Crognaleto, il cuore dei Monti della Laga

di Romano Maria Levante

– 29 luglio 2009 – Postato in: Culturalia

Un arcipelago di antichi borghi, il fascino di natura, arte e memoria, un’anima da preservare e rilanciare.

Chi viene dal Gran Sasso guarda i monti della Laga con una certa superiorità, è o non è Monte Corno la vetta più alta degli Appennini? Però sbaglia se ne sottovaluta i pregi ambientali e paesaggistici, come quelli storici e artistici. Intanto l’orografia, i profili e le rocce arrotondate della Laga mentre il Gran Sasso è dolomitico hanno un loro fascino; la cima più alta, il Monte Gorzano, misura 2.458 metri, quasi come Corno Piccolo anche se è distante dai 2.912 metri di Corno Grande. Poi le altre bellezze naturali, le cascate e i corsi d’acqua, i boschi rigogliosi, i prati e i luoghi ameni dove si esercita ancora la pastorizia, come Piano Roseto, a 1.200 metri, dove si svolge l’annuale Fiera da 150 anni. L’ippovia è un altro itinerario ideale per gli amanti della escursioni in montagna.

Ma non è per ammirare la natura che siamo andati sulla Laga a due mesi dal terremoto e ci siamo tornati di recente. Volevamo vederne i segni e conoscere fuori dalla stagione turistica gli insediamenti umani, i borghi disseminati sul costone della montagna che fanno capo al Comune teramano di Crognaleto, ispirato al nome dialettale del corniolo dei pini, anche se più che per il corniolo è rinomato per la “ventricina”, l’insaccato di carne triturata con spezie e peperoncino.

Il Comune di Crognaleto

La sua storia ci ha sempre interessato, e ad essa dobbiamo risalire per spiegare un comprensorio di ben 17 frazioni, situate tra gli 800 e i 1.500 metri, che fanno capo a un capoluogo minuscolo tanto che la sede municipale è nella più grande Nerito. Che è un abitato del Comune di Crognaleto ma posto al di qua della Strada Maestra, con la chiesa dei SS. Pietro e Paolo del 1800 e i caratteristici usi tradizionali: il “Fuoco di Natale”, che resta acceso ininterrottamente dalla vigilia fino alla Befana, e l’“Erede”, rito del giovedì grasso, quando la comunità accoglie il primo figlio maschio.

Originariamente Crognaleto faceva parte del Comune di Roseto, tanto che la zona era compresa nella cosiddetta montagna di Roseto, e quando divenne autonomo incorporò come sue frazioni molti centri abitati che prima erano comuni autonomi; un miracolo di semplificazione che forse fu possibile per l’anomalia della sua minuscola dimensione, per cui più che di frazioni accorpate a un comune si è trattato di una vera e propria rete amministrativa senza graduatorie né dipendenze.
Ci sono due piccole chiese, S. Caterina del XVI secolo e la Madonna della Tibia, costruita come ex voto di un viandante di Amatrice caduto in un burrone riportando solo la frattura della tibia.

La Strada Maestra

Abbiamo percorso l’antica Strada Statale 80 del Gran Sasso d’Italia che dopo Montorio al Vomano – la “vetrina” e la porta del Parco nazionale – si inoltra nel distretto “Strada Maestra”. Ed è stato bello ritrovare il nome con il quale nei nostri ricordi del dopoguerra venivano definite le strade vere e proprie, anche se non ancora asfaltate, con il fondo stradale bianco molto compatto laddove le altre strade minori erano sassose e sconnesse. La nostra meta, lo abbiamo detto, non erano i prati tra i monti, i boschi e gli splendidi angoli naturali del territorio della Laga, il nostro tour riguardava le località abitate, i piccoli borghi che punteggiano la montagna e la rendono accogliente e amica.

La Strada Maestra questa volta è una via minore rispetto all’autostrada dal punto di vista logistico, ma ha una potenzialità ben maggiore dal punto di vista naturalistico. Perché consente di penetrare nell’ambiente, di immergersi in quella natura che ha dato all’Abruzzo la qualifica di “Regione verde d’Europa”; di diventare, per così dire, maestra di vita ponendo a contatto con qualcosa che vale. Perché l’ambiente non è solo quello naturale, ma anche quello delle preesistenze che sono la memoria e le radici, la storia e la cultura. In una simbiosi così stretta e armoniosa che fa dei paesi arroccati nel costoni montuosi un tutt’uno con il verde nel quale sono immersi. E’ come se il tempo avesse creato una singolare alchimia nella quale forme e colori, materiali e presenze si fossero amalgamati componendo un insieme organico e indissolubile nel quale c’è il soffio della vita.

Lo spirito dei luoghi non risiede soltanto nei loro pregi ambientali che li rendono diversi e unici, ma anche nell’anima profonda che è insita nella loro storia, nelle memorie che vi sono sedimentate e fanno sentire la presenza dell’essere umano, la sua umanità. Altrimenti sarebbero belli senz’anima.

Pensavamo a questo quando siamo giunti ad Aprati, la prima frazione del Comune attraversata dalla Strada Maestra che costeggia il fiume Vomano, una sorta di campo base fornito delle attrezzature ricettive e di ristoro nonché di rivendite di prodotti tipici, funzionanti anche fuori stagione quando intorno c’è il deserto. Ma non potevamo fermarci, c’era il bivio verso i borghi immersi nel verde e arroccati sulla montagna, le altre frazioni del Comune di Crognaleto meta del nostro viaggio.

Abbiamo lasciato la Strada Maestra, la via si inerpica ma è asfaltata e comoda, ci siamo goduti l’ascesa nel verde entrando in questa sorta di “comune diffuso”, di struttura amministrativa a rete che fa capo a un’entità virtuale senza consistenza reale se non nella storia e nella memoria.

L’associazione di idee con l’“albergo diffuso” che è la nuova formula per trasformare vecchie case in strutture ricettive dura poco, la vista dall’alto muta di curva in curva, di tornante in tornante. Riviviamo la nostra escursione come se la stessimo facendo ora, tanto è rimasta impressa in noi.

Passiamo ad Aiello senza soffermarci, anche se c’è la Chiesa dei Santi Silvestro e Rocco della metà del XVI secolo, ampliata un secolo dopo, con alcune abitazioni della stessa epoca. Come non ci soffermeremo nei piccoli borghi di Figliola e Santa Croce.

In alto, verso Poggio Umbricchio

Ci interessa raggiungere Poggio Umbricchio, un nome dal suono capriccioso che viene dal 1239, precisamente da Podio Ymbreccle. Anche la sua storia viene da lontano, sono vicende di feudi e feudatari, dagli Acquaviva ai Valignano, dai Cantelo agli Orsini, dai signori di Poggio Ramonte ai Castigliano di Penne, marchesi di Poggio Umbricchio dal 1700; e si vede dalla rocca fortificata che lo sovrasta. Ammiriamo la Chiesa di Santa Maria Laurentana, con un portale del XVI secolo, ma ci prende subito la catena del Gran Sasso all’orizzonte, in uno scenario da “cinemascope”: tre gruppi montagnosi che si ergono come altari in un immenso mare di verde.

E’ una bellezza incomparabile che stordisce, come il verde che esplodeva dai finestrini nei primi viaggi in treno e fece nascere l’abitudine di leggere libri per non esserne stravolti, fu oggetto di una fascinosa affabulazione di Alessandro Baricco. Noi non possiamo metterci a leggere ma dobbiamo girare gli occhi tutt’intorno e farci forza per non essere presi dalle vertigini che dà tanta bellezza.

Proseguiamo, alcuni operai stanno lavorando ad una costruzione che si affaccia proprio nel punto più bello, ci sentiamo di invidiarne i proprietari. Anche questo dura poco, si tratta del piccolo cimitero del paese, non riconoscibile perché senza i cipressi d’ordinanza. Tiriamo un sospiro, l’invidia cessa, l’ammirazione per quella posizione incomparabile rimane. Il pensiero del terremoto si allontana; del resto, a parte questi operai, non vediamo altre presenze.

Non c’è nessuno, sembra un paese fantasma come i villaggi del West abbandonati per qualche razzia. Qui non ci sono state razzie, ma il temibile terremoto, anche se i soli segni esteriori sono alcune tende blu della Protezione civile nel piccolo campo sportivo. Non è solo per questo, però, che il paese è deserto, tutti i piccoli paesi di montagna sono spopolati, la loro funzione non è più abitativa in modo permanente, ma solo in forma stagionale. Possono essere visti come parti dell’“albergo diffuso” di seconde case che si popola nel periodo turistico, quando la vita torna a fluire tra le viuzze e le scalinate, le porte e le finestre delle abitazioni; portata dai turisti ma anche dai “naturali”, i nativi dei luoghi che ritornano.

Una funzione importante per una nazione e una regione dalla forte vocazione turistica, che dovrebbe essere riconosciuta se vi fosse la sapienza strategica di concepire questi borghi come impianti di un grande complesso produttivo del quale le singole residenze sono parti essenziali da tenere in perfetto stato di manutenzione; e non solo per questo, sono il retaggio della storia e della memoria, sono l’anima dei luoghi da custodire con cura.

Da Alvi a Tottea

Lasciamo Poggio Umbricchio a malincuore, il panorama mozzafiato ci è rimasto negli occhi e nell’anima. Il malessere dura poco, siamo ad Alvi, piccolo anch’esso, disabitato anch’esso. La quota è cresciuta, l’altitudine è di metri 1005, la stessa di Pietracamela nel cuore del Gran Sasso. Le abitazioni non sono antichissime, furono ricostruite dopo il terremoto del 1909, come fu ricostruita la Chiesa di Santa Maria, del XIV secolo; vi è un’altra chiesa dello stesso periodo, dedicata a Santa Maria Apparens, dall’apparizione miracolosa a un soldato francese in fin di vita, che fece erigere la chiesa in quel luogo per sciogliere il voto fatto nel momento del pericolo. Ci rapisce anche qui un panorama mozzafiato.

Il ricordo personale di una nostra zia che insegnò in questo paese in tempi lontani ci fa misurare la profonda trasformazione e immedesimare nello spirito del luogo. Visto così sembra impossibile immaginarlo abitato stabilmente fino a richiedere la presenza fissa della maestra. L’emigrazione prima, l’urbanesimo poi hanno fatto andare la storia alla rovescia, cancellando le presenze in montagna mentre le infoltiva e moltiplicava in pianura, salvo ripopolare per una breve stagione; l’opposto del passato allorché per motivi di sicurezza ci si arroccava sui picchi e sulle colline, tendenza poi tornata a fini turistici che ha reso necessario difendere l’ambiente dal cemento.

Proviamo il bisogno di ritrovare la gente, lo spirito dei luoghi ha bisogno della presenza umana, lo sentiamo fortemente. Questa nostra ansia viene soddisfatta, ecco Tottea, un paese vivo e vitale anche fuori stagione turistica. Non è un borgo come i due visitati finora, preziosi insediamenti privi però di una vitalità attuale, vi è animazione, ha dimensioni molto maggiori. C’è tutto ciò che serve a una comunità che vi risiede stabilmente. L’ambiente non offre solo l’immersione nel verde e le altre meraviglie dei Monti della Laga, corsi d’acqua e cascate, prati e boschi; c’è una pietra arenaria utilizzata per sculture e camini, stipiti ed ornamenti da specialisti locali dediti alla sua lavorazione che continuano nell’arte tradizionale. Si tiene un concorso annuale con la pregevole caratteristica che le opere realizzate restano al paese per essere utilizzate come arredo urbano. E’ evidente che c’è un bella chiesa, la Cappella di Sant’Antonio, con una statua del XVI secolo. Anche qui un ricordo personale, nostra madre ha insegnato nelle scuole elementari del paese in un’altra epoca, un’altra vita; il tempo non si è fermato ma noi lo stiamo ripercorrendo all’indietro.

La vita che pulsa è segnata anche da alcune tende nel piccolo campo sportivo, gli effetti del terremoto. Altri segni esteriori visibili non se ne vedono, ma la gente che si incontra racconta del grande spavento e della paura rimasta. E’ una costante nel versante teramano dove non ci sono stati crolli eclatanti ma danni all’interno degli edifici e paura, tanta paura.
Eravamo stati a Tottea due anni fa per il “clou” della stagione estiva che consiste nello spettacolo di un cantante famoso, allora fu Al Bano, in precedenza Riccardo Fogli, venne poi Max Pezzali.

E’ rimasto il ricordo del blocco delle auto al bivio, la gente saliva i sei chilometri a piedi dato l’intasamento che ostacolava anche la navetta. E questa salita fu uno spettacolo nello spettacolo, noi ripensavamo a quando nostra madre la faceva a piedi per raggiungere la sede di insegnamento; e immaginavamo che la vista naturale era la stessa, che si sarebbe scoperto il paese nello stesso modo di allora, si sarebbe potuta rivivere l’emozione della sua prima volta. Ma l’esplosione di luci e di musica dopo il buio della salita fu tale da riportare piuttosto alle immagini dei film “western” allorché dopo la traversata della prateria deserta si giungeva al “saloon”. E fu un paese trasformato in “saloon” quella sera, il big della canzone non fu al centro della festa, fu la festa stessa la protagonista assoluta.

Da San Giorgio a Frattoli e oltre

Scendendo da Tottea ci aspetta quello che per noi è il cuore di Crognaleto: San Giorgio, Frattoli, Macchia Vomano. In queste frazioni non ritroviamo il panorama mozzafiato e neppure l’animazione e la vita, ma tanto verde, un’immersione totale nella vegetazione.

A San Giorgio, una delle frazioni più alte con i suoi 1150 metri, ci sono i resti dell’antico abitato di Rocca Roseto, con la chiesa di San Giorgio, sovrastato dal castello in rovina. Anche qui c’è deserto ma per poco, all’inizio dell’estate c’è l’annuale Fiera della pastorizia con il raduno a Piano Roseto, l’esposizione negli stazzi e la valutazione, la premiazione e la cerimonia con le autorità. Ma questa è storia di oggi, ci siamo tornati di recente per un reportage sulla Fiera che i lettori conoscono. Torniamo ora ad immedesimarci nel nostro viaggio post terremoto, tra i radicati nel territorio.

A quattro chilometri da Piano Roseto c’è Cortino, che organizza con Crognaleto la Fiera, è un paese animato, con la bella Chiesa della neve, dai tre finestroni alti e stretti nella parte centrale dell’imponente facciata, sotto il rosone, e due ancora più alti e stretti nelle parti laterali, del tutto inconsueti e di sicuro pregio. Un’altra testimonianza di arte e di storia oltre che di fede.

Proseguiamo per Frattoli, ci sono delle presenze stabili, vediamo un capannello di persone e le tende blu della Protezione civile. Trenta abitazioni sono state dichiarate inagibili. Non è, come credevamo, il paese che una leggenda metropolitana accomunava a “Non ci resta che piangere”, il noto film di Benigni e Troisi. Uno del capannello ci spiega che il paese citato nel film è Frittoli, in Toscana, se lo sa con tanta sicurezza vuol dire che non siamo i soli ad avere equivocato; accerteremo poi che proprio da Frittoli la coppia irresistibile parte per il suo viaggio nel tempo. Potremmo trovarci come in quel film nel 1492, il paese si presterebbe con le sue case di pietra, il suo campanile; soltanto non terminerebbe con il treno di Leonardo, neppure il suo genio sconfinato avrebbe potuto farlo arrampicare fin quassù. Supera i 1100 metri di altitudine, nel XIV secolo era sotto Amatrice, nel XVII nel feudo degli Acquaviva duchi di Atri. Anche qui la scultura in pietra, c’è l’ultimo scalpellino impegnato in camini e sculture, vi è una tradizione di intagli in legno.

Le chiese da visitare sono due, quella gotica di San Giovanni Battista con il campanile a tre ordini di campane e “le logge” seicentesche, un bel portico in posizione isolata, e quella di Sant’Antonio, restaurata nell’800; poi le rovine della chiesa della Madonna del Soccorso.

Macchia Vomano è una specie di fine corsa, si trova affondato nel verde e si deve tornare indietro per proseguire nel tour. Ma prima merita di essere vista la chiesa di San Silvestro, del XVI secolo.

Proseguendo arriviamo più a valle a Piano Vomano, 850 m di altitudine, molto antico con costruzioni del XIII secolo e l’abitato nato dall’abbandono nel XVI secolo del precedente insediamento in località Colle del Vento di origini preromane, attestato dai resti di mura megalitiche. Alla Chiesa di San Nicola, forse del XIV secolo, ampliata nell’ultima parte del 1700, fino a due anni fa si aggiungeva l’attrattiva della “Quercia Mazzucche”, una pianta secolare amata dai pochi abitanti del paese come una nonna centenaria, crollata d’improvviso, fa ripensare ai ben noti versi di Pascoli per “La quercia caduta”:“Or vedo: era pur grande!”,“Or vedo: era pur buona!”.

Cesacastina e Cervaro

Torniamo indietro, le maggiori sorprese devono arrivare. Sono tre, l’una diversa dall’altra, l’una più bella dell’altra. I loro nomi sono Cesacastina, Cervaro, Valle Vaccaro; e infine c’è Senarica.

Cesacastina innanzitutto. Un altro paese vero, nel senso di vivo oggi, perché tutti sono veri nel senso che sono stati vivi ieri. E anche oggi servono a mantenere la memoria e l’anima di questi luoghi, oltre a rappresentare un approdo turistico. L’abitato non è particolarmente antico e per trovare edifici del XVI secolo occorre andare nelle località Colle e Combrello; lì ci sono case in pietra con architravi incisi da motti e versi, e il simbolo dei gesuiti. La chiesa con pianta a croce è dei SS: Pietro e Paolo, con il bel campanile a tre ordini di campane, gli altari barocchi sono in legno dipinto. Anche qui le tende blu della Protezione civile, segno che il terremoto si è fatto sentire.

Lo scenario naturale è bellissimo, posta com’è tra la catena del Gran Sasso dal panorama mozzafiato, e il Monte Gorzano con le altre vette della Laga.

Subito dopo viene Cervaro, pure qui scatta il ricordo personale dell’insegnamento elementare di un’altra zia maestra. E’ un piccolo borgo, si estende per centocinquanta metri, è su uno sperone tra le vallate di due fiumi. Si vedono i segni di un’antica nobiltà nei portali e negli edifici di pregio, e non si tratta solo delle case di pietra che abbiamo visto ma di costruzioni importanti: in particolare il Palazzo Forcina-Nardi.

Sapevamo che è la patria di un illustre clinico, Bernardino Masci, eravamo stati alla celebrazione a Roma e avevamo avuto il suo bel libro autobiografico “Al servizio della vita umana”. E’ un grosso volume nel quale racconta le sue esperienze nella cura dei malati, un trattato di vita di allora; un libro prezioso che viene dato solennemente come esempio ai Laureati in medicina dell’Università cattolica di Roma. E’ autore anche del monumentale “Schemi di terapia”. La lapide e il busto del prof. Masci (“Roma dona al paese natio”) sono sulla parete dell’edificio principale del paese.

Di indubbio pregio la chiesa di Sant’Andrea, del XIV secolo, ampliata nella prima metà del 1600 e restaurata un secolo dopo fino alla risistemazione del 1800; notevole il soffitto dipinto del 1700. Ci parlano di resti di antichi mulini, dicono che si possono trovare nella valle del torrente Zincano.

Valle Vaccaro e Senarica

Riprendiamo il viaggio e approdiamo a Valle Vaccaro, un nome che richiama campi boari o luoghi simili. Ebbene, ci ha colpito questo piccolo abitato dalla forma raccolta e compiuta, restaurato mantenendo la sua rusticità e le altre caratteristiche che ne fanno un borgo medioevale adatto alle ricostruzioni storiche, intorno alla Chiesa di Sant’Antonio, restaurata già a fine ‘800.

Conoscevamo Castiglion della Valle vicino Colledara, sempre in provincia di Teramo, dove nel mese di agosto c’è ogni anno una “tre giorni” di rievocazione storica, la presenza della giovinetta Lucrezia Borgia con il suo innamorato braccata e difesa dagli abitanti del luogo, serate con cena d’epoca, sfilata in costume e spettacoli medioevali. Ebbene, Valle Vaccaro a suo modo si presta ad ambientazioni di questo tipo, ha una conformazione urbana che vogliamo rimarcare.

Siamo discesi lungo la via che si inerpicava e abbiamo proseguito lungo la Strada Maestra verso la zona di Campotosto e il passo delle Capannelle. Ma non intendiamo arrivare fin lì, ci fermeremo a Senarica, ultima tappa del nostro viaggio tra le frazioni di Crognaleto nel cuore dei Monti della Laga. La quota non né alta, solo 650 metri, ma l’abitato è sospeso sulla roccia in posizione inaccessibile, sopra al corso del Vomano. La posizione spiega la sua storia di piccola repubblica indipendente, alleata della Repubblica di Venezia alla quale forniva due soldati, con esenzione dai tributi come “zona franca”; lo testimoniano gli stipiti di alcuni portali nell’arenaria grigia della Laga. Pregevole la chiesa dei patroni S. Proto e Giacinto con statue lignee del XVI secolo.

I danni economici e morali e il rilancio

Termina con questo richiamo storico il nostro tour tra i borghi montani che fanno parte del Comune di Crognaleto, alla ricerca degli effetti del terremoto. Ne abbiamo trovati pochi negli esterni che abbiamo potuto vedere, ma abbiamo immaginato dalle tende negli spiazzi vicino alle abitazioni i danni all’interno; un interno che non è solo delle case ma soprattutto è psicologico, la paura di nuove scosse che fa restare fuori anche quando i muri hanno tenuto e le case sarebbero agibili.

Abbiamo parlato con il dinamico sindaco Giovanni D’Alonzo, esperto di protezione civile, appassionato di montagna e conoscitore dei suoi problemi: “Bisogna considerare in maniera appropriata il vero danno subito dal territorio e non solo di Crognaleto ma dell’intera montagna”, ci ha detto con forza. “Al danno economico si aggiunge il danno morale, che forgerà in maniera negativa per il prossimo decennio il già gracile tessuto socio-economico di cui vive la montagna”.

Lo ha spiegato con chiarezza: “Abbiamo impiegato dieci anni insieme al Parco Gran Sasso Laga per veicolare il messaggio positivo sulla vivibilità della casa in pietra e legno, sull’albergo diffuso: il terremoto in soli 20 secondi ha detto il contrario”. E non vi sono conseguenze di poco conto: “Ora occorre un grande lavoro per riaccendere questo entusiasmo, una pesante onere economico per il sostegno e il rilancio di quelle attività che già erano in un certo qual modo terremotate”. Per questo motivo, ha proseguito, “necessitava e necessita tutt’oggi l’inserimento di queste piccole e povere realtà all’interno del cratere del sisma per far sì che la vita continui all’interno di questo sistema che si chiama montagna”.

Non sembra sia avvenuto, aggiungiamo ora, ma si spera che non manchino le provvidenze regionali e comunitarie, è doveroso ripristinare la fiducia e procedere al rilancio. Fa ben sperare il nuovo orientamento annunciato con fermezza dal Commissario del Parco Arturo Diaconale alla Fiera della Pastorizia – davanti anche al sindaco di Crognaleto, organizzatore della manifestazione con il presidente Giustino Di Carlantonio della Camera di commercio di Teramo e con il sindaco di Cortino – di considerare prioritaria l’azione contro lo spopolamento, che necessita di interventi per rendere economicamente vivibile il territorio e preservarlo dall’abbandono e dal degrado.

Il sindaco D’Alonzo conosce le difficoltà: “La montagna, le zone interne soffrono una emorragia di spopolamento sempre maggiore; il sisma del 6 aprile ha quintuplicato questo fenomeno e si può cercare di contenerlo solo con un’attenta e controllata gestione e soprattutto con l’inserimento di sistemi economici che ridiano dignità a coloro che con grande forza di coraggio vivono condizioni o situazioni di disagio sociale nel restare sul proprio territorio senza abbandonarlo”.

Sulla realtà specifica di Crognaleto insiste amareggiato: “Non è sopportabile l’enucleazione di Crognaleto dal cratere del sisma quando territori più a valle del nostro usufruiscono invece dei benefici del famoso decreto Bertolaso numero 3. Necessita l’inserimento di queste piccole e povere realtà per mantenere la nostra entità ed esistenza nel sistema-montagna”. E non manca la denuncia: “Stiamo vivendo un silenzio da incubo, le Istituzioni Regionali e Governative hanno dimenticato queste zone, questa gente… un silenzio che fa male a chi crede nel proprio territorio e non vuole abbandonarlo per nessuna ragione”.

Parole dettate dall’emergenza che fanno meditare, questi segnali forti che sono venuti dal territorio vanno colti finché si è in tempo, per evitare costi ben più onerosi se la situazione viene compromessa. Sono messaggi chiari per il commissario del Parco Diaconale, per la autorità locali e per quelle regionali e nazionali, del resto la partecipazione alla Fiera del sottosegretario all’Interno Davico ha aperto uno spiraglio a livello nazionale, ha detto che porterà il Ministro dell’agricoltura e che la difesa identitaria delle presenze nel territorio va finanziata anche come fatto culturale.

Tornando all’immediato, se una valutazione si può fare è che la stagione estiva non deve ritenersi compromessa. La ricettività è minore, ma i servizi turistici sono tornati a funzionare, lo abbiamo constatato di persona. Non sempre l’accoglienza è la stessa, però si deve considerare che nulla è stato toccato delle attrattive che richiamano folle di visitatori stabili o di passaggio. Soccorrono formule diverse e più flessibili con un obiettivo: favorire comunque la fruizione delle bellezze naturali, mantenerne il richiamo con la soluzione pragmatica dei nuovi problemi, di ordine ricettivo e logistico. Facendo appello alla creatività e all’inventiva tutto diventa possibile, e lo si vede.

Detto questo, dobbiamo riconoscere che la nostra ricognizione sugli effetti del terremoto ha assunto presto un significato diverso, si è risolta nella riscoperta di un mondo affascinante: i panorami mozzafiato in alcuni paesi, la vitalità permanente in altri, i pregi architettonici e urbani in altri ancora. E anche i borghi con minori attrattive non sono apparsi soltanto parti dell’“albergo diffuso” di cui si è detto, ma come sedi della memoria e dell’anima collettiva che dà allo spirito dei luoghi il necessario calore. Non si potrà dire di questi luoghi che sono belli senz’anima.

C’è l’anima di chi li ha costruiti e ci ha vissuto, nella difficile lotta per la sopravvivenza, con gli inverni che non finivano mai tra stenti di ogni tipo; ai quali seguiva però il risveglio della primavera e l’esplosione dell’estate. L’anima di chi ha dovuto lasciarli nel cammino della speranza dell’emigrazione che lo ha portato lontano dalla sua terra, alla quale però ha sempre rivolto un pensiero accorato di nostalgia e di affetto, tornandovi quando ha potuto. L’anima che pervade questa terra d’Abruzzo e ha reso i suoi figli forti e gentili, forti e fieri, capaci di “volontà ferma e di persistenza e di resistenza”, come disse Benedetto Croce nell’agosto del 1910 rivolto “agli amici di Pescasseroli” dal balcone della casa natale, il Palazzo Sipari. Dopo i tanti anni di Napoli, colmi di riconoscimenti alla sua grandezza, rivelò che nei momenti critici, quando stava per lasciarsi andare preso da una filosofia della vita accomodante e rassegnata trovava nelle sue origini la forza di reagire dicendo a se stesso con un sussulto d’orgoglio: “Tu sei abruzzese”!

Bene ha fatto la Regione Abruzzo a utilizzare le parole del grande filosofo come sferzata di energia e degno sigillo alla ricostruzione dopo il terremoto. Per questo vogliamo riportarle integralmente: “Quando c’è bisogno non solo di intelligenza agile e di spirito versatile, ma di volontà ferma e di persistenza e di resistenza io mi sono detto a voce alta: Tu sei abruzzese!”.

Dopo questo itinerario nella natura e nella memoria ci appaiono ancora più attuali. I nati nella terra che abbiamo attraversato potranno ripeterle orgogliosamente a se stessi. E noi con loro.

Tag: Alvi, Cervaro, Cesacastina, Frattoli, Piano Roseto, Poggio Umbricchio, San Giorgio

1 Commento

  1. Bruno Toscani

Postato settembre 27, 2009 alle 6:00 PM

Ho provato una grande commozione leggendo questo articolo. Sono nato a Cesacastina vi ho vissuto l’infanzia, mio padre e mia madre che ha lavorato come tutti coloro nati e vissuti in questi luoghi dall’alba al tramonto,ha fatto di tutto per darci una degna istruzione e soprattutto l’educazione tra mille difficoltà.
Con grandi sacrifici ha fatto studiare me e i miei fratelli. Adesso con le nostre famiglie non viviamo più a Cesacastina. siamo altrove ma il nostro paese è sempre nel nostro cuore, ogni tanto vi torniamo c’è la casa paterna che ci aspetta e rappresenta la nostra identità che non rinnegheremo mai.
Un intera generazione purtroppo è dovuta fuggire non c’era posto per tutti , un plauso a coloro che ancora resistono saranno loro che salveranno l’identità di questi aspri e meravigliosi luoghi.
Speriamo che i nostri figli apprezzino i sacrifici dei padri e dei nonni e non faranno scomparire i tesori che nascondono questi luoghi negli anni futuri.