Tiziano, 2. I quattro periodi di vita artistica, alle Scuderie

Si conclude il nostro racconto della mostra “Tiziano”, alle Scuderie del Quirinale, dal 5 marzo al 16 giugno 2013. Dopo averne tratteggiato la vita artistica passiamo alle circa 40 opere esposte, in quattro sezioni: 1490-1518 la giovinezza, 1518-30 l’affermazione; 1530-50 la maturità; 1550-76 il Tiziano tardo. Sono presenti i tre tipi di opere: 16 sono di tema sacro, 14 ritratti e 9 di soggetto mitologico. Sarà una carrellata nell’espressione artistica delle quattro fasi della sua vita seguendo l’articolazione cronologica della mostra nella quale è costante la  tripartizione tematica. La mostra è il culmine di un ciclo di grandi esposizioni di sommi artisti alle Scuderie, aperto da Antonello da Messina, poi Bellini e Lorenzo Lotto, Tintoretto e Tiziano. 

“Danae e la pioggia d’oro”, 1544-45

La fase giovanile, fino al 1518

Nel periodo 1490-1518, la fase giovanile, nella sua formazione, come si è visto, ci furono i fratelli Bellini finché con Sebastiano del Piombo si accostò a Giorgione dalla cui riforma tonale  prese lo spunto per strutturare forme e volumi non più con il disegno ma con il colore modulato dalla luce. Le figure si stagliano nette, mentre anche nel paesaggio, se in “Orfeo ed Euridice” applica le nuove soluzioni di Bosch, in altre opere segue Giorgione che fa dialogare l’ambiente con i personaggi.

Roberto Longhi nel 1946 evidenzia così le novità dell’allievo rispetto a Giorgione: “Al contrario del colore fuso e vellutato , magicamente impastato d’ombra, di quest’ultimo, il Vecellio esordì con una pittura lucente, tanto libera  e quasi ferocemente astratta, quanto quella del suo maestro  voleva rendere la misteriosa realtà atmosferica della visione; dove la saturazione del colore suggeriva profondità e distanze, costruendo la superficie pittorica, come un mosaico, a castoni di colore”.

Dei 10 dipinti esposti 5 sono Opere sacre:  “Madonna col Bambino”, 1507,  e “Battesimo di Cristo”, 1512, “Il vescovo Jacopo Pesaro presentato a san Pietro da papa Alessandro VI”, 1512-13, e “La Madonna con il Bambino e i santi Caterina d’Alessandra e Domenico con il donatore”, 1523-14, fino a “Cristo porta croce con il manigoldo”, 1514: emerge,  pur in diversa misura, come dipinga senza disegno dando alla plasticità del  colore il compito di abbozzare forme e volumi.

Per gli altri temi 2 sono di Ritrattistica: “Il concerto interrotto”, 1512, con dinamismo e  intensità psicologica, e “Ritratto di giovane con cappello e guanti”, 1515, pervaso di malinconia e  inquietudine. E 3 dipinti assimilabili nella forma ai ritratti, , anche se su Soggetti  mitologici nei contenuti: “Giuditta” e “Salomè con la testa di Battista”,  1516,fino a “Flora”, 1517,  figure dalla carne morbida, la testa reclinata  e l’espressione languida. “Flora”, in particolare, è una luminosa immagine di bellezza femminile nella quale, osserva il curatore Villa, “già si intuisce la crepitante qualità dell’impasto cromatico che contraddistinguerà le scelte mature di Tiziano”, e le sue “Belle”.

Scrive Marco Lucco: “La fase del cromatismo cromatico di Tiziano si è definitivamente chiusa: da fenomeno veneziano, per quanto di notevole peso, egli diveniva ora di caratura internazionale, richiesto e ammirato ovunque, e pronto a essere conteso, a peso d’oro, da ogni sovrano d’Europa”.

“Ritratto di Carlo V con il cane”, 1533

L’affermazione tra il 1518  e il 1530

Del periodo nel quale si ha la sua affermazione, 1518-30,  nelle Opere sacre va oltre  lo stile di Bellini  valorizzando i dettagli del soggetto per dare un tono illusionistico, e questo con l’uso magistrale e innovativo di ombra e luce, insieme al colore.

Questa fase si apre con l'”Assunta”, 1518, la gigantesca pala d’altare della basilica veneziana di Santa Maria Gloriosa dei Frari, di cui Lodovico Dolce nel 1557 scriveva dopo quarant’anni dalla realizzazione, che era una miscela tra “la grandezza e la terribilità di Michel’Agnolo, la piacevolezza e venustà di Raffaello, e il colorito proprio della Natura”.

La mostra espone 4 dipinti. Due sono Opere sacre, precisamente “Vergine con il Bambino in gloria, con i santi Francesco e Biagio e il donatore Alvise Gozzi”, 1520,  e“Apparizione della Madonna con il Bambino ai santi Caterina di Alessandria, Nicola di Bari, Antonio da Padova, Francesco d’Assisi e Sebastiano, detta Madonna di san Niccolò dei Frari”, 1522-26.

Il primo dipinto richiama  l'”Assunta”:  in entrambi la Madonna è sospesa su una nuvola tra gli angioletti, e dal basso si rivolgono a lei, tra forti chiaroscuri.. Anche nel secondo dipinto è sulla nuvola e guarda verso la terra, i santi allineati sembrano meditare, non si protendono in alto come i precedenti, san Nicola rivolge gli occhi al cielo avvolto in un piviale reso prezioso dai particolari;  Goethe, su questa pala, scrisse: “Risplende ai miei occhi più di qualsiasi altro quadro veduto sino ad oggi. Non so distinguere se se ciò dipende dal fatto che il mio intelletto possiede  ormai più esperienza o se è perché è veramente il quadro più perfetto di quanti io abbia mai veduto”.

Le altre due opere sono Ritratti: “Tommaso (?) Mosti”, 1520, e “Uomo col guanto”, 1524-25. Tra i due soggetti c’è un’evoluzione nella figura e nell’abbigliamento:  nel secondo è raffigurato oltre la vita e si vedono le mani,  l’abito è più aderente e moderno, e c’è una certa introspezione psicologica che non vedremo nei successivi ritratti di corte dove teneva a sottolineare la posizione sociale.

“Ritratto di Paolo III senza camauro”, 1543

La maturità tra il 1530 e il 1550

Del terzo periodo, la maturità, tra il 1530  e il 1550,  sono esposti 13 dipinti, 5 Opere  sacre , 7 Ritratti e un’Opera mitologica. E’ considerata da alcuni la fase della “crisi manieristica”  nella quale, comunque, cresce  la fama per l’esclusiva sui propri ritratti datagli dall’imperatore Carlo V . L’influenza di  Michelangelo si fa sentire nella monumentalità delle composizioni, mentre si avverte un’evoluzione, così descritta da Miguel Falomir: “La tendenza incipiente a un uso più tonale e meno ricercato del colore e a una pennellata ‘disfatta’, che caratterizzerà il suo stile alla fine degli anni quaranta del secolo”.

Cominciamo dai Ritratti, c’è  la più ampia esposizione tra le diverse fasi, per cui si possono fare considerazioni complessive. La cura della composizione prevale sul cromatismo, c’è molta attenzione alla struttura della figurazione nell’aderenza alla realtà, ma ci si rivolge ai posteri.

Abbiamo appena citato due  ritratti tipici del periodo iniziale, nei quali l’espressione riflette l’intento della committenza non vincolata a posizioni auliche da privilegiare, come avverrà in questo periodo con i ritratti di grandi personaggi, in testa l’imperatore.  Per Carlo V era fondamentale diffondere nell’impero un’immagine adeguata alla sua potenza e insieme alla sua saggezza, c’è il ritratto con la spada alzata e quello di “Carlo V con il cane”, 1533:  ha anche una spada  e un pugnale ma sono poco visibili, più come parte dell’abbigliamento regale che come armi.  Il ritratto è a figura intera, un’immagine di forza tranquilla rassicurante per la pace dell’impero. C’era l’intento di dare al rapporto tra imperatore e artista lo stesso forte significato  del rapporto tra Alessandro Magno e Apelle, in una classicità  prestigiosa ed evocativa di grandezza.

“Giulio Romano”, 1536, viene ritratto con dinamismo mentre mostra un prospetto architettonico della sua professione, mentre  “Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino”, 1536-38, è chiuso in un’armatura da cavaliere mentre impugna il bastone di comando, con un’espressione in viso tesa e determinata.  Ben diversi i ritratti  di “Benedetto Varchi”, un giovane erudito vestito di nero con un libro in mano, e di “Ranuccio Farnese”, dalla giubba con riflessi rossi impreziosita d’oro, ritenuto un capolavoro della ritrattistica infantile, diremmo adolescenziale data la sua età.

Altrettanto impreziosito il “Ritratto del cardinal Bembo”, 1542,  realizzato in mosaico da Valerio Zuccato sul cartone di Tiziano: è spettacolare la testa dalla lunga barba bianca che riempie la scena, con il contrasto cromatico della mantella traslucida in raso cremisi e della cartella blu nelle mani. E’ dell’anno successivo il “Ritratto di Paolo III senza camauro”, 1543: anche qui la barba bianca ma non è la testa il particolare in evidenza, quanto la mantella  ugualmente cremisi, percorsa da riflessi di luce per dare movimento a una figura che mostra la sua vecchiezza, nel viso solcato da rughe, pur se gli  occhi  sono vivaci, e nella mano destra rinsecchita con le vene quasi scolpite.

“Deposizione di Cristo nel sepolcro“, 1559

Completa la sezione dei Ritratti  “La Bella”, 1936,  di cui Margaret Binotto scrive che “corrisponde perfettamente nei tratti fisionomici e nell’abbigliamento ai canoni della bellezza rinascimentale”: la veste blu è intessuta d’oro, la lunga collana  pende sul seno, che si intuisce sotto la veste e di cui risalta il biancore nella scollatura, mentre il viso è soffuso di rossore. 

A questo accostiamo  “Danae  e la pioggia di monete d’oro, una composizione alla quale  vengono attribuiti significati simbolici nelle monete che piovono dall’alto come trasformazione di Giove o riferimenti agli amori mercenari del cardinale Alessandro Farnese, nipote di Paolo III.  Per renderne l’aspetto spettacolare riportiamo i commenti citati dalla Binotto: Venturi ha scritto  nel 1928 che il colore, “perduta l’antica compattezza, brilla traverso il velo di un’atmosfera satura d’oro”; secondo Pallucchini nel 1969 e ’77 , “avviluppa la forma fino a farla partecipare all’atmosfera”, e più in generale “Tiziano ha sfrondato la composizione di tutti gli elementi inutili ed esornativi; l’ha scarnificata fino ad un’essenzialità che è certo uno dei caratteri più validi di un’opera d’arte”.

Dopo questa immagine coinvolgente passiamo alle Opere sacre del periodo scegliendo di cominciare da “Maddalena”, 1531-35,   simbolo di bellezza muliebre al punto che Fogolari nel 1935 ha scritto: “Tra Venere e Maddalena poca differenza”; e Rearick, nel 2001. sempre nelle citazioni colte della Binotto, sottolinea “il pentimento di una Maddalena con gli occhi sbarrati e intrisi di lacrime cristalline, le labbra tremanti, le mani atteggiate  in un gesto  di modestia e soprattutto uno strabiliante velo formato dalla chioma che copre la sua nudità”, il seno palpitante che si intravvede.

Anche “San Giovanni Battista nel deserto”, 1542, è un’opera sacra sui generis, sembra un ritratto nobiliare nella posa statuaria  e nel gesto, la  figura si staglia nella foresta  con un fisico michelangiolesco , quanto mai vigoroso. Zanetti nel 1771 scrisse che “questa sola figura contiene in sé tutte le bellezze dello stile di quel gran Pittore”;  e le trova nel vestimento e nelle membra di un uomo silvestre, come nel gesto e nella positura rivelatrice della santità del precursore di Cristo.

Troviamo il figlio di Dio annunciato dal Battista in una posa e una figura molto simile, nella “Resurrezione di Cristo”, 1542-44: si staglia in alto nel cielo con il gesto imperioso mentre i soldati restano tramortiti in basso. 

Con l”Annunciazione”, 1535,  concludiamo la carrellata sulle opere esposte per il terzo periodo. Fu  dipinta per la Scuola Grande di San Rocco a Venezia, la stessa che abbiamo visto in Tintoretto, con l’opera con cui si avviò a prendere la supremazia, cosa che Tiziano avvertì al suo ritorno a Venezia. E’ stata ammirata per la luminosità e per i significati allegorici e i simboli. Dolce nel 1557 scrisse che “non fu mai veduta cosa più bella né migliore, né di disegno, né di colorito”, ed è sorprendente che nell’elogio inserisca il disegno che in altri giudizi è l’unico suo limite rispetto all’eccellenza nel colore.  La figura “pomposamente decorativa” dell’angelo, come scrisse Pallucchini nel 1969, “in un cromatismo avviluppante e atmosferico”, con la vistosa tunica e i calzari preziosi evoca scene di corte;  mentre, osserva la Binotto,  i dettagli “portano l’attenzione del riguardante sugli aspetti più umani e commoventi del racconto” nella “pacata serenità della scena” con il viso e le mani della Vergine  che spiccano nel loro candore sul manto nerissimo.

“Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza”, 1565

Il tardo Tiziano, tra il  1550 e il 1576

Nel quarto periodo, il tardo Tiziano, tra il 1550  e il 1576, i dipinti esposti sono 11, di cui 5 Opere sacre, 3 Ritratti e 3 Opere mitologiche.  Si potrebbe pensare a un disimpegno nell’età avanzata, fino a 86 anni, invece continuò ad essere attivo ed ebbe un’evoluzione stilistica, quasi da sperimentatore.  Le pennellate diventano più grevi e scure, come sentisse il richiamo dell’ombra. Marco Boschini, già da noi citato all’inizio, precisa: “E così andava riducendo a perfezione le sue animate figure. Ed il Palma mi attestava, per verità, che nei finimenti dipingeva più con le dita che co’ pennelli”. lasciava il quadro a riposare a lungo, per fare a distanza di tempo gli ultimi ritocchi.

Le Opere sacre sono 3 “Crocifissioni”,  una “Deposizione nel sepolcro” e “Martirio di san Lorenzo”,  tra il 1547 e il 1560, l’ultima Crocifissione con “il buon ladrone” datata fino al 1570,  e “Annunciazione”, 1563-65.

Adolfo Venturi nel 1928 confronta il  “Cristo crocifisso” di san Lorenzo all’Escuriale con “La Crocifissione” di Ancona: “Grande, solenne, è l’immagine divina, che ad Ancona si perdeva, piccoletta e affusolata, nel vasto scenario del cielo; e il lume di luna si stende calmo sul torace possente, sulle minuscole braccia”, mentre l’ombra che i nembi proiettano sul volto “si ritrae dal corpo di Cristo”. Nell’altra opera, “il dominio è dato dall’ombra”, anzi segna il cambio di registro: la “Crocifissione” di Ancona “può considerarsi il punto di partenza di quest’ultima fase del gusto tizianesco, che è la più libera e la più ricca di avvenire”, il cromatismo di Tiziano “si scioglie nella luce, facendosi addirittura incandescente, dentro misteriosi e freddi scenari notturni”.

Il critico collega la “nuova oscurità” al “Martirio di san Lorenzo”, dove “le ombre s’d’addensano in un’allucinante visione di bagliori nella notte”. La terza “Crocifissione, con il buon ladrone”, attribuita con delle incertezze alla bottega, è incompiuta, le forme abbozzate con la materia greve dell’ultimo periodo. Luisa Accardi  la definisce “di forte impatto emotivo, esaltata dalla visione laterale di Cristo, che sottolinea un’angosciante indagine della sofferenza, e il costrutto è potente”.  

Così la “Deposizione nel sepolcro”, che Tiziano mandò a Filippo II  nel 1559 con una lettera in cui si manifestava molto soddisfatto per la riuscita dell’opera in cui si era impegnato per sostituire quella spedita due anni prima e perduta nel viaggio. E’ una composizione intensa, Pallucchini nel 1969 ha scritto che il corpo di Cristo “sembra trascinare con sé tutte le altre figure, tenute a stento nella cerniera del quadro” e aggiunge che “tutto nasce di getto, senza alcuna preoccupazione di armonia o di bellezza classica”. Figure abbozzate dai colori bagnati dalla luce.

“Annunciazione” è ricca di movimento, Roberto Longhi nel 1946 ha scritto che è avvolta da “un velame cosmico, caotico”,  è “uno dei dipinti più disperati dell’arte”,  con “un linguaggi fatto di tenebre lacerate da scoppii di luce, da fumiganti atmosfere”, in quella che Pallucchini nel 1969 ha definito “cosmica e panica espressione totale del suo sentimento”.

Tra le  Opere mitologiche, in “Venere benda Amore”, 1559-61, torna una maggiore luminosità, quasi che la classicità e la bellezza abbiano portato indietro le lancette del tempo;  mentre  “La punizione di Marsia”, 1570-76, mostra tutte le caratteristiche dell’impasto pittorico del tardo Tiziano, con le forme abbozzate e le caratteristiche “notturne” di cui si è detto per le Opere sacre, in cui  Longhi vede un “impressionismo magico”. E’ stata:definita “una delle immagini più terrificanti dell’arte”, pervasa da un “senso di cupo orrore”, un'”opera sanguinosa”, con crudeltà e brutalità. L’“Allegoria del  Tempo governato dalla Prudenza”, 1565, è un’immagine molto diversa, anch’essa allucinante: tre teste umane sopra e tre teste animali sotto, un concetto filosofico espresso in modo enigmatico, i visi sono appena definiti dalla luce che li fa balzare dallo sfondo scuro.

Il dipinto ci introduce ai Ritratti dell’ultimo periodo, dei dogi “Marcantonio Trevisan”, 1553-54, e “Francesco Venier”, 1555.  Sono molto diversi, il primo “par che parli, che pensi, et che respiri”, ha scritto Pietro Aretino, “lo spirto è, in lui, d’ossa e di carne cinto”, è una figura imponente che riempie l’inquadratura, l’espressione ferma e sicura, il mantello prezioso indossato con disinvoltura. Nel secondo il mantello è altrettanto prezioso, ma sembra opprimere la figura esile, il  volto è scarno e gli occhi lucidi quasi fosse malato: è l’ultimo suo ritratto di dogi e di regnanti, quasi il canto del cigno nella ritrattistica che lo porta a una straordinaria umanità e penetrazione interiore.

Ed eccoci alla conclusione, e non può che essere con il suo “Autoritratto”, 1562, del quale non possiamo che ripetere la descrizione di Venturi: “Tiziano mira all’energia della massa uscente dall’ombra nella veste d’argento. Sopra un fondo verdastro, spicca la testa accesa da un ultimo fuoco. Tutto il calore del quadro, tutta la forza, è nella testa di vecchio, sulla quale sembra passar una vampa… le mani sono appena indicate, e appena ne è determinato il gesto… Lo sguardo è intento; la posa quasi di sfida”.

Questa immagine, con la vampa che passa nella sua testa, la posa di sfida e lo sguardo intento, è il migliore commiato al grande Tiziano:  anche la mostra su Tintoretto si concludeva con il suo ultimo autoritratto, però spento e depresso come questo è energico e volitivo.

E’ come una rivincita postuma sul giovane impetuoso che osò sfidarlo a Venezia.

Info 

Scuderie del Quirinale, Roma, via XXIV Maggio 16. Da domenica a giovedì dalle 10,00 alle 22,00; venerdì e sabato dalle 10,00 alle 22,30 (ingresso fino a un’ora prima della chiusura). Ingresso: intero euro 12,00; ridotto euro 9,50. Per le mostre citate all’inizio si rinvia ai nostri articoli: in “cultura.abruzzoworld.com” per Bellini  il  4 febbraio 2009  e per Lorenzo Lotto il  2 e 12 giugno 2011; in questo sito per Tintoretto il 25, 28 febbraio e  3 marzo 2013. Catalogo: “Tiziano”, a cura di Giovanni Carlo Federico Villa, Silvana Editoriale, febbraio 2013, pp. 290, formato 23×28; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo sulla mostra è uscito, in questo sito, il 10 maggio 2013, con 6 immagini dei primi due periodi della sua vita artistica. 

Foto

Le immagini delle opere di Tiziano sono state fornite dall’Ufficio stampa delle Scuderie del Quirinale, che si ringrazia, con i titolari dei diritti. Riguardano i due ultimi periodi della sua vita artistica. In apertura “Danae e la pioggia d’oro”, 1544-45; seguono “Ritratto di Carlo V con il cane”, 1533, e “Ritratto di Paolo III senza camauro”, 1543, poi “Deposizione di Cristo nel sepolcro“, 1559, e “Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza”, 1565;  in chiusura, “Autoritratto”, 1562.

 “Autoritratto”, 1562