Archeologia, capolavori recuperati, a Castel Sant’Angelo

di Romano Maria Levante

L’annuale mostra a Castel Sant’Angelo delle opere d’arte recuperate dalle Forze dell’ordine quest’anno si  svolge dal 21 maggio al 5 novembre 2013, è la 32^ del Centro Europeo per il Turismo e celebra i 20 anni di collaborazione con le Forze dell’ordine nel presentare i risultati dell’azione di tutela. E’ dedicata ai “Capolavori dell’archeologia. Recuperi, ritrovamenti, confronti”,  e curata da Mario Lolli Ghetti e Maria Grazia Bernardini, che dirige il Museo di Castel Sant’Angelo. Il Catalogo di Gangemi Editore è monumentale, il Comitato scientifico imponente, presidente Eugenio La Rocca, 60 illustri componenti. I reperti sono inseriti con mano leggera nelle antiche sale della parte alta del castello, dalle aperture lungo tutto il perimetro della  galleria superiore un vero  belvedere, il panorama mozzafiato di Roma storica con il Tevere, i monumenti e i ruderi. L’arte antica incastonata tra storia e natura, un autentico spettacolo!

Molte delle opere esposte sono state recuperate in Italia dopo essere state scavate clandestinamente e trafugate, e all’estero dove le avevano esportate illegalmente: dalla mostra si diffonde un monito ai predatori, un allarme e un messaggio ai visitatori sui rischi di depauperamento del patrimonio storico- culturale se non si protegge in modo adeguato dal saccheggio e dall’appropriazione.

In aggiunta a  questa testimonianza di alto valore civile, una di tipo culturale: una intensa attività di ricerca condotta con  criteri scientifici è alla base dei ritrovamenti di reperti archeologici a rischio, come bronzi e ceramiche, marmi e affreschi, oreficerie e argenti.

Inoltre le vicende, spesso complesse,  che hanno portato sulla pista giusta suscitano anch’esse vivo interesse dal punto di vista investigativo e giornalistico, alcune sembrano delle “spy story”.  Sono storie spesso narrate dai protagonisti  nella sede del Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, l’agguerrito nucleo specializzato cui vanno riferiti tutti i recuperi che indichiamo per brevità solo con Carabinieri. Con i ritrovamenti a fronte di azioni illecite i cui responsabili vengono assicurati alla giustizia, ci sono quelli fortunosi, diremmo  fortunati.

Non basta, sebbene sia già molto, insieme ai reperti recuperati ne sono esposti altri  assimilabili per  tecnica, materiali e data, dei quali si conosce il sito di provenienza, in modo da poter fare confronti tematici: vediamo corredi funerari integri che dimostrano visivamente come sia importante l’integrità del complesso archeologico, e quindi  il danno insanabile arrecato dallo scavo clandestino e dal trafugamento con l’irrimediabile dispersione dei reperti in tanti direzioni.

“Proprio nella volontà di contestualizzare i pezzi e ricostruire un tessuto storico che illustri al meglio l’importanza e l’obbligatorietà del recupero, risiede la principale novità di questa mostra”, così nella presentazione ufficiale ne vengono riassunte motivazioni e peculiarità.

Nulla di pedante e didascalico, le 9 sezioni tematiche sono introdotte da un reperto che ne rappresenta il “campione” più  rappresentativo, detto  “monumento”:  simbolo dell’attività illustrata nella sezione e documentata con prove concrete, una serie di reperti recuperati o rinvenuti con riferimenti visivi ai luoghi in cui sono conservati, spesso musei archeologici locali  poco conosciuti.

Le prime tre sezioni:   kouroi, crateri e acroliti

Visitiamo, dunque, le sale di Castel Sant’Angelo intitolate a Clemente VII e Clemente VIII, ad Apollo e alla Giustizia, presi dal fascino dell’antico che promana non solo dai reperti ma anche dalla sede espositiva, con i suoi anditi e i suoi corridoi, i pavimenti in cotto e i soffitti istoriati.

La 1^ sezione, sui “Simboli dell’aristocrazia”, presenta statue di soggetti maschili e femminili in epoca arcaica, “i kouroi e korai””  con il loro “campione”: il  Kouros in marmo della fine del VI sec. a. C., parzialmente dipinto,  ritrovato dalla Guardia di Finanza, ora al Museo archeologico di Reggio Calabria. E’ un originale greco proveniente da Paros, privo di braccia e di parte delle gambe ma sostanzialmente integro, con l’acconciatura alla sommità del capo particolarmente elaborata. Tra gli altri è esposto il Kouros detto Apollino Milani con una particolarità: nel Museo archeologico di Firenze da dove proviene, è acefalo, un torso perfetto che è stato accostato alla statua di Teseo dell’Acropoli, qui ha una testa molto delicata, la c. d. testa Bellini, su concessione dei proprietari.

Dalle statue ai crateri nella 2^ sezione “Euphronios ed Euthymides e l’invenzione delle figure rosse”, esposizione monografica di vasi in ceramica attica spettacolari per fattura, cromatismo  e forza narrativa: spiccano, il Cratere a calice attico con il trasporto del corpo di Sarpedonte  e la Kylix attica con Ilioupersis,  entrambi del VI sec. a. C. provenienti dal Museo etrusco di Villa Giulia, la cui storia è eloquente: l’Arma dei Carabinieri  li ha identificati nientemeno che nei prestigiosi Metropolitan Museum di New York e Getty Museum di Malibu e si è riusciti ad ottenere la restituzione.  Soprattutto il primo, delle dimensioni di 50 cm di altezza e diametro, lascia senza fiato per la raffigurazione, tratta dall’Iliade, con le personificazioni allegoriche di Sonno e Morte. L’Ilioupersis nel secondo riporta alla caduta di Troia con l’uccisione di Priamo e del piccolo Astianatte, ci sono anche Patroclo  e Agamennone, Elena e Menelao, Aiace e Cassandra, il duello tra Ettore e Aiace davanti ad Apollo ed Atena. Un’immersione nei ricordi scolastici che emoziona.  

Dei celebri autori Euphronio ed Euthymide vengono esposti altri vasi che si alternano ai primi nel periodo della mostra in una originale staffetta. In particolare alla Kylix attica viene affiancata l’Hydria attica c. d. Vivenzio, del Museo nazionale archeologico di Napoli, per un interessante confronto sul ciclo troiano, dato che anche in questa sono raffigurate le stesse scene sopra rievocate.

Con la 3^ sezione “Acroliti. Statue oltre misura”  facciamo la conoscenza della Testa di Kore, del VI sec. a. C., dal Museo archeologico regionale di Aidone, in provincia di Enna, un esempio dei reperti di straordinario valore custoditi da piccoli musei periferici; questo si trova in Sicilia, proviene  dal sito di Morgantina insieme ad altri “acroliti”, restituiti come alcuni reperti prima citati, dagli Stati Uniti dopo l’intervento dei Carabinieri  e  del Ministero Beni Culturali.  Viene presentato come termine di confronto la testa, piedi e mano sinistra della statua acrolitica  che raffigura l’Apollo Aleo, del Museo archeologico di Reggio Calabria, con due  Teste di marmo, una maschile, l’altra femminile, del Museo archeologico nazionale di Paestum. Inoltre si illustra la composizione di questo tipo di statua che veniva esposto nel tempio:  gli acroliti erano le estremità pregiate di marmo, come quelle appena citate, di statue composte da un corpo con l’impalcatura in legno coperta di vesti di vario materiale,  bronzo dorato o tessuti preziosi, gli occhi in vetro o pietre pregiate. Non è esposta la grande Statua di Venere, ma  c’è  parte del Tesoro di argenti, recuperato dopo essere stato trafugato dai tombaroli: coppe e recipienti per simposi e cerimonie religiose. La statua è stata restituita dal Getty Museum, gli argenti dal Metropolitan Museum di New York. 

Altre tre sezioni: teste di intellettuali,  colori del marmo,  pittori di vasi

Il viaggio all’interno del mondo greco  diviene sempre più appassionante, dopo i giovani è la volta dei “Filosofi e cittadini”, con evidenziati i rapporti tra “il pensiero e l’azione”.  I campioni che introducono la 4^ sezione sono Testa di filosofo da Porticello, del 460-440 a. C., e Testa virile barbata c. d. “di Basilea”, del V-IV sec. a. C., sculture provenienti dai musei archeologici di Reggio Calabria e Paestum. Il nome della prima deriva dall’espressione pensosa, la seconda per la sua autorevolezza viene riferita o a un personaggio regale oppure a Zeus Eleutherios, con loro il Ritratto di filosofo, del Museo archeologico di Firenze, sguardo assorto, espressione corrucciata. La rassegna è completata dalle Erme con ritratti di intellettuali e filosofi greci, provenienti dai Musei capitolini e dal Museo Barracco sempre di Roma: Omero e Pindaro, Sofocle e Anacreonte.

Finora abbiamo incontrato gli effetti cromatici nelle “figure rosse” dei grandi vasi in ceramica attica, quelli di Euphronio in testa a tutti; nella sezione “I colori del marmo” li troviamo nei vasi marmorei con dipinti motivi floreali. Il  Cratere a calice su sostegno in  marmo della II metà del IV sec. a. C., dal Museo comunale di Ascoli Satriano (Foggia), dove si intravede l’impronta di una corona aurea di foglie dipinta, è il “campione” di un gruppo di reperti di grande valore provenienti dalla stessa località  e forse da un unico sito, una tomba aristocratica daunia, recuperati dai Carabinieri. Insieme è esposta una Corona aurea  del II sec. a. C., dal Museo archeologico di Taranto, è di tipo funerario a foglie di quercia.  Il cromatismo marmoreo è rappresentato soprattutto  dai due Crateri apuli a volute da Canosa in Puglia, recuperati dai Carabinieri, figure delicate di cavalli e una testa femminile in un rosa sfumato; e  da una Testa di Amazzone,  dai capelli a ciocche con chignon,  provenienza  Ercolano, ritenuta copia romana di una famosa scultura del grande Fidia.

Si torna alle ceramiche con la 6^  sezione, “Ceramografi in Magna Grecia: il pittore di Amykos e il pittore di Dario”, titolo enigmatico  che indica l’opera pittorica dei due artisti sui vasi  e crateri. I rispettivi “campioni” sono due Nestorides di Amikos, dal Museo archeologico “Dino Adamesteanu” di Potenza, di grande valore, con scene figurate nella parte superiore e motivi geometrici in quella inferiore; e due grandi Crateri a mascheroni apuli a figure rosse, del Pittore di Dario e Pittore di Baltimora”, del 330 a.C. dal Museo archeologico di Taranto Marta, alti oltre 1 metro,  composizioni figurative di grande pregio con figure nette e nitide, soprattutto cavalli e divinità; sono stati recuperati il primo dalla Guardia di Finanza, il secondo dai Carabinieri.  Insieme a questi vasi monumentali sono esposti altri esemplari di Anfore apule a figure rosse,  pari nella grandezza delle dimensioni e dei pregi stilistici di  nitidezza e ricchezza figurativa, del Museo archeologico di Napoli, provengono  dalla tomba dove è stato trovato il vaso del Pittore di Dario. Fino all’Hydria apula a figure rosse, con una composizione marina dal taglio che sembra moderno.’

Le ultime tre sezioni: decorazione parietale, statue e sarcofaghi

Finora la mostra ha presentato statue e vasi, che abbellivano gli ambienti pubblici e privati di grande prestigio. Di questi luoghi, per stimolare la fantasia di chi vuole ricostruirne la vita quotidiana, nella 7^ sezione sono esposti  piccoli quadretti di Pompei, dal Museo archeologico di Napoli, per evocare  “La grande decorazione parietale” : due “Pinakes della casa dei Casti Amanti” e Vignetta con Erote, Architetture fantastiche con natura morta e  Scene di un banchetto,fino al Pastiche di frammenti,  tutti del 45-79 d. C.. Viene narrata la storia istruttiva di questi quadretti: incorniciano pezzi di affresco staccati dalle pitture parietali pompeiane,  venivano appesi alle pareti in una galleria di antica pittura romana di cui solo il sovrano borbonico, in virtù del suo potere, poteva disporre. Sono stati  recuperati dai Carabinieri  dopo essere stati rubati, tre Frammenti di decorazione parietale individuati nel Paul Getty Museum e restituiti: lo stile pompeiano spicca dal rosso della finestra da cui  si vede uno sfondo verde di edifici nel primo, dal rosso dell’arco in cui si affaccia la maschera di Ercole nel secondo, dal rosso del soffitto su una maschera teatrale nel terzo. Dimostrano il grande valore dell’unitarietà dei complessi archeologici e del danno arrecato enucleandone delle parti con azioni delinquenziali a fini speculativi di rapina.

L’ 8^ e penultima sezione ci riporta la scultura, il titolo è tutto un programma: “Sculture e scultori fra Greci e  Romani”.  Nella sfera pubblica troviamo la scultura civica e sacra, quella privata è più numerosa, venendo dalle ville situate in vaste aree di Roma e dintorni, dagli imperatori alla cerchia imperiale ai patrizi, all’insegna dell'”otium”, che includeva il lato artistico e culturale della vita. I “campioni” sono la Statua di Eirene dell’età proto augustea, I sec. a. C., che celebrava la pace,  e la Statua c. d. di Vibia Sabinia, II sec. d. C., entrambe monumentali, alte più di 2 metri. La  prima, proveniente dal Museo civico di Palombara Sabina,  recuperata dopo un furto, è intatta nel viso e nel panneggio, conserva parte delle braccia che tenevano la cornucopia e un piccolo Pluto, che manca; la seconda, dall’Antiquarium del Canopo di Villa Adriana a Tivoli, raffigura l’imperatrice moglie di Adriano, in piedi, a grandezza naturale, impressionante per la forza espressiva. Sono esposte gigantografie di due statue non  presenti per motivi conservativi, ma si sono  volute ricordare per la loro importanza: Statua maschile barbata, forse Efeso,  a torso nudo, del I sec. d. C., e Statua maschile su trono, che sembrerebbe rappresentare Caligola dal ritrovamento nei pressi del lago di Nemi e dai calzari, altro prezioso reperto portato alla luce da uno scavo clandestino e recuperato di recente dalla Guardia di Finanza.

 “Vincere la palma: corse e aurighe nella Roma imperiale” è la 9^ sezione, quella  conclusiva. Attraverso queste raffigurazioni viene fatto un excursus nell’arte funeraria, che riflette la concezione  basata sulla sopravvivenza dell’anima dopo la morte, per cui la serenità nell’al di là derivava da una vita virtuosa. Nell’età arcaica il rito funerario era l’inumazione, la cremazione verrà successivamente: nelle classi povere c’era la mera deposizione in una fossa scavata nella terra, poi con l’elevarsi del ceto  i cassoni in tegole o lastre di pietra, quindi casse litiache in pietra povera fino ai sarcofaghi in marmo, porfido e granito, nelle classi più elevate  sui sarcofaghi vi erano sculture con scene di vita quotidiana del defunto che presero il posto delle  scene mitologiche iniziali. Ammiriamo il Sarcofago delle quadrighe, del Museo comunale di Aquino, con scolpite scene di corsa alla Ben Hur, in una spettacolare rappresentazione dei cavalli al galoppo in gruppi di quattro e l’auriga sul cocchio, c’è anche un caduto sotto gli zoccoli,  vediamo la scena pure in un frammento di intonaco dipinto; e il Sarcofago delle Muse, intorno al II sec. d. C.,  dal Museo degli scavi di Ostia, le nove Muse sono allineate con i loro simboli, in presenza di Athena ed Apollo, sul coperchio scene di filosofi. Entrambi sono stati recuperati dalla Guardia di Finanza dopo essere stati rubati. Per mostrare i danni degli scavi clandestini che persistono anche dopo il recupero, è esposto il Sarcofago della fanciulla di Grottarossa, II sec. d. C., con scene di caccia di Enea e Didone dall’Eneide di Virgilio:  conteneva la mummia della fanciulla con il corredo funerario, fu trovato clandestinamente ancora sigillato e aperto in laboratorio con grave perdita di elementi  preziosi, fu rinvenuta anche una bambolina con le articolazioni. Nel vederlo ripensiamo alla dolcissima Crepereia, la mummia, il sarcofago e il  corredo,  e la bambolina che intenerì le file di visitatori della prima mostra romana a lei dedicata parecchi anni fa, il ricordo è ancora vivo.

Dopo la visita alla mostra sentimenti e riflessioni

Cosa suscita questo volo in un tempo così lontano sulle ali dell’arte in un’epoca, da cui discende la nostra civiltà,  sempre prodiga di insegnamenti quando l’archeologia ne fa conoscere nuovi risvolti? Innanzitutto l’ammirazione per l’arte e la cultura del mondo  antico, poi il brivido che viene dinanzi allo scempio degli scavi clandestini e dei furti di antichi reperti; e insieme la riconoscenza per la dedizione e i successi delle Forze dell’ordine, in particolare Carabinieri e Guardia di Finanza, nell’azione volta a recuperare quella parte del patrimonio culturale illegalmente sottratta.

Ma c’è una riflessione conclusiva nel vedere come i preziosi reperti che la mostra ha il merito di far conoscere al grande pubblico di visitatori di  Castel Sant’Angelo  provengano da una serie di Musei archeologici situati anche in piccole località sul  territorio nazionale. C’è l’aspetto positivo della diffusione capillare della cultura e della storia millenaria dove si trovano le nostre radici; e anche l’aspetto problematico sulla gestione di un sistema nato nel passato e che va ammodernato in modo che sia assicurata la più ampia visibilità ai reperti  e non si tratti di una sterile custodia. Molte idee sono state avanzate, tra cui il “museo diffuso”, per collegare in un circuito coordinato singole realtà altrimenti marginali od emarginate, vanno valutate attentamente per iniziative concrete soprattutto in una fase di difficoltà economica che mette a rischio anche le realtà più solide e consolidate.

Nei momenti di crisi occorre porre le basi per il rilancio, e la mostra di Castel Sant’Angelo è l’espressione visiva di tante potenzialità da valorizzare.  E’ anche questo il suo messaggio, che si aggiunge all’allarme sui rischi che incombono sul patrimonio culturale per le azioni malavitose e sull’esigenza di potenziare le difese affidate alle Forze dell’ordine  la cui azione coronata da successo va sostenuta con mezzi adeguati. Si tratta di un investimento, non di una spesa, chiunque visita la mostra ne ricava un’impressione che difficilmente potrà dimenticare. A parte il fascino straordinario di Castel Sant’Angelo nel quale la mostra è incastonata come una pietra preziosa.

Info

Castel Sant’Angelo, Lungotevere Castello 50. Tel 06.6819111. Da martedì a domenica ore 9,00-19,30 (la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso a Castel Sant’Angelo: intero euro 10,50, ridotto euro 7,50 (tra 18 e 25 anni, insegnanti Ue scuole statali); gratuito minori di 18 anni e maggiori di 65 anni, oltre ad una serie di categorie.  Catalogo: “Capolavori dell’Archeologia. Recuperi, Ritrovamenti, Confronti”,  Gangemi Editore, maggio 2013, pp.368, formato 21×30. Cfr. il nostro servizio su questa mostra in “notizie.antika.it” il 21 luglio 2013 e quelli sulle precedenti mostre del Centro Europeo per il Turismo: in questo sito “Papi della memoria”, il 15 ottobre 2012; sui recuperi delle forze dell’ordine in “cultura.abruzzo world.com”, “I tesori invisibili” 10 luglio 2009, in questo sito “Arte salvata nel 150°” 1° giugno 2013. Per i recuperi dei Carabinieri cfr. i nostri servizi in “notizie.antika.it”: il 12, 15 febbraio e 9 maggio 2010, il 12, 21 gennaio e 12 giugno 2012, e il 30 giugno 2013 sul recupero di “urne etrusche”; e in questo sito, stesso tema “urne etrusche” il 21 luglio 2013.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante all’inaugurazione della mostra, si ringrazia il Centro Europeo per il Turismo e la direzione del Museo di Castel Sant’Angelo, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura “Kouros”, 500-490 a: C.; seguono  vetrina con “Hydrie” attiche a figure rosse, 500 a. C. e “Erma iscritta di Anacreonte” (a sin.) – “Testa di Sofocle, tipo ‘Farnese'” (a dx)  da originali greci del IV-V sec. a C., poi “Frammento di affresco con figura di Dioniso”, 61-79 d. C., e  “Statua c. d. di Vibia Sabina”, II sec. d. C.; in chiusura “Il sarcofago delle quadrighe”, II-III sec. d. C., sopra “Corsa di quadrighe”, frammento di intonaco, 62-79 d. C.