Vermeer,1. Lo sguardo e la luce, alle Scuderie

di Romano Maria Levante

Una mostra dall’allestimento molto particolare a Roma, alle Scuderie del Quirinale, dal 27 settembre 2012 al 20 gennaio 2013, “Vermeeer il secolo d’oro dell’arte olandese”, organizzata dall’Azienda speciale Expo con MondoMostre, curata da Arthur K W heelock  jr della National Gallery di Washington e Walter Liedtke del Metropolitan Museum di New York con Sabrina Bandera soprintendente  al patrimonio artistico di Milano e Antonio Paolucci, presidente del Comitato scientifico delle Scuderie.  50 opere  di artisti del secolo d’oro olandese che fanno corona a 8 opere di Vermeer, delle 35 esistenti; sono di piccole dimensioni, con grande forza espressiva.

Vermeer, “La stradina”, 1658

Un allestimento sobrio e speciale

E’ inconsueto raccontare la mostra soffermandosi sull’allestimento, ma è la chiave per seguirne il percorso didattico e di ricerca insieme, e dare al sottotitolo il suo vero significato. Questa volta non si tratta dell’operazione alquanto frequente di lanciare il grande nome come specchietto per le allodole la cui presenza serve ad accreditare una platea di artisti minori cui si riferisce la scritta in piccolo. Del grande nome sono presentati, sì, “solo” 8 quadri, ma sono  poco meno di un quarto di quelli esistenti  gelosamente custoditi e inibiti al trasporto per la loro fragilità; inoltre i 50 quadri di pittori olandesi  della sua era non sono riempitivo, trattandosi di artisti di qualità che hanno condiviso e innovato  con lui motivi, stile e contenuti, in una stagione di intenso fervore artistico.

L’allestimento è in carattere con tutto questo, nelle 10 sale delle Scuderie dopo l’apertura  con un celebre “esterno” di Vermeer, gli esterni dei suoi conterranei coevi, poi si susseguono i temi salienti di interni  vissuti da persone e visi in una vita quotidiana  intima e raccolta, con l’interpretazione degli altri artisti e al centro, quasi incastonato, il “suo” quadro.  Sulla tonalità neutra del grigio dei rivestimenti alle pareti, spiccano a caratteri vistosi i titoli delle singole opere come capitoli di un libro da tenere a mente, in aggiunta alle consuete etichette recanti tutte le indicazioni. In ogni sala sono esposte opere con un filo conduttore comune, i titoli danno conto dei singoli svolgimenti.

Più che a sorprendere con effetti spettacolari si mira a far riflettere, a penetrare lo spirito del “secolo d’oro” per trovare al centro di ogni tematica  il culmine dell’arte rappresentato dall’opera di Vermeer. Un’eccellenza da scoprire nel confronto ravvicinato, alla ricerca della specialità nel segno e nel colore, nell’espressione e nella luce che lo rende il più grande tra pur valenti e rinomati artisti.

L’Olanda del secolo d’oro

Ma cos’è questo “secolo d’oro” della pittura olandese? Come nasce e attraverso quali circostanze della storia e della vita si è elevata la figura di Vermeer, così diversa dai grandi pittori di sempre? Sono domande a cui è bene trovare una risposta per  poter apprezzare appieno i capolavori esposti, e dare alla visita un valore  pedagogico con una vera ricerca del significato di stili e contenuti.

Dopo un conflitto durato quasi un secolo, dal 1568 al 1648,  l’Unione delle Province Unite che si erano ribellate al dominio absburgico con la pace di Munster nel 1583 raggiunge l’indipendenza: ogni provincia ha un governo autonomo, e la provincia olandese assume un ruolo dominante. La strenua lotta per raggiungere l’indipendenza, insieme a quella per difendere le terre poste sotto il livello del mare con le dighe, dà al popolo olandese una grande forza che si manifesta in un fiorente sviluppo dei commerci e dell’economia, con il sorgere di una borghesia molto intraprendente. Pur nel rigore del calvinismo protestante, dopo l’aspra lotta religiosa con i cattolici, c’è tolleranza e apertura alle scienze e alle arti, che crea spazi per esercitare liberamente lo spirito creativo. Rembrandt ad Amsterdam,  Hals alla vicina Haarlem, Vermeer a Delft sono stati i più grandi.  

La classe borghese con il suo interesse ad acquistare quadri sul mercato privato viene a sostituire il mecenatismo imperiale, ecclesiastico e  aristocratico presente in altre nazioni oltre che in altre epoche. Ne deriva che l’arte non è più vincolata ai temi religiosi, mitologici o nobiliari,  ma si orienta verso la realtà di quel periodo, fatta di vita quotidiana  e virtù civili;  non c’è più la rabbia dei decenni precedenti quando i soggetti erano violenti e dissoluti, con la pace va in scena la vita familiare. Gli artisti possono esprimere la propria creatività  ispirandosi a ciò che vedono, trovano sbocco solo nel mercato interno, quindi i quadri sono di piccole dimensioni  e i temi intimi e privati.

Già nel 1550, mentre Vermeer è in fase di formazione su temi mitologici e religiosi, troviamo De Hooch e  Steen con cortili e scene che si svolgono in strada  oppure in ambienti domestici in una disarmante semplicità; e Ter Borch, a cui si ispirò per riprendere scene di vita domestica, mentre l’elemento psicologico irrompe con  Van Mieris. La luce è la grande specialità di Fabritius che  ebbe un’influenza diretta su una delle  opere più celebri di Vermeer  il quale aveva due suoi quadri.

Siamo passati, nel “secolo d’oro”, dagli esterni agli interni, alla psicologia e ai volti con espressioni intense che la riflettono: altri nomi si aggiungono, De Witte e Van der Heyden, Maes e  Metsu, Sweerts e Shalcken,  Dou e  Ochtervelot,  Netschwer e Van Vliet, tutti presenti in mostra. E non sono semplici comprimari, anche se Vermeer è  l’eccellenza: è una carrellata di ambienti raccolti e di figure sommesse che dà la misura della pittura civile e intimistica di un’Olanda libera da qualunque vincolo che ne limiti la libertà politica, economica, e  soprattutto, artistica.

Van der Poel, “Veduta di Delft con l’esplosione del 1654”, 1654

La vita e l’arte di Vermeer

La città dove Vermeer è nato ed è rimasto per tutta la vita, a parte  qualche viaggio ad Amsterdam e L’Aia, è tra le più fiorenti:  Delft con 35 mila abitanti è al centro di commerci  anche di arazzi e porcellane cinesi, c’è una ricca classe borghese interessata all’arte. Si ritiene che, pur nel clima di libertà e autonomia da vincoli di committenza, Vermeer possa aver avuto un riferimento preciso, con un compratore abituale che forse gli ha suggerito alcuni particolari di dettaglio, ma non è certo.

E’ noto che dipingeva non più di un quadro ogni 4 mesi, in media 3 all’anno, impegnandosi con cura certosina e utilizzando materiali di pregio; collegando questo aspetto con la fine prematura a 43 anni si comprende perché abbia prodotto meno di 50 quadri in tutta la sua vita, per di più di piccole dimensioni, un decimo di quanti ne producevano altri artisti, senza pensare alle grandi pale. Piero Citati lo attribuisce alla pigrizia, agli impegni per la famiglia e il commercio o alla mancanza di compratori, e aggiunge: “O invece aveva bisogno di molto tempo perché i motivi si formassero e, a poco  a poco, lentamente, cristallizzassero, come perle prodotte da una misteriosa conchiglia”.  

Fu eletto decano della “Gilda” di San Luca di Delft nel 1662-63 e poi nel 1670-71, ma a parte questo non si metteva in vista. Nelle sue opere si riflette il suo riserbo e la riservatezza, discendeva da una famiglia modesta,  a vent’anni sposò Catharina Bolnes, una ragazza cattolica benestante  e abbracciò quella religione in modo convinto. La sua casa era vicina a una chiesa e a una scuola di Gesuiti;  era modesta, anche se dipingeva interni eleganti con la sua immaginazione. Ebbe 11 figli, viveva anche con la suocera vera padrona di casa essendo la moglie sempre incinta,  la sua vita procedette senza difficoltà fino alla crisi del 1972: la guerra con la Francia lo abbatté sul piano economico e psicologico, sopravvisse soltanto per tre anni vissuti nell’indigenza e nell’angoscia.

L’esordio come artista e la sua formazione furono ben diversi nella forma e nei contenuti da quella che sarebbe stata la sua cifra pittorica. Iniziò dipingendo scene mitologiche e opere religiose di grandi dimensioni, secondo la pittura tradizionale, fino alle nuove tendenze che si andavano profilando nell’ambiente artistico e che contribuì a determinare. Nel 1955 a 23 anni abbiamo “Santa Prassede”, che riproduce un quadro di un pittore fiorentino, al punto da mettervi la doppia firma,  come si vedrà in mostra; poi “Cristo nella casa di Maria e Marta” e “Diana e le compagne”.  

Ci si chiede se questi primi lavori, che forse trovarono acquirenti in parenti o amici, sono il frutto della conversione al cattolicesimo e se sperasse in grandi committenze ecclesiastiche . Di certo la situazione politica ed economica  dell’Olanda  e di Delft  non poteva portare a committenze di questo tipo, mentre si aprivano gli sbocchi cui si è accennato nel libero mercato dell’arte alimentato dagli acquisti della borghesia che non prediligeva simili temi ma soggetti vicini alla vita reale.

Questo lo portò alla pittura di genere cominciando con le vedute cittadine e con scene di vita quotidiana sin dalla seconda metà degli anni ’50 nel ‘600,  già dipinte da artisti dell’epoca che ebbe modo di conoscere rendendosi conto che aveva doti ben superiori per eccellere in quel campo. D’altra parte la formazione su temi  religiosi e mitologici lo aveva portato a una visione improntata alla dignità e alla nobiltà che, in soggetti e modalità ben diverse, rimase comunque il suo sigillo.

De Hooch, “La camera da letto”, 1658-60

Il giudizio di uno scrittore e di un poeta

Cosa si può dire della sua arte, come preparazione alla visita  delle sue opere in mostra?  Ci piace premettere il giudizio di uno scrittore e di un poeta ai commenti critici dei realizzatori, con i quali introdurremo la visita alle opere esposte.

Ecco il pensiero dello scrittore Pietro Citati, in un commento molto approfondito  che raggiunge toni lirici: “Non gli interessava inventare ma vedere”. La forma e il colore, gli oggetti e le persone, e soprattutto la luce, Citati li vede atteggiarsi “in modo sempre nuovo, nello splendore quieto della sua mente.  Tutto accadeva nella sua mente, che era il suo occhio, la sua mano, la sua luce, la sua camera oscura”. Della luce dice che non la riproduce come la vede, essendo molto diversa da quella reale che, tra l’altro, dopo un attimo è già mutata mentre viene fissata sulla tela. La sua luce “arbitraria, illogica, irrazionale”  fa sì che il momento non sia né effimero né eterno, “con un tocco sottilissimo lo rende assoluto”; l’azione è sospesa tra quiete e movimento, tra presenza e assenza, attesa e contemplazione, equilibrio e delicatezza. Perché “la sua mente guardava il mondo, lo rispecchiava e lo rifletteva in se stessa”.  Il  tutto nella quiete data da sentimenti raccolti nel profondo dell’anima, comprimendo “la ricchezza dell’immaginazione in un  piccolo spazio, in qualche tocco di colore e in pochi sprazzi di luce”.  Ma anche se le composizioni sono semplici, nei soggetti, nelle figure e nei particolari, la luminosità toglie ogni senso di ristrettezza, apre l’immagine dandole un’ampiezza e un’intensità che rispecchia i sentimenti.

Il grande  Giuseppe Ungaretti ha scritto: “Lo dicono il pittore della luce. Dicono che cercasse la luce. Difatti cercava la luce. Si veda com’essa vibri, per lui, dai vetri, com’essa muova l’ombra, ombra della luce, ombra quasi impalpabile di ciglia mentre lo sguardo amato si socchiude, sguardo quasi – nel suo protrarsi nella memoria e nel desiderio –  imitasse il segno dell’ombra”. Ma precisa subito: “Bisogna però stare attenti nel parlare di luce. Forse, cercando la luce, Vermeer trovava altro, forse la meraviglia sublime della sua pittura è nell’aver trovato altro”.  Un enigma anche questo che il poeta risolve così: “Il  vero resta nella giusta sua misura, pur scappandone e divenendo metafisico, facendosi idea, forma immutabile, per non divenire alla fine se non puro colore, o meglio accorta, misurata distribuzione di puri colori, l’uno nell’altro compenetrandosi, l’uno dall’altro isolandosi”. Perché la luce è “essa stessa un colore” ed è anche “l’anima d’ogni colore”.

Neppure Ungaretti, dunque, come Proust  e Giorgio Morandi,  Ingmar Bergman ePietro Citati,  ha resistito all’attrazione fatale di Vermeer e si è immerso nella sua poetica pittorica riportandoci agli aspetti visivi e cromatici che sono la manifestazione esteriore dei misteri metafisici. A  questo punto è venuto il momento di visitare  la mostra in cui il grande artista è in buona compagnia, contornato com’è da tanti campioni del “secolo d’oro” nel ‘600  olandese. La racconteremo prossimamente.

Info

Roma, Scuderie del Quirinale, Via XXIV Maggio 16, Roma. Domenica-giovedì ore 10,00-20,00; venerdì-sabato ore 10,00-22,30, lunedì chiuso, la biglietteria chiude un’ora prima.  Ingresso: intero euro 12,00, ridotto euro  9,50. Tel. 06.39967500. http://www.scuderiequirinale.it/; http://www.mondomostre.it/.  Catalogo “Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese”, a cura di Sandrina Bandera, Walter Liedtke, Arthur K. Wheelock Jr., Skira 2012, pp. 248, formato 24×28, euro 38; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I successivi due articoli sulla mostra usciranno in questo sito il 20 e il 27 novembre 2012. 

Foto

Le immagini sono state fornite dalle Scuderie del Quirinale, si ringrazia  l’Ufficio stampa con i titolari dei diritti per la cortese concessione. In apertura “La stradina”, 1658, di Vermeer,  seguono “Veduta di Delft con l’esplosione del 1654”, 1654, di Van der Poel  e “La camera da letto”, 1658-60 di De Hooch; in chiusura “Santa Prassede”, 1655, di Vermeer.

Vermeer, “Santa Prassede”, 1655