Divino Amore, le opere di 30 artisti “oltre la notte”, al Santuario

di Romano Maria Levante

Al santuario romano della Madonna del Divino Amore, dal 20 ottobre 2012 al 2 giugno 2013 la mostra “Oltre la notte – Artisti romani per il Divino Amore “, 30 opere di altrettanti artisti cittadini in omaggio alla Madonna oggetto di grande devozione popolare, una brillante prova di come l’arte contemporanea possa confrontarsi con il sacro. Oltre all’iconografia della Madonna col Bambino, temi legati direttamente al Santuario come il pellegrinaggio notturno oltre agli ex voto e altre immagini evocative dei luoghi e della devozione. La mostra è a cura di Gabriele Simongini, Carlo Fabrizio Carli, Tiziana d’Achille, che hanno curato anche il Catalogo di Palombi Editore.

Alberto Sughi, “Virgo Lauretana”   

E’  un evento che va molto al di là di una pur prestigiosa esposizione artistica  perché ripropone in chiave contemporanea il rapporto tra arte e sacro,così fecondo nell’epoca d’oro delle grandi committenze religiose che hanno lasciato ai posteri i più grandi capolavori e i i più eccelsi maestri.

L’arte a contatto con il sacro nell’età contemporanea

Non si  tratta di  un rapporto semplice e scontato,come non lo è stato neppure in passato, se si considera che sin dal 1580 nel “Discorso intorno alle immagini sacre e profane” il cardinal Paleotti denunciava le carenze degli artisti nell’esprimere la devozione se non la sentivano nell’intimo. Nei tempi recenti spesso le opere  dedicate al sacro sono state ritenute inadeguate se non provocatorie.

Detto questo, va considerato che l’artista, nella sua creatività è quanto mai sensibile all’anelito verso una dimensione superiore che permea la trascendenza. Prove di questa sensibilità si trovano anche nelle avanguardie che si sono  ispirate all’arte sacra  fino a mutuare  forme di mistica medievale. Fu  Kandinsjij, da molti ritenuto padre dell’arte astratta, a teorizzare l’esigenza di riconciliarsi con la dimensione sacra,con il saggio filosofico-mistico “Lo spirituale nell’arte”.

A questo riguardo vanno considerate le innegabili difficoltà rappresentate da due ostacoli diversi ma ugualmente pesanti: l’elevatezza dei termini di confronto cui si espone l’artista che opera nel sacro, visti i sommi maestri che hanno creato capolavori ineguagliabili; la crisi dell’immagine e del figurativo in una sorta di spirito iconoclasta che ha contagiato l’arte nel secolo scorso e da cui sembra ci si stia riprendendo. D’altra parte, scrive Gabriele Simongini, “è stata la religione, la ricerca del trascendente, ad insegnare all’uomo la potenza dell’immagine”. Vanno recuperati anche i valori della bellezza, una bellezza che per essere piena deve avere anche un riferimento etico, nell’arte sacra che non per questo va considerata confessionale come sarebbe per quella definita “santa” in quanto legata al Cristianesimo: si parla più propriamente di immagini e figure spirituali. .

Sono motivi evocati da Carlo Federico Carli nel presentare la mostra, che appare per questo coraggiosa. Al riguardo lui stesso ricorda il coraggio con cui vennero affidati gli affreschi di Assisi a un artista innovatore com’era Giotto dal quale ci si potevano aspettare opere  non allineate ai canoni dell’epoca:  e così fu con i risultati prodigiosi da tutti ammirati nei secoli.

Questa associazione di idee, con tutte le incommensurabili differenze che si devono marcare, ci porta ad apprezzare ancora di più l’inserimento delle opere nel clima devozionale che pervade il Santuario, sospeso tra la tradizione e la modernità in un contrasto creativo, non stridente.

Alessandra Di Francesco, “Mater” 

Dal santuario settecentesco al nuovo santuario: la “grande grotta azzurra”

L’antico santuario settecentesco è stato conservato nella sua integrità e quello moderno che si è aggiunto nel 2000, all’inizio del terzo millennio,  è stato edificato al di sotto del poggio dove si trova il primo e quasi mimetizzato nella vasta campagna seguendo le ondulazioni del terreno e con la copertura trasformata in prato cosicché dall’alto non se ne scorge minimamente il volume.

E questo pur in dimensioni considerevoli, 1500 posti a sedere. Il progetto è del francescano Padre Costantino Ruggeri,di concezione moderna nell’architettura e negli arredi sacri; un anfiteatro che degrada dolcemente verso il presbiterio, l’altare è al centro di una congiunzione verso l’alto dove la modernità della struttura serve a valorizzare al massimo l’ascesa mistica e la discesa della luce.

Come appare  miracolosa la “scomparsa” della costruzione dentro il terreno per non fare ombra al piccolo Santuario soprastante, altrettanto miracolosa è la sensazione celestiale che si ha per la gigantesca vetrata azzurra che fa sentire immersi nel firmamento; mentre richiami cromatici  altrettanto intensi fanno sì che entri il sole e sia evocata la terra, con la presenza simbolica della Madonna che si impone in una grande iscrizione, oltre alla celeberrima piccola immagine pittorica.

Monsignor Pasquale Silla ha scritto che “chi vi entra ha la sensazione di trovarsi in una grande grotta azzurra”, aperta, aggiungiamo, sull’immensità del firmamento nel verde della campagna romana particolarmente dolce e quasi incorporata nella struttura con la copertura fatta  a prato.

In questo contesto si trova la sala con le circa 30 opere esposte, nelle quali sono rappresentati tre motivi fondamentali: l’iconografia sacra, più precisamente santa, legata direttamente alla Madonna col Bambino; la presa popolare che si manifesta con gli affollati  pellegrinaggi notturni settimanali; gli ex voto sulle pareti nel vecchio santuario nati dalla devozione per la Modonna del Divino Amore.

Sidival Fila, “Madonna del Divino Amore: Tras-figurata” 

L’iconografia sacra della Madonna

E’ questa la parte della mostra forse più difficile, perché  la Madonna con Bambino è il tema classico dei più grandi artisti della storia per le imponenti pale d’altare. Qui non si tratta di committenze religiose per cattedrali e chiese maestose, né per grandi cappelle: sono quadri di  misura  normale, aspetto che ne sottolinea l’ispirazione intima e diretta senza intenti celebrativi,come espressione spontanea dello spirito devoto. E quasi tutte datate 2012.

Mentre le grandi opere della lunga età dell’oro per l’arte erano offerte dalla Chiesa all’ammirazione e adorazione del popolo, per trasmettere messaggi di fede e di autorità religiosa, qui avviene l’inverso: è come se il popolo, di cui è parte l’artista, offra alla Chiesa una testimonianza personale.

La regina di queste icone contemporanee è di certo la “Virgo Lauretana”, un’opera del 1995 di Alberto Sughi, scomparso da poco dopo una vita nella quale si è interrogato sull’inquietudine  dell’uomo contemporaneo esplorando anche  il significato del sacro e delle immagini che lo rappresentano; al punto che il suo primo quadro, “La carità cristiana”,  rappresentava dei poveri sfamati dai frati. Il quadro ospite d’onore della mostra, proveniente da Loreto,  colpisce  per la forma  e il colore, per l’atteggiamento reciproco di Madonna e Bambino con la cupola sullo sfondo, nella penombra che rende il mistero, in uno sfondo reso luminoso dal  tripudio cromatico rosso- arancio. Dello stesso artista è esposta “L’immagine di Cristo”, del 2010, altrettanto notevole, per lo sguardo umanissimo dei grandi occhi spalancati di Gesù in un fondo oro da icona preziosa.

Altre due Madonne col Bambino ci danno immagini meno pittoriche e più reali, molto diverse tra loro: “Mater”,  di Alessandra Di Francesco, mostra una giovane di  etnia intrigante in una fisicità carnale, non si ricerca la bellezza spirituale della Vergine bensì la tenerezza della madre con il bimbo addormentato tra le braccia, il seno che lo ha allattato, un’immagine umbratile e pensosa.

Invece  “Madonna con Bambino”, di Massimo Campi, è solare, una madre di oggi, in piedi su un balcone con un bambino vispo tra le braccia, mentre dietro la ringhiera si distende il panorama di tetti della Roma del nostro tempo, all’orizzonte si stagliano i Colli Albani dov’è il santuario.

Vediamo anche una modernissima“Annunciazione”, di Bruno Ceccobelli, con un’esplosione di luce al centro: segna l’incontro tra l’angelo luminoso come un sole che irraggia attraverso le spirali simboliche dello Spirito Santo, e la Madonna, figura titubante e pudica avvolta nell’azzurro. E l’opera di Sidival Fila, “Madonna del Divino Amore: Tras-figurata”, la celebre immagine miracolosa viene quasi scomposta con effetti tridimensionali mediante un lino antico tessuto a mano e cucito attraversato da forti striature orizzontali.

Dall’effetto tridimensionale alla scultura. Ce ne sono due., la prima è  la “Madonna con Bambino”, di Tito (Amodei), alta ben 2 metri, in gesso con interventi di colore:  il Bambino siede sulle spalle della Madonna  e la sovrasta  cingendole la fronte con le mani, è un’immagine di grande forza plastica, lontana dalle immagini oleografiche, offre il Figlio all’umanità. Poi c’è la “Madonna del Divino Amore”, di Stefano Piali, in marmo,, alta 80 cm, nella quale il bambino è appoggiato al petto della madre, entrambi sono in piedi. Nella diversa posizione anche qui c’è tanta tenerezza.

Infine un “Progetto scultoreo per la Madonna del Divino Amore”, di Reinhard Pfingst, un disegno  a matita colorata e tempera su cartoncino con il simbolico  movimento a spirale

Ritroviamo la tenerezza  in “Divino Amore”, di Aurelio Bulzatti, due volti giovanissimi, quasi efebici, idealizzati, e la mano dell’uno che accarezza la testa dell’altro addormentato,: è  l’immagine dell’amore universale con un gesto caritatevole. Mentre l’altra opera dello stesso titolo “Il Divino Amore”, di Maurizio Pierfranceschi,  è una composizione  in cui la Madonna col Bambino è appena delineata tra soggetti evocativi, in una sorta di foresta incantata.

Stefania Fabrizi, “La mia Madonna” 

Le altre opere ispirate alla devozione per la Madonna

I soggetti diventano tante luci nel buio in “Processione notturna”, di Lucia Barbarini, bella raffigurazione del tradizionale pellegrinaggio romano che si svolge il sabato di ogni settimana dalla primavera all’autunno tra la città e i Colli Albani: alcune ore di marcia partendo da piazza di Porta Capena lungo le vie Appia e Ardeatina per arrivare all’alba al Santuario.

Una processione di corpi che piovono dall’alto è in “Il grido umano cade sempre dal cielo”, di Ennio Calabria, con l’immagine della Madonna, trasfigurata in un’ombra azzurra, che si delinea nel senso opposto: l’opera potrebbe essere vista anche al rovescio, con la massa di figure umane protesa verso l’alto, metafora sulla difficile comunicazione tra sfera mondana e sacra nel mondo d’oggi.

La meta del pellegrinaggio la vediamo in diverse opere: due con la visione notturna, come appare ai pellegrini in marcia, quella  di Andrea Aquilanti intitolata “Divino Amore”, è un’immagine sfumata,  molto da lontano;  quella di Andrea Lelario, “In controluce”, è più ravvicinata, nel buio si delinea la torre del miracolo. Un altro dipinto, ancora dal titolo “Divino Amore”, di Giuseppe Modica, ci dà un’immagine ripresa  più da vicino, è l’alba;  mentre in “La mia Madonna” di Stefania Fabrizi la teoria di pellegrini ha raggiunto il quadro miracoloso dopo la marcia notturna.

Una ardita trasposizione artistica la compie Sandro Sanna in “Origine.2”, non ci sono figure ma una frammentazione materica che alterna toni scuri a chiari quasi voler abbinare la notte e l’alba. Frammentazione anche in “Divino Amore” di Michele Cossyro, ma si tratta questa volta di frammenti d’oro in una composizione  intorno a una croce appena delineata con una colomba.

In “Ascesi”, Alessandra Giovannoni presenta dei fedeli che salgono la scalinata con la torre che si profila a lato, mentre Sergio Ceccotti, in “Divino Amore”, ci dà  la facciata settecentesca in piena luce, due fedeli a mani alzate dinanzi alla colomba evocatrice della sacralità. Un’immagine simbolica è quella di Claudio Marini, “Il cammino della speranza”, con le orme dei pellegrini in circolo intorno all’itinerario. Poi una visione aprica della  campagna con il sole che segna ombre profonde e nel bordo del quadro la torre del miracolo; è “Epifania” di Pierluigi Isola.

Il miracolo è rappresentato nell’immagine dove il realismo si associa all’ingenuità. Viene rievocato  da Stefano Di Stasio  “Il primo miracolo”, con il viandante assalito da cani inferociti vicino alla Torre del Castello, vede il quadro con l’immagine della Madonna, invoca il suo aiuto, la preghiera viene esaudita, i cani si allontanano, è salvo. E’ la primavera del 1740, nasce la devozione popolare che poi ha avuto importanti occasioni per riscontrare la benevolenza della Madonna per la città di Roma: prima fra tutte l’invocazione solenne rivoltale il 4 giugno 1944 per la salvezza della città e la pace nel mondo, esaudita con il ritiro dei tedeschi nella stessa serata, e  la domenica successiva, l’11 giugno, papa Pio XII proclamò la Madonna del Divino Amore “Salvatrice dell’Urbe”.

Andrea Volo, “Migranti” 

Il gran numero di ex voto che riempiono alcune pareti del santuario  ne è testimonianza. In “Divino Amore” Giovanni Arcangeli dà una visione figurativa degli ex voto su un muro all’esterno, mentre Giosetta Fioroni con “Ex voto manina ritrovata” dipinge un’ingenua dedica alla Madonna di un grande cuore e, appunto, una manina risanata.

Altri ex voto in Giorgio Galli, “Mi sussurra alzati!”, assemblaggio oggettuale e pittorico con una vera stampella, e in “Ex voto” di Paola Gandolfi, acquerello su carta con una bimba colpita da pietre, evidentemente sopravvissuta.

Una piccola immagine votiva della Madonna  sulla parete di una stanza con un vaso di fiori e una sedia vicino a una finestra aperta ci dà una dimensione  domestica della devozione non legata alla grazia ricevuta, è di Tito Rossini, “La luce della Fede genera la Speranza”,  mentre Vincenzo Scolamero con “Stupefacente amore” allinea una ventina di quadretti con fiori, collanine, virgulti e altre immagini devozionali.

Dopo tanta pittura, citate già le due sculture, è il momento di due opere materiche: “Senza titolo” di  Roberto Almagno, carbone, cenere  e tempera, sostanze vive come filamenti martellate sul supporto cartaceo; ed “Eclissi”, di Giovanni Albanese, del 2008 mentre quelle citate fin qui, lo ricordiamo, sono del 2012: abbiamo ferro, lampadine e fiamma con un grande globo sospeso in alto.

Ma vogliamo concludere con “Migranti” di Andrea Volo, perché dalla contemplazione ci chiama all’azione. Pone l’attenzione su un fenomeno quanto mai attuale: una donna con bambino, un cane e al centro un migrante con un vaso sulle spalle recante un arbusto, sullo sfondo immagini appena delineate tra cui una colomba. Ci sono molti simboli in una resa di alta qualità pittorica: nello schematismo compositivo e nel cromatismo di sfondo richiama la “Virgo Lauretana” di Sughi con cui abbiamo aperto la rassegna delle opere esposte.

Anche per questo è giusto il titolo dato alla mostra, “Oltre la notte”: non solo inteso come l’arrivo all’alba dopo la notte di pellegrinaggio, ma anche oltre la notte dei pregiudizi e delle chiusure, che come la notte della ragione genera mostri. “Oltre la notte”, dunque, per una vera integrazione nello spirito dell’apertura, anzi dell’accoglienza fraterna che deve finalmente trionfare.

Del resto, tutto il Nuovo Santuario va “oltre la notte” con il suo trionfo di colori nell’aura aprica dei Castelli romani, e il migliore sigillo si trova nelle  parole del progettista Padre Costantino Ruggeri, che poniamo a conclusione della nostra visita come Mons. Silla ha fatto nella sua presentazione.

Usciamo dalla sala della mostra a riveder non solo le stelle quanto la natura intera che fa da corona al Nuovo Santuario: “Ogni erba in  silenzio a fiorire inviti, il grande tetto verde della grotta,  in miriadi di splendide corolle”. E’ questo lo spettacolo permanente che accompagna la devozione.

Info

Nuovo Santuario del Divino Amore, Via del Santuario, 10  Roma, uscita 24 (Ardeatina) dal Grande Raccordo Anulare, Metro A e bus 702 o 044, oppure metro  B e bus 218, alla fermata Santuario Divino Amore, apertura sabato e domenica ore 10,30-12,30  e 16,00-19.00 oppure su appuntamento, Tel. 06.713518.  Catalogo: “Oltre la notte – Artisti romani per il Divino Amore”,  a cura di Carlo Fabrizio Carli, Tiziana d’Acchille, Gabriele Simongini,  Palombi Editore, ottobre 2012, pp. 88,  formato 24×28; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo.

Foto

L’immagine di chiusura, con  l’interno del  Nuovo Santuario del Divino Amore, è stata ripresa da Romano Maria Levante durante una messa domenicale; quelle dei dipinti in mostra riprese dallo stesso autore nella sala espositiva, si ringrazia l’organizzazione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura,  “Virgo Lauretana”  di Alberto Sughi; seguono “Mater” di Alessandra Di Francesco e “Madonna del Divino Amore: Tras-figurata” di Sidival Fila, poi  “La mia Madonna” di Stefania Fabrizi e “Migranti” di Andrea Volo; in chiusura, una panoramica dell’interno del Nuovo Santuario durante una messa la domenica mattina.  

L’interno del Nuovo Santuario durante un messa di domenica