Urne etrusche, 24 recuperate con 3000 altri reperti

di Romano Maria Levante

Ancora una volta le indagini dei Carabinieri del Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale hanno fatto centro. In un’affollata conferenza stampa il 27 giugno 2013  nella sede di via Anicia a Roma, è stato presentato un risultato più clamoroso del solito, considerando che a ogni importante operazione segue la presentazione a Roma del successo ottenuto nell’attività di contrasto al traffico clandestino di opere d’arte. Questa volta sono state recuperate 24 urne cinerarie etrusche tra il II e il IV secolo a. C.  con 3000 reperti archeologici provenienti da un unico sito funerario di Perugia risalente al gruppo familiare degli Acni, di cui si conoscono altri ipogei. E’ il frutto di un’azione investigativa durata due anni, cui hanno concorso l’Università Tor Vergata, la Soprintendenza e Procura della Repubblica di Perugia. I cinque responsabili sono stati denunciati all’autorità giudiziaria per “ricerche illecite, impossessamento e ricettazione di beni culturali”.

Ifigenia e le urne cinerarie

“Operazione Ifigenia” è stata chiamata, perché l’eroina greca appare in alcuni rilievi sulle urne. Si tratta della figlia di Agamennone e Clitennestra, ma secondo la leggenda generata da Teseo ed Elena, il cui sacrificio richiesto per placare Artemide creò travagli psicologici e politici all’atto della spedizione a Troia. Il fascino di questo mito è stato tale da ispirare non solo le antiche  tragedie di Euripide, Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauride, ma anche spettacoli teatrali moderni, melodrammi e opere liriche di diversi musicisti tra cui Domenico Scarlatti, dipinti di artisti come Tiepolo e film.

Le 24 urne cinerarie in travertino umbro bianco presentano altorilievi con scene di battaglia e tauromachie, fregi e preziose dorature; tra i 3000 reperti archeologici preziosi corredi funerari con elmo frigio e scudo, un kottabos bronzeo, schiniere e strigile, vasellame e altro ancora, tutto esposto nella sede del Comando.  Nel percorrere i due lunghi corridoi dove sono allineate le urne con un campionario dei principali reperti archeologici, si ha la sensazione di entrare nel mondo nel quale ci sono le nostre radici: a queste urne si è ispirata la cineraria romana. La localizzazione del sito a Perugia ha dato un’utile conferma sull’estensione dell’Etruria, quindi l’importanza del ritrovamento è anche sul piano della conoscenza storica, oltre al piano artistico. Luigi Melnati, direttore generale per l’antichità del Ministero dei beni culturali, ha sottolineato questi aspetti, ricordando i rapporti con Roma e le alleanze nelle guerre cui si riferiscono gli altorilievi.

Altra importanza è data dall’unicità dell’origine, il sito funerario della famiglia Acni, di cui si conoscevano otto urne provenienti, oltre che da Perugia, da Chiusi, Norchia e Tarquinia. Il ritrovamento è avvento trent’anni dopo la scoperta dell’ipogeo dei Cutu, avvenuta per caso nel 1982. Quello recuperato per merito dell’azione dei Carabinieri è  un complesso ancora più importante di urne con l’annesso corredo funerario riferito a un  unico ipogeo; inoltre le circostanze in cui è stato individuato – non un’attività sistematica di scavo ma un fatto occasionale e per di più da occultare – lasciano pensare che potrebbero esserci altri reperti e addirittura altri ipogei. Al riguardo la Soprintendenza di Perugia si sta attivando per un’apposita campagna di scavi nel sito, una buona notizia considerando come tali attività siano praticamente ferme dovunque, per cui ci si limita a conservare – spesso male come le cronache insegnano – quanto già scoperto in passato.

Nell’incontro alla sede del Comando del nucleo Tpc sono stati sottolineati i gravi danni che si arrecano al patrimonio storico-artistico-culturale disperdendo i ritrovamenti clandestini in vendite frazionate, per cui anche i recuperi non riescono a ricostituire l’unicità originaria, cosa che invece è stato possibile in questo caso. C’è un patrimonio conoscitivo da salvaguardare, Francesco Scoppola lo ritiene “il maggiore tesoro che si accompagna ad ogni oggetto e ad ogni opera d’arte (e che viene invece sistematicamente disperso dai clandestini, dai ricettatori e dai trafficanti): al di là del valore venale, al di là dell’interesse estetico ed antiquario, sono le informazioni e le interrelazioni dei reperti tra loro e con altre opere a consentire l’acquisizione di valore (anche economico, ma prima ancora sostanziale, conoscitivo) che è poi quello di gran lunga maggiore per ogni bene culturale”.

Anche da questi danni irreversibili nasce l’intento di riformare la normativa sui reati contro il patrimonio culturale. Il ministro Massimo Bray  li ha definiti “una ferita profonda nel tessuto del patrimonio culturale nazionale, privato di beni che, anche se recuperati, non sarà più possibile contestualizzare. Oggetti che non potranno parlare, raccontare la loro storia, aiutarci a ricostruire le vicende di un ambito territoriale preciso, tramutati in beni di consumo di lusso o, peggio, in merce di scambio in contropartite malavitose”. E ha annunciato un’iniziativa legislativa per la delega al governo, partendo dal testo cui era pervenuta la Commissione giustizia nella precedente legislatura, su cui lavorano gli uffici del MiBAC e del Ministero della Giustizia per una prossima presentazione al Consiglio dei Ministri; in parallelo, “un’iniziativa seria e responsabile per portare nuova linfa alle Soprintendenze archeologiche, autentico membro della tutela del patrimonio da troppo tempo indebolite dalla mancanza di risorse umane e finanziarie”. Si può solo sperare che all’annuncio seguano i fatti, sequenza logica che tuttavia non si può dare come scontata, occorre perseverare.

L’Operazione Ifigenia nella vicenda investigativa

Oltre alla straordinaria importanza nei risultati, l’Operazione Ifigenia si segnala come esemplare nelle modalità investigative, per le intuizioni che l’hanno originata e le collaborazioni che l’hanno portata al successo. Ne ha parlato diffusamente il generale Mariano Mossa, a capo del Comando del nucleo Tpc dei carabinieri, mentre ha aggiunto interessanti particolari sullo svolgimento delle indaginiil comandante del Reparto operativo maggiore Antonio Coppola.

La prima intuizione è stata di non sottovalutare il fatto di avere trovato, in una perquisizione di “routine” a un noto trafficante romano, una testina-frammento e la foto di un’urna cineraria dalla quale visibilmente era stata staccata. Si è capito che poteva trattarsi di un “provino” per presentarsi ai potenziali acquirenti: la testina come prova di autenticità, la foto per mostrare l’intero reperto.

Ma lì tutto si poteva fermare, il trafficante non era di certo disposto a confessare un reato non ancora compiuto. Allora è scattata la fase della collaborazione, si è consultata l’Università romana di Tor Vergata, il cui docente della materia Gabriele Cifani, presente alla conferenza stampa, ha indirizzato sulla pista giusta: la provenienza doveva essere Perugia, dove c’erano esempi della stessa tipologia; la Soprintendenza per i beni archeologici di Perugia, altra istituzione coinvolta, ha confermato, si sono individuati privati in possesso di reperti analoghi; la Procura della Repubblica presso il tribunale della città, con il Sostituto procuratore Paolo Abbritti, ha coordinato indagini operate con metodi investigativi adeguati, dalle intercettazioni ai pedinamenti di imprenditori edili.

Un’altra intuizione è stata vincente: poteva non essere opera di tombaroli clandestini, ma il rinvenimento casuale nel corso di uno scavo edilizio, al quale invece della doverosa denuncia alle autorità era seguito il tentativo di occultare i reperti rinvenuti per alienarli sul mercato clandestino al fine di ricavarne un illecito profitto: trattasi infatti di beni di valore anche venale  inestimabile.

Le indagini svolte sottoponendo a controllo una serie di imprenditori locali hanno portato all’identificazione dell’imprenditore cui risale il rinvenimento, avvenuto ben dieci anni fa, di qui la particolare difficoltà dell’operazione: l’attività edilizia tra l’altro non era autorizzata, e le perquisizioni hanno portato al rinvenimento e sequestro del cospicuo quanto prezioso materiale mentre si stava per offrirlo sul mercato clandestino, con l’incombente effetto distruttivo della dispersione di un patrimonio dal valore inestimabile sul piano artistico, culturale ed economico.

Il risultato lo vediamo nei due corridoi in cui sono allineate le 24 urne cinerarie e un campionario dei 3000 reperti archeologici.

La presentazione del 27 giugno la consideriamo un emblematico corollario della mostra del Centro Europeo per il Turismo in corso a Castel Sant’Angelo sui “Capolavori dell’Archeologia” recuperati dalle forze dell’ordine,  nella quale vengono approfonditi i “recuperi, ritrovamenti e confronti”. E’ il 20° anno che il Centro cura queste esposizioni, con la contestualizzazione dei ritrovamenti e la descrizione del percorso investigativo, come fatto nel rinvenimento di Perugia.

Dalle urne etrusche alla mostra di Castel Sant’Angelo

Nella presentazione della mostra a Castel Sant’Angelo, il gen. Mariano Mossa ha ricordato l’istituzione del Comando per la Tutela del patrimonio Culturale nel 1969 con 16 militari rispetto ai 280 attuali; e ha sottolineato come con “il bene d’arte, soprattutto se recuperato dall’area dell’illegalità, significa restituire alla collettività un ‘tassello’ che, indipendentemente dalla sua rilevanza storica, artistica, o economica, compone e qualifica la nostra identità culturale”.

E la Soprintendente speciale per il patrimonio storico-artistico e il polo museale di Roma Daniela Porro ha citato un’altra recente operazione dei Carabinieri che ha preceduto la mostra,  il recupero a Roma di 2500 oggetti, alcuni molto rari, tra l’VIII sec. a. C. e il II sec. d. C., avvertendo che in Italia nel 2012 le sottrazioni illecite del patrimonio artistico sono state rilevanti: 890 furti con oltre 17.000 oggetti trafugati, e l’archeologia etrusca è stata ferita dall’irruzione nel  Museo di Villa Giulia.

Il ritrovamento attuale delle 24 urne cinerarie etrusche con i 3000 reperti archeologici è una buona notizia che compensa questa ferita inferta all’archeologia etrusca: la visione delle 24 urne schierate come per essere passate in rassegna è un vero spettacolo, le immagini ne danno solo una pallida idea; come sono uno spettacolo, in proporzioni naturalmente maggiori  per il loro numero e la loro varietà, i reperti esposti nella mostra di Castel Sant’Ango. Ne parleremo prossimamente.

Info

Per le presentazioni dei successi nell’azione di contrasto ai trafugamenti e  al mercato d’arte clandestino presso il Comando dei Carabinieri per la Tutela del patrimonio Culturale, cfr. i nostri servizi nel sito specializzato “notizie.antika.it”: nel 2010: “Recuperati fossili libanesi di 100 milioni di anni”  il 12 febbraio e “Nel 2009 successi da fiction Tv”  il 15 febbraio;  nel 2012: “Carabinieri recuperano 2 statue e 200 reperti archeologici negli Usa” il 12 gennaio; “Bilancio 2011 positivo” il 21 gennaio; “Due Vanvitelli  e un Dughet recuperati” il 9 maggio; “I Carabinieri del Nucleo Tutela recuperano 200 reperti” il 12 giugno; nel 2013, per il ritrovamento attuale, “Recuperate 24 urne etrusche dal Comando Tutela” il 30 giugno.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alle presentazione nella sede del Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, si ringrazia il Comando per l’opportunità offerta. Sono tutte urne cinerarie  etrusche del II-III secolo a. C.