza i fregi in uso oltre oceano.

Più che “un” mondo è “il” mondo, l’International Board for Young People opera in settanta nazioni, è una rete volta alla promozione della lettura infantile nei paesi nei quali maggiore è il disagio e l’arretratezza oppure colpiti da sciagure e calamità.

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Esiste da oltre cinquant’anni, è nata a Zurigo nel 1953, pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, come reazione della cultura ai suoi orrori. Ricordiamo con piacere l’ideatrice, la giornalista Jella Lepman che fa dimenticare l’infelice assonanza italica del nome rendendo onore alla categoria: ha saputo guardare negli occhi spauriti dei ragazzi tedeschi dove si rispecchiavano ancora gli orrori della guerra e capire che occorreva dare loro altre immagini positive per farli aprire alla vita che riprendeva; e come poterlo fare se non con quanto rappresentato dai libri?

Ricordiamo una suggestiva lettura di Alessandro Baricco che evocava come i più bei tramonti e le albe meravigliose, i panorami e i paesaggi, le scene di vita fossero contenuti nelle descrizioni dei libri come in magiche scatolette che si aprivano per magia rivelando le bellezze contenute. Tale dovette essere l’effetto sugli occhi dei bambini tedeschi che avevano visto solo morte e rovine.

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L’origine come reazione agli orrori della guerra fa capire come attraverso la diffusione di libri per ragazzi in paesi dove hanno difficoltà a penetrare si persegue anche una maggiore comprensione internazionale, senza scomodare il valore supremo della pace che pure è un traguardo. Con diffusione non si intende distribuzione di materiale librario qualsiasi, ma di libri di qualità; e non ci si limita a distribuire quelli esistenti resi disponibili ma si promuove la pubblicazione di nuovi e all’altezza; e si promuovono ricerca e lavori scientifici nella letteratura per l’infanzia e i ragazzi.

Oltre al “pesce” si fornisce anche la “canna per pescare”: trattandosi per lo più di paesi in via di sviluppo si pone l’annoso problema dell’assistenza e della formazione, che viene fornita per mobilitare le energie locali e far sì che non abbiano sempre bisogno di tali supporti esterni.

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Come opera l’organizzazione? Svolge un’attività concreta di promozione anche di letture e non solo di libri; organizza convegni internazionali per promuovere ricerca, formazione, e diffusione di libri di qualità, rende pubblica una “Honour List” per evidenziare le eccellenze fino all’assegnazione dell’“H.C. Andersen Award”, ritenuto il Nobel dei libri per ragazzi, l’Oscar dell’immaginazione.

E’ così vasta da riprodurre le più diverse situazioni nazionali: dai paesi dove alfabetizzazione e libri sono a buoni livelli, ai paesi dove il lavoro organizzativo è allo stato pionieristico. Non solo, ma non occorre che vi sia una sezione nazionale per attivarsi secondo la sua missione e i suoi obiettivi, è ammessa anche l’adesione individuale all’organizzazione; anche perché esistono altri livelli oltre quello nazionale, ci sono le aree regionali e l’intera rete internazionale a cui fare riferimento.

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La sezione italiana dell’Ibby.

Siamo andati molto lontano, torniamo in Italia: come in tutte le sezioni nazionali ne fanno parte le più diverse categorie, dagli autori agli editori, dagli illustratori ai traduttori, dagli insegnanti delle scuole primarie e secondarie a quelli dell’università, dagli operatori sociali ai giornalisti, dagli studenti ai genitori; in quanto rientranti in tali categorie ne fanno parte le associazioni di editori e librai, biblioteche e Fiera del libro. Ma chiunque, in pratica, può rivestire una delle qualifiche coinvolte, se non come attività professionale o qualità personale almeno come interesse al tema al quale è impossibile restare indifferenti: si tratta del libro e della lettura, formazione e cultura riferiti ai fanciulli.

Non serve scomodare la Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo ratificata dall’Onu venti anni fa, nel 1990; anche se va sottolineato che l’Ibby ha un ruolo, riconosciuto dall’Unesco e dall’Unicef, che si può definire di “avvocato di libri per bambini”, nel senso della produzione e diffusione per una loro formazione qualificata e l’accesso alla cultura.

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Conosciamo bene quali sono i problemi che si incontrano nel nostro paese riguardo alla diffusione della lettura: ne abbiamo parlato sulla rivista a proposito del rilancio del Centro per il Libro e la Lettura affidato al grande manager dell’editoria Gian Arturo Ferrari, illustrandone il programma e le principali iniziative; come abbiamo parlato degli ulteriori problemi che crea la diffusione presso le categorie diversamente abili con problemi di accesso alla lettura a seguito del convegno organizzato dal direttore generale Maurizio Fallace della direzione dl MiBAC competente in materia, con particolare riguardo al diritto d’autore.

Il tema dei disabili sta particolarmente a cuore all’Ibby, per l’Italia è stato tradotto il catalogo “Outstanding Books for Young People with Disabilities 2007”, con le più varie forme di accesso in modo da consentirne la fruizione a tutti.

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Un’operatrice dell’Ibby nella sua meritoria attività educativa

Rinviamo a tali servizi degli ultimi mesi, qui ci concentriamo sull’attività e sui programmi dell’Ibby per il nostro paese. Ebbene, oltre al prevalente significato umanitario e solidaristico c’è quello più direttamente culturale collegato con la promozione dei nostri autori all’estero, che serve a segnare anche l’identità nazionale italiana. A questo mira la proposta dell’Ibby Italia di un albo che riesca a descriverla al meglio, avanzata alla mostra bibliografica di “picture books” a Parigi, e anche la segnalazione al Festival di Berlino e al Festival in Corea di alcuni tra i maggiori autori italiani per la fascia di età tra l’infanzia e l’adolescenza, anche ai fini della loro traduzione.

Alla qualità mira l’attività dell’Ibby, con una diffusione di livello qualitativo sicuro, non mediocre, ed è un compito fondamentale per far emergere opere che uniscano qualità intrinseche letterarie ed estetiche all’adattamento alla psicologia infantile, all’immaginazione. Questa selezione serve anche all’interno, e deve essere seguita dalla promozione, difficile per la scarsa attenzione della stampa italiana ai libri per bambini, a parte l’interesse nelle feste natalizie come libri strenna o in particolari eventi, ma difficilmente a seguito di un’impostazione sistematica lungimirante e moderna.

Deborah Soria, in una intervista sull’attività dell’Ibby

Nella modernità bisogna tener conto anche dello spazio sconfinato del web che Emy Beseghi, Presidente dell’Ibby Italia., ha così definito in una recente intervista sul sito www.ibby.org: “Internet, per usare una metafora fiabesca, può presentarsi come una sorta di foresta multimediale dove perdersi… nel bosco dei mille link”. Di questo rapporto, che “ha alzato la posta in gioco con risposte originali e controcorrente” tratta il libro di Marigliano, “Immaginare l’infanzia”.

Il presidente Beseghi ha accennato anche al futuro: “Puntiamo su un progetto di ampio respiro. E cioè di farci portavoce e promotori, nel dialogo con le istituzioni governative, di una lista di libri eccellenti. Insomma di un strumento prezioso di orientamento e di conoscenza nel mare magnum della produzione editoriale per ragazzi come già fatto in Europa, in particolare in Francia e in Inghilterra. Si tratta di un programma per salvare ‘la qualità’ del libro per bambini sempre più sommerso dalla commercializzazione.” L’espressione “mare magnum”, aggiungiamo per inciso, ci richiama il sito di una straordinaria miniera romana di libri anche rari raggiungibile on-line.

Ibby Camp a Lampedusa, Deborah Soria la seconda da sin.

Dai paradossi italiani all’appello finale

Potevano mancare i paradossi tipici della realtà italiana? Certamente no, e non li omettiamo.

Il primo è che il maggiore problema non è una presunta scarsa notorietà dei nostri autori all’estero: “I migliori sono stati tradotti (dalla Pitzorno alla Silvani alla De Mari eccetera). E molti passi si stanno facendo. L’assurdo – denuncia chiaramente Emy Beseghi – è proprio il contrario. Innocenti, conosciuto in tutto il mondo, è arrivato in Italia con un grave, incomprensibile, imbarazzante ritardo. Lo stesso vale per Beatrice Alemagna, che si è affermata prima in Francia poi in Italia”. Chi conosceva da noi il cognome di Beatrice prima dei successi francesi se non per il famoso panettone? E chi quello di Innocenti se non per l’intervistatrice di “Anno Zero” a fianco di Santoro, prima autocandidatasi con coraggio ma nell’indifferenza dei media alla segreteria giovanile del PD?

Eppure Roberto Innocenti è addirittura il vincitore dell’“H.C. Andersen Award”, che abbiano citato come Nobel della letteratura per l’infanzia, Oscar dell’immaginazione infantile, il culmine.

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L’Ibby a Lampedusa, le operatrici si preparano

Torniamo ora alla festa conviviale dei 40 anni di nozze, che ci ha aperto il mondo dell’Ibby, dipanatasi tra le portate nei grandi piatti assortiti delle “Grugnole” e le musiche del bravo cantante al quale si è aggiunta la voce sorprendente di un’invitata speciale che l’anfitrione ci ha fatto trovare vicina di posto alla cena: è Giulietta Cavallo, conosciuta lo scorso Natale alla mostra dei presepi di San Carlo al Corso a Roma. Nel servizio sulla mostra parlammo della sua arte di Maestro del presepe siciliano, qui dobbiamo parlare della sua arte canora, non solo nel siciliano “Sciuri, sciuri…”, ma nel personalissimo “Uomo in frack”, fino ai classici napoletani interpretati con sobria maestria e raffinate quanto originali modulazioni vocali da Dicitencello vuje” a “O surdato nnammurato”.

Non è mancato il ballo della mattonella aperto dagli sposi raggianti Dilys e Ciro – Nino per determinati parenti e amici – e divenuto subito corale, e le melodie ci hanno fatto dimenticare per un po’ la traccia su cui lo spirito giornalistico ci aveva portato. Ma non potevamo andare via senza cercare di parlare con l’indaffarata Deborah Soria, la figlia degli “sposi”, riferimento per l’Ibby Italia del cui Consiglio direttivo fa parte.

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L’Ibby a Lampedusa, in piena attività con i piccoli migranti

Sono bastate poche parole, ci ha raccontato quando nel settembre 2008 accompagnò Roberto Innocenti a Copenaghen, per l’Award, la felicità nel vederlo sommerso dai festeggiamenti all’estero di persone commosse, vere fan che lo conoscevano bene; poi la delusione del rientro in Italia nel deserto dell’indifferenza e dell’anonimato. Eppure l’alto riconoscimento a Innocenti veniva dopo 40 anni quello a Gianni Rodari e senza l’ombra di favoritismi, non c’erano italiani nella giuria. Nel ricevere il premio ricordò questo isolamento dal suo paese in aggiunta a quello dell’impegno artistico: “Il mio è un mestiere solitario, quasi monastico – disse – Per molte ore al giorno, quando lavoro, mi faccio domande, proposte, ipotesi e mi rispondo da solo, ottenendo fra i molti dubbi, piccole certezze”. Ma dopo il tormento l’estasi di aprire il mondo agli occhi dei lettori.

La ciliegina sulla torta – dopo quella degli “sposi” con brindisi e confetti – è stata la notizia che Deborah ci ha dato: mentre all’estero le varie Ibby nazionali godono di contributi pubblici, in Italia neppure un euro, è un’organizzazione non governativa che vive di volontariato e contributi dei soli soci privati. Per questo invitiamo a unire idealmente ma concretamente la propria “busta” a quella degli invitati alla festa con un contributo che può essere trasmesso all’Iban bancario indicato all’inizio, oppure con l’iscrizione che richiede una modesta quota annuale. Partecipando così a un’opera meritevole si darebbe uno schiaffo morale alla latitanza delle risposte pubbliche alle iniziative per la cultura. Latitanza scandalosa dinanzi all’invereconda dispersione di risorse da parte della “casta” che privilegia i giornali e giornaletti, politici e più o meno fantasmi, gettando al vento contributi miliardari per centinaia di milioni di euro che potrebbero avere ben diversa destinazione.

L’Ibby a Lampedusa, un lato della struttura con le parole di Nelson Mandela

Ne abbiamo pubblicato per la terza volta la lista in occasione della recente manifestazione di Piazza Navona contro i tagli alla cultura e agli organismi culturali decretati dalla manovra economica a senso unico. Invece di ripubblicarla una quarta volta invitiamo i lettori a consultarla tenendo a mente i nomi dei giornali. Adriano Celentano ha scritto del grande potere nelle mani del pubblico dinanzi ai soprusi cui deve ribellarsi, questo è uno dei più odiosi: “fare lo sciopero del video”, diceva, qui è il caso dello “sciopero della lettura”: non leggere quei giornali che in modo inverecondo sottraggono risorse alla cultura incamerandole senza merito. Ce ne sono altri più degni, così capiranno: purtroppo resteranno in vita con i contributi ma almeno avranno una bella lezione.

Eppoi, il risparmio della rinuncia al loro acquisto si potrà impiegare nel sostegno dell’Ibby, per la promozione della lettura dei “young people” soprattutto nei paesi disagiati; e nella diffusione .dei nostri più validi narratori. Si potranno rinverdire i fasti del Gianni Rodari che tutti abbiamo amato. Intanto c’è Roberto Innocenti, il campione del mondo degli Awards. Può essere solo l’inizio.

Photo

Le immagini delle festa sono state perdute nel trasferimento dal sito originario, chiuso da anni, al sito attuale. Nel presenbte articolo sono state inserite immagini recentissime della Ibby, cui è dedicata la maggior parte del testo, tratte dal sito dell’Associazione, che si ringrazia; in chiusura una foto di Ciro Soria, sorpreso in un momento di relax

Ciro, sostenitore di Ibby dove “milita” la figlia Deborah .

Tag: Ibby

1 Commento

  1. Ciro Soria

Postato luglio 21, 2010 alle 10:04 AM

SEI VERAMENTE BRAVO ANZI BRAVISSIMO

Ischia, festa di Sant’Anna, il Palio dei Carri di Tespi 2009

di Romano Maria Levante

cultura.inabruzzo.ir, 18 agosto 2009 Autore: Romano Maria Levante Tradizioni

Oggi, nell’indomani della pubblicazione del ricordo di Ciro Soria, anico carissimo e “uomo di mare” che ci ha lasciato un mese fa, ripubblichiamo la cronaca del viaggio indimenticabile del 2009 sulla sua imbarcazione “Luna” , meta l’annuale festa di Sant’Anna con il Palio dei Carri di Tespi sul mare di Ischia. Un viaggio il cui ricordo è ancora vivo per le qualità di Ciro il capitano, squisito nella sua ospitalità,, la bellezza della traversata e la manifestazione suggestiva vissuta molto da vicino; dell'”equipaggio” di due amici faceva parte Aldo Visco che ha tenuto l’orazione funebre al funerale nella chiesa di Santa Maria Regina Pacis. Lo rievochiamo in omaggio al carissimo Ciro con emozione mista ad autentica commozione sublimata nel segno della festa da lui sempre prediletta.

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Ciro, il “capitano”, sale sulla sua “Luna” per il viaggio verso Ischia

Sotto il Castello Aragonese la 77ema Festa a mare agli scogli di Sant’Anna

Tra le tante Giornate “dedicate” di questi ultimi mesi – dalla Musica popolare a quella senza aggettivi, dalle diversità culturali alla cultura ebraica, dalle tante tematiche artistiche a quelle socio-economiche – ci mancava una giornata vissuta anche dall’interno e non solo come attenti cronisti. Un assaggio è stata la giornata della pastorizia, nell’annuale Fiera sulla montagna teramana della Laga, con un tempo da tregenda tra acquazzoni rovinosi e squarci di sole. Abbiamo voluto viverne un’altra, questa volta sul mare, la festa di Sant’Anna nell’isola d’Ischia; e viverla dall’interno per noi ha significato raggiungerla in barca a vela, per coglierne interamente lo spirito marino.

Partenza da Nettuno

Non si tratta di una semplice festa per un santo patrono, ma della Festa a mare agli scogli di Sant’Anna, che culmina nel palio marino di barche allegoriche e si conclude con l’esplosione di fuochi d’artificio fino all’“incendio” del Castello Aragonese, lo splendido maniero in cima all’isoletta-promontorio che domina lo specchio d’acqua nel quale si svolge la manifestazione.

Ve la raccontiamo tutta, compresa la navigazione su un bialbero di dodici metri dal nome “Luna”, insieme a tre esperti navigatori, Ciro il “comandante” con la moglie inglese Dilys a dare il tocco internazionale, e due amici ben assortiti, Aldo e Beppe, il cui imbarazzante cognome di Grillo dà il tocco dell’imprevedibilità e della fantasia, benché sia un “vice-comandante” metodico e riflessivo.

Il promontorio del Monte Circeo

La navigazione da Nettuno a Ischia

Partenza da Nettuno a motore perché il mare è “forza quattro” e sarebbe più lungo bordeggiare di bolina con il vento contrario. Però viene issata anche una vela, rende la barca più stabile; la velocità è minima, quasi da jogging, sembra di andare sulle montagne russe. Si resiste al mal di mare, basta non scendere sottocoperta e mettere sotto i denti una galletta ai primi fastidi. D’altra parte, se si va in mare non dispiace sentirlo accanirsi sui fianchi dell’imbarcazione mentre la prua fende le onde tagliandole come una spada. E’ bello spostarsi nella parte anteriore, non si ha dinanzi la sagoma delle sartie con l’imponente albero maestro, pur nelle dimensioni contenute di un tredici metri; sembra di essere su una canoa, e allora non si sente più lo scuotimento dei cavalloni, prevale la lama che penetra nel burro dell’acqua marina.

Ponza

Il sole non si sente affatto, la brezza neutralizza il calore ma non la forza dei suoi raggi. Ovviamente abbiamo dimenticato la crema solare protezione 30 che avevamo acquistato con inutile preveggenza, Aldo sopperisce con la sua, però è a protezione 4, ma è meglio di niente. Fa comunque il suo dovere, a sera non dobbiamo cospargerci di limone per rinfrescare le scottature, anche perché al momento opportuno una provvidenziale maglietta ha aiutato la crema solare.

Il Monte Circeo si staglia tra mare e cielo, sembra un’isola, per noi è familiare, non pensiamo affatto ad Ulisse e alla Maga Circe. Però una spontanea associazione di idee da appassionati dannunziani ci fa ripensare alla crociera che il Poeta fece sul veliero “Fantasia” di Edoardo Scarfoglio, “dalle immense vele”, per sbarcare in Grecia e raggiungere il Pireo a cavallo. Non abbiamo “immense vele” né c’è l’immaginifico, e noi cinque non somigliamo neppure al cenacolo dannunziano di Francavilla a mare, non ci sono artisti. Però come il “porfiriogenito” innamorato del mare al punto di immaginarsi nato su una barca dalle vele color porpora, si interrogava poeticamente “perché non sono anch’io coi miei pastori?”, chi scrive ha portato sull’imbarcazione il cappellino bianco con la figurina verde della pecora nella visiera della Fiera della pastorizia. Un modo per sentire riunite la testa di Camoscio e la coda di Sirena che sono il sigillo d’Abruzzo, “la regione verde d’Europa” che ora richiama anche le acque marine oltre ai boschi secolari.

Palmarola

La prima tappa è l’isola di Ponza, ed ecco comparire Palmarola alla sua destra, poi anche Zannone a sinistra. Ponza sta al centro, dall’avvistamento all’attracco il tempo è lunghissimo, non passa mai, i contorni dell’isola sono sempre più definiti finché entriamo nella cala Feola. La natura vulcanica è evidente nelle coste scoscese di pomice e altro materiale lavico. Si squaderna dinanzi a noi un fondale di villette arrampicate sulla collina a picco sul mare, ma senza eccessivi addensamenti, sono raggruppate in piccole strisce edificate, in orizzontale e in verticale, poi tanto verde. Sembrano le note di un pentagramma quando cala la notte e si accendono le luci.

La cena sottocoperta nel piccolo cabinato è un’esperienza da vivere. Nella tavola imbandita spicca un casuale tricolore, il verde dei peperoni arrosto, il bianco della bufala campana, il rosso dei pomidoro, sembra che il vano ristretto si allarghi e diventi un salone. Sarà l’appetito o le traveggole dopo una giornata di mare mosso?

Zannone

Presto l’ambiente si trasforma in un dormitorio ben organizzato, due camere doppie a prua e a poppa, una al centro più due letti a castello. Ci sono otto posti, noi siamo cinque, la cortesia del comandante Ciro mi assegna l’intera cabina di prua, la “suite imperiale” dice. Non sa di farmi un regalo maggiore di quello che pensa, perché c’è un lucernario dal quale si vede il cielo. Anche questa volta chi scrive pensa in grande, l’associazione di idee è addirittura con il viaggio di Darwin intorno al mondo, quando dalla sua cuccetta, in realtà un’amaca sospesa sopra al tavolo del vano soggiorno dell’imbarcazione, ammirava il cielo notturno dal lucernario. Certo l’alloggio qui è migliore, una piccola cabina, ma non si può sperare di vedere la Croce del Sud. Neppure il cielo trapunto di .stelle di Pietracamela – il pensiero torna ancora alla montagna – qui è lattiginoso con una timida falce di luna. Per immaginare le stelle basta socchiudere gli occhi e guardare le luci delle abitazioni inerpicate sulla costa e quelle in cima agli alberi delle barche nella rada. Dipende dal “cappello delle isole”, la cappa di umidità genera una foschia attraverso la quale le stelle si intravedono sbiadite.

Sosta notturna della “Luna”

Risveglio all’alba, partenza di buon’ora dopo la ricca colazione a base di un’ottima marmellata portata da Beppe, è di sua produzione. La foschia si è stesa sul mare, l’orizzonte non “s’imporpora”, il mare traslucido come l’argento assorbe i raggi del sole sempre più luminosi. Costeggiamo l’isoletta Gavia, ieri era un puntino ora sembra grandissima, per l’effetto della prospettiva sul mare si moltiplica. Nessun’isola all’orizzonte, non ci sono più i riferimenti visivi di ieri, ma il Gps oltre all’esperienza del comandante Ciro non crea problemi. Lo si vede anche quando il motore si arresta all’improvviso. Nella bonaccia in cui ci troviamo oggi, al contrario di ieri, si riaffacciano i fantasmi dei romanzi di navigazione con il veliero bloccato per giorni interi. E la nostra meta? Nessun timore, basta spurgare l’aria dal condotto del gasolio, si elimina la bolla e la navigazione riprende; pensiamo che purtroppo non è così facile per gli esseri umani colpiti dall’embolia.

Ventotene

Scacciamo il pensiero fastidioso, senza un alito di vento il mare è una tavola che però si muove trasversalmente, un’onda lunga parallela alla rotta, ma il leggero moto ondulatorio è ben più sopportabile del violento moto sussultorio di ieri. Dovremmo essere presso Ventotene, anche se non si vede per la foschia, il visore del quadro comandi non può sbagliare; infatti appare una sagoma sfumata appena percettibile dalla forma caratteristica dell’isola. E’ tutto semplice, Ciro che si è alternato al timone con Beppe e Aldo, lo lascia alla signora Dilys, anche lei esperta, l’unico incompetente è chi scrive, del resto il reporter non è protagonista diretto degli eventi, li registra.

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La “Luna” si avicina a Procida

E così navighiamo verso Procida, Ischia è a un tiro di schioppo. La costa è molto più estesa di quanto pensavamo, e lo vedremo ancora di più quando la circumnavigheremo. Appare come un fondale teatrale il maestoso Castello Aragonese, su un’isoletta-promontorio unita da un ponte. Ma vi torneremo. Ci sorprende la vicina Vivara, una piccola isola collegata a Procida con un vecchio ponte ora non agibile, parco naturale incontaminato tutto verde e rocce a picco sul mare.

Ecco Procida con il promontorio e il carcere, la cupola e un addensarsi di abitazioni che non disturbano, sono le antiche case dei pescatori, l’insediamento umano è ormai incorporato nella natura che trionfa tutt’intorno. Per oggi le emozioni sono bastate, si getta l’ancora, il capitano e i due secondi, per così dire, sono impegnati nell’operazione.

Procida

Scendiamo a terra, ecco finalmente la crema protezione 30, ma ormai non serve più. Tuttavia “melius abundare quam deficere”, servirà quando riprenderemo la navigazione. Le melanzane ed altri cibi compaiono sulla tavola, Ciro è un impareggiabile anfitrione, aiutato da Beppe e Aldo. I due veri passeggeri sono chi scrive e la signora Dilys. Con Ciro, tutto preso dal ruolo di comandante, si parla della navigazione e dei luoghi che ben conosce, con Aldo e Beppe si spazia anche su altri temi, dall’attualità alla cultura, il tempo non passa mai e quando la barca oscilla non si può leggere, si rischierebbe il mal di mare, è possibile soltanto parlare, e neppure troppo.

Ischia Porto

La visita al Castello Aragonese

Nuovo risveglio di buonora, si va ad Ischia, la nostra meta. Giriamo di nuovo intorno all’isoletta-promontorio del Castello Aragonese, questa volta lo circumnavighiamo completamente, siamo impressionati dalla maestosità, è un tutt’uno con la rupe rocciosa in una fantasmagorica simbiosi nella natura. Mura imponenti circondano il promontorio, non sono megalitiche date le minori dimensioni delle pietre rispetto alle opere millenarie, ma l’effetto è il medesimo; spiccano nel verde mediterraneo su più livelli. E anche le costruzioni, che spesso si confondono con loro, si inerpicano su più ripiani fino a identificarsi anche con la rupe su cui sono state edificate, la incorporano o ne sono incorporate nelle forme, nei volumi e nei colori perfettamente integrati. E poi il Castello è uno spettacolo, i segni del tempo si intravedono nelle aperture buie, ma da lontano sembra intatto.

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La “Luna” alla fonda, si scende a terra

Siamo alla fonda nella rada dove ci sarà la manifestazione, occorre calare l’ancora alla giusta distanza dalle altre imbarcazioni, viene “ammainato” un canotto a motore, altra operazione attenta e meticolosa che impegna l’intero “equipaggio”, cioè i tre prima nominati. I due “passeggeri” assistono, e chi scrive lo fa con gratitudine perché il canotto è tutto per sbarcarlo a terra, precisamente ai piedi del Castello dov’è la tribuna della stampa per assistere al Palio marino.

La giornata è ancora lunga, niente di meglio che visitare il Castello dopo averlo tanto ammirato girandoci intorno lungo la costa. Dall’interno l’imponenza è confermata nella cinta di mura, che si percorrono lungo vialetti perfettamente tenuti tra il verde mediterraneo con belvedere mozzafiato da ogni lato della piccola isola: c’è il lato a picco su verde e mare incontaminato senza neppure una barca, e i lati che pullulano di barche alla fonda o in transito. Riconosciamo la barca di Ciro con gli occupanti, dall’alto sembra un modellino per la prospettiva. La fotografiamo, sarà un bel ricordo.

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Il Castello Aragonese

Quanto entusiasma l’esterno del Castello, tanto delude l’interno, per il semplice motivo che non c’è. Nel lungo elenco di siti indicati all’ingresso manca la residenza degli Aragonesi, il maschio del Castello, che ne è il cuore, che è tutto. Sapremo soltanto dopo che non è agibile, gli arredi e le opere d’arte furono portati al museo di Napoli, i due fratelli che lo acquistarono in un’asta dei primi del Novecento indetta dal Demanio che l’aveva lasciato in abbandono, hanno fatto già molto a restaurarne una parte. Che sono le “dependance”, pregevoli soltanto per la vista altrettanto mozzafiato che dalle mura; mentre la chiesa semidiroccata con la cupola ancora riconoscibile è senza dubbio suggestiva, come lo sono gli angoli merlati per la difesa.

La delusione viene superata dalla “scoperta”, sulla via dell’uscita, della grande cripta gentilizia costituita da un ambiente centrale con volte a crociera circondato da sette cappelle con volte a botte, e decorato da una serie di affreschi trecenteschi di scuola giottesca, deteriorati ma di notevole pregio, con immagini di santi; uno dei quali da prendere a simbolo dell’ignoranza umana, anzi disumana, reca incisi i nomi dei giovani che hanno voluto imprimervi la propria abissale incultura e insensibilità. La cripta fu individuata per caso dietro un muro di mattoni e aperta dieci anni fa. Suggestione opposta rispetto a quella dei panorami, ma non minore; la semioscurità, le volte a crociera e ciò che si vede fanno sentire tutto il fascino dell’antico, arte e storia ancora unite.

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L’interno del Castello, la Cripta

E quando usciamo “a riveder le stelle” ci troviamo di nuovo nel buio, in un tunnel scavato nella roccia; un’altra suggestione trovarsi all’improvviso nell’oscurità in un luogo rutilante di luce. Un buio che segue quello della ragione evocato dall’esposizione degli strumenti di tortura, una vera mostra tematica dell’orrore così completa e documentata nei particolari da far rabbrividire. Però, a parte i luoghi appena citati nelle opposte configurazioni di luce e di oscurità, la visita al Castello delude non per il suo contenuto effettivo, ma per le aspettative. Basterebbe precisarlo all’ingresso che la parte più consistente, la residenza aragonese, non è accessibile oppure, e sarebbe la cosa ovviamente migliore, fare uno sforzo in più: restaurare anche quella parte, ovviamente con l’intervento dello Stato che potrebbe poi rivalersi sulla gestione.

La miopia del Demanio privatizzò un secolo fa questo bene culturale di valore inestimabile; ma il concorso e l’associazione dei privati è il fulcro della nuova strategia di valorizzazione dei beni culturali presentata con grande rilievo dal presidente del Consiglio e dal nuovo Direttore Generale Mario Resca, che proprio nel settore privato ha dato prova di grandi capacità manageriali. E’ una sfida da lanciare, convinti come siamo della validità di questa strategia e delle capacità di realizzarla in chi ne ha avuto l’onore e l’onere con una così solenne investitura. L’identificazione con l’isoletta- promontorio ne fa l’equivalente di un “Palazzo Ducale” di Urbino, purtroppo questo di Ischia ha perduto la ricchezza e la magnificenza, riacquistasse almeno l’agibilità e la visibilità, passando da rudere pur interessante e significativo a testimonianza viva ed eloquente.

Gli affreschi del Castello

Il parallelo è meno ardito di quanto possa sembrare, anche il Castello Aragonese per lungo tempo è stato un palazzo-città. Nella rocca si rifugiavano in migliaia, soprattutto dopo l’eruzione del Monte Trippodi del 1331; ancora di più dopo che Alfonso d’Aragona ricostruì il vecchio maschio angioino e realizzò le poderose mura e fortificazioni entro le quali il popolo di Ischia trovò rifugio e protezione dalle scorrerie dei pirati. Alla fine del XVI secolo la rocca arrivò ad ospitare circa 1900 famiglie, l’intera popolazione dell’isola, e solo dopo il 1750, cessato il pericolo, la gente cominciò a scendere nella piana e a formare gli abitati sulle coste in prossimità delle bellissime insenature con accesso al mare. Fu una scelta oculata, nel 1809 gli inglesi assediarono la rocca tenuta dai francesi e la distrussero a cannonate. Poi fu sede di luoghi di pena dei Borboni. Nel 1912 la vendita.

Si è fatta sera, ci affrettiamo a occupare il nostro posto in tribuna, dopo una rapida pizza in uno dei tanti locali caratteristici di questo lato dell’Isola, il comune Ischia Ponte. Ridente, come gli altri numerosi approdi – elegante quello di Sant’Angelo, caratteristico quello di Forio – questo, però, si colloca nella dimensione creata dal Castello Aragonese, dove la storia è in simbiosi con la natura.

Il Palio dei Carri di Tespi, “Storia della Sambuca” di Casamicciola

Il Palio sul mare della festa di Sant’Anna

E’ un’antica festa propiziatoria per le partorienti, che dura da 77 anni, prima le barche raggiungevano la chiesetta di Cartaromana addobbate con ghirlande di fiori e festoni di frutta, ora si presentano all’insegna della fantasia e si misurano in una gara d’arte e di bellezza per conquistare il palio, uno stendardo simbolico dipinto da un pittore locale. “E’una delle manifestazioni più importanti sotto il profilo culturale e storico della nostra isola, le cui origini sono antichissime – ha scritto il sindaco di Ischia Giuseppe Ferrandino.- uno spettacolo di quelli che forse oggi diventano sempre più rari, che non teme di far uscire dal ‘cilindro magico’ di tutto, colori, suoni, forme, per incantare il pubblico”.

La cornice d’eccezione è data dal Castello, un fondale che dà un’incredibile suggestione, è indescrivibile. Viene tenuto sgombro lo specchio d’acqua antistante, delimitato dal ponte, un insolito palcoscenico dove si esibiranno le straordinarie protagoniste di una vera e propria rappresentazione teatrale: le barche allegoriche realizzate in mesi di prove e di lavoro sulla spinta di un’antica tradizione e delle rivalità di campanile che porta con sé, in realtà piattaforme galleggianti sopra le quali è stata costruita una scenografia completa. Più tardi ci sarà la gara, si animeranno.

“La Nuova Assunta” di Serrara Fontana,

Una platea di natanti e motoscafi, yacht e panfili , con qualche barchetta, è assiepata ai bordi del “palcoscenico”. Avremmo voluto restare sulla barca come i compagni di navigazione, per immedesimarci meglio, ma la visuale sarebbe stata incerta, niente a che fare rispetto alla tribuna, per questo siamo scesi a terra. E già abbiamo avuto un vantaggio, abbiamo visitato il Castello, altri ne verranno con gli incontri che faremo, e ne daremo conto.

Ora il Castello è illuminato da una luce discreta, che rimbalza sulla severa facciata con le finestre che disegnano dei grandi buchi neri, avvolge le mura sempre più simili a una cintura protettiva, mentre il verde mediterraneo rimane come macchia scura appena lambita dal chiarore. Spicca come un Castello d’If inaccessibile, una Torre di Babele che si alza verso il cielo alla pari di un vulcano.

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“Il matrimonio diVittoria Colonna e Ferante di Avalos“, Ischia Ponte

A bordo vasca, per così dire, un palco da dove un cantante isolano, Nick Pantalone, aiuta a ingannare l’attesa con le sue melodie, affiancato da una volenterosa cabarettista locale. E poi la presentatrice che farà un’appassionata radiocronaca della serata. Tutto ben organizzato.

Il nostro posto di osservazione è davvero privilegiato, siamo nell’area della stampa dietro la Giuria. Però ci spostiamo in avanti e prendiamo posto alla destra dell’artista autore del Palio, il giovane pittore Massimo Venia, che ci mostra il dipinto sul suo telefonino, lo vediamo anche nello stendardo poco lontano. Rappresenta una cascata di fuochi d’artificio che si solleva dal mare, come in effetti avverrà, ha voluto raffigurare il “clou” della festa, i fuochi; noi vi troviamo qualcosa di più, la delicatezza del tratto delinea forme delicate, stellari, quasi simboli religiosi che rimandano alla cupola diroccata in alto nel Castello, una sintesi di valori, dunque, anche spirituali. Accoglie compiaciuto la nostra interpretazione e insieme attendiamo l’inizio della sfilata delle barche in gara.

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“Bar internazionale Maria” di Forio

In realtà è una sfilata di carri su enormi zattere, in passato hanno partecipato anche i maestri d’ascia del Carnevale di Viareggio, fuori concorso. Ma è riduttivo definirli così, sono altrettanti Carri di Tespi che si presentano uno dopo l’altro sul proscenio di un set di sogno per mostrare le loro coreografie in una rappresentazione teatrale muta, in un confronto a distanza serrato. La componente artistica non viene trascurata, i bozzetti sono stati esposti nell’isola, il migliore avrà il premio Funiciello, la scenografia prescelta avrà il premio Nerone, l’arguto soprannome di un personaggio locale entrato con Funiciello nella storia della festa di Sant’Anna, furono i primi a passare dalle barche con frasche e ghirlande a zattere con figurazioni, poi a fare le gare.

I carri sono cinque, manca solo Barano tra i comuni dell’Isola, in passato c’è stata anche Procida, fortissima; quest’anno problemi e dissidi vari ne hanno impedito la partecipazione. Assistiamo alla sfilata, lentissima e tuttavia avvincente; nel giro intorno ai bordi dello specchio d’acqua che fa il set in movimento sul mare si attende che si avvicini al massimo per coglierne tutti i particolari.

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la sfilata del Carro di Forio vincitore

L’inizio è in sordina, con la “Storia della Sambuca” di Casamicciola, il comune rimasto nell’immaginario collettivo per il catastrofico terremoto nel quale rimase sepolto ma per fortuna si salvò, anche Benedetto Croce. Il soggetto presentato non fa nulla per allontanare il brutto ricordo, anche se richiama la Dolce vita; infatti la Sambuca, evocata visivamente da una gigantesca bottiglia galleggiante con due grandi bicchieri ai lati e davanti scene di vita mondana, non è fatta per suscitare particolari entusiasmi, anche se ideata e prodotta da un personaggio del luogo, quindi è stato giusto ricordarla, pur se la resa scenica è modesta. Il pubblico rimane freddo, nonostante la calda serata.

Viene accolta meglio “La storia del pesce Filippo” di Lacco Ameno, una fiaba animata, di quelle fatte per spaventare i bambini affinché non siano avventati, una sorta di Cappuccetto rosso che viene preso da un pesce invece che da un lupo, fino all’arrivo provvidenziale del cacciatore, pardon, dell’angelo salvatore, con il lieto fine assicurato. Le piccole mongolfiere rosse che si innalzano, a sorpresa, dal carro, ne sollevano, ma non più di tanto, le sorti, che sembrano segnate, un buon piazzamento e nulla più.

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uno scorcio della tribuna e delle barche alla fonda

Con “La Nuova Assunta” di Serrara Fontana, comune arrampicato sulla scogliera che vede il mare dall’alto, sembra realizzarsi il miracolo della Svizzera di Alinghi nella Coppa America, l’unica nazione non bagnata dalle acque che ha vinto il trofeo marinaro per eccellenza, un ossimoro mondiale. Qui l’ossimoro si preannuncia isolano; questo carro, che fa pensare all’audacia di un varo dalla montagna, sembra non avere rivali. Il veliero è un capolavoro, perfetta la riproduzione delle sartie, suggestiva la scenografia con la vedetta in coffa, la ciurma che fa “ammuina” in un’esplosione di vitalità napoletana coinvolgente, tra un teatro di marionette e un Masaniello marittimo. Anche l’autore del Palio al nostro fianco lo vede virtualmente issato su quel pennone. Il successo è travolgente.

Ma non si deve precipitare il giudizio, le vie per toccare il cuore sono infinite, e le due barche successive propongono scenografie che puntano sull’emozione piuttosto che sulla tecnica.

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Le luci della manifestazione

Scivola verso di noi il carro di Ischia Ponte, la località in cui ci troviamo, gioca in casa ma va dato onore al merito. E’ come se la chiesa diroccata del Castello sopra di noi si specchiasse sul mare miracolosamente ricostruita con la sua cupola. Questo per celebrare, con la cornice di pubblico che merita, “Il matrimonio di Vittoria Colonna e Ferrante di Avalos”, avvenuto 500 anni prima, una delle storie edificanti e torbide del castello. Gli sposi sono davanti all’altare, dietro l’officiante nella solennità degli abiti talari e della mitria, intorno i dignitari in costume e il popolo. La scena incute soggezione per la sua compostezza, fino all’irrompere dei giullari e dei saltimbanchi che intrecciano le loro acrobazie nello scatenarsi della festa rinascimentale.

Non c’è tempo di riprendersi dalla sorpresa che arriva l’ultimo carro, mentre quello precedente termina lentamente il suo lungo giro seguito ancora dagli sguardi degli spettatori. E’ il “Bar internazionale Maria” di Forio, “un angolo di Paradiso”, due modeste casette da pensione estiva, una di colore rosa; avventori, e scene di vita dignitosa, quanto ha assicurato per decenni il Bar Maria nel comune di Forio. E’ la proprietaria l’invisibile artefice e protagonista della magnifica accoglienza e del delizioso soggiorno ad artisti, pittori, e a tanti altri personaggi. Generale è il rimpianto, la sua scomparsa si intuisce dai grandi ventagli che scendono avanti alle casette; c’è malinconia e non oblio, la memoria è nella grande fotografia di Maria che una mongolfiera porta in alto nel cielo.

Un’esistenza semplice e virtuosa, evocativa di un tempo trascorso si contrappone alla ritualità sacrale e nobiliare di personaggi d’antico lignaggio, entrambe competono con la vitalità di una Piedigrotta sul mare a bordo del veliero così acclamato. Prevarrà il sentimento, la storia o la vita?

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L'”incendio” del Castello Aragonese

Lina Sastri, seduta dinanzi a noi, non ha dubbi, è per il sentimento. Raffinata e sensibile come sempre, ha toccato gli animi con il breve intermezzo di “’O surdato ‘nnamurato”; mentre il cantante lo intonava dal palco un intervistatore in tribuna le ha porto il microfono e dopo molte insistenze l’ha convinta, mentre la canzone scorreva; è entrata in contrappunto con il cantante, poche note accorate che sono andate dritte al cuore, come quelle della Magnani nella “Sciantosa”, un sigillo di arte e di napoletanità. Vorrebbe dire la sua preferenza nel giro di opinioni finale sulla festa, non può, non deve. Si è schierata e attende il verdetto senza speranze, il veliero sembra imbattibile.

I risultati della gara, il Palio è andato al sentimento

Ma ecco i risultati cominciando dall’ultima, la Sanbuca, e non poteva essere altrimenti. E’ una sorpresa che la storia di Tommaso abbia sopravanzato il matrimonio al Castello, ma ora l’interesse è sui primi due. Viene proclamato il secondo, è il veliero, la Sastri capisce a volo chi è il vincitore ed esulta, la sua è un’esplosione di entusiasmo mentre la giuria viene coperta di fischi. Ha vinto il sentimento che si legge negli occhi febbrili della delicata attrice, l’allegria nella vita può attendere. Certamente la fotografia di Maria portata in cielo dalla mongolfiera ha avuto il suo peso, i voti di differenza sono stati solo due, 42 a 40, un battito di ciglia forse inumidite dall’evocazione celeste.

L’avvampare dell'”incendio” del Castello dal cielo al mare

Il contrasto tra pubblico e giuria è stato rumoroso – anche se al veliero viene assegnato uno dei premi- satellite, il “Premio Nerone” – ma non quanto i fuochi artificiali a chiusura di ognuna delle cinque esibizioni per scatenarsi al termine nell’apoteosi finale. Dopo i fuochi verso il cielo dai carri, questi vanno insolitamente in orizzontale, verso la tribuna, come ventagli monocromatici a forma di corolle e di piante che si aprono, di stelle e di delicati arabeschi, quasi che il Palio dipinto si fosse acceso di luci; alternati con esplosioni a grappolo nel tripudio di colori di una Piedigrotta spumeggiante sul mare. I cui riflessi moltiplicavano l’effetto mentre il Castello si incendiava di rosso, quasi a rivaleggiare con Nerone evocato dal premio di consolazione, avvampando dal cielo al mare. Quando tutto è finito lo spettacolo del Castello che si staglia superbo su un proscenio di barche anch’esse illuminate su un mare tornato d’argento, non ha eguali, tanto più in una serata in cui arte e cultura hanno attinto alla tradizione.

Questo vuol dire valorizzare ambiente naturale e storia locale mantenendo viva una memoria popolare che è insieme identità di un nobile passato e garanzia per il futuro. C’è anche Giampiero Mughini, in un settore alla nostra destra, non resistiamo a chiedergli un commento, l’indomani presenterà a Lacco Ameno il suo “Gli anni della peggio gioventù”. Non si smentisce, ha l’inconfondibile verve che conosciamo: “Uno spettacolo vivace e raffinato in un posto straordinario, si è spremuto dalla natura e dalla storia, dalla cultura e dalla serata, tutto quello che si è potuto spremere”.

Anche a Lina Sastri chiediamo un commento, la risposta è in carattere con la sua sensibilità: “Una manifestazione popolare, tanta gente che partecipa significa che vuol essere coinvolta con la propria terra, con le proprie radici”.

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I fuochi d’artisficio di chiusura

Queste parole fanno pensare, ed allora avanziamo una modesta proposta, nata dalla profonda impressione provata per quanto abbiamo visto. Perché non farne uno spettacolo itinerante- tale era il Carro di Tespi – per non bruciare in una sola serata, per quanto indimenticabile, tanto impegno ed energia, tanta inventiva e tanta arte? Le isole partenopee, e perché no, la costa campana, potrebbero moltiplicare le serate, farne momenti significativi di quella “circolazione delle attività culturali” che è uno degli strumenti della politica di valorizzazione del patrimonio artistico del paese. E abbiamo già detto come il bene culturale del Castello Aragonese potrebbe essere a sua volta valorizzato, con l’effetto moltiplicativo della sinergia con la natura, la storia e la tradizione.

Lina Sastri dovrebbe esserne l’ineguagliabile madrina, e siamo certi ne sarebbe entusiasta, come lo è stata all’annuncio del risultato dopo aver seguito l’intero spettacolo con totale immedesimazione.

I Carri di Tespi del mare potrebbero essere quelli di Ischia, nei suoi sei comuni, che hanno l’antica tradizione di Sant’Anna. Ma pensiamo a cosa potrebbe nascere se si aggiungessero quelli delle altre isole, Procida già ha partecipato in passato, ma poi ci sono Capri e Ponza, Ventotene e le altre isole, per non parlare delle perle della costa napoletana. Non solo “piazze” estive per gli spettacoli turistici, ma possibili protagoniste di grandi rappresentazioni sul mare con i loro scenari naturali tanto suggestivi. In un campionato estivo, come le coppe calcistiche; con eliminatorie e finali.

Crediamo che a Lina Sastri anche questa prospettiva piacerebbe senz’altro.

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Sulla via del ritorno (in un viaggio successivo)

Photo

Le immagini delle località incontrate lungo il viaggio e del Palio dei Carri di Tespi alla Festa di Sant’Anna ad Ischia del 2009 – andate perdute quelle originarie nel trasferimento dell’articolo dal sito chiuso a quello attuale – sono tratte dai siti web seguenti, di cui si ringraziano i titolari, precisando che sono inserite a puro scopo illustrativo senza alcun intento di natura commerciale o pubblicitaria, e se la pubblicazione di alcune di esse non fosse gradita dai titolari dei diritti basta comunicarlo che saranno immediatamente eliminate. I siti web sono i seguenti in ordine di tema e di inserimento: per le località lungo la traversata: Nettuno e-borghi.com, Monte Circeo nauticareport.it, Ponza visitgaeta.it, Palmarola tripadvisor.it , Zannone planetmountain.com, Ventotene latitudeslife.com, Procida italia.it, Ischia Porto ischialike.com; per il Castello Aragonese, turismo.it, ischialike.com, castelloaragoneseischia.com; per le 7 immagini della festa, tutte ischiasky.it, cui va il merito di rendere disponibili le immagini del 2009; per l’incendio del Castello Aragonese, ischiablog.it, ischia.it, ischianews.it. Di nuovo grazie a tutti. Le foto delle località attraversate sono intervallate da alcune immagini della barca “Luna” nei diversi momenti descritti. In apertura, Ciro, il “capitano”, sale sulla sua “Luna” per il viaggio verso Ischia, seguono, la Partenza da Nettuno e Il promontorio del Monte Circeo, quindi Ponza e Palmarola, inoltre Zannone e Ventotene, continua, Procida e Porto d’Ischia, prosegue, Il Castello Aragonese; con ‘L’nterno del Castello, la Cripta e Gli affreschi del Castello; poi, Il Palio dei Carri di Tespi, “Storia della Sambuca” di Casamicciola, e “La Nuova Assunta” di Serrara Fontana, “Il matrimonio di Vittoria Colonna e Ferrante di Avalos” di Ischia Ponte, e “Bar internazionale Maria, un angolo di Paradiso” di Forio; prosegue, La sfilata del Carro di Forio vincitore e Uno scorcio della tribuna e delle barche alla fonda; poi, Le luci della manifestazione e L'”incendio” del Castello Aragonese; qundi, L’avvampare dell'”incendio” del Castello dal cielo al mare; inoltre, I fuochi pirotecnici di chiusura; infine, Sulla via del ritorno (in un viaggio successivo) e , in chiusura, Ciro, il “capitano”, al timone della sua “Luna”.

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Ciro, il “capitano”, al timone della sua “Luna”

2 Responses to Ischia, festa di Sant’Anna, il palio dei Carri di Tespi

  1. Romano Maria Levante 29 settembre 2009 a 17:28

Grazie, ma è tutto vero, è la cronaca fedele di un bel viaggio e di una bella festa sul mare, Mughini e Lina Sastri compresi.

Romano

  • CIRO SORIA 28 settembre 2009 a 20:34

Bravo Romano certo che ne hai di fantasia

Ciro Soria, buona navigazione Lassù, nell’alto dei cieli!

di Romano Maria Levante

Il 21 marzo Ciro Soria, per gli amici anche Nino, ha lasciato il nostro mondo, dopo un improvviso aggravarsi che ha colto di sorpresa chi lo aveva visto di recente in condizioni apparentemente buone. Da allora è trascorso un mese, è il trigesimo nel quale si tiene una cerimonia di ricordo; il nostro è un ricordo laico, legato però alla sua fede. Ecco il messaggio che da amico affezionato ho trasmesso al suo indirizzo e mail destinatario dell’infinità dei nostri contatti assidui e intensi, prima di uscire per recarmi al suo funerale al termine della mattina del 23 marzo scorso; nel quale l’amico di una vita Aldo Visco Gilardi ha tenuto l’orazione funebre che segue il mio messaggio.

Ciro nel suo elemento, il mare!

Inviato a Ciro…..———- Messaggio originale ———-Da: romanolevante@libero.itA: “ciro.soria@gmail.com” <ciro.soria@gmail.com>Data: 23/03/2023 13:48 Oggetto: Ciao, Ciro, amico indimenticabile  

Ciro carissimo,

tra due ore e mezza verrò a darti l’ultimo saluto con i tuoi familiari e amici che ti circonderanno di tutto il loro e nostro affetto; anche se  non potranno venire Rosemary e Alberto e neppure Salvatore, ma sarò io a porgere il loro saluto memore e riconoscente, come lo è il mio. 

Nella mia memoria una infinità di momenti anche molto diversi, ma sempre con la tua genuinità ed autenticità nei sentimenti e comportamenti, il tuo ardore negli impegni, il tuo coraggio nell’affrontare situazioni anche molto difficili e le inevitabili incomprensioni. Esserti stato di aiuto per quasi un quarto di secolo è per me una soddisfazione indicibile, perchè hai meritato tutta l’attenzione e considerazione  possibile. E anche tu mi sei stato di aiuto quando occorreva la tua esperienza e competenza concreta in cose anche piccole ma significative per essere un punto di riferimento prezioso all’occorrenza, come per te io  da semplice scrivano. Cercavo di moderare i tuoi sfoghi focosi in cui si esprimeva tutto il tuo essere, che non cercava compromessi ma il rispetto della verità e della giustizia.

Sono stati tanti i fronti in cui hai e abbiamo combattuto insieme, anche quelli più impensabili. Ricordo i tanti momenti distensivi, quando parlavi della tua passione per il mare, indimenticabili le due traversate con la tua “Luna” per Ventotene e Ischia, nel 2009 e 2010, ne diedi conto in due articoli sul mio sito on line; come  la festa dei 40 anni del tuo matrimonio, oggetto di un altro mio articolo in cui parlavo dell’iniziativa benefica di tua figlia Deborah che vi era collegata come destinataria dei pensieri degli amici. Molti anni dopo mi dicesri con giustificato orgoglio che veniva intervistata e la sentii anch’io, parlava dell ‘iniziativa dei libri per i piccoli migranti di Lampedusa, veramente meritoria come lo è la destinazione benefica dell’ultimo omaggio alla tua persona.  

Non posso nasconderti che mi sono  sentito smarrito – oltre che addolorato anzi sconvolto per la perdita dell’amico di un quarto di secolo – e  non solo per la riflessione anche personale sulla caducità della vita, date le circostanze in cui la notizia del tutto inattesa mi ha colpito come un fulmine a ciel sereno: un mese fa mi avevi telefonato in videochiamata insistendo perchè la attivassi e non rispondessi solo vocalmente come volevo fare non riuscendo a farla funzionare, finchè ci siamo parlati e soprattutto visti, anche con Rosemary, tu veramente florido in grande forma, ti abbiamo detto; avevi promesso che saresti venuto presto a trovarci, ora lo facciamo noi, Rosemary mio tramite sarà anch’essa in chiesa tra poco. 

Lo smarrimento per la perdita del riferimento sicuro ad un amico sincero e generoso mi ha preso l’animo stringendomi il cuore. Poi ho visto il tuo ultimo saluto su Facebook: “A tutti gli amici dico: divertitevi il più possibile su questa terra e quando vi sarete stufati venitemi pure a trovare quassù, vi aspetto”. Non puoi immaginare quanto risultino consolatorie queste tue parole così sincere e genuine, ora che sei “lassù”!

E poi la poesia al nonno  che “postasti” nel febbraio 2017 iin cui si descrive l'”uomo di mare”  come se fossi tu ad essere descritto  fino al saluto finale del viaggio estremo verso l’orizzonte. Ebbene, queste due “cose” veramente “tue” mi hanno ispirato il “post” che ti ho rivolto su Facebook dopo tanti tuoi “post”  ai miei articoli con condivisioni entusiaste ed elogi da me immeritati frutto della tua generosità.

La sua imbarcazione “dal nome fatidico ‘Luna’”

Ti trascrivo di seguito il mio “post” di saluto:    “Era il 9 febbraio 2017, Ciro condivideva, inserendola in questa sua pagina, la poesia di una nipote al nonno Fausto ‘grande appassionato e uomo di mare’ ricordando l’amico ‘con tanto affetto’. Una poesia che descrive Ciro nella sua nobiltà di ‘uomo di mare’, e nelle conclusioni che riportiamo inserendovi solo il suo nome al posto del ‘nonno’: ‘E ora Ciro ha levato l’ancora da questo mondo/ E come uomo di mare che si rispetti/ solca i cieli senza più limiti/ Adesso, libero da quei confini di umana natura/ è in rotta verso l’orizzonte/ E con il sorriso sulle labbra lo varcherà/ sospinto dalle onde verso un’altra avventura’: con la sua imbarcazione dal nome fatidico ‘Luna’ raggiungerà le stelle, e non soltanto le 5 alle quali era legato, ma tutte le stelle del firmamento. Così è bello ricordarlo, del resto il suo ultimo messaggio lo ha mandato da ‘quassù, con la serenità espressa dal suo sorriso che non dimenticheremo mai. Ciao, Ciro!”  

Mi sento soltanto di aggiungere con tanta emozione, Ciao, Ciro, amico indimenticabile, ti immagino in un’altra dimensione, lassù in alto, con il tuo sorriso, la tua energia, la tua attività instancabile e generosa, la tua fiducia sconfinata. Sarai sempre presente nei nostri pensieri.  

Romano con Rosemary, Alberto e anche Salvatore.  

L’abside della chiesa Santa Maria Regina Pacis a Monteverde

Roma, 23 marzo 2023, ore 13,45, alle ore 15 l’inizio della funzione funebre.

Ore 15, la grande chiesa di Santa Maria Regina Pacis nel quartiere romano di Monteverde gremita, tanti hanno voluto dare a Ciro l’ultimo saluto. Al termine della messa, l’orazione funebre di uno degli amici più cari, un’amicizia che risale a 40 anni fa, è tra quelli che lo chiamano Nino: dall’alto del pulpito le parole che ne rievocano la figura nei suoi aspetti profondamente umani con la visione intimamente religiosa di Aldo Visco Gilardi, diacono in emeritazione della Chiesa valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi), che si è occupato dei rapporti con lo Stato e delle relazioni internazionali con Paesi di vari continenti, come Africa e America Latina.  

NINO (Ciro Soria 17.06.1941 – 21.03.2023)

di   Aldo Visco Gilardi

Dal Salmo 145:
8 Il SIGNORE è misericordioso e pieno di compassione,
14 Il SIGNORE sostiene tutti quelli che cadono
e rialza tutti quelli che sono curvi.
15 Gli occhi di tutti sono rivolti a te,
e tu dai loro il cibo a suo tempo.
16 Tu apri la tua mano,
e dai cibo a volontà a tutti i viventi.
17 Il SIGNORE è giusto in tutte le sue vie
e benevolo in tutte le sue opere.
18 Il SIGNORE è vicino a tutti quelli che lo invocano,
a tutti quelli che lo invocano in verità.
Salmo 23:
1 Salmo di Davide.
Il SIGNORE è il mio pastore: nulla mi manca.
2 Egli mi fa riposare in verdeggianti pascoli,
mi guida lungo le acque calme.
3 Egli mi ristora l’anima,
mi conduce per sentieri di giustizia,
per amore del suo nome.
4 Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte,
io non temerei alcun male,
perché tu sei con me;
il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza.
5 Per me tu imbandisci la tavola,
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo;
la mia coppa trabocca.
6 Certo, beni e bontà m’accompagneranno
tutti i giorni della mia vita;
e io abiterò nella casa del SIGNORE
per lunghi giorni.

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La facciata della chiesa del funerale

Nino non era un santo. Nino era generoso.

Appoggiava volentieri iniziative ambientali (cfr. la destinazione di offerte in sua memoria a Legambiente) e umanitarie: a me, per esempio, mise a disposizione la sua esperienza di spedizioniere e il magazzino per l’organizzazione di alcuni container da mandare in Africa per la chiesa valdese.
Era stato provato dalla vita: avviato dal padre autoritario ad un lavoro pesante da ragazzo, lavoro che l’ha reso robusto. La sofferenza per la perdita del fratello Paolo…
Si lega da bambino a Lucione e alla sua famiglia Sabbadini. Lucio è l’amico fraterno con cui condivide molte esperienze di vita fino alla sua morte, avvenuta 13 anni fa, proprio in marzo.
Nino ha avuto qualche disavventura sul piano lavorativo, non voluta, ma anche grandi soddisfazioni e consolazioni, tra le quali ha goduto l’affetto di una paziente moglie, Dilys,  delle figlie Debora e Susanna e della nipote Elena.
A modo suo era spiritoso, prova ne sia l’annuncio che lui dà della sua morte, che parafraso così: “Amici miei, godetevi la vita come ho fatto io, poi ci rivedremo!”

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In uno dei suoi viaggi

Era un edonista. Amava la vita, il ballo, i viaggi per conoscere il mondo. Amava la compagnia di amici, familiari e conoscenti con cui non perdeva occasione di festeggiare in grande stile anniversari in luoghi pubblici, o la tradizionale festa di fine-inizio anno a casa propria, con un luculliano cenone, con l’enorme tacchino, sovrabbondante anche per la trentina di ospiti presenti, seguito dalla tombola e giochi a carte…
La partecipazione di tanti amici, qui oggi, è dimostrazione dell’affetto che ha seminato.
Il mare in tutte le sue manifestazioni era ed è il suo elemento, dove desidera siano sparse le sue ceneri, come avvenuto con Lucio. Amava la barca a vela, che fosse la Pacioccona o la Luna, le immersioni, la pesca, la buona ed essenziale cucina, che in barca doveva sporcare il minor numero di tegami possibile, e l’immancabile siesta pomeridiana sottocoperta, sdraiato sul pavimento su cui poggiava un giornale, per non sudare sulla moquette.

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La “buona ed essenziale cucina” in barca

Aveva un’abilità manuale e meccanica straordinaria, per riparare da sé la barca.
Curioso di natura, non perdeva occasione per cimentarsi in nuove avventure, come fare il vino o distillare le grappe, con l’aiuto di amici e collaboratori più recenti.

Non era un santo, ho detto. Chi può essere definito tale? 
Era anche tignoso, alquanto maschilista, a volte impietoso, il che non gli impediva di essere gentiluomo con il gentil sesso. Di due donne ha avuto rispetto costante: la madre e la sorella Ada, oltre che della moglie Dilys. Forse, il carattere contraddittorio era dovuto al suo segno zodiacale: Gemelli?
Era combattivo, ma anche animoso, tenace e testardo, poco propenso alla mediazione e alla rinuncia. Purtroppo, questioni di interessi gli hanno fatto guastare i rapporti con amici di una vita e con familiari, mentre altre volte si è dovuto difendere da quelle che sentiva come prevaricazioni e ingiustizie. 

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Sulla “sua” barca, nel “suo” mare

Negli Evangeli, Gesù ci invita a risolvere le diatribe terrene finché siamo in vita sulla Terra, Matteo 18.18: “Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo.”
Mi dispiace che Nino non abbia colto questa opportunità, pur volendolo, pare, tanto che aveva preparato una lettera risolutrice di una annosa questione familiare, ma la morte lo ha colto prima che potesse  trasmetterla. In tal caso, mi sarebbe piaciuto leggere in questa occasione l’incontro di Gesù con Zaccheo (Luca 19, 1-10), il quale, ospitando Gesù, si redime riconoscendo e riparando ai suoi torti fatti. Ora, se ci sono ancora questioni in sospeso, il compito di risolverle sarà responsabilità di chi rimane.
La morte segna un passaggio che può sembrare definitivo, ineluttabile… Ma non è l’ultimo atto, né l’ultima parola-
Gesù è morto, ma è anche risorto.
Il Signore, Dio di Amore, è misericordioso: a lui spetta la magnanimità e il giudizio!

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Un piccolo impegno che è anche un momento di raccoglimento

Siamo fiduciosi, come il salmista, nella Sua clemenza (Salmo 25. 1, 6-11,16-18):
1 A te, o Eterno, io elevo l’anima mia.
2 Dio mio, in te mi confido;
6 Ricordati, o Eterno, delle tue compassioni
e della tua bontà; perché sono eterne.
7 Non ricordarti dei peccati della mia gioventù,
né delle mie trasgressioni;
ricordati di me nella tua clemenza,
per amore della tua bontà, o Eterno.
8 L’Eterno è buono e giusto;
perciò insegnerà la via ai peccatori.
9 Guiderà i mansueti nella giustizia,
insegnerà ai mansueti la sua via.
10 Tutti i sentieri dell’Eterno sono bontà e verità
per quelli che osservano il suo patto e le sue testimonianze.
11 Per amor del tuo nome, o Eterno,
perdona la mia iniquità, perché essa è grande.
16 Volgiti a me, e abbi pietà di me,
perché io sono solo e afflitto.
17 Le angosce del mio cuore sono aumentate; tirami fuori delle mie angustie.
18 Vedi la mia afflizione e il mio affanno,
e perdona tutti i miei peccati.
Chi è in vita e si sia sentito da lui offeso, può ancora fare la sua parte perdonando, non portando rancore: il suo carattere impetuoso, talvolta, lo faceva reagire con degli eccessi a quelle che sentiva come ingiustizie.
Facciamo noi ammenda, presso il Signore, delle sue mancanze (che non sono maggiori di quelle di tutti noi peccatori) e, per lui, chiediamo perdono a Dio!
Rimaniamo con la certezza del messaggio del Cristo. che ci ha trasmesso Giovanni, l’Evangelista, in 14. 1-6:
1 “Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me!
2 Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, ve l’avrei detto; io vado a
prepararvi un luogo;
3 E quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi;
4 e del dove io vado sapete anche la via”.
5 Tommaso gli disse: “Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo sapere la via?”.
6 Gesù gli disse: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”.

Concludo con la preghiera al Signore che vi consoli, vi guidi e vi benedica, carissime Dilys, Debora, Susanna, Elena, e quanti tra noi soffra questo distacco!
Vi voglio bene!

Aldo Visco Gilardi

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Il saluto di Ciro con un sorriso