Dalì, 2. Surrealista, classicista e non solo, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Il surrealismo  è stato il cuore della mostra “Dalì, un artista, un genio”, svoltasi son grande successo di pubblico al Vittoriano dall’8 marzo al 1° luglio 2012, di cui vogliamo sottolineare la persistente validità per conoscere la sua complessa personalità. Ma ci sono state anche le tante altre manifestazioni della sua arte poliedrica che ha espresso, oltre che nei dipinti, in disegni e in forme scultoree, nella vita anticonformista e trasgressiva di personaggio e di artista con una forte base culturale e con una padronanza della tecnica pittorica  che ha attraversato i diversi stili del ‘900.

“Impressioni d’Africa”, 1938

Nella base culturale di Dalì c’era una forte attrazione per i classici del Rinascimento italiano che non vedeva chiusi in una torre d’avorio, ma attivi nella vita sociale con la loro creatività.  Lo riteneva – come scrive nel 1965 in “Diario di un genio” – “compito dell’artista, e senza dubbio il più grande merito dei Principi rinascimentali d’Italia è di aver capito questa cosa evidente e di aver affidato l’organizzazione delle loro feste a Vinci o a Brunelleschi”. Con questa citazione la curatrice della mostra Montse Aguer dà la chiave interpretativa delle incursioni di Dalì nella società in cui viveva, nella vita mondana e nelle più diverse discipline, scrittura e teatro, cinema e  pubblicità.

La creatività dell’artista calata nella realtà lo portava a reinterpretarla in un’ottica soggettiva, riplasmando e reinventando il mondo in cui viveva nel quale per questo amava immergersi imprimendovi la propria personalità nella vita come nell’arte. Così diviene artista “fine e principio della propria creazione”, vale a dire “mito e creatore di miti, come icona della cultura di massa”.

Il surrealismo, la forma in cui si è maggiormente manifestata la sua arte pittorica, incarna questa trasformazione della realtà a misura dei propri sogni e incubi, visioni e ossessioni, con immagini oniriche, dove la suggestione si unisce all’inquietudine perché scavano nell’inconscio. “Vedere il mondo sotto un’altra forma” è la sua dote che faceva risalire all’infanzia. Ma non si tratta di improvvisazioni estrose per non dire eccentriche, bensì l’approdo di un percorso nel quale la ricerca di uno stile personale partita dai classici tocca impressionismo e puntinismo, purismo e cubismo.

“Composizione con tre figure. ‘Accademia neocubista’”, 1926

Dalle opere nei vari stili del ‘900 a quelle del surrealismo

Del puntinismo vediamo “Bagnanti di Es Llaner”, 1923, una composizione con piccole figure quasi sospese nella scomposizione cromatica di quello stile, come del purismo c’è “Ritratto di mia sorella”, mentre in “Cadaqués vista dalla Torre di Capo Creus” combina diverse tendenze richiamandosi a una veduta di Cézanne e alle composizioni cubiste. Nelle sue opere si riflette anche la metafisica di de Chirico – pur se l’artefice di tale atmosfera  misteriosa lo definiva “l’antipittore per eccellenza” – con le ombre, gli orologi, il “tempo sospeso”.

In questo periodo dipinge “Partenza, Omaggio al Notiziario Fox”, lo presenta a Picasso che lo apprezza, nel 1926, in una visita  dalla quale trae spunti cubisti innestati sul realismo classicista che troviamo in opere dello stesso anno: “Tavolo di fronte al mare. Omaggio a Eric Satie, Figure distese sulla sabbia” e soprattutto  “Composizione con tre figure. ‘Accademia neocubista’” il riferimento è nello stesso titolo.

C’era già stato nel 1924 il “Primo Manifesto del surrealismo”, con l’invito a far incontrare due stati così diversi come il sogno e la realtà in una dimensione assoluta, la surrealtà. Dalì lo scopre nel 1929, quando la russa Gala lo affascina: le dedica, con le parole “Gala-Gradiva, colei che avanza”, il libro “La mia vita segreta” dove la paragona alle “serene perfezioni del Rinascimento” e  scrive: “Posso dire che Gala, seduta, somiglia perfettamente al tempietto del Bramante presso la chiesa di San Pietro in Montorio di Roma”. Lei lo introduce nel gruppo surrealista di Breton, eccola in “Inizio automatico di un ritratto di Gala”, 1933; la sposa, sarà la musa e la guida della sua vita.

Nel decennio 1929-39 fa parte del movimento surrealista con il suo “metodo paranoico-critico” ritenuto da Breton “uno strumento di prima linea”, come abbiamo ricordato nella presentazione della mostra. Tra le opere esposte, del 1931-32 “Il senso della velocità” e “Gradiva riscopre le rovine antropomorfiche (Fantasia retrospettiva”), entrambi con chiari richiami metafisici; il primo con lunghe ombre proiettate da un cipresso e da oggetti, tra cui un orologio con scarpa incorporata; il secondo con l’abbraccio di manichini inconfondibili come l’atmosfera misteriosa che li circonda.

Del 1934 “Lato occidentale dell’Isola dei morti”, “Eclissi e osmosi vegetale” con il cipresso e il cavallo, le ombre e la figurina lontana, elementi alla de Chirico in vasti spazi misteriosi, che diventano panorami lontani con in primo piano una sorta di due giganteschi ectoplasmi che sovrastano la minuscola figura umana in “‘Angelus architettonico di Millet”, ispirato a un quadro figurativo di Millet, rimasto impresso in lui dall’infanzia, trasfigurato per un effetto psicanalitico prima che pittorico.Mentre  in“Lo spettro del sex appeal”, del 1935, una figura umana altrettanto minuscola è schiacciata dalla gigantesca forma umana piegata sul ginocchio sinistro, sarebbe ispirata alla Venere di una celebre saliera di Benvenuto Cellini. Nel piccolo quadro c’è un paesaggio roccioso, che diventa pianeggiante in“Figura e drappeggio in paesaggio”, dove da una tenda appaiono dei rami e una figura umana senza volto mentre in lontananza forme minuscole, un uomo e un cipresso, proiettano lunghe ombre, anche qui l’associazione con de Chirico è immediata.

E che dire di “Singolarità”, del 1936, con le figure come manichini e gli orologi, e di “Composizione surrealista con figure invisibili”, del 1937, dove l’associazione è altrettanto immediata, questa volta per i mobili ripresi all’aperto? In  “Coppia con la testa piena di nuvole”, dello stesso anno, invece, l’originalità è assoluta, sono due tavole sagomate e dipinte, con la forma umana che nel corpo presenta il frequente paesaggio metafisico e nella testa rende onore al titolo.

Del 1938 ricordiamo  “Impressioni d’Africa”, che ha una lunga storia, fu dipinto in Italia dopo un viaggio in Sicilia “dove avevo trovato – scrive lui stesso in “La mia vita segreta” – reminiscenze della Catalogna e dell’Africa”; ma soprattutto dove era morto  suicida  lo scrittore francese Raymond Roussel autore nel 1910 di un’opera teatrale dal titolo che Dalì diede al quadro, ripetuto in un libro di poesie del 1932 illustrato da 59 tavole. In linea con la “patafisica” di Roussel, che univa nonsenso, assurdo e ironia, il quadro è, secondo la critica, “un vero trionfo dell’immagine doppia che sgorga per emersione spontanea dall’inconscio attraverso la prassi del metodo paranoico-critico”. In un paesaggio desertico  spuntano immagini con innestati in modo insensato elementi eterogenei in un clima surreale; mentre sulla sinistra in primo piano in stile figurativo c’è il cavalletto con l’artista intento a dipingere la cui mano destra è protesa verso l’osservatore.

Ci sarebbe tanto da dire su questo e sugli altri dipinti citati, unasuccessione di invenzioni pittoriche che lascia senza fiato, tra scomposizioni delle forme ed ectoplasmi, deformazioni paradossali di gambe sterminate filiformi e figure grottesche, visioni incantate di sogno fantastico come le “fanciulle in fiore” con i petali e i rami nei capelli o nei seni.

“‘Angelus’ architettonico di Millet”, 1933

ll ciclone americano: cinema e balletto, non solo pittura

Approdato negli Stati Uniti nel 1940 dopo aver lasciato Parigi occupata dai tedeschi, la sua pittura  si riporta a un classicismo reinterpretato e reinventato, mentre si lancia anche nel cinema e nel balletto continuando nel suo rapporto fecondo con la scrittura: ricordiamo l’autobiografia “La mia vita segreta”, oltre a innumerevoli saggi e articoli. Nel cinema sono suoi i piani inclinati attraversati da Gregory Peck e i vortici che attanagliano Ingrid Bergman nelle scene da incubo del film “Io ti salverò” di Hitchock; nel balletto suoi il libretto, le scene e i costumi di “Baccanale”, musica di Venusberg, nonché di “Labirinth”, musica di Schubert, e di “Mad Tristan. The first paranoiac ballet based on the eternal myth of love and death”, musica di Wagner: titoli con i motivi surrealisti, il labirinto dell’inconscio, il metodo paranoico-critico che conquistò subito Breton. Rappresentati al Metropolitan di New York nel 1939-45, tutti con  coreografie di Léonide Massine.  

In mostra tutto questo era evocato da fotografie e video, articoli e documenti, in una rivisitazione a tutto campo dell’artista, nella quale sono comprese anche incursioni singolari nell’oggettistica. Il fondale dipinto a olio di “Tristano e Isotta”, con il tema a lui consueto dei rami nei capelli di Isotta, e “Progetto per ‘Spellbound'”, entrambi del 1945, fanno calare in questa dimensione; del 1943 “Composition avec tour (Bozzetto per sipario di scena di ‘Café de Chinitas”, per uno spettacolo, riporta ancora a de Chirico, nell’atmosfera, nelle ombre e nella tipica arcata sulla destra.

tipici di questa fase il dipinto dal titolo ironico:  “Autoritratto molle con pancetta fritta”, 1941; una maschera drammatica con i suoi baffetti che sembra dissolversi sciogliendosi nel dolore tra le formiche che stanno per invaderla e delle improbabili grucce sparse a sostegno, anche qui si pensa a de Chirico. Infine  gli oli su masonite, “Telefono bianco e rovine”, “Grande  testa di dio greco” e l’acquerello “Struttura triangolare con fontana riflettente” dal comune titolo “Destino”, 1946.

La scienza e il misticismo nella sua pittura fino al ritorno ai classici

Una personalità così singolare che sfugge ad ogni classificazione, immersa nel delirio onirico  dell’inconscio, sembrerebbe lontana anni luce dalla visione scientifica. Anche in questo Dalì sorprende, fu sempre attento ai progressi scientifici in quanto espressione dell’uomo per il quale aveva grande curiosità. In un incontro a Londra mostrò a Freud un suo articolo sulla paranoia, si interessò alla quantistica di Plank e alla “divina proporzione” di Pacioli, alla “colla cosmica” di Heisenberg scrivendo nel catalogo di una mostra del 1958 a New York “voglio trovare la maniera di trasportare le mie opere nell’antimateria” e al DNA  con lo scopritore premio Nobel Watson.

Manifestò interesse anche per la fusione e fissione nucleare e non solo sotto il profilo scientifico. Dichiarò nelle  “Confessioni inconfessabili” a Parinaud: “L’esplosione atomica del 6 agosto 1945 mi ha provocato un brivido sismico. Da quel momento l’atomo è stato il mio argomento di riflessione preferito. Molti dei paesaggi dipinti in questo periodo esprimono la grande paura che ho provato alla notizia della deflagrazione”. Sono quadri composti da frammenti uniti da un’energia  che li compenetra tra loro e nel mondo circostante.

Non c’è solo il metodo “paranoico-critico” dinanzi agli incubi dell’olocausto nucleare: “Per penetrare nel cuore della realtà, ho l’intuizione geniale di disporre di un’arma straordinaria: il misticismo, ovvero l’intuizione profonda di ciò che è, la comunione immediata con tutto, la visione assoluta attraverso la grazia della verità, attraverso la grazia divina”. Verrebbe da non crederci,  ma sono sue parole testuali, tratte dal 2° volume della sua “Obra completa”

“Basta coi sogni e la psicopatologia – proclama – il futuro è tutto fissione, atomo, fisica e metafisica”, E con metafisica intende misticismo: nel “Manifesto mistico” scrive che gli artisti devono mettersi al passo con il progresso scientifico, ai mistici il compito di risolvere “le nuove sezioni auree dell’anima del nostro tempo” con una “potenza rinascente” che abbandoni “il più sordido materialismo”.

Troviamo i riflessi diretti di questa nuova visione in “Dematerializzazione vicino al naso di Nerone” ed “Equilibrio interatomico di una piuma di cigno”, 1947, in “Leda atomica”, 1949, e “Madonna di Port Lligat”, 1950: quest’ultimo, in cui impersona Gala nella Madonna, unisce la bellezza di Raffaello a un motivo di Piero della Francesca, l’uovo sospeso in alto, simbolo di “forma perfetta, essenziale, priva di principio e fine”, che contiene “qualcosa di segreto e non è riproducibile” in modo artificiale essendo opera della natura. Fino ai dipinti con la spirale doppia del codice della vita, la cui denominazione figura nell’interminabile titolo che inizia con “Galacida…”, e termina con ribonucleico, l’acido del DNA, l’anno è il 1963.

Si appassiona all’ottica, vediamo la tela “Studio per ’50 quadri astratti che si trasformano”: a 2 metri in 3 Lenin cinesi, a 6 metri nella testa di una tigre, stravagante e per questo intrigante; il numero 50 lo ritroviamo anche nel suo scritto “50 segreti magici per dipingere”. Studia immagini stereoscopiche, anche per dare l’illusione della terza dimensione, ecco “Il piede di Gala. Dipinto stereoscopico”, 1975-76, un’opera a due elementi in cui tenta un gioco tridimensionale.

Dall’ottica alla sua proiezione più avanzata, l’olografia dopo il Nobel per la fisica a Gabor per i lavori con il laser che dà l’effetto rilievo, dove lo porta il suo interesse anche filosofico a rendere le dimensioni di tempo e spazio in modo plastico. “Alla ricerca della quarta dimensione”, 1979, esprime questa sua ricerca; andrà ancora oltre nell’ultima fase della vita allorché la sua produzione si basa sullo studio della teoria delle catastrofi del matematico René Thom.

Ma le sue ultime opere più importanti, siamo negli anni ’80, segnano un ritorno all’antico in tutti i sensi, come classicismo e come iniziazione all’arte. Vediamo esposte  “La perla. Dall’‘Infanta Margherita di Velasquez” 1981, tema su cui si cimentò anche Picasso con innumerevoli versioni, ben 44. Ci interessano in modo speciale per il ritorno ai grandi maestri italici  “Eco geologica. La pietà”, “Senza titolo. Dal ‘Giorno’ di Michelangelo”, “Senza titolo. Dalla ‘Notte’ di Michelangelo“, tutti del 1982: dal Raffaello dell'”Autoritratto” innestato sul suo collo dei 17 anni,  alla reinterpretazione “d’aprés” michelangiolesca con gli stravolgimenti plastici dei 78 anni!

In mezzo i tanti anni in cui l’Italia ha avuto un ruolo di protagonista nella sua vita come nella sua arte, che si è manifestata nel nostro paese anche in altre forme. Le vedremo prossimamente rivivendo viaggi e permanenza a Venezia e Roma a conclusione di una mostra indimenticabile..

Info

Catalogo “Dalì. Un artista, un genio”, a cura di Montse Aguer e Lea Mattarella,  Skirà,  pp. 266, formato 24×28 cm; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il  primo articolo è uscito in questo sito il 28 novembre 2012, con la presentazione dell’artista e la prima fase del suo percorso artistico, il terzo e ultimo uscirà il 18 dicembre 2012.

Foto

Le immagini sono state riprese al Vittoriano alla presentazione della mostra da Romano Maria Levante; si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura “Impressioni d’Africa”, 1938; seguono “Composizione con tre figure. ‘Accademia neocubista’”, 1926 e “‘Angelus’ architettonico di Millet”, 1933; in chiusura “Autoritratto molle con pancetta fritta”, 1941.

“Autoritratto molle con pancetta fritta”, 1941