Cinema, 1. Cento bozzetti originali nel museo permanente, a Montecosaro, Macerata

di Romano Maria Levante

Il Festival del film a Roma ripropone dal 9 al 17 novembre 2012 l’annuale rassegna e il “red carpet”, ma come il cinema non suscita le emozioni del passato. Le abbiamo rivissute visitando la  mostra permanente “Cinema a Pennello” a Montecosaro, Macerata, Palazzo Marinozzi, dove sono esposti i bozzetti originali di più di 100 film, raccolti con pazienza certosina e autentica passione da Paolo Marinozzi, che si è mobilitato con il suo “Centro del Collezionismo” realizzando con questa ricca esposizione un “unicum” al mondo in un delizioso borgo di  provincia nelle Marche. Ci sembra un doveroso riconoscimento ricordare la mostra a margine dei programmi del Festival.

Renato Cesaro con Claudia Cardinale in  “Nell’anno del Signore”, regia Luigi Magni, 1969 

Ne è stata madrina Claudia Cardinale,  che nel presentare la mostra ha  candidamente espresso il suo stupore perché “questa iniziativa, particolarmente significativa, anziché in città predisposte come Roma, Venezia, o Cannes, avvenga in un minuscolo centro marchigiano”. 

Sottolineare queste sue parole nei  giorni del Festival del film romano dovrebbe  servire a richiamare l’attenzione  del mondo del cinema verso quella  parte della sua storia legata all’arte pittorica,  e alla storia del costume. E’ una storia che rimanda agli artisti i quali hanno portato le vicende dei film nella fantasia popolare  fissandole in immagini che ne evocavano mille altre: arte pittorica ma anche capacità di sintetizzare contenuti vasti e profondi con la magia del pennello.

Una eccezionale galleria iconografica

Basta sfogliare lo splendido  Catalogo edito dal “Centro del collezionismo” che contiene  una eccezionale, preziosa  galleria iconografica:  i bozzetti su carta patinata dai brillanti colori  con schede biografiche degli artisti. Se ne scopre  la vita e la formazione, l’attività professionale  spesso di illustratori che si incrocia con il lavoro per i manifesti cinematografici. Una sorpresa per noi: vi troviamo Walter Molino, che nel 1941 successe ad Achille Beltrame come copertinista della mitica “La Domenica del Corriere”:  solo pochi manifesti per dei film comici, che comunque lo collocano nella schiera dei  cartellonisti cinematografici, ha poi ritratto molti personaggi dello schermo. Il suo successore nell’ultima fase della “Domenica”, Averardo Renato Ciriello, invece, ha una posizione di preminenza nel gotha dei cartellonisti cinematografici, con migliaia di manifesti al suo attivo.

Ci sono anche gli “anonimi ma belli”, artisti non identificati di cui la mostra espone immagini di film invece molto noti, da “Viva Zapata!”  di Kazan a “Il fiore delle mille e una notte” di Pasolini,

E’ una straordinaria rassegna d’arte e di costume, perché i manifesti dei film che sono stati poi stampati  in diversi casi esposti nella mostra a confronto con i bozzetti,  hanno contribuito molto al successo della pellicola: “Più del titolo del film, talvolta, attira la locandina. Anticipa la trama, l’ambientazione, il nome dei protagonisti”, è il commento anonimo ma veritiero dietro un bozzetto.

Anche questa “massima” è stata scovata da Paolo Marinozzi, che la contrappone alla scarsa considerazione dei committenti verso l’autore del bozzetto, definito “artista senza fama” nelle etichette poste sul retro, ma la spiegazione è evidente: soltanto così potevano evitare gli oneri molto maggiori di una valutazione come opera d’arte. Era  un mecenatismo alla rovescia che svaluta la propria committenza con una miopia pari all’attenzione esasperata ai costi della fase promozionale.

L’umiliazione che ne derivava non riguarda solo gli artisti, ma tutti gli spettatori grandi e piccoli che si sono immedesimati in quelle immagini per la loro forza espressiva, segno di grande valore artistico. Fa bene Marinozzi a dare risalto alle parole di Milo Manara, che consideriamo una consacrazione di questo valore: “Da bambino pensavo che gli autori dei manifesti del cinema fossero i più grandi artisti mai esistiti in ogni tempo. Altro che Michelangelo, altro che Van Gogh”. E lo spiega: “C’era una tale potenza e contemporaneamente un tale realismo in quelle immagini che ne ero totalmente soggiogato. Mi affascinavano molto di più degli stessi film”.  Ed ecco il perché: “Su una unica immagine, a tinte forti e drammatiche, era racchiuso molto di più di quanto il film mi avrebbe poi raccontato in un’ora e mezza”. Se questo è vero, e crediamo lo sia, si può immaginare lo “tsunami” di emozioni che dà una mostra in cui di questi “racconti” ce ne sono un centinaio.

Anselmo Ballester con Marlon Brando in “Fronte del porto”, regia Elia Kazan, 1954 

Gli incontri fatali di Marinozzi

Ma se è travolgente e immediato l’effetto visivo ed emotivo della straordinaria galleria di bozzetti,  la ricerca è stata lunga, la raccolta paziente. Ce ne ha parlato direttamente Marinozzi, guidandoci nella visita: la stessa individuazione degli autori dei bozzetti spesso è risultata problematica, e non è stato facile poter avere le loro opere in molti casi disperse anche a causa della loro sottovalutazione. 

Ricorda ogni momento della sua accanita “caccia al bozzetto”,  a partire dal “colpo di fulmine” avuto nel 1992  quando nel 25° anniversario della scomparsa di Totò organizzò come collezionista una mostra di oggetti e riviste, programmi teatrali e brochure, foto di scena e … manifesti cinematografi. Armando Giuffrida titolare della libreria Metropolis lo introdusse nel mondo dei pittori dei manifesti che conosceva alla perfezione. Mentre  parlava delle loro qualità e diversità stilistiche, ricorda Marinozzi, “riuscì magicamente a trasmettermi una specie di suggestione ipnotica, identica a quella provata tanti anni prima, proprio davanti  a un cartellone del cinema, quando mi trovavo solo, attonito ed incantato ad ammirare quello splendore in cinemascope”.

Poi Antonio Decima, che ne aveva molti “tenuti come reliquie”, gli diede l'”assist”  per la mostra alla galleria romana del “Mascherino” curata da Stefano Dello Schiavo, dove finalmente riuscì ad avere i primi due bozzetti: “”Li tenni per un po’ tra le braccia, come si fa con un figlio atteso da tanto tempo. Fissai come folgorato quei dipinti per alcuni interminabili momenti in un  silenzio irreale… Tornai a casa in pullman con al mio fianco due nuovi compagni di viaggio”.

Ne raccoglie poi altri, insieme a dei manifesti  e  nel 1995 li espone all’aperto  sotto le logge di Sant’Agostino a Montecosaro;  lo aiuta  Benito Boschetti di un’agenzia di Servizi per il  Cinema, al quale si è rivolto per i manifesti dei film di Abbe Lane da lui celebrata  con una manifestazione alla quale presenziò lei stessa: un avvenimento per un piccolo paese marchigiano come Montecosaro. M il vero avvenimento per lui fu la mostra  romana al Palazzo Esposizioni nel centenario della nascita del cinema intitolata “Cinema dipinto”, che presentava alcuni capolavori del cartellonismo cinematografico; perché  poté conoscere di persona i maggiori artisti del settore.

A questo punto Marinozzi diventa un fiume in piena, nel raccontare la sua caccia al bozzetto seguendo la pista degli artisti conosciuti e degli altri che riuscì a identificare a poco a poco. Il suo racconto è punteggiato di  notazioni personali. come l’ “impresa titanica” di fare scambi con il collezionista che usava la tattica “della supervalutazione del suo usato e della rottamazione del mio”. Ma l’avventura inizia con quella mostra, riporta  a casa il primo bozzetto, dipinto da Pietro Ermanno Iaia, con Stefania Sandrelli in “Sedotta e abbandonata” ,  da allora fu lui a esserne sedotto.

Seguirono molti incontri fatali. Con Arnaldo Putzu del bozzetto di “Marisa, la luna e tu”; che ritrasse anche sua moglie Valeria, un segno degli stretti rapporti  che è riuscito a stringere con gli artisti.  La Magnani in “Bellissima”  nel bozzetto di Ercole Brivi è stata la conquista successiva.  Anche gli incontri con gli eredi dei maggiori artisti sono stati intensi, ricorda quelli con la figlia di Angelo Cesselon, di cui avrà tra gli altri il  bozzetto di “Umberto D”  e con le figlie di Anselmo Ballester, il più grande pittore di cinema, il cui “Fronte del Porto” gli fu portato da Giuffrida.

L’incontro con Averardo Renato Ciriello, che definisce “il più celebre degli illustratori viventi” e loro decano, ispirato dall’omaggio resogli da Vincenzo Mollica, è stato speciale: l’artista di persona gli ha portato a Montecosaro non solo i bozzetti, vere opere d’arte come lo spettacolare “Sentieri selvaggi”, ma anche ritratti di attrici “messe a nudo” per il settimanale Menelik dopo aver creato le pin up per le  copertine  della rivista “Signorina Sette”, un fenomeno di costume.

Viene poi  Sandro Simeoni  di cui ricorda: “Quando mi portò il bozzetto di “Accattone” sembrava tenere in braccio una creatura, la sua creatura descrittami nei minimi particolari con pasoliniane memorie, davanti al camino, come se raccontasse una autentica favola. E per me lo era veramente”.

Enrico De Seta , scomparso ultracentenario, lo incontrò nella sua villetta nella campagna romana, e fu prodigo di racconti e di aneddoti della sua lunga vita artistica. Fu il figlio Bob, con il quale visionò parte della produzione artistica del padre, a dargli il bozzetto di “I vitelloni””,  “che ad ogni sguardo riesce sempre ad emozionarmi”,  esclama con la sua consueta vena autentica e spontanea.

Conosce nel 2005 Enzo e Giuliano Nistri, autori dei bozzetti dei film di Catherine Spaak, ad una manifestazione in onore dell’attrice, e la figlia del pittore Mario De Berardinis, incontrerà poi la compagna di vita di Manfredo Acerbo, ma non riuscirà a strapparle la “Tunica”,  e Luigi Crovato, cui si deve il bozzetto di “I soliti ignoti, Alessandro Biffignardi e Silvano Campeggi, il grande “Nano”, Renato Casaro e la moglie del pittore Rodolfo Gasparri, di Castelfidardo.

Dei film del regista marchigiano, Romolo Marcellini, è riuscito a recuperare  i bozzetti di Ballester, per “M.A.S.”, e di Mauro Innocenti per “Tabù n. 2”. Ci teneva molto, “forse anche a questo spirito campanilistico devo qualcosa, come riuscire ad accumulare in tanti anni di intense ricerche, alcuni esemplari di pezzi unici che, in questo piccolo paese, raccontano la storia iconografica del cinema mondiale”.  E non sono mancate “scelte sofferte”, cita solo la rinuncia al Rolex e a preziose tavole.

Ercole Brini con Anna Magnani in “Bellissima”, regia Luchino Visconti,  1951 

Racconti e immagini che fanno storia: dell’arte, del cinema e del costume

Sono racconti che fanno storia, la storia dell’arte figurativa al servizio del cinema, in una simbiosi che oggi assume aspetti molto diversi. Non c’è più il pennello degli artisti, alla pittura si sostituisce la tecnologia digitale, fatta di computer e di “mouse”, l’estro si esprime con la freddezza della grafica. Marinozzi  si dichiara “nostalgico di antiche emozioni, vissute come uno dei tanti bambini incantati davanti ad un grande cartellone”, e ci fa ripensare al film di Jacques Tatì che esprimeva visivamente questo sentimento che non è retrogrado ma molto umano.

Ma proprio questo dà alla sua opera un valore definitivo,  come la riscoperta di “civiltà sepolte” , o meglio di reperti che potevano andare perduti. Invece non solo sono salvati dalla distruzione che sarebbe seguita all’oblio, ma sono stati portati alla luce e messi a disposizione di tutti in una  terra aperta alla cultura, esposti nell’antico palazzo patrizio, ai margini del borgo medioevale,  che  fa pensare a un castello a protezione di questi valori dell’arte e dell’umanità.

Entrati nella memoria personale e collettiva , meritano di essere riproposti  per continuare a sognare. “Il sogno è sempre più sbiadito e lacerato”, dice Marinozzi; ma per merito suo torna a brillare e a risplendere.

Il racconto di Paolo Marinozzi si è dipanato  con aneddoti e particolari pittoreschi, il tutto animato da una forte passione e da  una gioia quasi infantile nel descrivere le sue conquiste. Un film nel film, va definito, dato che il film principale è da lui realizzato nel set del palazzo di famiglia.

Dopo il racconto, la visita alle numerose sale e salette dei due piani del palazzo dove sono esposte le opere. E non a caso abbiamo parlato di set, i bozzetti si integrano nell’ambiente al quale danno il colore e il calore delle  loro immagini, non sono semplici quadri in  successione ma tessere di un mosaico in cui il palazzo nobiliare ha una parte non secondaria. Sembra il terreno in cui  si svolge una storia  piuttosto che una sede espositiva, ed è giusto che sia così. Perché i  bozzetti oltre a raccontare con la loro sintesi artistica la propria vicenda, nella  loro successione incalzante esprimono la storia di un costume e forse di una civiltà, al di sopra delle frontiere: vi è rappresentato il cinema mondiale, in un percorso di oltre  mezzo secolo.

Come nei due tempi cinematografici, la storia si sviluppa in due piani del palazzo, nel susseguirsi di scene tra una stanza e l’altra. Sono unite, come nelle antiche case nobiliari, con la continuità delle singole “enclave”  nelle quali sono esposti i quadri. Fino all’arrivo al salone centrale, dal soffitto riccamente affrescato, dove la sensazione di assistere a  una vera storia che si snoda in un ambiente “vissuto” è reso plasticamente dalle riproduzioni , questa volta in manichino, delle  attrici sedute sulle sedie quasi in una magica evocazione. Ma non si incontrano i misteri dei castelli, tutto è aperto e palese, sono stati ricavati anche degli angoli con suggestivi abbinamenti tra bozzetto e manifesto.

La visita sta per iniziare, non si può esaurire in poche battute, ne parleremo prossimamente.

Info

Montecosaro (Macerata), Palazzo Marinozzi a Porta San Lorenzo, visite guidate su Appuntamento. Infoline 0733.229164. museo@ cinemaapennello.it; www. cinemaapennello.it. Catalogo “Cinema a Pennello. Un bozzetto di storia”, di Paolo Marinozzi, edito dal “Centro del Collezionismo”, Montecosaro, giugno 2011,  formato 24×28 cm, pp. 304 su carta patinata a colori.; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I due successivi articoli sulla mostra usciranno in questo sito il 17 e 19 novembre 2012, il primo con i bozzetti  di Cesselon, Putzu, Maro e Simeoni, il secondo con quelli di Ciriello, Campeggi, Manfredo e  Gasparri.

Foto

Le immagini sono tratte dal Catalogo, si ringrazia l’autore Marinozzi con l’Editore e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta; per la  figura e l’opera degli autori delle immagini inserite nel testo cfr. i due articoli successivi del 17 e 19 novembre. In apertura, Renato Cesaro con  Claudia Cardinale in  “Nell’anno del Signore”, regia Luigi Magni, 1969; seguono  Anselmo Ballester con Marlon Brando in “Fronte del porto”, regia Elia Kazan, 1954, ed Ercole Brini con Anna Magnani in “Bellissima”, regia Luchino Visconti,  1951; in chiusura, Ermanno (Piero) Iaia con Charlton Heston in “I dieci Comandamenti”,  regia Cecil B. De Mille, 1956. 

Ermanno (Piero) Iaia con Charlton Heston in “I dieci Comandamenti”,  regia Cecil B. De Mille, 1956