Tintoretto, 1. “Il più terribile cervello” della pittura, alle Scuderie

di Romano Maria Levante

Un anno fa, esattamente il 25 febbraio 2012, veniva aperta, fino al 10 giugno, alle Scuderie del Quirinale, una grande mostra sul Tintoretto, con 50 opere esposte, molte di grandi dimensioni, tra cui 15 di altri grandi artisti del tempo:  una mostra biografica nella quale si è ripercorsa la vita artistica di un pittore che anticipando il Caravaggio introdusse un forte realismo in composizioni dalla tensione drammatica espressa in scorci e inquadrature architettoniche e scenografiche di tipo teatrale e cinematografico. Curata da Vittorio Sgarbi, il bel Catalogo Skirà  ne reca il ricco repertorio iconografico e critico. “Un mostra scientificamente ineccepibile e al contempo spettacolare per allestimento e percorso”,  così l’ha  presentata Emmanuele F. M. Emanuele, allora presidente dell’Azienda Expò, cioè “Scuderie del Quirinale” e Palazzo delle Esposizioni; in effetti ha fornito il filo d’Arianna per orientarsi nel labirinto compositivo di un artista poliedrico e fecondo, molto discusso nella sua epoca e dopo.

“Autoritratto”, 1546-47

L’anticonformismo caratteriale e artistico

Fu discusso nella sua epoca per l’anticonformismo caratteriale e stilistico che gli fece affibbiare una serie di epiteti, e non ci riferiamo al soprannome che proviene dall’attività di tintore del padre e dalla sua bassa statura; anche il cognome Robusti derivava dal soprannome del padre e dello zio, lo utilizzò prima da solo con il nome Jacopo, poi affiancandovi il proprio soprannome che ebbe infine il sopravvento. Ricordiamo che lo hanno definito “arrischiato” e “spericolato”, “ghiribizzoso”  e “il più terribile cervello che abbia avuto la pittura” – queste ultime sono parole di Pietro Aretino – per il carattere talentuoso e ribelle. Non ha lasciato lettere né appunti, ma ci sono state note biografiche  d’epoca che ne hanno tramandato i tratti salienti. Già a 18 anni, nel 1537  – era nato nel 1519 a Venezia – poté iscriversi come Maestro nella “Fraglia dei Pittori”, partecipava ai dibattiti artistici e teologici e frequentava gli ambienti della cultura e delle professioni: fu un uomo libero al punto di rifiutare l’onorificenza di Cavaliere per non inginocchiarsi davanti al Re di Francia Enrico III.

Nello stile si era allontanato da quello di Tiziano allora dominante, la sua pittura era ritenuta “sconveniente”, e così anche il suo modo di dipingere “con la solita prestezza”, come scrisse Giorgio Vasari sottolineando la rapidità che lo portava a finire l’opera quando gli altri “attendevano a fare con ogni diligenza i loro disegni”; fonte di attacchi ai quali  rispondeva  “che quello era il suo modo di disegnare, che non sapeva fare altrimenti, e che i disegni e i modelli dell’opera dovevano essere in quel modo per non ingannare nessuno; e finalmente che, se non volevano pagare l’opera per le sue fatiche, che la donava loro, e così dicendo”.

Si riferiva alla grande opera del 1564 per la Scuola Grande di San Rocco: partecipò al concorso con l’opera finita e non con il bozzetto richiesto, donando il dipinto alla scuola che per statuto non poteva rifiutarlo; fu uno sgarbo agli altri artisti che però gli procurò non solo l’incarico di dipingere il soffitto e una grandissima Crocifissione, ma anche l’accoglienza come “confratello”. Nella Scuola di San Marco, invece, dove presentò un bozzetto, la sua candidatura non venne accettata.

Lavorava gratis o solo con un rimborso spese se voleva fortemente eseguire delle opere, e questo non solo nei primi tempi ma anche tra il 1556 e il 1561, quando oltre ai quadri e le portelle per un organo dipinse due teleri alti 14 metri nella Madonna dell’Orto per il solo costo di tele e colori; strategia vincente per avere committenze prestigiose come quella di San Rocco appena ricordata.

E’ discusso anche dalla critica relativamente recente: Vittorio Sgarbi ricorda il contrasto tra  Roberto Longhi e Rodolfo Pallucchini che ha scritto un libro su “La giovinezza di Tintoretto” dopo che Longhi aveva ritenuto tale fase “il tempo più vivo del Tintoretto, proprio perché il meno furioso”; e dava un valore negativo al “titanismo tecnico” che faceva passare “l’Accademia sotto una specie di furia”, ma riconoscendogli “una natura geniale, colma in principio di idee bellissime per favole drammatiche da svolgersi entro la scenografia di luci e ombre rapidamente viranti”.

“Deucalione e Pirra”, 1541-42

Sgarbi polemizza aspramente con Longhi per il suo giudizio nel complesso negativo, ma le parole scritte dall’altro critico nel 1946, appena riportate, ci sembrano richiamare aspetti positivi del Tintoretto da lui stesso valorizzati: “E’ il teatro a dominare la sua mente e le mille e varie soluzioni scenografiche lo spingono, come nessun pittore, neppure Caravaggio, verso un linguaggio cinematografico”. E non c’è solo “teatro, grande scenografia”, l’artista a volte va anche oltre: “Tintoretto entra in uno spazio onirico, in una dimensione visionaria, e pur prospetticamente rigorosa”; la sua composizione “definisce non solo uno spazio fisico, ma uno spazio psichico”.

Entrano in campo le sue “luci striscianti”, e “contro la luce si stampano le ombre”, il suo impianto scenico è investito dai guizzi della luce che è protagonista della sua arte con il cromatismo plastico. Suoi i dipinti “di pura luce”, dalle forme indefinite. Così, ancora per Sgarbi, “Tintoretto ha trasfigurato la pittura in un sogno o in un incubo, trasferendo la realtà in un’altra dimensione”.

In definitiva, uno spirito libero nella vita e nella pittura, che lo fece affrancare dall’influsso di Tiziano fin dalle opere giovanili, del resto si dubita sia vera la “vulgata” che il pittore dominante lo allontanò dalla propria bottega geloso del suo talento, nel qual caso ci sarebbero state tracce nei dipinti agli esordi. Li troviamo in diretto contrasto nel 1556 allorché Tiziano escluse Tintoretto nella scelta degli artisti per decorare il soffitto della Libreria Marciana, e nel 1564  quando, dipinta l'”Allegoria della Sapienza”, premiò con una catena d’oro Paolo Veronese indicandolo suo erede.

Tutto questo è collegato alla diffusione del manierismo toscano unito al primato michelangiolesco anche a Venezia, nella fase della formazione pittorica del Tintoretto . Nel 1548 Paolo Pino scriveva  che chi fosse stato capace di coniugare “il disegno di  Michelangelo e il colore di Tiziano” sarebbe divenuto “il dio della pittura”; e Carlo Ridolfi ha affermato che nello studio di Tintoretto c’era un cartiglio con il motto “il disegno di Michelangelo e il colore di Giotto”. Ebbene, nonostante questo, trovò una strada molto personale nell’epoca del manierismo: “Nessuna soggezione nei confronti del Michelangelo e del Vasari – osserva sempre Sgarbi – Tintoretto è più mimetico, più etereo, e soprattutto meno ‘ingrippato’ di Tiziano”. Anche i suoi accostamenti alla scuola romana, a Giulio Romano e a Giorgio Vasari allora preminente, “sono una febbre passeggera. E quel gusto non è affar suo. Con Tintoretto, libero da questa soggezione, la pittura a Venezia riprenderà il suo corso, rallentato e deviato proprio da Tiziano”, è la lapidaria affermazione di Sgarbi. Che conclude: “Tintoretto non è solo; e per arrivare a questo risultato si guarderà intorno, misurandosi con artisti curiosi come Bonifacio de’ Pitati detto Veronese, Andrea Schiavone, Lambert Sustris”, sono esposte 15 opere loro e di Parmigianino ed El Greco, Jacopo Bassano e Domenico Tintoretto.

“San Giorgio uccide il drago”, 1553-54

La carrellata di artisti coevi

E’ una carrellata di grandi artisti che Vittorio Sgarbi ha proposto, in un’ottica simile a quella con cui aveva concepito la mostra “Gli occhi di Caravaggio” con i pittori che ebbero influenza nella formazione milanese del Merisi prima di esplodere a Roma, tra i quali si possono cogliere dei prodromi nei  tentativi di un uso diverso della luce e di una visione realistica nella composizione. Negli artisti presentati con Tintoretto interessano le dissomiglianze oltre alle somiglianze, perché Tintoretto se ne distaccò presto con il suo stile pittorico e le sue scelte compositive molto personali.

Di Tiziano era esposto il “Ritratto del comandante Gabriele Tadino”. 1538, per la sua influenza sulla ritrattistica di Tintoretto, ma oltre a questo la fantasia di Sgarbi proponeva delle sculture: due  busti di Alessandro Vittoria, tra cui quello in terracotta su “Sebastiano Venier”, ritratto anche da Tintoretto in un quadro esposto a figura intera con un paggio, “per l’uomo e per gli artisti – ecco il commento del curatore – il confronto in mostra sarà certamente utile”.

Sempre della fase formativa un nutrito gruppo di opere : del 1530-32 la “Madonna con Bambino  e santi”  del Parmigianino e la “Sacra conversazione” di  Giovanni De Mio,  del 1535-40 la “Sacra famiglia con un angelo e santi”  di Bonifacio Veronese. Della fase iniziale nel  1551 Il Buon Governo” di Paolo Veronese,  nel  1557 l’“Adorazione del Bambino e gli angeli con gli strumenti della passione”  enel 1558  di nuovo Tiziano con “Annunciazione”, immagini sfumate con cui “si rigenera dunque Tiziano, ma non nel senso della ricomposizione ma della decomposizione, della disgregazione di quei ‘bei contornoni’, di quelle ‘gran forme'”.  Le opere di Tintoretto in questo periodo sono diversissime, lo si vedrà nel nostro resoconto della visita.

Facevano parte di questa  sezione due opere di Lambert Sustris, olandese che è stato ad Augusta fino al 1553, “Mida e Bacco” e soprattutto “Salita di Cristo al Calvario”  che  riportano al Tintoretto per diversi aspetti: lo spazio prospettico e la luce, il dinamismo e le forme oblique. Mentre al periodo più avanzato, 1570-75, appartiene “La guarigione del cieco nato”,  anch’esso esposto, un piccolo quadro con la quale El Greco  cerca di conciliare il cromatismo manieristico di Tiziano con  la scenografia  teatrale del Tintoretto, quest’ultima addirittura su più piani prospettici.

Tale conclusione della  galleria coeva  al Tintoretto preparava alla visita delle sue opere, perché il livello e la complessità di un artista così creativo e originale possono essere apprezzati meglio avendone conosciuto i connotati salienti. Racconteremo la visita prossimamente partendo dai ritratti e dalle opere profane per poi raggiungere il culmine con le opere  sacre, grandi in tutti i sensi.

Info

Catalogo: “Tintoretto”, a cura di Vittorio Sgarbi, Skirà, febbraio 2012, pp. 254, formato 24 x 28; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I prossimi due articoli sulla mostra usciranno, in questo sito, il 25 febbraio e il 3 marzo 2013. 

Foto

Le immagini, tutte di dipinti di Tintoretto, sono state fornite cortesemente dall’Ufficio stampa delle Scuderie del Quirinale, che si ringrazia con gli organizzatori della mostra e i titolari dei diritti. In apertura, “Autoritratto”, 1546-47; seguono “Deucalione e Pirra”, 1541-42,  e “San Giorgio uccide il drago”, 1553-54; in chiusura, “Il trafugamento del corpo di san Marco”,  1562-66.

lI trafugamento del corpo di san Marco”,  1562-66