Accessible Art, con City Life innovazione e continuità, a RvB Arts

di Romano Maria Levante

Quarto appuntamento in nove mesi negli spazi di “Accessible Art” di RvB Arts , in via delle Zoccolette 28, con un pertinenza in via Giulia 193, dov’è l’Antiquariato Valligiano. E’ nata una nuova mostra, che dal “vernissage” del 21 febbraio resterà aperta fino al 16 marzo 2013, questa volta con 3 artisti come nelle prime due esposizioni, di maggio-giugno e novembre-dicembre 2012, dopo i 12 artisti della mostra dicembre 2012- gennaio 2013. Il nuovo titolo è “City Life”, e suscita interesse per il modo con cui viene interpretata la vita cittadina da giovani artisti contemporanei.

Annalisa Fulvi, “Il cantiere di san Pietro oggi”, a sin.

E’ una mostra-mercato con le opere in vendita secondo la filosofia alla base di “Accessible Art”, insita nella stessa denominazione: avvicinare all’arte contemporanea la gente comune, che in genere diserta le gallerie, con una proposta basata sui due criteri utilizzati nella selezione: opere integrabili nell’arredamento domestico corrente e raggiungibili dalla più larga fascia sociale sotto il profilo economico. Così l’arte contemporanea diviene “accessibile”: non più riservata ad una cerchia ristretta e ad ambienti eccentrici, ma aperta a un pubblico più vasto e in grado di entrare nella vita familiare rompendo il diaframma che la tiene lontana dalla gente comune.

Come l’arte contemporanea è resa “accessibile”

Conoscendo l’arte contemporanea e il relativo mercato non è una selezione agevole né riguardo alla tipologia artistica né a quella economica. Sono escluse le installazioni ingombranti e le opere imbarazzanti per chi non ha la fantasiosa creatività di certa critica sofisticata, oltre che quelle troppo costose per il programma di diffusione a largo raggio che si propone.

Ma non per questo si va sul convenzionale,  la contemporaneità e il tocco dell’arte sono assicurati dall’attenta e sensibile selezionatrice, Michele Von Buren, che ricerca artisti con le formule e i mezzi espressivi più diversi e non si limita a questo, perché non li “lascia”, una volta presentati in mostra. Continua a seguirli, ad ospitarli nella galleria, per cui già nel giro di un anno o poco più è riuscita a creare una nutrita scuderia di artisti sempre presenti che fanno corona con le loro opere – mantenute visibili  e disponibili per i potenziali clienti – agli artisti presentati ex novo. 

Per questo parliamo di innovazione e continuità: l’innovazione è nella formula, ai suoi primi passi, oltre che nelle “nuove proposte”,  per usare un termine sanremese; la continuità nel persistere nella linea  d’azione innestando le “nuove proposte”  nella “scuderia”  creata dalla galleria.  Nel presentare per la prima volta Michele Von Buren abbiamo evocato la figura di Peggy Guggenheim, la cui attività ha contribuito non poco all’emergere di grandi artisti della contemporaneità statunitense del dopoguerra; lo fece con le mostre di giovani sconosciuti nei quali sentiva il tocco dell’arte in forme inusuali, e con un mecenatismo di acquisti per la propria collezione ed altro.

Qui c’è la selezione e la promozione di giovani artisti relativamente sconosciuti, anche se hanno all’attivo studi nelle Accademie d’arte e premi, mostre personali e collettive.  La Von Buren si prodiga per togliere loro la “s”, e ci scusiamo per l’ulteriore evocazione canora, ma evidentemente c’è qualcosa che suscita in noi questa ricorrente associazione di idee; e li promuove nella forma più promettente per loro e per l’arte contemporanea, cioè l’ampliamento della penetrazione nelle famiglie comuni.

 I due criteri di selezione sono fondamentali per il successo del progetto. Sull’accessibilità economica non serve aggiungere molto, tanto più in una fase di crisi economica e di ridotte disponibilità di spesa come quella attuale. L’orientamento che ci fu indicato all’atto della prima mostra dalla Von Buren fu di tenersi entro i 5.000 euro per le opere più impegnative, come le grandi statue, con un’offerta per lo più tendente a una media di 1.000-1.500 euro o meno per quelle corrent, fino a 200-400 euroi. In questi termini le opere sono “abbordabili”, e soprattutto diventano impieghi con promettenti potenzialità di crescita e rivalutazione venendo selezionate anche in base a questo aspetto. Con il “tetto di spesa” legato al potenziale di crescita l’accessibilità diventa convenienza, e la spesa, oltre ad inserirsi nei costi per l’arredo domestico, diventa un vero e proprio investimento.  

Rispetto alla compatibilità con l’arredo domestico di abitazioni comuni, requisito anch’esso fondamentale per l’allargamento della platea degli interessati, va precisato un elemento non trascurabile: il fatto che la galleria d’arte sia legata all’antiquariato è decisivo, e se ne ha la prova tangibile nella mostra dove le opere esposte sono inserite in arredamenti da abitazioni, come esempio di inserimento organico dell’arte contemporanea nell’ambiente  familiare.  

Per questo la galleria dell'”Accessible Art” non è pretenziosa, nel qual caso sarebbe asettica e fredda, ma calda e accogliente riproducendo il  clima domestico cui le opere sono destinate nella visione che non riteniamo utopistica, ma innovativa e meritevole di un crescente successo.

All’apertura della prima mostra la Von Buren ci disse che le opere di arte contemporanea da lei selezionate devono essere  “comprensibili con  la vocazione ad integrarsi come complemento scenografico d’arredo”; requisito questo per “far superare la diffidenza che l’arte contemporanea, attraverso un linguaggio enigmatico, può generare”. I termini “diffidenza” e “linguaggio enigmatico”  sono eufemismi per espressioni artistiche tanto lontane dalla sensibilità popolare da alimentare ironie  dissacranti: chi non ricorda il film con le “vacanze intelligenti” di Alberto Sordi e signora, scambiata per un’opera d’arte contemporanea perché  seduta a occhi chiusi per riposarsi?

Questo non vuol dire che tutta l’arte contemporanea deve essere comprensibile e neppure che va accettata soltanto se può entrare a far parte dell’arredamento domestico, ci mancherebbe! I grandi spazi espositivi del Maxxi e del Macro a Roma sono stati creati appositamente per accogliere le installazioni più invasive che sembrano stravaganti almeno nell’accezione comune, ma la critica è pronta a consacrarne il livello artistico creando essa stessa contenuti non percepibili nell’opera.

E’ un mondo diverso da quello di “Accessible Art”, del tutto separato,  come l’elite si è separata  storicamente dalla massa in ogni campo; ma nell’epoca contemporanea non ci sono più aree riservate, se non quelle del lusso smodato non invidiabile per la sua vacuità spesso becera. Per questo anche l’arte dei tempi nuovi  deve poter penetrare tra la gente, entrare nelle sue abitazioni.

La Von Buren non si è limitata a lanciare l’idea e provarne la fattibilità con una mostra dimostrativa. Continua a seguire questa strada con la quarta  mostra in nove  mesi e un’offerta la cui accessibilità è evidente:  le nuove opere esposte sono per lo più comprese nei 1.500 euro ciascuna.

Fabio Imperiale, “In assenza di titolo”, a sin.

Tre artisti sul tema “City Life”

L’accogliente galleria presenta le opere della mostra d’arte “City Life”, aperta alla visita incuriosita o culturale  come all’acquisto, in un ambiente reso familiare dai mobili  che indicano in pratica come possano inserirsi in una normale abitazione; l’accoppiata quadro-mobile conferma la bontà dell’idea di base che, ripetiamo, è l’integrazione dell’arte contemporanea nell’ambiente familiare.

Una certa atmosfera più che la vita nella città è resa da Nanni Mannolino con una serie di  stampe fotografiche in plastificazione lucida dal titolo “Apparizioni e Dissolvenze”, dove abbina il paesaggio urbano ad altri motivi come il nudo femminile. Sono immagini sovrapposte che perdono qualsiasi sembianza figurativa, anche se lo sfondo è dato da fotografie di antiche mura, in cui il tempo segna la storia cittadina, a cui si sovrappongono come delle impronte sottili visioni sensuali quanto sfuggenti: I  titoli sono  “La dama in grigio” e “Spalle nude”, “Abbandono” e “La ferita mel muro”, “Il drappo” e “Il tulle nero e la macchia azzurra”..

In quarant’anni di attività fotografica, iniziata da giovanissimo nel 1970, l’autore ha sperimentato e approfondito l’impiego di tutti i processi, dalle stampe in camera oscura alle nuove forme digitali. E’ giunto a un livello di astrazione che fa perdere ogni riferimento alla fotografia per un’arte senza classificazione, secondo una tendenza ormai inarrestabile: conta l’emozione che l’opera suscita.

Gli altri due espositori presentano la vita cittadina in una diecina di opere ciascuno cogliendone  i due aspetti compresenti: la presenza umana e le strutture materiali.

Per la presenza umana sono quanto mai espressive le forme sulla tela di Fabio Imperiale, dai titoli intriganti: da “In assenza di titolo” a “Strappo alla regola”, da “Periferia 18,40″ a ““Soldatino in Accorso”. Sono figure di persone, in vario numero e in diverse posizioni nei dipinti, viste di spalle ferme o in movimento, ciascuna rinchiusa in se stessa come una “monade”, pur essendo  in ordine sparso come folla o come gruppi. Uno specchio  dell’alienazione cittadina dove alla moltitudine che circola nelle strade non corrisponde una comunità ma individui isolati e sperduti nella loro solitudine. Sono figure dignitose, vestite di scuro, su sfondo chiaro, in una landa abbacinata che ricorda,  “mutatis mutandis”, alcune sceme del “Miracolo a Milano” di Vittorio De Sica: lì il gelo era nell’ambiente invernale,  mentre nelle immagini del nostro artista è nell’animo delle persone, senza vitalità né spinta interna. E’ il rovescio del “Quarto Stato” di Pellizza De Volpedo, non perché lì sono di fronte e qui sono visti dal di dietro, ma perché lì incedono come un tutt’uno  spinti da un’identità di classe e di lotta sociale  che qui manca, come se la città li avesse omologati in un’identità da automi o fantasmi di se stessi.

Alcuni elementi grafici e testuali vengono inseriti  dall’autore come sigillo a testimonianza della precedente attività pubblicitaria, ma il suo approdo alla  pittura è pieno e definitivo: partecipa a mostre collettive dal 2006, nel 2011  ha ricevuto un primo e un terzo premio, ha esposto in una mostra personale in una galleria romana seguita da un’altra mostra l’anno successivo.

Mentre la presenza umana è evocata da Imperiale nell’atmosfera rarefatta di un  ambiente completamente vuoto,  la visione di Annalisa Fulvi è speculare: riempie l’ambiente cittadino di strutture molto elaborate nella dominante delle linee che le segnano con forza insieme a macchie di colore discrete a sottolineare determinati componenti:  come il marrone dei tetti di “Strutture metamorfiche” o l’azzurro dell’acqua  di “L’incanto del lago” insieme a leggeri richiami figurativi come nel colonnato appena delineato sullo sfondo di“Il cantiere di san Pietro oggi”; ve ne sono altre senza riferimenti particolari, ma con un intreccio serrato di linee insieme a motivi delicati come un ricamo, così “Impalcatura in transito” e “Nuovi multipli”,  mentre “Visione frontale” e “Doppio tempo”  presentano la prima diversi piani prospettici molto ben integrati,  e la seconda due strutture separate, a destra l’impalcatura, a sinistra l’imponente edificio,  però  non sembrano in sequenza ma tali, comunque, da evocare l’altra dimensione oltre lo spazio, quella temporale.

E’ una giovane artista della quale abbiamo già ricordato, in occasione dell’ultima mostra, la formazione all’Accademia di Brera e una recente esperienza pittorica in Turchia. Dopo le prime espressioni  artistiche con questa impostazione, presentate nella mostra precedente,  ha sviluppato di molto le dimensioni dei suoi dipinti,  prima in formato-studi,  per affinare la tecnica veramente sopraffina:  avevano titoli come “Etude de la Ville”, “Composizioni” e soprattutto “Intersezioni”, denominazione che rivela la ricerca della linea nelle combinazioni con altre linee. Dei nuovi dipinti esposti, il più grande è lungo circa 2 metri per 1,25 di altezza, gli altri sono di poco più piccoli.

Nei quadri di Imperiale si è presi dall’alienazione umana, qui domina l’agilità delle strutture con le loro linee cartesiane e oblique. La pittrice ha colto questo elemento come nervatura della stessa struttura cittadina, fatta di edifici e di complessi urbani  dei quali oltre alla massa e al volume colpiscono le linee di forza. Abbiamo ripensato ad alcuni dipinti del grande artista russo Alecsandr Deineka,  le sue strutture metalliche esprimevano i contenuti riferiti di volta in volta alla guerra oppure al lavoro, con linee rettilinee e angolature senza arrotondamenti nè ornamenti; qui le linee segnano architetture che  riempiono non solo il vuoto materiale ma anche quello ideale. Ma nello stesso tempo possono esprimere un’altra alienazione, quella dell’urbanesimo selvaggio, congestionato e soffocante: due estremi che tendono a saldarsi nel degrado cittadino.

Nanni Manolino, “La Dama in grigio“, a dx 

La continuità con Zarattini, Thwaites , Deli

Si può parlare di continuità nell’innovazione   per rimarcare l’aspetto dell’attività di Michele Von Buren che ci ha fatto evocare Peggy Guggenheim: il fatto che continua a seguire e ad ospitare gli artisti che presenta via via nelle mostre. Così abbiamo visto di nuovo alcune loro opere  già esposte nella galleria, divenute una presenza familiare, e ne abbiamo trovato altre degli stessi artisti mai esposte prima che riguardano temi non contemplati dalla nuova mostra.

E’ stata una piacevole sorpresa vedere nuove opere di  Luca  Zarattini, appartenenti a una serie di espressioni molto intense,  in tecnica mista su tavola:  notiamo l’evoluzione verso lavori  diversificati nei temi dell’artista che utilizza un impasto di materiali grevi e pesanti in forme alle quali riesce a dare contorni classici e un che di misterioso. Le serie vanno da quelle con nomi, “Mohammed”” e “Carl”, “Pablo” e “Claude”, a “Flesso” e “Riflesso”, a quelle intitolate con semplici numeri in successione.:  

Ritroviamo le figure di Christina Thwaites che abbiamo imparato a conoscere, schierate frontalmente come nelle foto di famiglia cui si ispirano, le ricolleghiamo idealmente a quelle di Imperiale di cui ci sembra possano rappresentare l’equivalente domestico.  In realtà, considerate a sé stanti, queste trasposizioni dell’album di famiglia possono sembrare confuse nei contorni per la lontananza nel tempo, dato che i volti sono appena abbozzati; ma ci piace collegarle alle figure in piedi degli “esterni” di Imperiale immaginando che siano le stesse, prima isolate e sperdute negli spazi cittadini, poi altrettanto attonite e assenti nei “ritratti di famiglia in un interno”.  Questo, come il parallelo precedente, è una licenza del cronista  che ne chiede venia agli artisti: è una prova  ulteriore di come sia stimolante l’offerta visiva e culturale della mostra di Michele Von Buren.

Nessuno di questi paralleli interni alla galleria è possibile con “Summer” di Alessio Deli, una grande scultura alta 180 centimetri:  l’artista, al centro di una mostra precedente, riesce a dare un senso ieratico a un’opera realizzata con materiale metallico di risulta, preso nelle demolizioni; nella testa di “Summer” notiamo due grandi molle, forse di ammortizzatori o altro, e qui scatta un  collegamento con un artista di altra estrazione ma convergente nei materiali e nell’idea di base.

Intere figure scultoree- anch’esse a grandezza naturale come “Summer” – sono realizzate in tutto o in parte con molle dello stesso tipo e altro materiale metallico di recupero, questa volta da residuati bellici della guerra di Libia, dallo scultore libico Wak Wak  – le cui opere sono state esposte per la prima volta fuori dal suo paese al Vittoriano dal 16 gennaio al 28 febbraio 2013 – come risposta alla guerra distruttiva della vita che invece viene fatta risorgere utilizzando gli stessi strumenti di morte. Ricordiamo i due mitra “scolpiti” da Deli con materiale di demolizione,  la protesta veniva da materiali poveri come sono poveri i militari in tutto il mondo e in tutte le epoche, arruolati a forza, poi mandati ad uccidere e a morire per cause cui sono stati sempre estranei, essendo in genere proprio gli interessi inconfessabili delle stesse classi che in pace li hanno sempre sfruttati. Anche per Deli non abbiamo resistito al parallelo, questa volta con l’esterno, ma ci è venuto spontaneo.

Nel commentare le precedenti mostre della galleria “RvB Arts” dicevamo che avremmo seguito il progetto di Michele Von Buren, alla base di “Accessible Art”, per i suoi aspetti innovativi  sia nella diffusione della’arte contemporanea sia nello “scouting” e promozione degli artisti in una forma nuova.  Abbiamo potuto constatare come gli artisti della “scuderia” crescono di numero e moltiplicano l’impegno: sono quasi 20 pittori, 4 scultori e oltre 10 fotografi, una bella squadra!

Innovazione e continuità, dunque, lo ripetiamo, Non è un ossimoro. bensì  la migliore garanzia per l’ulteriore sviluppo del progetto.  Questo è anche il nostro augurio.

Info

“RvB Arts”, via delle Zoccolette 28, Roma, presso Ponte Garibaldi,  e “Antiquariato Valligiano”, via Giulia 193, dal martedì al sabato, orario negozio, domenica e lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Tel. 06.6869505,  cell. 335.1633518; – info@ rvbarts.com.,  http://www.rvbarts.com/, con tutte le immagini e relativi prezzi delle opere esposte e delle altre disponibili dei 35 artisti circa che fanno capo alla galleria. I nostri 2 articoli sulle precedenti mostre di “Accessible Art” sono in questo sito alle date del  21 novembre e 10 dicembre 2012. Per la citazione di Peggy Guggenheim si rinvia ai nostri 3 articoli in questo sito il 22, 29 novembre e 11 dicembre 2012; per Deineka ai nostri 3 articoli (in particolare al 1°) sulla sua mostra al Palazzo Esposizioni, in questo sito, il 26 novembre, 1 e 16  dicembre 2012; per  Wak Wak al nostroarticolo sulla sua mostra al Vittoriano, in questo sito, il 27 gennaio 2013.  Gli articoli sono illustrati con 4 immagini ciascuno.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante all’inaugurazione della mostra alla galleria RvB Arts, si ringrazia l’organizzazione, in particolare Michele Von Buren con i titolari dei diritti,  per l’opportunità offerta.  Sono riportate due opere per ogni autore, inquadrate nell’arredamento in cui sono ionserite in mostra. In apertura,di Annalisa Fulvi, a sinistra “Il cantiere di san Pietro oggi”;  seguono, di Fabio Imperiale,  a sinistra “In assenza di titolo”, di Nanni Manolino, a destra  “La Dama in grigio;  in chiusura,  di Luca Zarattini. a sinistra “Mohammed”.  

 Luca Zarattini, “Mohammed”.a sin.