Giappone, 70 anni di pitture e decori “nihonga”, alla Gnam

di Romano Maria Levante

Dopo le esposizioni del 1911 e del 1930, torna a Roma la pittura e la decorazione  giapponese  con la mostra “Arte in Giappone, 1868-1945”, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal 26 febbraio al 5 maggio 2013. Le  opere esposte sono ben 170,  di cui 111 pitture “nihonga”, cioè  nello “stile giapponese” in reazione allo “stile occidentale”  diffusosi  nei contatti con l’Europa; e 59 opere di arte decorativa. E’ organizzata dalla Gnam, sostenuta dall’Ambasciata del Giappone a Roma, realizzata da The Japan Foundation e dal Museo Nazionale d’Arte Moderna di Kyoto il cui direttore, Ozaki Masaaki, l’ha curata, con il Catalogo Electa,  insieme al “senior curator”  del museo, Matsubara Ryuichi.Commissario della mostra Stefania Frezzotti, curatore, della Gnam.  

Yushiko, Il dio del vento e il dio del tuono, 1929

L’Ambasciatore Kohno Masaharu ha ricordato che la mostra cade nel 400° anniversario della partenza di Hasekura Tsunenagana da Ishinomaki verso Italia e Spagna con l'”ambasceria verso l’Europa del periodo Keicho”, e ha auspicato che, nel celebrare tali ricorrenze, la mostra “possa costituire un’occasione per approfondire ulteriormente la comprensione reciproca tra i cittadini dei due paesi”. Rispetto al Giappone, come verso la Cina e l’India, .l’America e la Russia, l’arte si pone come strumento per le relazioni internazionali favorendo il dialogo  tra i popoli facendo conoscere le più alte espressioni delle rispettive culture, specchio della creatività e delle  tradizioni.

Così l’ambasciatore ha definito l’arco temporale: “Il periodo trattato dalla mostra è un’epoca di transizione che segna lo schiudersi dall’isolamento (sakoku) e l’inizio della modernizzazione…  Vi è un’esatta corrispondenza con il periodo in cui l’Italia, portando a compimento l’unificazione, si avviava verso l’attuale politica democratica”. Si va dalla nostra unità nazionale alla fine del secondo conflitto mondiale, epoca di forti cambiamenti dei quali possiamo vedere le manifestazioni in un mondo così legato alle tradizioni millenarie.

Maria Vittoria Marini Clarelli, soprintendente della Gnam, così l’ha presentata: “La pittura nihonga non fu tanto immune dagli influssi occidentali da non entrare in qualche modo nelle dinamiche del realismo, del simbolismo, dell’Art Nouveau”.  E  aggiunge che “oltre alle poetiche, sono le tecniche  a marcare la differenza rispetto all’arte occidentale. Materiali fragili come la seta e la carta, procedimenti delicati come la pittura a inchiostro e la lacca, sono parti essenziali di questo universo espressivo dal grande potere fascinatorio, nel quale molto diverso è il rapporto fra insieme e dettaglio”.  Le arti decorative rappresentate documentano, a loro volta, “il complesso intrecciarsi in quegli anni degli orientamenti artistici con gli interessi commerciali,  e dell’alternarsi di ripiegamenti isolazionistici e aperture di mercato”. Un insieme  di motivi che ci fanno entrare in un mondo lontano e diverso, che nell’arte esprime fascino e seduzione: cercheremo di evocarlo.

Caratteri della pittura “nihonga”

Cominciamo col dire che prima dell’avvento di questa pittura,  due erano le forme di espressione pittorica in Giappone: la “pittura giapponese” detta “Yamatoe”, e la “pittura cinese” detta “Kamga”; la pittura “nihonga” venne con il periodo Meiji, quando la modernizzazione fece sorgere la “pittura occidentale”, detta “Yoga”, alla quale si contrapponeva la “pittura autoctona”, appunto “nihonga”.

L’apertura all’Occidente in questo periodo fu notevole, attraverso la modernizzazione economica e l’arrivo delle correnti artistiche dall’Europa – impressionismo e tardo impressionismo, cubismo e futurismo –  che oltre a permeare l’arte ispirata allo stile occidentale non mancarono di influenzare la pittura “nihonga” che resisteva al realismo occidentale volendo esprimere lo spirito dell’artista.

Al contrario del realismo si voleva esprimere quella che Taikan ha chiamato “l’immaterialità del mondo spirituale”, in una diversa concezione della linea e dello spazio che portava a un diverso senso della realtà. Proviamo a fornire qualche elemento di un percorso molto complesso e profondo.

La linea non è semplicemente l’elemento che definisce la forma dell’oggetto, ma l’espressione simbolica della sua essenza. Mentre negli occidentali la linea per l’artista è il contorno della realtà che vuole rappresentare,  nella pittura giapponese è la sintesi di quanto di profondo la visione della realtà suscita nel suo spirito, spesso frutto di lunghe contemplazioni, al termine delle quali la linea  non è la riproduzione della realtà esterna ma il suo riflesso spirituale frutto di meditazioni.

Non viene disegnato un paesaggio reale ma il paesaggio interiore, come risultato di un processo di purificazione del quale l’anima del pittore svolge la funzione di filtro. Scrisse Kobayashi Kokei nel 1933: “La linea esprime quel che è celato all’interno delle cose e afferra la realtà dell’oggetto”. Per questo la linea non mostra mai i contorni di un determinato oggetto, ma è la sintesi delle  innumerevoli forme osservate nella realtà e rielaborate dallo spirito dell’artista.

Con la semplificazione e la stilizzazione si elimina il superfluo della raffigurazione per esaltare l’essenza e il dinamismo; l’influsso del realismo contrastò questa  caratteristica finché con il cubismo e le avanguardie entrò anche nella pittura occidentale e si rafforzò nello “nihonga” con il ritorno alla purezza tradizionale dopo qualche contaminazione: dai semplici particolari si estraggono forme universali, ma questo non vuol dire renderle uniformi, bensì coglierne l’essenza.  Essenza della natura non statica ma fatta di dinamismo e di azione,  Il pittore “nihonga” Kayama Matazo, che nel dopoguerra ha realizzato opere così ispirate, la chiama “stilizzazione dello spirito”.

Anche nella rappresentazione dello spazio le peculiarità dell’arte giapponese sono rilevanti. Nel periodo più antico della pittura “yamatoe” lo spazio risultava nelle visioni dall’alto di case scoperchiate ispirate alla pittura cinese a “volo d’uccello”, poi svanì nelle campiture piatte cromatiche dell’epoca Edo. Con la pittura “”nihonga” si cerca una sintesi con la prospettiva occidentale anche mediante l’uso dei colori al posto della linea: nel periodo Meliji si rappresentano l’aria e la luce, nubi e fenomeni meteorologiche con più realismo, ma si è ancora lontani dallo spazio occidentale; poi si cerca il senso tridimensionale tornando  alla tradizione “yamatoa”.

Kanzan, Cormorani e gabbiani,1901 (1° periodo)

Nel periodo successivo, la tarda epoca “taisho”, il compito di definire lo spazio e la distanza, i volumi e la prospettiva  è stato assegnato ai particolari della composizione e agli effetti di luce, sempre più legati alla realtà anche marcando lo spazio tra osservatore e oggetto. Le “nature morte” giapponesi, con fiori e uccelli, si differenziano da quelle occidentali che cercano di catturare le forme  e i colori della realtà; qui interessa l’energia spirituale dentro gli oggetti. Viene esemplificata da Kokei con il vassoio che non ha soltanto una presenza visiva ma anche un suono se toccato, lo stesso per i suoi kaki, frutti che oltre alla rotondità hanno una freschezza e un profumo. Il vero realismo, secondo questa impostazione, è rendere non solo l’aspetto esteriore, ma anche quel suono e quel profumo, che si diffondono nello spazio e assumono carattere universale.

In questo senso, anche i pittori giapponesi più influenzati dall’arte occidentale vedono il realismo come espressione dei loro sentimenti interiori che colgono l’essenza della natura. Ecco due pittori del ‘900: Yashushi: “Io voglio esprimere il mistero della natura intriso di bellezza  che pervade l’universo: non faccio altro  che andare nello spazio che vedo in sogno  per pre3ndere i vegetali e gli animali della mia anima”; Kaii: “”Il paesaggio non è la rappresentazione oggettiva della natura bensì il riflesso dello stato d’animo dell’artista”.

Il motivo di fondo resta immutato, pur nelle profonde trasformazioni della pittura “nihonga”  per effetto dei radicali mutamenti nella vita: l’urbanizzazione ha allontanato dalla natura, e negli assetti abitativi di tipo occidentale spariscono i paraventi per i tradizionali rotoli sostituiti dai quadri.   Cambia tutto, dunque,  nei generi e nelle forme espressive, ma non cambia lo spirito informatore.

Le arti decorative subirono anch’esse gli influssi della modernizzazione con l’apertura alle espressioni di tipo occidentale. Ci fu l’apporto fondamentale di un chimico tedesco, Gottfried Wagner, che contribuì alla profonda evoluzione  nelle ceramiche e porcellane giapponese con la decorazione applicata sotto la vetrina, mentre prima le pitture in superficie erano più difficili e inoltre si logoravano. Furono introdotte  tecniche nuove anche nelle pitture su tessuto.

Ci fu una forte influenza dello stile Liberty, nella linea fluida e nei soggetti, oltre alla natura  figure femminili ed altri temi. All’impostazione artigianale seguì l’ispirazione  artistica in un periodo in cui mentre si diffondeva il “giapponesismo” in Europa, in Giappone penetrava l’influsso europeo. Si può dire che il Liberty, con la sua raffinatezza ed eleganza, era congeniale ad integrarsi con le arti decorative giapponesi. Vi penetrò anche il Déco,  che a differenza dei soggetti tradizionali, come la natura, si ispirata a prodotti industriali, come treni, aerei e automobili, in una fusione tra arte e industria che alimentava una nuova arte creativa fonte di rivitalizzazione industriale.

L’evoluzione ulteriore, il modernismo, introdusse forme inconsuete per il Giappone negli oggetti oltre che nelle loro decorazioni, sempre su influenza occidentale, in una sorta di ribellione per affermare la libertà creativa e l’individualità contro i vincoli dell’arte tradizionale. 

Il Manifesto del Sekido, a Kyoto nel 1919,  intendeva rinnovare “l’arte ceramica sommersa dagli stili tradizionali” per forme nuove con le quali “ricercare con amore l’inesauribile bellezza della natura ed esprimere, attraverso l’arte della ceramica, una bellezza eterna e imperitura”. Nel 1927  un altro movimento innovatore, il  Mukei, riaffermava la ricerca della libertà espressiva nel suo stesso nome che significa “assenza di stampo”, di “forma predefinita”; ma è molto esplicito nel respingere la “nostalgia del passato, in cui i nobili passeggiavano sotto i ciliegi in fiore” e il conformismo,: “ogni artista è libero di adottare la forma  che gli sembrerà più adatta”. Purché, nella diversità di forme, ci sia “una catena invisibile che le collega: una passione accesa, una determinazione ferma, senza compromessi, una tenacia irremovibile e l’aspirazione  a un futuro migliore”.

Banka, “Le isolane”, 1916

Le opere pittoriche in mostra: tre periodi

Le trasformazioni radicali della pittura giapponese nell’epoca Meliji iniziarono nell’ultima fase dell’epoca Edo, con il declino delle  antiche scuole Kano, Tosa e Sumiyoshi.  Si tratta del 1° periododei tre in cui è articolata la mostra.  Alla testa della modernizzazione della pittura “nihonga” ci fu  Kakuzozui che propugnò anche l’introduzione di tecniche occidentali, cosa che portò alla creazione dell’Istituto d’arte di Tokyo e dell’Accademia giapponese d’arte: tra gli artisti più significativi di cui vediamo esposte le opere citiamo Taikan, Kanzan e Shunso.

Per mantenere vivo il  classicismo tradizionale l’associazione Kamgakai accolse grandi artisti della scuola Kano, come Hogai e Gaho. Di Hogai sono esposte due opere del 1880-85 intitolate “Paesaggio con rupe”, ben diverse dalla eleganza calligrafica del passato, sono immagini quasi dantesche. Anche “Paesaggio di autunno”, 1887,  di Gaho è tutt’altro che oleografico, mentre nell’altra opera esposta, “Il monaco Saigyo”, 1892, la figura assorta domina il paesaggio sfumato.  Ben delineati, e sempre raffinati, i due dipinti  di  Kansai, “Paesaggio montano d’estate”, 1863,  e “Uva e scoiattoli”, 1882.; l’eleganza e la delicatezza giapponese nella “Rappresentazione di fiori e insetti”, 1885, e “Peonie e uccellini”, 1905, di Keinen, mentre in “Tigri” , 1885, di  Chikudo, c’è il biancore di inizio ‘900. “Veduta del mare di Naruto”, 1886, di Bairei, presenta una sorta di mare di nuvole.  I due dipinti di Chokunyu, “Paesaggio con boschetto di bambù”, 1890, e “Paesaggio primaverile  paesaggio estivo”, 1901, presentano aree  marcate e zone fortemente ombreggiate, senza l’eleganza raffinata e leziosa, né l’atmosfera rarefatta, è un realismo di nuovo conio.

Vediamo poi il ben diverso  “stile indefinito” – che rinuncia all’uso della linea  al centro della pittura giapponese con significati diversi dall’Occidente –  nella rappresentazione di effetti atmosferici con luminescenze e sfumature, nubi ed effetti cromatici senza contorni nelle opere di grandi pittori “nihonga”: la profondità dello spazio nella “Cascata”, 1900, di Taikan, su due piani, mentre “Luna sulla riva del mare”, 1902, è la prospettiva obliqua di una superficie bianca con rilievi ai bordi, che non raffigura quanto è nel titolo; così “Oche selvatiche presso un lago”, 1902, di Shonso, dove non si vedono le oche ma anche qui biancore al centro e rilevi ai bordi. In “Tokiwazu Fusehime”, dello stesso Shonso, invece, al centro dello spazio rarefatto c’è una immagine quasi di madonna.  Altrettanto sfumati e con molto biancore i dipinti di Hobun, “Pioggia primaverile sul monte Yoshio”, 1897-1906 e di Kako, “Notte di luna”, 1912.

Nette e non più sfumate le figure di “Cormorani e gabbiani”, 1901, di Kanzan, il realismo occidentale si fa strada, mentre “Campo di zucche”, 1910, ha un carattere più lezioso e ornamentale.  Di grande impatto visivo “Le quattro stagioni”, 1913, di Shunkyo, 4 dipinti con vaste superfici cromatiche molto espressive.  

Assunse un rilievo particolare la città di Kyoto anche perché vi erano già correnti naturalistiche che resero meno traumatico l’impatto con le nuove forme espressive della modernizzazione. Tra l’altro Fenollosa, un occidentale a Tokyo, tenne delle lezioni che stimolarono i giovani artisti. Assunse particolare rilievo Seiho, di cui vediamo opere molto diverse: “Paesaggio estivo/Paesaggio invernale”, 1903, delle macchie appena distinguibili , “Mestizia (Salici lungo un corso d’acqua gelata)”,1904,  anch’esso sfumato, e “Leone d’oro”, 1906, invece definito e marcato. Come lo è “La vecchia della montagna con la luna del mattino” di Kokyo, 1907.  

Kokei, “Papaveri”, 1921 (2° periodo)

Il 2° periodo va dall’epoca Meiji all’epoca Taisho, la fase di massima apertura politica e culturale prima della seconda guerra mondiale, con la forte influenza dell’arte occidentale, dal Rinascimento agli impressionisti e oltre. Troviamo Shiko e Yukihiko, Kokei e Keisen, Seison e Usen, con opere innovative; a metà periodo si accentua il realismo reso anche da forti contrasti cromatici, ben diverso dalle atmosfere impalpabili e dal biancore dello “stile indefinito”.

Di Shiko  vediamo “La salita di Shiomi”, 1916, e “Albero di kaki in autunno”, 1915, dall’intenso  cromatismo, mentre con Keisen, “Il dio del tuono e il dio del vento”, 1917, torniamo alle atmosfere sfumate e impalpabili. Con Yukihiko, “L’ebbrezza dei fiori”, 1912, ed “Eclissi di sole”, 1925; abbiamo le figure umane, stile e soggetti innovativi.  Di Kokei sia la figura “Immortale sul monte Lolu”, 1920, sia i fiori, “Papaveri”, 1921, rossi e bianchi sopra una cascata di verde.

La galleria di immagini è vastissima, citiamo solo i dipinti che colpiscono maggiormente. Come “Frutta”, di Gyoshu, 1920, dove lo spazio è reso dal volume dei pomi sulla tovaglia di un rosso intenso quasi monocromatico; e “I monti di Hakone”, 1922, di Keisen, il monocromatismo è verde intenso; mentre ha un effetto impressionistico, ma senza la scomposizione, “Alberi autunnali”, 1821, di Kagaku.  C’è anche una “Composizione di fiori” , 1923, di Shiho, quasi di stile occidentale, e “Mare di primavera”, 1924, di Seiho, gli alberi che svettano su tre piani luminosi.

Concludiamo la rassegna di questo periodo con immagini di donne molto diverse: le nitidissime  e fortemente colorate “Le isolane”, 1916, di Banka, e “Figura femminile con pettine laterale”, 1918, di Tadaoto, da un lato; le evanescenti a tinte pastello in “Notte di eclisse lunare”, 1916, di Shoen.

Il 3° e ultimo periodo, dall’epoca Taisho all’epoca Showa, vede accelerare la modernizzazione ma nel contempo la crescita del nazionalismo con restrizioni interne e isolamento internazionale, con il rifiuto delle tendenze occidentali per un ritorno alla purezza dell’arte orientale autoctona.  Taikan e Gyokudo, attivi nell’epoca precedente, raggiungono la maturità. Del primo vediamo “Cascata”, in una nuova tecnica nell’uso dell’inchiostro, del secondo “Foschia mattutina”, in colori caldi e nitidi.

Sono presenti anche Gyoshu, Seiji e Kokei, che abbiamo già incontrato:  pur non rinunciando al realismo dei dettagli cercano di rifarsi all’arte tradizionale in una sintesi tra Oriente e Occidente.

Di Gyoshu sono esposti “La camelia dai petali cadenti”, di Seiji “Bosco nel gelo”, di Kokei “Koto”, opere raffinate e vibranti dove la descrizione realistica si associa a motivi ornamentali. Non si cerca di rendere la realtà ma l’universale, cioè l’essenza che l’artista rivela con un’elaborazione spirituale.

Tra le numerose opere esposte citiamo tre gruppi di soggetti. I paesaggi e ambienti, con il verde dominante di Somei in “Monti ammantati”, 1924, e “Carbonara”, 1930; le atmosfere sfumate di Gyokudo, “Foschia mattutina”, 1928, e “Paesaggio montano con nuvole  e pioggia”, 1929; i forti contrasti di luce e ombra di Takan in “Cascata” e “Genziana”, 1928; di Usen due dipinti monocromatici, “La furia delle onde”, 1929, e “L’arrivo dell’autunno sull’isola”, 1932. Il secondo gruppo sono gli animali molto sfumati in Shiho, “Leoni”, 1927, ben definiti nella forma, volume e cromatismo in Seiho, “Tigre”, 1930. L’altro gruppo da noi individuato è quello delle figure umane: la ragazza in piedi di “Frescura mattutina”, 1925, di Kyokata, di cui sono esposte anche sei “Storie di Onatsu e Seijuro; la ragazza seduta in “Lo stagno di Ikaho”, 1925, di Eikyu; i calligrafici “Il dio del vento e il dio del tuono”, 1929 e “Mazzo di fiori”, 1937, di Yukihito, fino a “L’ambasceria cristiana a Roma”, 1937. di Seison, di tipo cavalleresco,  ricorda “Guidoriccio da Fogliano” di Simone Martini; fino al suggestivo “Suddharta in meditazione sotto un albero”, 1933, di Kagaku, con cui ci piace concludere per l’alto valore spirituale che l’artista riesce a trasmettere.

Seison, “L’ambasceria cristiana a Roma”, 1927

Le arti decorative nell’epoca del “nihonga”

Le arti decorative subirono anch’esse gli influssi della modernizzazione e dell’apertura all’Occidente. Ci fu l’apporto fondamentale di un chimico tedesco, Gottfried Wagner, che contribuì alla profonda evoluzione nelle ceramiche e porcellane giapponese con la decorazione applicata sotto la vetrina, mentre prima le pitture in superficie erano più difficili e inoltre si logoravano. Furono introdotte  tecniche nuove anche nelle pitture su tessuto.

Penetrò in Giappone lo stile Liberty, anche per la raffinatezza e la dolcezza delle sue linee spesso ispirate alla natura e a soggetti floreali che richiamavano motivi tradizionali.  La produzione di oggetti decorativi divenne anche un fatto economico perché attivò un consistente flusso di esportazioni.  In Europa, infatti, l’interesse per le arti orientali creò un vero “giapponesismo”.

Dai lavori artigianali basati solo sull’abilità tecnica si passò a produzioni più propriamente artistiche, nei quali, pur se l’influsso europeo era evidente, risultavano evidenti gli apporti originali della nuova creatività giapponese. Non si trattava di imitazioni, anzi venivano inseriti motivi reperiti da accurate ricerche nella tradizione autoctona, come quelli della scuola classica Rinpa, del XVII secolo, come fecero  Chu e Sekka. Il Liberty giapponese ha avuto, quindi, forme del tutto particolari, come è stato per le ceramiche  di Hazan, con uno smalto opaco sull’intera superficie sopra ai disegni di un pigmento policromo.

Vi penetrò anche il Déco, che a differenza dei soggetti tradizionali, come la natura, si ispirava a prodotti industriali, come treni, aerei e automobili, in una fusione tra arte  e industria alimentando  una nuova arte creativa mente si operava una vera e propria rivitalizzazione industriale.

L’evoluzione ulteriore, il modernismo, introdusse anche forme inconsuete per il Giappone negli oggetti oltre che nelle loro decorazioni, sempre su influenza occidentale, in una sorta di ribellione per affermare la libertà creativa e l’individualità contro i vincoli dell’arte tradizionale. 

Il Manifesto del Sekido, a Kyoto nel 1919, intendeva rinnovare “l’arte ceramica sommersa dagli stili tradizionali” per forme nuove con le quali “ricercare con amore l’inesauribile bellezza della natura ed esprimere, attraverso l’arte della ceramica, una bellezza eterna e imperitura”. Nel 1927  un altro movimento innovatore, il  Mukei, riafferma la ricerca della libertà espressiva nel suo stesso nome che significa “assenza di stampo” , di “forma predefinita”; è molto esplicito nel respingere la “nostalgia del passato, in cui i nobili passeggiavano sotto i ciliegi in fiore” e il conformismo, “ogni artista è libero di adottare la forma che gli sembrerà più adatta”. Purché, nella diversità di forme, ci sia “una catena invisibile che le collega. Una passione accesa, una determinazione ferma, senza compromessi, una tenacia irremovibile e l’aspirazione a un futuro migliore”.

Sarebbe velleitario pretendere di descrivere il vastissimo assortimento di oggetti e tessuti artistici dei tre periodi, ci limitiamo a elencare alcune tipologie di quelli esposti. Brocche e vasi, scrigni e scatole, cesti e astucci, candelieri e orologi da parete, brucia incenso e scatole per tabacco, scatole da scrittura e contenitori per dolci,  cofanetti e portasigarette, mobiletti e ornamenti da parete, parati e poi kimono e tessuti. Le fogge sono le più svariate e così gli stili, l’alto artigianato diventa arte sopraffina. Dalla mera elencazione, benché molto parziale, si vede l’estrema varietà, non entriamo nei materiali e negli stili che sono i più diversi, l’esposizione è spettacolare.

Come nella pittura su seta o su carta speciale, così nelle arti decorative sui più diversi materiali, si esprime la multiforme ispirazione dell’arte giapponese, di cui abbiamo cercato di dare qualche lineamento. Per i tre periodi nei quali si è avuta un’evoluzione che ha fatto tesoro del realismo occidentale senza perdere la sottile magia dello spiritualismo orientale, la nostra ampia carrellata su  titoli e autori delle opere in mostra è di per sé eloquente nell’evocarne il fascino e la suggestione.

Info

Viale delle Belle Arti 131, Roma, da martedì a domenica ore 10,30-19,30, la biglietteria chiude alle 18,45. Lunedì chiuso. Ingresso intero euro 12,00, ridotto euro 9,50 (cittadini UE tra 18  e 25 anni  e docenti scuole statali UE); ridotto speciale solo mostre euro 7,00 (minori 18 e maggiori 65 anni). Tel. 06.32298221, http://www.gnam.beniculturali.it/.  Catalogo: “Arte in Giappone, 1868-1945”,  a cura di Ozaki Masaaki e Matsubara Ryuichi, Electa, 1913, pp. 232,  formato 21×27.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla Gnam alla presentazione della mostra, si ringrazia la direzione della Galleria con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura Yushiko, Il dio del vento e il dio del tuono, 1929; seguono Kanzan, Cormorani e gabbiani,1901 (1° periodo) e Banka, “Le isolane”, 1916, poi Kokei, “Papaveri”, 1921 (2° periodo) e  Seison, “L’ambasceria cristiana a Roma”, 1927; in chiusura Eiku, “Lo stagno di Ikaho”, 1925  (3° periodo).

Eiku, “Lo stagno di Ikaho”, 1925  (3° periodo)