Pertica, il giornalismo che diventa arte, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Dopo aver evocato “Roma dea e donna” e “I tesori di Roma”, ricordiamo la mostra che si è svolta al Vittoriano, dal 20 dicembre 2011 al 22 gennaio 2012,  realizzata da “Comunicare Organizzando”, su “Domenico Pertica. Un’idea che aleggia per Roma tra giornalismo, impegno e arte”. Un’esposizione ricca di motivi di interesse per i vari piani nei quali si è cimentato il giornalista scomparso da circa un decennio; e ricca di sorprese, come i disegni di Federico Fellini  affiancati a quelli di Pertica sui film del grande regista in cui è stato impegnato in ruoli di personaggio-caratterista; e le immagini degli insigniti della rosa di bronzo del “Premio simpatia” da lui ideato, una carrellata di quarant’anni con i personaggi più amati dal pubblico non solo romano.

Tornare su una mostra in memoria di un giornalista, strettamente legato alla sua città, sembrerebbe un omaggio corporativo, per di più campanilistico trattandosi di Roma. Non è così per l’ampiezza dei suoi interessi e delle espressioni culturali ed artistiche, e non lo è per il valore di paradigma di un riconoscimento verso chi si è prodigato per la sua città che doverosamente ne riconosce i meriti e la qualità.

Non ne ripercorriamo il prestigioso curriculum professionale in alcuni tra i più importanti quotidiani italiani, raccontiamo la mostra nella quale emergono soprattutto le sue attività diverse dal giornalismo, che veniva evocato all’inizio nelle grandi vetrine con esposte le pagine di cronaca recanti i suoi servizi e reportage di inchiesta dai quali traspare la sensibilità per i problemi sentiti sottopelle dalla città, che lui faceva emergere alla vista di tutti; e soprattutto l’amore per la sua terra e la sua gente. Era un cronista pronto a denunciare gli abusi e anche a mobilitare l’opinione pubblica per riparare i torti, assistere i bisognosi, difendere l’ambiente cittadino da speculazione e degrado. Valgano alcuni titoli che sono un florilegio di motivi e di sentimenti e un bedeker per i visitatori: parlano di Trastevere e di Villa Doria Pamphili, di Villa Borghese e in generale di “Roma perduta”; c’è soprattutto molta Roma delle borgate viste con l’occhio attento a scoprirne pecche e necessità anche nelle località limitrofe come Ostia, il mare della capitale, e le vicine Ladispoli e Nettuno.

C’è ancora Roma nel video della cerimonia con cui Walter Veltroni gli ha intitolato un giardino cittadino dedicandogli parole fuori di ogni ritualità indossando la fascia tricolore di sindaco. Altrettanto sentite le parole di altri illustri personaggi che lo hanno definito così: “Un romano trasversale perché sceglie il bene di Roma come denominatore comune dei pensieri e delle azioni”, è Rutelli che parla da sindaco; “un tardo-romantico che si aggira nel ventesimo secolo” secondo Duccio Trombadori, “Cocteau del Testaccio” per Igor Man, “un uomo incarnato nella sua Roma” per Marco Pomilio, mentre Domenico Purificato ne sottolinea “la sensibilità e la propensione all’arte”.

Da queste definizioni comincia ad emergere qualche tratto della sua personalità espressa nelle sue “altre vite” affiancate a quella principale, dedicata al giornalismo. In mostra tre dipinti di artisti, sonoritratti che riflettono la considerazione e l’affetto per lui.

Ma quelli che ci interessano sono i suoi dipinti, dato che si esprimeva con il pennello oltre che con la penna, anzi con la macchina da scrivere, la “Olivetti lettera 22” celeste esposta in mostra, sua fedele compagna come per Montanelli. E qui la prima sorpresa, le “Pouponnes”  raggruppate quasi in una composizione, dodici dipinti che circondavano il più grande centrale. Visi grandi, anzi visi grossi, per il formato e la densità della pennellata, nonché per la forte gamma cromatica in colori non brillanti ma grevi come le loro espressioni, segnate dalla vita. Sono ritratti in primissimo piano senza contorni, tali da immergere nell’atmosfera che evocano, fatta di ambienti fumosi e di tabarin in una “belle epoque” rivisitata a domicilio come eco sofferta di vite perdute ma anche nostalgica di umori e di amori.

Vicino erano esposti dipinti di tutt’altra forma e sostanza. Dai visi grevi e appesantiti come le palpebre delle donne di vita si passava a immagini leggere quasi ironiche ma non prive di significati profondi, come quelle dei gatti: “Vivo come i tempi, al ritmo dei tempi, libero e indipendente come i gatti” ebbe a dire. Ed eccolo ritrarli in varie situazioni, da “Gatto con la luna” a “Gatto nel lago”, passando per “Gatto giocoliere” e “Gatto velato”, “Gatto mammone” e addirittura “Gatto Re”.  Dai gatti allo zodiaco ispirandosi a poesie degli amici Dario Bellezza e Dante Maffia nella serie “Segni del cielo”: Ariete”  con le “orecchie del cielo”, Toro “prigionia di sesso”, Gemelli “separati per affinità”, Cancro “cercando la chimera”, Leone “la criniera del vento”, Vergine “le spighe e la loro parte d’aria”, Bilancia “la giustizia del cuore”, Scorpione “un’angoscia di fuoco”, Sagittario “scocca la freccia”, Capricorno “terra acqua cielo fuoco”, Aquario “livide gocce che volano danzando”, Pesci “girovaghi azzurrati”. Una costellazione di parole alate trasformate in immagini di sogno.

Un grande dipinto celebrava l’“Allegoria del tempo nell’agro romano”, un lumacone gigante al centro della composizione in ambiente arcadico, c’era anche “Montagne di ghiaccio” e “Il Pavone”, collocato  al culmine di una di queste montagne. Fantasia e ancora fantasia, libera e indipendente, mentre in “Sogno a Baghdad sul Tigre”  uno scorcio di cupole delle moschee con l’acqua del fiume in primo piano.

Dalla pittura di nuovo alla scrittura, ma questa volta non con servizi giornalistici bensì con libri, dalla narrativa alla storia fino alla poesia allineati in una vetrinetta. Era sodale di Palazzeschi ed Elsa Morante, Arbasino e Dario Bellezza, il suo romanzo “La Contessa di Roma” fu finalista al premio “Viareggio opera prima”; un altro suo libro, “Le voci dell’isola” è stato definito “poesia in prosa”, storie di contadini sconvolte dalla strage di Piazza Fontana; poi “Salotto in libreria”, interviste a contemporanei che culminano in un “incontro con Leopardi”. Quindi le poesie, nelle quali è stata trovata una vena dannunziana: “Madrigale Eugubino” e “Baghdad nelle rose”, fino a “Canzoniere ad Andrea”, dedicato al nipotino scomparso due anni prima. Il suo amore per la propria città si è espresso nei libri su Roma, anch’essi esposti in mostra: “Villa Borghese” e “Storia dei Rioni di Roma”, “Fatti, fattacci e personaggi della Roma umbertina” e “Roma delle meraviglie”,  a questo rimandano le mostre a livello provinciale sotto il titolo “La Provincia delle meraviglie”.

Ma la vera meraviglia viene dal lato per così dire cinematografico della sua vita. Tutto iniziò con un’intervista a Federico Fellini, che d’improvviso gli prese il viso tra le mani e disse “ho bisogno della tua faccia”, ricorda il repentino bacio del portiere Casillas della nazionale spagnola alla intervistatrice Carbonero dopo la vittoria del mondiale: l’intervistato che prende un’iniziativa estemporanea e dirompente. La sua è una faccia “metà da gatto soriano metà da elfo dei boschi con la capigliatura scomposta e arruffata”, la chioma si ridurrà alla fine a due punte argute. Parteciperà da personaggio-caratterista ai film del grande regista, da “Amarcord” in cui è il “cieco di Càntarel” che accompagna alla fisarmonica il banchetto nuziale con cui si conclude il film, a “E la nave va” e “Ginger e Fred”, Nella mostra abbiamo visto le fotografie di scena dei film, il suo è un viso che non si dimentica.

Non si dimenticano i suoi disegni, esposti anch’essi, in particolare dal set di “E la nave va”, e i tre pastelli di Federico Fellini sul “cieco di Càntarel” di “Amarcord”. Dal set anche il “Diario di bordo”, un taccuino vero reportage giornalistico su esperienze irripetibili, illustrato dai suoi disegni. La mostra si avviava alla conclusione con l’immagine simbolica della nave felliniana di un suo bel disegno.

Il botto finale era la carrellata di fotografie del “Premio Simpatia”, da lui ideato e promosso con Vittorio De Sica e Aldo Palazzeschi. Quarant’anni di premiati, illustri o gente comune, nelle immagini sfilavano i personaggi più amati del cinema e dello spettacolo, dell’arte e della società, campioni di simpatia. Ognuno con la “Rosa di bronzo” dello scultore Peikov, in tutti i volti i segni della simpatia. In molte fotografie dietro il tavolo c’era lui, Domenico Pertica, il sorriso stampato su quel viso così speciale e arguto.

Con la sua immagine si chiudeva una mostra che ha fatto ripercorrere quarant’anni della nostra vita attraverso reportage e libri, pitture e foto di scena, fino alla cavalcata finale all’insegna della simpatia. La mostra, che è stata aperta fino al 22 gennaio 2012, ha allietato le festività natalizie e l’inizio dello scorso anno con una leggerezza e un disincanto che hanno dato un dolce sapore alla memoria. Perciò abbiamo voluto ricordarla.

Info

Per la citazione iniziale cfr., in questo sito, i nostri servizi ” su  Roma dea e donna il 28 luglio e sui Tesori di Roma il 29 luglio 2013.

Foto

Le immagini sono state fornite da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, che si ringrazia con i titolari dei diritti, in particolare la famiglia Pertica. I dipinti sono di Domenico Pertica, ripreso in apertura e chiusura dinanzi a un suo quadro; la penultima immagine è un pastello di Federico Fellini a lui dedicato, che lo ritrae argutamente come “cieco di Cantarel” mentre dipinge.