43 artisti, la “carta oleata” e la modernità, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Rievochiamo una mostra molto originale, svoltasi  dal 15 dicembre 2011 al 10 gennaio 2012 al Vittoriano,“43 artisti si interrogano sulla memoria”: erano giovani emergenti messi a confronto con il passato espresso dai fogli di carta oleata che avvolgevano il burro dell’Ente Comunale di Consumo romano, rinvenuti per caso in una vecchia cantina e forniti loro come filo d’Arianna di una memoria portata nell’attualità, senza vincoli di utilizzarli, solo di riceverli come testimoni muti.

E’ un’idea nata in un comune della provincia di Roma, Genazzano, che aveva già esposto le opere dei giovani artisti prima che approdassero alla prestigiosa sede espositiva del Vittoriano inserendosi nel ciclo celebrativo dei 150 anni dell’Unità d’Italia, perché in fondo gli Enti Comunali di Consumo hanno rappresentato un presidio nelle ristrettezze e rientrano nel grande affresco storico della nostra vita quotidiana. La forma di celebrazione di questa benemerita istituzione è molto particolare, non tanto per l’utilizzo simbolico della carta oleata che avvolgeva il burro, prodotto leader nell’Ente di consumo romano, quanto per lo sbocco trovato nell’arte contemporanea.

Un’arte che non sempre può definirsi “popolare”, come lo era l’Ente Comunale di Consumo, per i problemi interpretativi che spesso pongono al grande pubblico le installazioni o le composizioni più avanzate e trasgressive; nessun imbarazzo invece per i critici che riescono con disinvoltura ad attribuire significati, siano essi reconditi o meno, con una netta distanza tra critica e senso comune.

Per questo l’operazione è stata coraggiosa, d’altra parte portare la memoria nell’attualità si poteva fare solo con l’arte contemporanea senza limiti e senza vincoli, a parte l’accettazione della carta oleata come “testimone” e  in un certo senso musa ispiratrice, pronta a farsi da parte senza apparire nell’opera d’arte. Ma abbiamo visto come il testimone sia divenuto “testimonial” nella gran parte delle opere esposte, con i fatidici fogli che avvolgevano il burro inseriti in vario modo.

D’altra parte, cos’è l’arte contemporanea? “Strumento di ricerca collettiva, opportunità di crescita materiale e immateriale, valore aggiunto e bene comune da condividere, fattore di coesione sociale”. Non lo ha detto Achille Bonitoliva, che ne fa una religione, bensì Nicola Zingaretti, l’allora presidente della Provincia di Roma nella presentazione della mostra, rivendicando  come “l’arte più recente può offrire la chiave interpretativa per rileggere eventi della nostra storia e riallacciare i fili di memorie fragili e preziose”.  Protagonisti giovani artisti rispetto a  tempi che non hanno conosciuto ma possono immaginare, nell’iniziativa che esprime “la fiducia nel linguaggio creativo e nella capacità comunicativa” che si esercita attraverso di loro e l’arte contemporanea. 

E Alessandro Nicosia – presidente di Comunicare Organizzando che ha organizzato la mostra insieme con il Centro internazionale per l’arte contemporanea di Genazzano –  ha sottolineato con soddisfazione “come questi fogli di carta oleata, che rappresentano la memoria di una realtà perduta, siano diventati opere d’arte”.

La visita alla mostra ci ha fatto capire come questo sia avvenuto nelle forme più varie, in un succedersi di diverse modalità espressive, ispirate e testimoniate da quel semplice involucro cartaceo che avvolgeva il burro e resisteva all’acqua  con la sua schermatura oleata di bianco opaco.

Dai “ready made” ai significati  resi espliciti dalle scritte

Siamo nell’arte contemporanea, di fronte a forme e contenuti in cui si esprime la libertà stilistica e compositiva ben oltre i generi tradizionali di pittura, disegno, scultura, per non parlare dell’architettura.  Il contemporaneo spazia senza limiti, e lo abbiamo visto nella mostra, dalle installazioni ai video, dalle sequenze cartacee a oggetti da “ready made”. Tra questi ci hanno colpito i vecchi frigoriferi nel cui interno si intravedevano visi scolpiti, tra cui Pasolini. Rocco Dubbiniè l’autore delle sculture e della installazione intitolata così: “Simulacri di burro plasmati dalla necessità della storia che si ripete”. Abbiamo visto anche “Controcorrente”, con cui Stanislao Di Giugnointitolava un ventilatore in funzione il cui vento manteneva in equilibrio un foglio: “Un monumento alle intenzioni, allo sforzo di sostenersi e sostenere le proprie convinzioni con qualsiasi mezzo e contro le convenzioni”. In “Sansoni Elide”, di Giovanni De Angelis, il “ready made” era il telefono e la bicicletta arrugginita, le foto evocavano il viaggio nella memoria di cui era protagonista Elide, che gestiva il chiosco dell’Ente nel quartiere popolare della Garbatella.

Non mancava un’opera che ci ha riportato all’esilarante scena di “Vacanze intelligenti” nella visita  alla mostra d’arte contemporanea con l’equivoco di scambiare per opera d’arte la moglie di Alberto Sordi che si era seduta per riposarsi. Possiamo dire di esserci cascati anche noi, per quanto disincantati, dinanzi a delle scatole di imballaggio ammucchiate in un angolo, sembravano rimaste lì per la fretta dell’inaugurazione, in attesa di essere portate via. Abbiamo detto ai colleghi vicini, tanto per fare una battuta,  “potrebbe essere anche un’opera d’arte”;  ebbene, subito dopo abbiamo visto che lo era, con la sua brava etichetta, autore Simone Canetti. Niente di dissacrante né ironico in questa osservazione, è mera cronaca, segno della vitalità e dei motivi di interesse suscitati.

E’ stata una mostra che è riuscita a sorprendere e, a parte i paradossi della percezione, ha fatto anche riflettere. Ogni opera era corredata dall’interpretazione dell’autore, ed è un fatto del tutto inconsueto, dato che molto spesso si incontrano opere “Senza titolo”, che non rivelano il significato loro attribuito. Qui c’erano invece testi ampi e impegnativi che andavano anche oltre l’opera per svelarci la sensibilità dell’autore nel mondo d’oggi, le sue ansie e i suoi timori, le sue speranze e i suoi sogni. Il foglio di carta oleata come un catalizzatore è riuscito a far reagire l’anima proiettandola nella materia, divenendo un’inedita e inusuale traccia autografa del processo creativo.

Più in generale quello che conta è il valore della memoria sollecitata in chi non ha la memoria di quei tempi. Lo ha spiegato il curatore  Claudio Libero Pisanoaffermando che “la memoria è intesa non come spazio colmabile attraverso la nostalgia e il conforto di ciò che è stato. E’ piuttosto la memoria intesa come necessità, percepita come elemento indispensabile per comprendere il presente e restituire alla circolarità della vita un suo senso compiuto”.  Così “è possibile ridisegnare una mappa delle tensioni e delle aspettative che l’oggi impone”. I giovani artisti lo dimostrano.

Immagini di povertà e di sicurezza, realtà e apparenza

C’era un’opera costituita da una fotografia di un alienante palazzo moderno in orizzontale, con una lista della spesa scritta sulla “carta oleata” sotto il titolo “Cosa manca oggi”. Al primo posto si leggeva “equità”, sembrava  scritto dopo la manovra del governo Monti, invece era ben precedente, oltre a mostrare una premonizione, rivelava un’acuta sensibilità, autrice Gea Casolaro.

Altrettanto nella sfilata di fogli di “carta oleata” incorniciati, il titolo “Mercati”, guardando bene in basso su ognuno era indicato un mercato dove si sono avute stragi nel mondo, Iraq e Afghanistan in testa, con la macabra contabilità dei morti: “Da spazio dove ci si procura il necessario per vivere è divenuto il luogo dove si procura morte e distruzione”  ammoniva l’autore Francesco Arena.

Non c’era tragedia ma miseria in “Like an Animal”, di Domenico Piccolo, immagini di povertà e di squallore mentre  in “Nessun dorma” di Matteo Sanna una vera tenda era accompagnata da parole di solidarietà: nessuno resti inattivo perché nessun bisognoso  resti solo. Ai poveri era dedicata la videoinstallazione “Working poors” di Sandro Mele, che meditava sui “nuovi poveri”: “Sembra non esistano, sono numerosi e silenziosi, hanno un lavoro ma non hanno da mangiare a sufficienza”.

Mentre la “Porta di dominio” di Roberto Timperi esprimeva con la sua intelaiatura qualcosa “che non c’è più, una porta che dava  sicurezza alle famiglie per i beni primari”; dal canto suo con gli infissi d’epoca di “Paravento”, che vibrano per il motore elettrico, Marco Fedele di Catrano sottolineava il contrasto tra una struttura mobile e la monumentalità del Vittoriano. Anche le asticelle di Nicola Gobbetto unite a forma di triangolo e quadrato con la carta oleata esprimevano una metafora basata sulle qualità del burro, si tratta della “Butter door” che purifica.

Tra i bisogni primari c’è il nutrirsi, e la carta oleata per il burro non poteva non ispirare opere sul cibo. Lo ha fatto Roberto Bentugno con “Prendimi se puoi”, una serie di  vere gabbie con un contenuto, quasi vi fossero topi destinati a cadere in trappola per prendere il cibo al loro interno. Opprime anche una fame virtuale, la mancanza di fiducia nel futuro, Marco Bernardi l’ha visualizzata con un panetto di burro nella fatidica carta oleata e la scritta “Dacci oggi il nostro ieri”.  I panetti sono diventati dieci per Arianna Carossa, ma non a fini alimentari, bensì per esprimere il divario tra realtà e apparenza, “Quel che è vero non profuma di te“.  Ce n‘erano  tanti, di piccola dimensione, in un vassoio, a disposizione dei visitatori che potevano portarli via fino a farli scomparire, come è scomparso l’Ente Comunale di Consumo, idea di Moira Ricci, denominazione “Untitled (come le caramelle di Felix)”.

Dal “Senza titolo” dell’assenza alle memorie familiari e personali

Il “Senza titolo” lo abbiamo trovato in opere molto diverse: la lunga tavola  con grafiche uncinate rossedi Mario Ricci, “croci e incroci di una città deformata, tessuti tirati a forza”; i panetti di burro tra ferri e lampadine “in totale ribaltamento di senso” di Alessandro Piangiamore, che ne ha tratto “pretesto per un’opera scultorea”; la bilancia incassata nel suolo di Silvia Gianbrone, “senza titolo e senza misura”  che invece “misura l’assenza del soggetto: un soggetto a misura di inesistenza”; tessuti ed elementi intrappolati dalla resina  posti sulla carta oleata da Barbara Salvucci che diceva: “Ho bloccato nel tempo elementi di un vissuto trasformandoli in fossili contemporanei”.

Ma c’erano anche oggetti che esprimevano memoria in modo diverso, David Casini con “Bianco Souvenir” offriva sfere di cristallo che i visitatori potevano scuotere per avere l’effetto-nevicata, dentro c’era anche il panetto di burro infilzato: “vita quotidiana, di un tempo passato” e  violenza.

C’era poi la famiglia in una visione quasi onirica di immagini di giochi  che Gioacchino Pontrelli intitolava “Non sentiamo né l’odore né il sapore”; mentre li sentiva Luca Croser, gli ricordavano il padre, “io sapevo della sua presenza per l’odore di formaggio che si portava addosso, e me ne vergognavo”, il sapore era quello della nostalgia, il titolo “Qualcuno deve gridare”. Nostalgico senza tristezza il collage di foto familiari di Akessandro Sarra, Made in Italy”, “una memoria forte, personale, ma che nell’atto del convivio racconta una storia e diventa fatto comune”.  Anche Anna, la nonna ricordata in “L’aquilone rosso” da Alice Schivardi, “custodisce memorie collettive”, cioè  “ricordi che appartengono anche alla nostra storia”: l’aquilone di carta oleata non si sollevò, tuttavia  ugualmente “tra testo e immagine fisica Anna cuce un sogno”.

Abbiamo ritrovato l’aquilone ancorato in alto sopra una corridoio e una porta in “Souffle” di Vincenzo Rulli, lo portava con sé quando aveva sette anni e “il cielo era un magnete”, allora “i poveri abitavano nel mondo per un’ora, e quella era l’ora visibile”; e abbiamo rivisto il sogno, questa volta di una generazione, evocato da Donatella Spaziani con “Cartoline d’epoca su carta oleata”, immagini  di fine anni ’60, “la famiglia, l’amore, la quiete domestica, morale ed etica”.

I video evocativi

L’arte contemporanea è anche suono e visione,  di Raffaella Crispino un’installazione sonora  dal titolo “Ecc.”  che rendeva in suoni le immagini  del logo dell’Ente Comunale di Consumo mediante il rapporto colore-suono e le diffondeva attraverso casse acustiche costruite con pochi mezzi.

Di Stefania Galegati Shines il lungo video con 230 immagini e sottofondo musicale, scattate su una spiaggia, “il ritratto di una massa nuda, animale, che vive l’illusione della modernità”, persone in costume su un lido affollato “che camminano e camminano, su e giù e ancora su e giù”, il titolo: “E’ meglio ricordare i giorni più felici che possono per sempre ritornare”. Molte persone che sfilavano nel video davano un’immagine di obesità, ma non quanto “Obesitas” di Giuseppe Petronio, con il ritratto della donna extralarge all’insegna del termine latino del grasso che intitola l’opera. Diapositive su schermo di carta oleata in “Il teatro scompare”, di Ra di Martino, l’oscuramento a tratti sottolineava la sorte infausta che rischia di accomunare il teatro all’Ente Comunale di Consumo.

In una video-animazione Ivana Spinelli  presentava la carta oleata con il logo quasi da prodotto pregiato, non da involucro, e la esponeva in “Ecc paper” come un “ready made commerciale”. Una denuncia del lusso era, di converso, il video di Iginio De Luca che documentava l’azione da “commando”  svolta in via Condotti proiettando il logo dell’ECC sulle vetrine con  i prodotti di “Brand” celebri, per marchiare i beni superflui con la presenza insopprimibile di un bene primario. Alla vita familiare era invece dedicato il video “di Marina Paris, girato con la mitica “Super 8”, anni ’60, scene  tra il nuovo benessere e i perduranti strascichi della povertà del dopoguerra.

Dalle opere su carta alla “performance” finale

Non mancavano i collage, Diego Iaiain “Estreme make up” assemblava stampe di elenco telefonico, carte d’identità e altro, e lo definiva “unico estremismo ammesso e condiviso” anche se trasgressivo. Ma c’erano anche le opere su carta più semplici, fino a quelle elementari.

Faceva appello alla tradizione popolare più genuina Domenico Mangano che utilizzava sette proverbi sul burro per una carrellata di “finti manifesti” da lotta di classe, e intitolava la sua opera con l’ultimo proverbio “Un giuramento di burro è un giuramento che si dimentica presto”. Ancora più tradizionale “Ricette di famiglia” di Eugenio Percossi, le ha scritte semplicemente sulla carta oleata  con il logo del burro, c’erano una quindicina di fogli appuntati al muro con lo spillo, un vero “uovo di Colombo”, metafora adatta restando in campo culinario. Mentre, con memore affetto, Flavio Favelli riproduceva a matita sulla carta oleata dell’ECC marchi, tra cui “Fanta”,  “ancora vivi, appartengono  a un passato che non è ancora concluso”. Perfino più semplice “Breakfasts Paintings” di Carola Spadoni, una “carta consumo”, quella oleata, in “consommè rosa”.  Mentre erano alquanto cerebrali 7 stampe a inchiostro semicancellate dall’acqua applicate alla carta oleata  che esprimevano la metafora di Luana Perilli legata alle formiche: il suo “Annapurna Messor” mostrava “quanto il sostentamento materiale sia imprescindibile dalla crescita spirituale e morale”.

La carta oleata, che ora abbiamo visto esposta quasi tal quale – formiche Annapurna a parte – è stata  usata anche per creare figure solide come sculture: “Tamburino” di Valerio Ricci Montani, riproduceva il tamburo di latta dei giochi infantili; “Nuovo paesaggio italiano” di Pietro Ruffo “ricostruiva” addirittura un vecchio edificio dell’Ente Comunale di Consumo, le erbe e gli insetti ne mostravano la vetustà archeologica, come un obeliscoantico. Da superficie piana a forma solida.

Ma l’espressione finale più sorprendente l’abbiamo vista in un “non sense” fortemente simbolico: la “performance” di Driant Zeneli intitolata “Grand Tour Italia”. Dopo la visita al Colosseo  in testa ai turisti con il vessillo recante la carta oleata e il logo dell’Ente Comunale di Consumo il giorno del Natale di Roma, ecco la visita alla mostra il giorno dell’inaugurazione guidata dal curatore Claudio Libero Pisano: “Così ho costruito un viaggio – ha scritto Zeneli – non sulla storia o sulla memoria di questo foglio ma un viaggio raccontato attraverso le opere di tutti gli artisti in mostra”.

L’arte concettuale nella sua forma estrema. Ebbene, è quello che con la parola scritta abbiamo cercato di fare anche noi perché resti una traccia meditata di una visita che ci ha dato delle emozioni. Come per il curatore Pisano, la carta oleata con il marchio dell’Ente Comunale di Consumo è per noi “un oggetto pieno di memoria”; e lo è stata anche la mostra che ad essa si è ispirata, al punto che abbiamo sentito l’impulso a rievocarla, a un anno e mezzo di distanza.

Info 

Catalogo “43 Artisti si interrogano sulla memoria”,  dicembre 2011.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante al Vittoriano alla presentazione della mostra. Si ringrzia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta.