Mario Praz, Primoli e Gendel con 17 foto, al Museo Praz

di Romano Maria Levante

A cura della Galleria Nazionale d’Arte Moderna la mostra di 17 scatti fotografici di Milton Gendel, dal23 novembre 2012 al 24 marzo 2013, nellacasa-museo di Mario Praz a Palazzo Primoli a Roma. Un appuntamento del destino ne è alla base: il fotografo vi si è trasferito nel 2011, e ha donato l’Archivio alla Fondazione Primoli, Mario Praz vi era andato nel 1968  donando alla Fondazione la Biblioteca. La selezione fra le innumerevoli foto disponibili,è  accompagnata da lettere, articoli ed altre testimonianze di un’epoca e di uno studioso. La mostra e il Catalogo edito da Peliti Associati sono stati curati da Barbara Drudi e Patrizia Rosazza-Ferraris.

Gendel, “Ritratto di Mario Praz!, Roma, Palazzo Primoli, casa Praz, 17 febbraio 1983, l’ultimo

Mario Praz e Giuseppe Primoli sono i “padroni di casa” virtuali, protagonisti di quella sorta di set teatrale di alta qualità intellettuale che è la residenza i cui “visitors” sono stati ripresi dall’obiettivo di Milton Gendel, l’altro protagonista di una sorta di podio d’eccellenza creato dalle circostanze.

Su questo set sono sfilati personaggi che hanno firmato il celebre “visitors book”, un piccolo volume con il titolo in oro su fondo colorato, azzurro dal 1949 al 1953, rosso dal 1954 al 1965, verde dal 1965 al 1982: sono tre album successivi fino al 17 febbraio 1982, quando il terzo si chiude con la firma di Milton Gendel, che scattò l’ultima fotografia a Mario Praz, il quale si spegnerà poco più di un mese dopo, il 23 marzo. Il “visitors book” dai bordi dorati fu acquistato in Inghilterra e rientrava nell’abitudine delle dimore inglesi adottata da un anglicista come Praz.

La mostra con le 17 fotografie– il numero celebra il giorno dell’ultima firma con l’ultimo scatto di Gendel a Praz, ci siamo associati pubblicando il 17 febbraio, nel 31°anniversario – si svolge nella storica residenza in cui la storia culturale e umana dei protagonisti è connaturata all’edificio e ai suoi arredi che fanno da cornice alle dotazioni d’epoca, in primo luogo la Biblioteca e l’Archivio.

Sono le fonti a cui si è attinto per l’esposizione di lettere, minute e dediche, biglietti da visita e cartoline, con altra documentazione di vario tipo, come libri e recensioni giornalistiche, selezionata tra quella relativa ai personaggi fotografati, in modo da far emergere il loro rapporto con Mario Praz, autore di scritti riguardanti proprio loro opportunamente presentati in mostra.

I protagonisti, Praz e Gendel con Giuseppe Primoli

L’edificio dov’è il Museo Mario Praz che ospita la mostra non ha un ruolo secondario, perché riconduce al conte Giuseppe Primoli, nato nel 1850, creatore della preziosa Biblioteca in cui, nelle parole di Pietro Paolo Trompeo, c’è il “sacrario stendhaliano”, con edizioni originali recanti autografi dell’autore di “Il rosso e nero” per annotazioni e correzioni e con libri di altri autori con postille di Stendhal; inoltre c’è un’ampia presenza di libri sul primo e secondo impero di Napoleone, nel suo palazzo al lungotevere oltre alla Fondazione Primoli c’è il Museo Napoleonico.

Giuseppe Primoli – a lungo in Francia dove si formò da adolescente e divenne frequentatore di circoli letterari – ebbe rapporti di amicizia con i più celebri scrittori francesi dell’epoca, come Thèofile Gautier e Dumas figlio, Flaubert e Anatole France, Daudet e Zola, Maupassant e i Goncourt, Bourget e Valery; e italiani come De Amicis e Matilde Serao, Fogazzaro e Verga, fino a Gabriele d’Annunzio, che lo chiamava “delizioso e adorabile amico”, “ottimo Italiano e Romano” e “custode di tesori occulti”. Lo esortava a istituire nella residenza un’accademia come quella dei Goncourt, fino a definirsi “futuro Academico dell’Academia dell’Orso”, la via adiacente, e “Academico della Primola”; l’accademia non nacque, ma la Fondazione Primoli con il Museo Napoleonico sì.

La Fondazione, Ente morale nel 1928, ha lo scopo di “promuovere relazioni di cultura letteraria fra l’Italia e la Francia, con speciale riguardo agli studi moderni”, dall’inizio fu proiettata verso il futuro; nel 1957 aveva”circa ventottomila volumi, tra cui cinquanta incunaboli, centocinquanta elzeviri, libri con dedica autografa e una bella collezione di rilegature romantiche”. Lo scrisse Trompeo, che descriveva così Giuseppe Primoli: “Eminenza grigia di un cenacolo letterario che accademia ufficialmente non nera e che per parecchi decenni visse di una sua vita sempre fedele all’impronta datagli da chi ne era stato l’iniziatore, ma rinnovantesi via via secondo lo svolgersi della letteratura in Italia e in Francia, letterato e scrittore, sia pure occasionalmente, non poteva non essere egli stesso. Lo stile del conte Primoli rende bene il colore di un’età e di una società”. 

Non si può apprezzare appieno il set della cultura che costituisce il fondale teatrale della mostra senza immedesimarsi in questo stile, come premessa alla conoscenza di Mario Praz.

Praz è stato un intellettuale e uomo di cultura, critico d’arte e studioso di letteratura di vari paesi, oltre all’Italia, in particolare Francia e Spagna, Germania e Russia, ma soprattutto Inghilterra. Vi si recò nel 1923, dopo aver avuto nel 1920, a 24 anni, la rubrica “Letters from Italy” su un periodico inglese; gli fu dato subito un incarico all’Università fino al 1931 quando pubblicherà saggi sulla letteratura inglese, apprezzati tra gli altri da T. S. Eliot, con cui ebbe intensi rapporti; nel 1932 divenne docente di letteratura italiana a Manchester. Era stato pubblicato nel 1930 “La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica”, criticato in Italia ma apprezzato nella traduzione del 1933 in Inghilterra e Usa, un testo veramente suggestivo per forma e contenuto.

Tornò in Italia nel 1934 e fino al 1966 insegnò lingua e letteratura inglese all’Università, e istituì la prima scuola di anglistica in Italia; pubblicò nello stesso 1934 gli “Studi sul concettismo”, e nel 1936 la “Storia della letteratura inglese”, che aggiornò nel 1960 e nel 1979. Il suo impegno culturale lo portò a fondare nel 1949 la rivista “English Miscellany. A Symposium of History, Literature and the Arts”, poi dal 1952 veniva chiamato per conferenze nelle università degli USA. Ebbe la passione per il collezionismo di antiquariato che coltivò con assiduità e costanza, ed ereditò una parte dei mobili stile impero del patrigno. Scrisse il racconto autobiografico “La casa della vita” nel quale descriveva il “cimitero di memorie” costituito dagli arredi e dagli oggetti della sua abitazione in via Giulia che trasferì, con la fornitissima biblioteca, a Palazzo Primoli dove spostò la sua residenza, come inquilino della Fondazione. Cessato l’insegnamento, si ritirò nella sua casa-museo ispirando la figura del protagonista del “Gruppo di famiglia in un interno” di Luchino Visconti, cosa che sembra non gradisse; non viveva da isolato, ma continuavano i contatti per gli studi.

Dopo la sua morte, nel 1986 lo Stato acquistò il tutto dagli eredi e dopo il restauro e la sistemazione da parte della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, ne fece il Museo Mario Praz al 3° piano del Palazzo Primoli, dov’era l’abitazione conservata con tutti i libri, le suppellettili, gli oggetti.

La sua casa divenuta museo sale dunque alla ribalta, e così i suoi visitatori, i “visitors” del nostro protagonista legato all’Inghilterra come l’altro personaggio, Giuseppe Primoli, era legato alla Francia: entrambi tramiti attivi delle rispettive culture letterarie poi celebrate nello stesso edificio.

Il destino fa incontrare l’anglicista Praz con il fotografo americano Milton Gendel nella residenza dell’ambasciatore britannico a Roma Ashley Clark, a Villa Wolkonsky, nel 1958: una sede ottocentesca come piaceva a Praz, ma che univa classicismo a modernità, come piaceva a Gendel. Insieme fecero parte del Byron Committee per la collocazione della statua del poeta romantico inglese a Villa Borghese; decisero di abbinarle una borsa di studio per una giovane poetessa.

Gendel –  con cui abbiamo parlato all’inaugurazione della mostra dei suoi scatti e ci ha autografato il Catalogo – è una persona colta, scrittore e fotografo, di vent’anni più giovane di Praz, essendo del 1918 mentre Praz era del 1896. I suoi interessi culturali vanno dall’antichità all’arte contemporanea, come si vede nei saggi che ha scritto per “Art News”, in particolare sull’arte astratta.

Dall’arte è passato alla fotografia naturalmente, seguendo il percorso che portò a far inserire effetti pittorici dai fotografi definiti per questo pittorialisti. Il nostro sembra appartenere alla “straight photography”, la fotografia documentaria alla Cartier Bresson attenta ai dettagli, ma il suo occhio è rivolto a taluni effetti pittorici e richiami all’arte; anche con il ricorso all’ironia.

Il suo modello di vita dinamico, tra continui cambiamenti, è molto diverso da quello di Praz, che dopo il soggiorno londinese si stabilì a Roma cambiando abitazione solo una volta mentre Gendel è stato nomade anche in questo. In comune la passione per le residenze storiche, oltre all’approdo a Palazzo Primoli, per Praz avvenuto nel lontano 1969, per il fotografo americano solo nel 2011, dopo altri luoghi prestigiosi: vi andò da Villa Doria-Pamphili, prima era stato a palazzo Costaguti in piazza Mattei, prima ancora in Palazzo Pierloni Caetani all’Isola Tiberina; a New York aveva avuto l’abitazione a Washington Square, in una tipica casa inglese in mattoni rossi del 1835.

Milton Gendel, “Mario Praz con Margaret d’Inghilterra” , Roma, Palazzo Primoli, casa Praz, 10 giugno 1973

La casa-museo di Mario Praz

Trovarsi nello stesso palazzo non è l’unico abbinamento, la sede ospita in altra ubicazione l’esaltazione dell’impero napoleonico, amato da Primoli e da entrambi aborrito. Inoltre avevano in comune il gusto del collezionismo, anche se con un diverso atteggiamento, così descritto da Barbara Drudi, curatrice della mostra e del Catalogo con Patrizia Rosazza-Ferraris: “Mentre Gendel non ha un particolare attaccamento agli oggetti che acquista, anzi delle volte li rivende per acquistarne di nuovi, magari più adatti per gli spazi di un nuovo appartamento, per Praz ogni oggetto ha una sua storia, e trova la sua idonea collocazione all’interno della grande ‘mise en scène’ della sua casa”. Inoltre Gendel ha dimenticato luoghi e tempi degli acquisti di mobili e oggetti, e si definisce “accumulatore”, segnando un certo distacco anche con elementi grotteschi in linea con la sua origine surrealista; mentre Praz ne ha descritto la genesi ricordando nomi di antiquari, prezzi e circostanze, l’opposto della “casualità” di Gendel, comportandosi da autentico collezionista.

Per quanto riguarda l’arredamento nel suo insieme, le differenze sono altrettanto marcate pur nella  comune attenzione per l’interno delle rispettive abitazioni. In Gendel c’è un’eterogeneità che lo fa definire “a tutti gli effetti un uomo del suo tempo”, affianca reperti etruschi ad opere di astrattisti, i quadri, le sculture, gli oggetti presi dagli antiquari e a Porta Portese sono delle più diverse epoche.

Mentre, sempre secondola Drudi, “nell’arredare il suo appartamento, Praz sembra voler creare una grande scenografia ‘neoclassica’. La casa si trasforma in un palcoscenico, nel quale gli spazi dei dipinti ottocenteschi, gli interni borghesi o aristocratici, si animano e diventano praticabili, proprio come a teatro”. E ancora: “Mobili, oggetti, dipinti e stoffe prendono vita e ricostruiscono perfettamente le opere sei.-settecentesche appese alle pareti. Un vero e proprio tentativo di dare corpo e luogo a uno spazio immaginario, o immaginato, perché forse, quella purezza dello stile Impero, inseguita da Praz, non è mai esistita”.

C’è “una tale quantità di mobili, dipinti, sculture e oggetti da far girare la testa”, la stessa constatazione che viene fatta, pur con le radicali differenze di contenuto, rispetto al Vittoriale: due “case degli Italiani”  che sono lo specchio dei personaggi che le hanno create a loro immagine. Mario Praz, poco benevolo con D’Annunzio, lo fu invece nel giudicare la sua residenza, che chiamò “Pantheon enorme del Vittoriale”, scrivendo: “Il D’Annunzio, si direbbe, ha cercato di dar corpo e forma precisa ai suoi ricordi e alle sue nostalgie, col secernere intorno a sé un vero e proprio museo di cimeli e di oggetti preziosi, col cristallizzare in emblemi, imprese e geroglifici quella diversità del mondo che egli un tempo possedeva in parole sonanti”. E’ l’insieme di reperti che costituiva il suo “poema di pietre, di metalli, di stoffe, onde Narciso potesse vedere la sua immagine esaltata e moltiplicata, e s’illudesse di sentir nei suoi polsi il calor della vita, come ne’ suoi giovani anni”.

Nel visitare gli ambienti di casa Praz, abbiamo ripensato a queste parole, come se ci trovassimo in un altro Pantheon, molto diverso come lo sono stati i due personaggi, ma ugualmente evocativo.

 Milton Gendel, “Mario Praz con Viviana della Porta”, Lucca, Villa Torrigiani, settembre 1974

Le 17 fotografie della mostra

E così siamo arrivati alle 17 fotografie della mostra dopo aver fatto la conoscenza del padrone di casa Praz, del primo proprietario del palazzo, Primoli, e del fotografo scrittore Gendel, e averne percepito le differenze anche rispetto alle collezioni e agli arredamenti degli ambienti. Sappiamo che mobili e quadri, oggetti e cere sono stati ricollocati nello stesso posto dalla direttrice del museo, che è una delle due curatrici della mostra, Patrizia Rosazza-Ferraris. Lei stessa spiega i criteri in base ai quali è stata allestita la mostra: sono stati selezionati i testi delle recensioni scritte da Praz o di lettere e altri cimeli relativi ai personaggi ritratti nelle fotografie di Gendel, pescando in modo coordinato nei due vastissimi archivi, per la corrispondenza ci sono oltre un migliaio di nomi.  Ricordiamo che la sua Bibliografia è sconfinata, oltre 2300 voci allorchè aveva 80 anni, a fine ’76, e oltre 300 in più  alla sua morte nell”82, nei sei anni si erano aggiunti  anche due nuovi libri “Perseo e la Medusa”  e “Voce dietro la scena”. 

Sulle 17 fotografie si regge quello che la curatrice definisce un “castello di carte”, aggiungendo che è “solo un assaggio di quel vastissimo patrimonio di carte e immagini che i nostri comuni archivi conservano e vogliono proporre a quanti – coraggiosamente – vi si vogliano inoltrare”. Un assaggio che poteva essere più consistente, ma l’esiguità delle fotografie e dei documenti esposti in mostra accresce l’interesse ad approfondire. E’ un invito allettante che gli studiosi potranno raccogliere.

Nelle immagini di Gendel emerge lo spirito documentario unito alla ricerca pittorica favorita dagli interni con le loro ombre e le sapienti angolazioni. E, nota Peter Benson Miller, si avverte “la sua inclinazione a sottolineare le interazioni casuali tra amici. Sono l’equivalente fotografico delle ‘Conversation Pieces’ che Praz aveva studiato come storico dell’arte e acquisito come collezionista”: si tratta di gruppi ritratti nell’Inghilterra del ‘700, mentre conversano familiari, amici o soci, spesso all’aperto in momenti di svago o mentre contemplano opere d’arte.

A questa categoria appartengono le fotografie alla Biennale di Venezia del 1962, con Soavi, Musatti e Betty di Robilant, davanti a una scultura di Giacometti, e con Palma Bucarelli e Argan che commentano le opere; poi due foto “storiche” che ritraggono la visita di Margaret d’Inghilterra il 10 giugno 1973 con Praz ed altri; nello stesso giorno altra immagine romana di Margaret con Desideria Pasolini dall’Onda ed Enrico d’Assia a Villa Polissena. Intima e distensiva, dagli effetti pittorici, la fotografia di Praz con Viviana della Porta nel settembre 1974, seduti su un’antica cassapanca con un fondale di riflessi luminosi. Un primo piano di Alberto Arbasino con Camilla Pecci Blunt dell’ottobre 1980, ultima foto con più soggetti.

Le altre immagini riprendono un solo soggetto, iniziando dall’autoritratto allo specchio di Gendel del 1965, con effetti sfumati di luce e ombra; pittorica anche la foto a Iris Origo, del settembre 1979, un altro interno dall’effetto chiaroscurale più forte, la lampada proietta la luce sullo scaffale di libri, rischiara la figura al centro e lascia in ombra il resto.

Una vera istantanea, forse l’unica, ci è sembrata la foto ad Harold Acton, ripreso nel settembre 1978 mentre colloca un libro sulla scrivania, nelle altre i soggetti sono in posa, per questo sono definiti “ritratti fotografici”. E’ seduto davanti a un tavolino con dei fiori André Chastel nel settembre 1972, e in poltrona Gore Vidal sotto un quadro con a lato una pianta nell’agosto 1977,  in piedi impettito in un giardino con fontana e pergolato Giulio Carlo Argan nel 1974, davanti a una scalinata liberty Luigi Magnani nel marzo 1977. Un primo piano di Hugh Honour in maniche di camicia nell’agosto 1977 e un mezzo busto di John Pope Hennessy nel maggio 1983 davanti a una Madonna col Bambino completano la galleria di personaggi cui corrispondono i documenti esposti.

Così vediamo un testo di Soavi sul “professore di inglese” e tre lettere di Praz a Magnani sull’antiquariato, una sua recensione ai libri di Acton e della Origo, di Vidal, Arbasino e Palma Bucarelli, un articolo in “Le Monde” di Chastel su Praz, poi lettere a Praz di Honour e di Hennessy, nonché scritti di Argan, un fior da fiore che dà un’idea del collegamento tra fotografie e documenti.

Le foto esposte sono state scattate nei luoghi più diversi, da Venezia a Lucca, da Firenze a Roma. Solo due foto a Margaret d’Inghilterra, tra quelle che abbiamo citato, sono a casa Praz nel Palazzo Primoli, perché fu Gendel ad accompagnarvi la principessa di cui era amico; ed è esposta la pagina del “Visitors book” firmata con gli speciali fregi reali studiati per l’occasione. Ma c’è l’ultima foto, che corrisponde alla firma di chiusura del terzo “Visitors book”, di cui abbiamo parlato all’inizio: è quella del 17 febbraio 1982, scattata a Mario Praz seduto su un divano, poco più di un mese prima della morte. Negli ultimi anni, ricorda Antonella Barina, la sua è “una solitudine che si contrasta con continui invaghimenti”, e cita la giovane commessa di un negozio, una bella sconosciuta, la segretaria di un giornale, che lui definisce “amori senili grotteschi e tragici”. “Ma ormai l’anima di Praz è stanca. E lo grida in versi”.

Così Gendel descrive l’ultima sua visita a Mario Praz: “Rispetto al nostro ultimo incontro, era in sfacelo. Vecchio, smunto e, in una vestaglia trasandata, tutt’altro che al suo meglio, con il collo nudo cadente e gli occhi che vagavano qua e là. Si sono acquietati quando ci siamo sistemati anche lui ed io, nel cuore del salone Impero. Non sono più venuto qui dal giorno della mia visita con la principessa Margaret, ho detto. Firmerebbe il Visitors Book? Ha chiesto lui. Quindi mi ha offerto un bicchiere di Cento Erbe. Io non bevo, ha aggiunto. Con la vecchiaia devo stare attento ai reni”. In effetti Gendel firmò il “Visitors Book”, e fu l’ultimo, erano passati 9 anni dalla precedente visita.

Di quest’ultimo incontro è rimasta la fotografia che scattò, così commentata dalla Barina: “Un volto così cereo da spiccare perfino nella pellicola in bianco e nero. Uno sguardo inerme, tra disperazione e sgomento. Attonito come lo può essere, di fronte al gran passo, un uomo profondamente laico, senza appigli di fede. Un’ombra colta nell’attimo in cui prende le distanze, esausta, da quello che era stato il suo coraggio di pioniere, la sua voracità di studioso, il prestigio di anglicista, la bizzarria di storico del gusto, l’eccentricità di collezionista, il rigore di filologo, l’incanto di erudito, la curiosità di viaggiatore, la genialità di moderno umanista. Nonché il fascino di un’inossidabile ironia”.

Non si potevano evocare meglio le luci della vita mentre si avvicina il buio della morte, avvenuta il 23 marzo, la foto è del 17 febbraio. Si spense in clinica mentre un allievo di un tempo, Vittorio Gabrielli, gli leggeva un suo articolo appena uscito, lo ha raccontato il suo successore alla cattedra universitaria a La Sapienza, Agostino Lombardo, anch’egli vicino a lui. Il seme della cultura, da Praz largamente diffuso, riempiva il vuoto degli affetti familiari. Anche questo è stato un bell’insegnamento.

Guardiamo ancora l’ultima fotografia, “l’immagine straziante di un crepuscolo”, nelle parole della Barina,  e lasciamo la sala della mostra. Attraversiamo la grande biblioteca, lo studio e le altre sale della residenza divenuta museo, dalle finestre si vedono le loggette dello storico edificio. La vita, anche di Praz, continua.

Info

Museo Mario Praz, Via Zanardelli, 1, Roma. Da martedì a domenica ore 9,00-14,00 e 14,30-19,30, chiuso il lunedì. Ingresso gratuito, ultima entrata 45 minuti prima della chiusura. Ogni ora visite accompagnate di 45 minuti, max 10 persone. Tel./fax 06.6861089. museopraz@museopraz191.it, http://www.museomariopraz.beniculturali.it/. Catalogo: “Visitor Book. Ospiti a casa Praz”- Ritratti fotografici di Milton Gendel, lettere, dediche e recensioni”, a cura di Barbara Drudi e Patrizia Rosazza-Ferraris, Peliti Associati, 2012, pp. 88, formato 25 x 23.Dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo.

Foto

Le immagini sono state riprese all’inaugurazione della mostra da Romano Maria Levante al Museo Mario Praz, si ringrazia l’organizzazione, il Museo e la Galleria Nazionale di Arte Moderna, con i titolari dei diritti, in particolare Milton Gendel, per l’opportunità offerta. In apertura, l’ultima foto di Gendel a Mario Praz, Roma, Palazzo Primoli, casa Praz, 17 febbraio 1983; seguono le sue foto a Mario Praz con Margaret d’Inghilterra, Roma, Palazzo Primoli, casa Praz, 10 giugno 1973, e a Mario Praz con Viviana della Porta, Lucca, Villa Torrigiani, settembre 1974. In chiusura una sala del Museo Mario Praz fotografata da Romano Maria Levante.

 Una sala del Museo Mario Praz